sabato 31 ottobre 2020

Film 1942 - Vice

Intro: Avevo sempre voluto recuperarlo, ma onestamente mi mancava la motivazione. Questo periodo di quarantena irlandese ha portato ispirazione.
Film 1942: "Vice" (2018) di Adam McKay
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: il motivo principale per cui volevo vedere questo film è, naturalmente, Amy Adams, qui alla sua sesta nomination all'Oscar, nona ai Golden Globes, settimana ai BAFTA. Non che l'argomento in sé non mi interessasse, però ammetto che recuperare la performance di una delle attrici più dotate in circolazione al momento fosse il mio personale main goal. E non sono rimasto deluso.
Diversamente da tanti biopic con declinazione da drammone politico, "Vice" scorre piuttosto agevolmente. Lo stile narrativo e di regia di Adam McKay - qui molto simile al suo precedente "The Big Short" - è incisivo e caratteristico e trovo che il maggiore punto a suo favore sia quello di incorporare nel racconto elementi esplicativi per quel pubblico che non abbia familiarità con il soggetto della storia, qui nella fattispecie la biografia di Dick Cheney.
Cheney, politico americano schivo - ma figura chiave rispetto alla guerra in Iraq post 11 settembre - è stato due volte vice presidente degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Bush junior nonché, mi informa Wikipedia, uno dei politici con il tasso di approvazione più basso (13%) nel momento in cui la sua carica istituzionale è terminata. Insomma, non esattamente una figura amata dal poplo americano.
Al di là dei giudizi personali inevitabilmente suscitati da questo film, quello che mi ha colpito è come un uomo apparentemente così mediocre sia riuscito - e probabilmente riesca ancora - ad avere in pugno la gestione di una nazione intera e con così ampio spazio di manovra. Pur tenendo conto della drammatizzazione dei fatti che necessariamente un prodotto di fiction porta con sé, è impossibile non rimanere quantomeno colpiti da quanto quest'uomo riesca a fare e influenzare sulla sola base del fatto che, se una cosa la dice o la fa un'alta carica dello stato (come il presidente), allora tale cosa diventa moralmente accettabile. Sicuramente Cheney ha dimostrato del genio nel saper individuare e sfruttare così bene a suo vantaggio un area troppo poco definita del diritto americano.
Detto questo, "Vice" rimane un prodotto interessante, anche se onestamente un po' troppo lungo. Christian Bale è un magnifico protagonista a prescindere dalle sue capacità mimetiche e camaleontiche e questa performance dimostra ancora una volta il suo talento. Amy Adams qui ha un ruolo apparentemente più marginale e sicuramente più pacato, eppure è la spinta che dà propulsione a tutto il racconto. Senza Lynne Cheney non ci sarebbe il Dick Cheney politico di successo, per cui ho trovato che nel suo essere il +1 di questa storia, Adams sia riuscita con successo a ritagliarsi la visibilità giusta per il suo personaggio calibrando perfettamente la sua performance. Da Oscar? Forse no, ma il riconoscimento ci sta tutto. (In ogni caso battere Regina King a qualsiasi premio di categoria pare impossibile negli ultimi tempi.) Sono rimasto molto meno colpito dalla performance di Sam Rockwell, invece, qui un aitante George W. Bush per il quale non mi pare ci sia troppo spazio di approfondimento che vada oltre il dipingere il suo personaggio come stupido o una sorta di causa persa. In generale, invece, avrei preferito un po' più di spazio rispetto ad altre figure chiave dell'amministrazione Bush come Condoleezza Rice o Colin Powell.
In ogni caso, per quanto non sia rimasto tanto colpito da "Vice" quanto come dal precedente titolo di McKay, l'ho trovato comunque interessante, probabilmente più un punto di partenza per un futuro approfondimento sul soggetto che un elemento esaustivo sulla figura di Dick Cheney a tutto tondo.
Cast: Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell, Sam Rockwell, Tyler Perry, Alison Pill, Lily Rabe, Jesse Plemons, LisaGay Hamilton, Justin Kirk, Eddie Marsan, Alfred Molina, Naomi Watts.
Box Office: $76.1 milioni
Vale o non vale: Gli appassionati di biopic o di politica americana dovrebbero gradire questo prodotto ben fatto e che non tenta nemmeno per un secondo di nascondere la sua natura critica rispetto al suo oggetto d'indagine. In generale non un film per tutte le occasioni, ma il soggetto è interessante e i due protagonisti valgono la visione.
Premi: Candidato a 8 Oscar (Miglior film, regia, sceneggiatura originale, attore protagonista Bale, attrice non protagonista Adams, attore non protagonista Rockwell e montaggio), ha vinto quello per il Miglior trucco; delle 6 nomination ai Golden Globes (tra cui Miglior film), Bale ha vinto quello per il Miglior attore protagonista musical o commedia; 6 candidature ai BAFTA e vittoria per il montaggio. Tyler Perry candidato al Razzie per il Redeemer Award.
Parola chiave: Unitary executive theory.
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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 28 ottobre 2020

