giovedì 10 dicembre 2009

Film 31 - Tutta colpa di Giuda

Dopo "Star Wars" c'era ancora tempo per dedicarsi ad un'altra pellicola. Non sapendo quale scegliere ci siamo affidati al caso dello streaming, che ci ha consigliato un film che al cinema volevamo vedere, ma avevamo perso!


Film 31: "Tutta colpa di Giuda" (2009) di Davide Ferrario
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Ale
Pensieri: Più che un film un esperimento. La realtà nel cinema, il cinema nella realtà che si contaminano vicendevolmente senza mai un definito schema che faccia capire allo spettatore dove finisce una e comincia l'altro. E' tutta una contaminazione, quasi un labirinto di situazioni tipicamente da cinema e altre tipicamente reali. E, oltre a tutto questo, la musica, il ballo e il carcere. Un bel po' di elementi per un solo film a bassissimo costo e italiano, per di più.
L'elemento che più mi attirava al film era la partecipazione di Luciana Littizzetto, abituato al suo solito carisma. In realtà il suo ruolo qui è molto piccolo e per niente simpatico. Cioè, conoscendo lei e sapendo chi è e come è fatta apprezzi di più Suor Bonaria di quanto non meriterebbe il personaggio che di buono non ha proprio niente.
In realtà la grande sorpresa è stata Kasia Smutniak che conoscevo solo per gli spot della Tim e per essere la madre della figlia di Taricone. Diciamo che effettivamente qualche pregiudizio ce lo avevo. Invece è brava, spigliata, recita pure bene. In un carcere, con veri detenuti che recitano, non dev'essere stata un'esperienza subito facile. E' giovane e volenterosa, si vede, ogni tanto da qualche enfasi di troppo al suo personaggio senza un motivo apparente, però nel complesso l'ho estremamente rivalutata.
Inoltre è da tenere presente, in questa pellicola, la sottile - ma forse neanche troppo - critica al mondo delle carceri italiane che viene descritto come fine a sé stesso, senza alcuna capacità di riabilitare alla vita quelle persone che invece ne avrebbero davvero bisogno. Il carcere è un limbo, un mondo diverso da tutti gli altri - che poi dipenderà anche da carcere a carcere, qui ci si misura con una realtà quasi all'acqua di rose - che ha una sua struttura, sue regole, sua burocrazia. Scontrarsi con un muro del genere può far paura, ma il film aiuta forse a sconfiggere alcuni pregiudizi sul mondo della prigione. Innanzitutto sembra possibile combinare qualcosa di buono, sia nella storia del film che nella realtà. Mi riferisco e allo spettacolo pasquale per cui è stata richiesta la presenza della Smutniak/Irena e alla capacità di Ferrario di costruire un film sul carcere coinvolgendo veri detenuti. E poi l'idea che ne rimane è che non per forza uno che ha sbagliato di brutto nella vita è per forza un poco di buono. Non credo si voglia semplificare, ma solo passare un messaggio positivo per coloro che questa realtà la guardano con diffidenza.
Ho trovato bella (e suggestiva) anche l'idea dell'ultima cena in carcere da paragonare a quella di Gesù. Se è vero che lo spettacolo non si realizzerà mai (l'indulto fa uscire praticamente tutti di prigione) è altrettanto vero che lo spettatore assiste allo spettacolo grazie alle prove. L'idea dell'ultimo numero musicale alla cena prima del giorno della liberazione è direttamente collegabile alla storia cristiana e quindi acquisisce un significato altro, non religioso, ma sicuramente solenne.
Un grande limite di questo film, però, è il poco richiamo. Manca forse appeal per una pellicola di valore, ma carente dal punto di vista commerciale. A) Chi è la Smutniak? B) Perchè la Littizzetto non è stata 'usata' di più per far pubblicità al film? Ecco, forse io me la sarei giocata un po' meglio. E, soprattutto, avrei bandito dal set quell'uomo orribile che all'inizio della storia è il fidanzato di Irena e nella vita vera dovrebbe essere uno dei Marlene Kuntz. E' assolutamente insopportabile!
Alcune considerazioni per finire. In questo film piove sempre o è sempre nuvoloso, anche quando prendono il sole.
La prima parte del film è un po' hippie, Irena è fidanzata con questo regista tutto concettuale, artistoide alternativo, freddo come un ghiacciolo e più simile ad un manico di scopa. Ma insieme che ci stanno a dire?!
Tutta la storia è un po' semplificata. Probabilmente era un'esigenza particolare, ma sa un po' di fittizio in alcuni punti, cioè si capisce che nella realtà ci sarebbe stato un altro step che nella storia invece manca. Come nella decisione dei ruoli, in cui tutti, senza averne mai parlato prima, sanno chi vogliono interpretare e non ce ne sono 2 che vogliano fare lo stesso personaggio.
Consigli: Meglio dedicare attenzione al film, non è decisamente uno di quelli da svago.
Parola chiave: Libero: "Che cosa c'è di più triste di un carcere vuoto?" Irena: "Uno pieno?"



#HollywoodCiak
Bengi

1 commento:

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