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venerdì 27 maggio 2016

Film 1145 - The Walk

Me lo ero perso al cinema l'anno scorso ed ero rimasto con la voglia di recuperarlo, ancora di più dopo aver visto il documentario sul protagonista di questa particolarissima vicenda.

Film 1145: "The Walk" (2015) di Robert Zemeckis
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Philippe Petit è un funambolo francese famoso per essersi sospeso nel vuoto fra alcune delle princiapli attrazioni architettoniche del mondo. Dopo aver con successo camminato sospeso sulla cattedrale di Notre Dame a Parigi, Petit decide di proseguire con il suo (apparentemente folle) piano di passeggiare tra le Twin Towers di New York semplicemente munito di cavo e bastone per bilanciarsi. Per chiunque di noi questo gesto corrisponderebbe più che altro a una punizione mortale, ma per il nostro protagonista la passeggiata ad alta quota non solo è una sfida, ma è anche un sogno da far avverare. Ecco, di fatto, di cosa parla "The Walk": il racconto di un sogno e della sua realizzazione.
Pur rappresentando una tema particolarmente singolare e spettacolare, in realtà l'ultimo film di Zemeckis non centra il suo obiettivo e rimane ancorato a quell'unica idea che sta nel sogno dell'eroe, senza regalare al pubblico qualcos'altro. In realtà questa mancanza non mi stupisce particolarmente, considerato che da qualche anno a questa parte il regista di "Forrest Gump" fatica a presentare delle storie che vadano oltre la linearità delle aspettative più basiche. Esemplari i casi animati di "Polar Express", "La leggenda di Beowulf" e "A Christmas Carol", tutti segnati da una semplicità narrativa francamente un po' deludente.
Pur con evidente miglioramento rispetto agli altri casi, anche questa pellicola finisce per trattare semplicemente l'unico argomento su cui si concentra, lasciando tutto il resto a semplice "scenografia", il che è un po' un peccato considerato l'argomento. Non c'è una contestualizzazione storica relativamente alle torri, oltre che una rappresentazione della vita di Petit talmente patinata da risultare finta anche allo spettatore che non lo conoscesse prima della visione del film. E la scena finale sospesa nel nulla è, sì, particolarmente efficace, ma così lunga da risultare tediosa...
Insomma, "The Walk" ci prova a impressionare, ma a parte lo sforzo tecnico di ricostruire le suggestioni visive e, naturalmente, la nostalgia rispetto a un simbolo della città di New York così indelebile, la pellicola non riesce a veicolare il suo messaggio nella maniera potente ed efficace che ci si sarebbe aspettati. Inoltre la scelta di Gordon-Levitt non so se sia stata del tutto ben pensata.
In definitiva un risultato finale così così, più positivo per gli elementi tecnici che per l'idea d'insieme. Forse un'occasione persa.
Film 1037 - Man on Wire
Cast: Joseph Gordon-Levitt, Ben Kingsley, Charlotte Le Bon, James Badge Dale, Clément Sibony, César Domboy, Ben Schwartz, Benedict Samuel, Steve Valentine.
Box Office: $61.2 milioni
Consigli: C'è molta preparazione, molti effetti speciali, molto francese e molta New York, molti piedi e tanta attesa, tutto per una storia che ha dell'incredibile e, sulla carta, lascia senza fiato. In realtà la versione fiction della vera storia del funambolo Petit è meno riuscita di quella versione documentario che, invece, riesce a catturare lo spirito dell'uomo rivelandone fragilità e caratteristiche personali che il suo personaggio qui invece non conosce. E' certamente un prodotto ben confezionato e sono sicuro che la scelta del 3D al cinema sia valsa il costo del biglietto, ma rimane il fatto che "The Walk" sia uno di quei film che ti fa tante promesse, ma finisce per mantenerne solo qualcuna. Si può vedere, ovviamente, e certo non si tratta di un brutto prodotto, però gli manca quel qualcosa che lo avrebbe reso un'esperienza indimenticabile.
Parola chiave: Les carottes sont cuites.