Film 1941 - Adventures in Babysitting

Intro: Cercando tra i film che ho sull'hard disc esterno, mi sono imbattuto in questo... di cui non avevo alcuna memoria. Fulmine a ciel sereno!
Film 1941: "Adventures in Babysitting" (1987) di Chris Columbus
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: teenagers, anni '80, commedia, regia di Chris Columbus, un cast di giovanissimi oggi (abbastanza) conosciuti?! Questo è il mio film!
Non fraintendetemi, "Adventures in Babysitting" manca totalmente di coerenza narrativa, eppure il risultato finale è divertente e piacevolissimo, nonché un'immersione totale nelle surreali atmosfere cotonate e sbrilluccicanti dell'America di 30 e passa anni fa, dove per un cocktail party in ufficio si indossa un abito da red capret, il lipsync allo specchio della canzone d'amore vale come momento per il trucco perfetto, si indossano i guanti di lana per 3/4 della storia e anche per mangiare i dolci, un giovanissimo Anthony Rapp inneggiava alla fi*a e parlava di stupro (ah, se lo avesse sentito Kevin Spacey...), una macchina con una gomma a terra e il parabrezza sfondato si ripara nel giro di poche ore. Per non parlare della scena clou di tutto il film, una sequenza alla "Mission: Impossible" che vede una bambina in età da baby-sitter calarsi con una corda giù per la finestra aperta di un grattacielo con il minimo sforzo di un alpinista esperto! Ma non temete, è tutto finto: si vede benissimo che la gravità qui sembra aver perso la sua presa sulla verticalità delle nostre esistenze...
E se questi elementi sembrano un po' forzati e fuori luogo - aspettate di vedere l'entrata in scena di Vincent D'Onofrio! - in realtà l'insieme della storia funziona (a parte quella davvero infelice battuta sullo stupro) ed è anche piuttosto divertente, considerando che mescola insieme commedia, azione, teen drama e anche un certo elemento da fanatici dei supereroi, il tutto per un'ora e quaranta di piacevole diversivo rispetto alle 0 uscite interessanti di questo periodo e, in generale, una certa amancanza di commedie generazionali che abbiano alcunché di innovativo da raccontare. E allora uno sguardo indietro verso il passato può essere un buon investimento di tempo ed energie.
Cast: Elisabeth Shue, Vincent D'Onofrio, Keith Coogan, Anthony Rapp, Maia Brewton, Penelope Ann Miller, George Newbern, Bradley Whitford.
Box Office: $34.4 milioni
Vale o non vale: "Adventures in Babysitting" è simpatico e senza pretese, presenta un buon cast di futuri attori abbastanza conosciuti (Vincent D'Onofrio, Anthony Rapp, Penelope Ann Miller, Bradley Whitford e una Elisabeth Shue che tra una nomination all'Oscar e un film 3D sui piranha si è un po' persa per strada) e tutto sommato fa trascorrere quasi due ore di sufficiente intrattenimento. Per me risultato finale godibilissimo.
Ps. Ho visto questo film e mi è partita una 80s mania che non avevo messo in conto...
Premi: /
Parola chiave: Playboy.
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Bengi

domenica 25 ottobre 2020

Film 1940 - The Trial of the Chicago 7

Intro: Pochissimo tempo fa c'è stato un attimo in cui questo film sembrava il nuovo miracolo della stagione. Ci ho messo un po' a realizzare che fosse disponibile su Netflix, ma appena ho ritrovato le direzioni per il pianeta terra l'ho recuperato.
Film 1940: "The Trial of the Chicago 7" (2020) di Aaron Sorkin
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: cos'è che rimane più impresso di tutto questo film? Facilissimo: Frank Langella nei panni del giudice più antipatico della storia (vera e del cinema).
Nonostante conosca pochissimo della filmografia di Langella - ma ricordo con immenso piacere la sua performance in "Frost/Nixon", c'è qualcosa di questo attore che trovo infinitamente magnetico e devo dire che anche in questa occasione si è distinto grazie ad una magistrale interpretazione. Va aggiunto che il suo personaggio sarebbe difficile da dimenticare a prescindere, ma Langella fa un lavoro egregio nel caratterizzare il giudice Julius Hoffman. Sul resto del film, un po' meno entusiasmo.
Premesso che "The Trial of the Chicago 7" mi sia piaciuto, visto e considerato l'hype mediatico e le eccellenti recensioni ricevute mi sarei aspettato qualcosa di più segnante e meno patinato. Ma andiamo con ordine.
1) Sceneggiatura e (seconda) regia di Aaron Sorkin. Il nostro sa scrivere, è evidente, ed è certamente molto apprezzato in patria e nell'industria cinematografica e televisiva: molteplici nomination e 1 Oscar per "The Social Network", 6 Emmy vinti per la serie tv cult (in America) "The West Wing", 2 Golden Globe, 1 BAFTA e altri premi a valanga. A parte questo, a Sorkin sono state dirette numerose critiche rispetto al film su Zuckerberg e certe libertà che l'autore si è preso per drammatizzare la storia. Pare che anche in questo caso ci siano state licenze narrative, ma il punto è che Sorkin scrive fiction, non documentari, per cui non mi sento di accodarmi alle lamentele rispetto a questo aspetto.
Quello che mi sento di dire, invece, è che "The Trial of the Chicago 7", come altri prodotti di Sorkin, soffre di una contrapposizione bene/male così evidente e netta che si fa fatica a non concepirla come fittizia: il giudice passivo-aggressivo (sul quale c'è addirittura una nota informativa pre-titoli di coda per amplificarne e legittimare ancora di più l'astio nei confronti del personaggio), il pubblico ministero che tutte le volte che sembra avere una crisi di coscienza viene sempre apostrofato da qualcuno che ne svela il motivo legale negativo implicito che parrebbe esserci sotto, il Procuratore Generale che all'inizio della storia dice esplicitamente che intende farla pagare a tutta una serie di soggetti che, alla fine, saranno i protagonisti del processo; e, dalla fazione ideologica opposta, credo che sia esemplare e sufficiente citare il surreale dialogo fra Abbie Hoffman e il pubblico ministero che, incontratisi casualmente per strada, si scambiano parole gentili con - e qui per me brividi - Hoffman che non perde occasione di sottolineare che non ce l'ha con l'avvocato dell'accusa e che, anzi, pensa che lui sia un brav'uomo. Forse neanche in "Crossroads" con Britney Spears c'era tanta bontà e compassione.