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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 12 novembre 2014

Film 815 - Amore, cucina e curry

Dopo aver donato il sangue avevo la giornata libera. Così, dopo il pranzo con un'amica, sono andato al cinema di pomeriggio...
Film 815: "Amore, cucina e curry" (2014) di Lasse Hallström
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Molto curioso di vedere questa pellicola prodotta da Spielberg e Oprah Winfrey - e con protagonista nientemeno che la sempiterna Helen Mirren - il cui tema centrale è la cucina, come bene fa intendere il titolo italiano. La semplice banalità di quest'ultimo è, nella versione originale, più misterioso anche se certo non più complesso: "The Hundred-Foot Journey". Anche se qui si usa un termine più inerente al viaggio per simboleggiare il percorso dei vari protagonisti durante la storia, i 100 passi di cui si parla sono, si scoprirà, la distanza tra i due ristoranti che la cittadina francese di Saint-Antonin-Noble-Val vedrà rivaleggiare. Da una parte il classico locale di Madame Mallory, di fronte l'etnico ristorante indiano della famiglia del protagonista Hassan.
Inutile sottolineare il primo periodo caldissimo di guerra tra le due realtà, un vecchio vs nuovo che certamente non ha alcunché di sorprendente o innovativo in quando intere sceneggiature di film ci hanno sproloquiato sopra. Di fatto qui si calca bene l'ondata del già visto con la sola variante dell'ambito culinario. La questione, invece, si fa più interessante quando finalmente a differenze e diffidenze si fa spazio alla commistione culturale sia di valori che di ricette, quando finalmente le due realtà, dopo lo scontro a fuoco, alzano bandiera bianca e finiscono per conoscersi scoprendo letteralmente un mondo.
A questo punto non è che la trama operi una rivoluzione di contenuti rispetto al solito, però l'aspetto interessante per una produzione americana ad alto budget è, a questo punto, che si dia tanto spazio alla cultura indiana e che sia l'occidente a trarre insegnamenti dall'oriente. Inoltre, proprio quando ti aspetteresti la fine della storia, o quantomeno si arriva a quel punto in cui ti immaginavi sarebbe finita, la trama procede evitando di esaurirsi in quell'unico evento principale che si rincorreva dall'inizio del film.
"more, cucina e curry" è, quindi, meglio di come me lo immaginassi. Mi aspettavo una commediola iper stereotipata in cui la cucina sarebbe stata marginale e l'unica cosa importante sarebbe stato l'amore e così non è stato. Non in questi termini, almeno. Amore dei due protagonisti (e non solo), amore per la cucina e per il proprio lavoro, amore della propria cultura sono tutti temi compresenti a cui si riesce a dare giusto equilibrio e spazio, evitando una totale banalizzazione dei contenuti. Per un prodotto ad alta commercialità come questo la cosa è insolita. Ovviamente non stiamo parlando di un capolavoro, semplicemente ho trovato piacevole che, per una volta, si tentasse di scardinarsi leggermente dai canoni hollywoodiani. Credo che molto del merito vada anche alla regia di Lasse Hallström, un oche su piccoli paesini della francia, cucina e amore si è costruito una reputazione ("Chocolat"). A parte questo, comunque, qualche pecca ovviamente c'è. Innanzitutto Helen Mirren è tirata che non si guarda. Certi primi piani impietosi rivelano un'occhio sfuggente e una bocca recalcitrante; inoltre si sceglie di mostrare la ascesa alla popolarità e conseguente smarrimento del protagonista Hassan/Manish Dayal in maniera piuttosto banale e stereotipata (cambiano lo scenario, i vestiti e lo stile di vita, ma una volta che hai ottenuto tutto quello che avresti sempre desiderato, cos'è che capisci di aver sempre veramente voluto?). Inoltre mi sarei aspettato una rappresentazione del magico sud della Francia in maniera un po' più patinata, diciamo. Non caricata o saturata alla massima potenza, semplicemente che se ne offrisse allo spettatore un'immagine meno fittizia da sfondo computerizzato (e praticamente metà delle esterne nei pressi dei ristoranti hanno il cielo ritoccato) e più reale. A parte questo, comunque, il risultato finale di questa pellicola un po' commedia, un po' drammatica, un po' culinaria è buono e riesce nell'intento di distinguersi da altri prodotti più o meno simili rimanendo piacevolmente impresso nell'immaginario dello spettatore. La Mirren è sempre brava, ma Hassan/Dayal e Papa/Om Puri non si battono.
Ps. Le musiche sono del due volte premio Oscar (per "The Millionaire") A. R. Rahman.
Box Office: $85.7 milioni
Consigli: Tratto dal romanzo del 2010 di Richard C. Morais, questo film è una piacevole escursione nelle terre francesi con contaminazione indiana che ben si addice ad un momento di relax in cui si ricerchi qualcosa di delicato, curioso e con una buona dose di mix culturale. Sorvolando su una stereotipazione purtroppo necessaria in questi casi, si riesce comunque a sorridere e godere della piacevole storia che questa pellicola ha da offrire. Con il pericolo che a fine visione vi sia venuta fame...
Parola chiave: Stelle Michelin.