2) Il cast. C'è talmente tanta gente famosa in questo film che si fatica a contarla. E ovviamente non c'è nessuna figura femminile di rilievo. Mi rendo perfettamente conto che si tratti di una pellicola che è allo stesso tempo un fatto storico, ma un prodotto come "Mrs. America" - che affronta tematiche molto vicine al preambolo iniziale di questo film - ci dimostra velocemente quanto figure femminili chiave non mancassero nel periodo a cavallo tra anni '60 e '70 e fossero ampiamente attive nel forgiare il discorso politico attorno a loro.
Tornando a noi, al di là della marea di attori certamente bravissimi, due punti su cui mi vorrei soffermare: Eddie Redmayne che fa l'accento americano e le parrucche. Rispetto al primo non posso fare a meno di chiedermi perché, con la marea di attori americani disponibili, ne sia stato scelto un britannico per rappresentare Tom Hayden; per il secondo, dico solo che, volendo sorvolare sui vari look che stanno male letteralmente a tutti, nello specifico le parrucche utilizzate per questo film sono orrende e inspiegabilmente mal posizionate (l'attaccatura dei capelli di Mark Rylance parte... dall'orecchio sinistro?!).
3) L'elemento glam. Per essere una storia di lotta sociale e resistenza all'ingiustizia dei poteri forti, "The Trial of the Chicago 7" si sporca poco le mani. O meglio, lo fa, ma senza mai dimenticare di fare affidamento su una fotografia tanto pulita ed enfatizzata nel saturare i colori che sembra di stare in una produzione di Ryan Murphy. L'ho trovato troppo pulito e "perfettino", se mi si concede l'espressione.
Detto ciò, non posso dire di non essermi goduto la visione di questo titolo che, tutto sommato, ha il grande pregio di portare sul grande (?) schermo una storia che al giorno d'oggi avrebbe faticato a trovare un'audience così ampia; a mio avviso, comunque, è evidente che questo prodotto abbia dei limiti su cui forse molti hanno soprasseduto considerato il periodo cinematografico di magra che si sta rivelando essere questo 2020. Per non dire di totale disastro.
Per quanto mi riguarda, visto e considerato quanto mi appassionano le pellicole ambientate in tribunale, non ho potuto fare a meno di apprezzare il risultato finale generale, anche se forse 2 ore e 9 minuti sono un po' troppe. In ogni caso una storia che fa bene seguire e ascoltare, specialmente in questo momento storico in cui la più grande ingiustizia inflitta all'uomo moderno sembra essere il chiedergli di stare a casa per la salvaguardia della sua salute durante un'epidemia di scala mondiale.
Cast: Yahya Abdul-Mateen II, Sacha Baron Cohen, Daniel Flaherty, Joseph Gordon-Levitt, Michael Keaton, Frank Langella, John Carroll Lynch, Eddie Redmayne, Noah Robbins, Mark Rylance, Alex Sharp, Jeremy Strong, Kelvin Harrison Jr., Ben Shenkman, John Doman, Caitlin FitzGerald.
Box Office: $104,048 (ad oggi)
Vale o non vale: Per chi ha Netflix, voglio dire... perché no? E' sicuramente uno dei titoli del suo catalogo più sensato e di qualità e certamente una delle pochissime ultime uscite più interessanti.
In generale a mio avviso il film presenta delle criticità, però è pur vero che nel deserto cinematografico che è diventato questo 2020, "The Trial of the Chicago 7" si presenta come un'oasi di salvezza in cui trovare rifugio per un paio d'ore. Ristoratevi sereni.
Premi: /
Parola chiave: Resignations.
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Bengi

venerdì 23 ottobre 2020

Film 1939 - One Million Dubliners

Intro: Devo pensare a quale soggetto scegliere per il lavoro di fine semestre del corso di fotografia e, tra le varie ricerche che ho fatto su luoghi che parrebbero interessanti, sono incappato in questo documentario.
Film 1939: "One Million Dubliners" (2014) di Aoife Kelleher
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: documentario interessante in generale, anche se speravo che affrontasse più dettagliatamente l'argomento del cimitero in sé piuttosto che tutto l'universo che ci orbita attorno.
E' vero che il Glasnevin Cemetery è anche un'attrazione turistica considerato che moltissimi personaggi chiave della storia irlandese vi sono seppellini - Michael Collins è l'unico tra quelli mostrati che già conoscevo - e che annesso alla struttura si trova anche il museo dedicato, però mi auguravo che "One Million Dubliners" riflettesse più su aspetti architettonici e paesaggistici e si perdesse meno attorno a questioni marginali.
Poi, va detto, molti degli spunti presentati risultano anche interessanti - le attività del museo, le curiosità che racconta la guida, il progetto di riqualificazione e restauro del cimitero, la signora francese - però rimane come l'impressione che si vogliano fornire tanti spunti, ma non ci si prenda bene il tempo per approfondirli. Online mi è capitato di leggere una recensione di un utente che sottolinea proprio questa problematica, ovvero il dare spazio a troppi elementi invece di concentrarsi su due o tre tematiche centrali ed approfondirle. Condivido, anche perché la sensazione generale che rimane è che questo, più che un documentario, sia una sorta di lunga pubblicità per promuovere il cimitero e le sue attività.
Da non irlandese che sa poco sulla storia di questo paese l'ho trovato comunque interessante, anche se avrei preferito qualcosa di meno "promozionale". E, aggiungo, ho trovato la scelta del colpo di scena finale - sempre che così si possa definire una coincidenza tanto sfortunata - banale e un po' di cattivo gusto. Mi sento di dire che mi sarei potuto aspettare qualcosa di simile da una produzione americana, visto quanto ci hanno abituato alla spettacolarizzazione di ogni momento della vita, eppure qui ho trovato il finale come fuori posto e, per come raccontato, anche fuori contesto rispetto al genere documentaristico. Una semplice scheda informativa prima dei titoli di coda sarebbe stata perfettamente adeguata.
Cast: /
Box Office: /
Vale o non vale: Storia di un cimitero e del mondo che gli ruota intorno. E' interessante e presenta spunti che varrebbe la pena di approfondire meglio, cosa che purtroppo non succede. In ogni caso, doveste decidere di vederlo (qui il link gratuito), di sicuro non vi pentirete della visione. E' un film delicato e certamente inusuale.
Premi: /
Parola chiave: Caretakers.
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Bengi