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Bengi

mercoledì 16 aprile 2014

Film 696 - Yves Saint Laurent

Il cinema 3 sponsorizza e noi andiamo. Biopic con macrotemi come genialità, creatività, amore e alta moda: interessante, no?

Film 696: "Yves Saint Laurent" (2014) di Jalil Lespert
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Erika, Luigi
Pensieri: Vita e opere del fashion designer Yves Saint Laurent (Pierre Niney), fin da giovanissimo pupillo della moda francese e in breve tempo stilista di fama mondiale. La casa di moda che porterà il suo nome, fondata con l'aiuto di Pierre Bergé (Guillaume Gallienne), darà a Saint Laurent prestigio e l'opportunità di esprimersi liberamente creando collezioni iconiche, adorate e copiate.
Anche se l'aspetto stilistico è trattato all'interno del film, non è però posto l'accento sulla creatività o la vita della maison, bensì ci si interessa fin da subito al privato dello stilista partendo dal quadro famigliare poi per spostare l'attenzione sulla storia d'amore con Bergé. Quest'ultima caratterizzerà quasi la totalità della trama della pellicola.
Non si può certo dire che questo film sia brutto e, anzi, la realizzazione è molto precisa, i costumi bellissimi (molti originali, prestati dalla Fondation Pierre Bergé - Yves Saint Laurent) e la recitazione molto convincente; avrei però preferito - come spesso mi trovo a pensare relativamente a biopic incentrati su personaggi famosi per la loro creatività - che l'attenzione posta al processo di realizzazione dei capi, delle collezioni, la nascita delle idee e la genesi di un mito nel suo campo avrebbero dovuto essere trattati come elementi centrali e non solo di contorno. Nondimeno, una contestualizzazione storica che fosse più che giusto accennata o suggerita avrebbe aiutato a capire i cambiamenti di stile e le scelte ccoraggiose dello stilista durante la sua carriera.
Insomma, per quanto possa capire il senso e il valore di portare sul grande schermo una storia d'amore omosessuale così lunga e duratura - seppure, concedetemelo, molto libera -, avrei voluto vedere approfondito più il lato professionale che quello privato/sentimentale. Sia perché di storie d'amore il cinema è pieno (e sì, questa sarà anche quella privata del Sig. Saint Laurent, ma è pur sempre qualcosa che posso esperire o capire anche io, mentre il processo che sta dietro la creazione di capi d'alta moda è tutta un'altra storia), sia perché mi pare, e non è la prima volta, che la storia d'amore (gay) è presentata come qualcosa di non ordinario, pur essendo trattata così. Io non conosco la realtà dei fatti e mi attengo esattamente a ciò che "Yves Saint Laurent" racconta, ma il messaggio che passa è (anche) che una storia omosessuale consiste di relazioni aperte, promiscuità e trasgressione. Siccome, parlando di un pubblico vasto, si è forzati a generalizzare, bisognerebbe ricordarsi che non tutti sono in grado di scindere ciò che una storia racconta dal messagio che vuole far passare (o anche semplicemente ricordarsi che un solo caso non è rappresentativo per il tutto). Chiaro che questa non è una diretta critica al film, ma rimane un pensiero che non riesco reprimere quando ripenso a ciò che ho visto in questa pellicola.
In generale, quindi, "Yves Saint Laurent" è un prodotto tecnicamente inattaccabile, con un preciso lavoro di ricostruzione spaziale e temporale che passa per automobili, capi d'abbigliamento, acconciature, arredamento, accessori, ecc che arricchisce visivamente il film. Per quanto riguarda la trama, invece, il punto focale è la relazione Saint Laurent-Bergé che finirà per mettere in ombra questioni forse più interessanti legate alla maison e, in generale, al processo creativo dello stilista. Il risultato finale è un buon prodotto commerciale - anche piuttosto esportabile - che però a mio avviso non rende piena giustizia alla figura del grande stilista scomparso nel 2008.
Box Office: $23,292,860
Consigli: Se si è interessati di moda, si è fan della maison Saint Laurent o si è affascinati dalle storie d'amore coinvolgenti e a tratti burrascose, questo è un titolo commerciale in grado di soddisfare le aspettative. Meno riuscito per quanto riguarda il saper intavolare la connessione tra storia, persona/personaggio ed estro creativo. Il film è liberamentre tratto dal libro omonimo scritta da Laurence Benaïm.
Parola chiave: Moda.

Trailer

Bengi