mercoledì 21 ottobre 2020

Film 1938 - The Magnificent Ambersons

Intro: Le giornate stanno cominciando a farsi impegnative, piene di cose da fare (e specialmente leggere), per cui avevo voglia di qualcosa che mi svagasse un po', ma che non avessi né già visto, né potesse essere potenzialmente una boiata. Così ho spulciato con attenzione l'hard drive e alla fine ho deciso per questa pellicola.
Film 1938: "The Magnificent Ambersons" (1942) di Orson Welles
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: ho visto "Quarto potere" a 19 anni, mi è stato spiegato in dettaglio, l'ho dovuto analizzare controvoglia e hanno finito per rimettercene la visione e l'idea nel complesso che ho del film. Come ogni cosa che si fa perché si deve fare e non per spontanea volontà o interesse, ho seguito il gregge di pecore universitario, ci ho visto quello che mi hanno detto di vederci, ho preso il mio bel 25, ho salutato tutti e a mai più rivederci. Il che è un po' un peccato.
Ci sono voluti 14 anni per decidermi a dare una seconda chance ad Orson Welles - a dire il vero era da un po' che volevo recuperare qualche suo titolo -, più che altro perché mi sembrava superficiale aver così velocemente cestinato uno degli autori più importanti della storia del cinema. Ed eccoci qui.
"The Magnificent Ambersons" è il secondo film di Welles, nonché quello che l'anno dopo ha seguito l'uscita di "Citizen Kane"; tenendo presente che l'esordio alla regia di Welles viene considerato praticamente da tutti quale una delle pellicole migliori di sempre (tra l'altro gli ha regalato il primo ed unico Oscar competitivo della sua carriera per la Miglior sceneggiatura originale) è inutile dire che la posta in gioco fosse altissima.
Personalmente ho trovato il tutto solo a tratti coinvolgente, non tanto perché mancasse di spunti interessanti, ma per due difficoltà tecniche generali: l'audio era tremendo e il costante brusio di sottofondo mi ha stordito e, limite mio, ho faticato a comprendere i dialoghi anche a causa di un inglese arcaico che riflette l'ambientazione di fine ottocento. Ma non ho desistito.
All'inizio ho faticato a trovare un interesse per il racconto non riuscendo ad allinearmi con toni e modalità della narrazione. L'antipatia per il giovane protagonista George Minafer ha tendenzialmente annebbiato ogni restante elemento della trama per la maggior parte della prima metà; poi finalmente mi sono focalizzato meno sulla sua natura viziata ed egoista e più sulla storia generale (senza contare che, grazie ad un viaggio all'estero, il suo personaggio riceve molto meno spazio).
In generale fatico a non innervosirmi di fronte a storie come questa e anche se il riscatto finale, la resa dei conti, pareggia in parte il tedio costante che suscita il suo protagonista, pago comunque lo scotto di aver prolungatamente provato antipatia e risentimento e la fruizione della pellicola finisce per risultarmi più frustrante che piacevole. Questo è un po' il caso anche per "The Magnificent Ambersons" che mette in scena l'impotenza di una madre e una certa omertà famigliare nei confronti di George e la sua spocchia da bambino viziato ed impunito, per cui per tutto il film non si può fare a meno di chiedersi quando questo giovanotto con nessuna aspirazione per il futuro (se non quella di restare ricco) riceverà quello schiaffo educativo dalla vita che tanto si merita. 
 Al di là di questo, comunque, "L'orgoglio degli Amberson" (questo il titolo italiano) è una sorta di "Via col vento" al maschile: sfondo sociale in tumulto e rapido cambiamento, perdita dei valori aristocratici, amori turbolenti e complicati, un passato che continua ad influenzare il presente, salute precaria di uno dei protagonisti, protagonista viziato che saprà però riscattarsi, una casa che è anche un personaggio della storia e, immancabile, la morale. C'è anche la servitù, ovviamente.
Insomma, forse non quello che mi aspettavo di vedere, eppure a mente fredda non posso dire di non aver apprezzato la visione nonostante un inizio complicato. Bella fotografia e cast pazzesco con una giovanissima Anne Baxter che ha già l'aria della star.
Cast: Joseph Cotten, Dolores Costello, Anne Baxter, Tim Holt, Agnes Moorehead, Ray Collins, Erskine Sanford, Richard Bennett.
Box Office: $1 milioni (solo noleggio USA)
Vale o non vale: I classici del cinema sono i classici del cinema, secondo me andrebbero visti tutti (o quasi).
La versione in circolazione è quella ampiamente editata dalla RKO, che ha tagliato una buona ora del montaggio originale di Welles, anche se sono rimasti gli appunti del regista rispetto a quella che fosse la sua idea per il risultato finale; il resto del materiale registrato è stato, però, distrutto. Immagino che la versione originale potesse approfondire non di poco la storia, magari dando più spazio al viaggio all'estero di George e la madre o più tridimensionalità al personaggio della Baxter nella prima metà della storia. In ogni caso, nonostante la delusione per la mancata versione originale, una parte di me ha ringraziato che il film durasse solo 88 minuti.
Premi: Candidato a 4 Oscar per Miglior film, attrice non protagonista (Moorehead), fotografia bianco e nero e scenografia bianco e nero.
Parola chiave: Comeuppance.

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Bengi

domenica 18 ottobre 2020

Film 1937 - GoldenEye

Intro: Cosa guardare per l'ultima cenetta di solitudine da quarantena? Sicuramente qualcosa di non troppo impegnativo...
Film 1937: "GoldenEye" (1995) di Martin Campbell
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: nonostante io ami la canzone di Tina Turner, devo dire che non credo avessi mai visto questo Bond prima. Non mi ricordavo nessun elemento della trama, né alcun personaggio, per cui tanto meglio per me che ho visto qualcosa di nuovo.
Per quello che mi è dato capire, "GoldenEye" è il primo film con Pierce Brosnan nei panni di James Bond (che non amo) e di Judi Dench in quelli di M (che adoro), per cui questa pellicola è servita da apripista per il rinnovo del franchise dopo anni di silenzio e ricalibrazione.
Considerato a quale tipo di prodotto siamo stati abituati ultimamente con questo franchise, il dislivello con i titoli precedenti è innegabile. Al di là dello svantaggio tecnico vero e proprio - questo è anche il primo film della saga ad utilizzare effetti speciali computerizzati - trama e realizzazione lasciano comunque a desiderare, specialmente quando si tratta di ritrarre la figura femminile, l'animo sciupafemmine di Bond e quell'aspetto giocoso - qui ancora centrale - che vuole l'MI6 come una sorta di parco giochi per agenti segreti e le loro stravanti attrezzature letali. Questa rappresentazione del mondo dell'agente secreto con licenza di uccidere è non solo data, ma anche onestamente derisibile e irritante. Ecco perché faccio a tratti fatica a "digerire" l'anima campy dei precedenti episodi che finora ho visto.
Detto ciò, "GoldenEye" nel complesso funziona. Le scene d'azione sono ben architettate e anche se i modellini in scala sono talmente palesi da distogliere l'attenzione, l'insieme finale è un'avventura esplosiva che pone le sue basi su un contesto geopolitico ancora caldo (post Guerra Fredda, Usa vs Russia, chi ce l'ha più grosso, ecc ecc), ma non dimentica l'anima poliglotta del franchise. Insomma, anche qui ce n'è per tutti i gusti e si viaggia a gogo.
In generale i personaggi sono molto macchiette e che Sean Bean sia il cattivo lo si capisce dal primo secondo, in ogni caso ho molto apprezzato la magnetica presenza della stu-pen-da Famke Janssen che, anche se confinata in un ruolo assurdo e sessualmente inquietante, ruba la scena a chiunque ogni volta che viene inquadrata. Alan Cumming un po' sprecato, Judi Dench troppo poco screen-time e... Izabella Scorupco chi?!
In ogni caso, tutto considerato, un Bond accettabile.
Film 1937 - GoldenEye
Film 1526 - The World Is Not Enough
Cast: Pierce Brosnan, Sean Bean, Izabella Scorupco, Famke Janssen, Joe Don Baker, Judi Dench, Robbie Coltrane, Alan Cumming, Samantha Bond, Minnie Driver.
Box Office: $352.1 milioni
Vale o non vale: Non il miglior Bond, ma forse quello che preferisco con Pierce Brosnan come protagonista, anche se la caratterizzazione del personaggio all'epoca era più sfrontata e sfacciatamente impenitente. Comunque un'avventura godibile.
Premi: Candidato a 2 BAFTA per Miglior sonoro ed effetti speciali.
Parola chiave: Satellite.

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Bengi

sabato 17 ottobre 2020

Film 1936 - Anaconda

Intro: La settimana scorsa volevo rilassarmi nel pomeriggio guardandomi un film boiata e ho scelto questo titolo. Dopo una mezzoretta mi sono addormentato...
Film 1936: "Anaconda" (1997) di Luis Llosa
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: ho scelto "Anaconda" perché sulla carta pareva la scelta giusta per un paio d'ore di sano divertimento spegni-cervello e sì, mi sono un po' ricreduto. Non che cercassi o mi aspettassi alcun capolavoro, però ammetto ricordassi qualcosa di un po' più spassoso e sofisticato (a livello di effetti speciali e tecnologia utilizzata, ovviamente), mentre terminare la visione dell'a malapena un'ora e mezza di durata ha richiesto una certa dose di forza di volontà.
Al di là del fatto che "Anaconda" sia un brutto film - anche esteticamente -, la totale mancanza di pathos e la banalità dei personaggi non fa altro che esasperare il terribile livello di esecuzione del cattivo di tutta la storia, il serpentone meccanico/computerizzato, indifendibile su tutta la linea. Senza contare le inesattezze biologiche che a questo punto mi sento di dire non fossero davvero un problema narrativo preso in considerazione qui.
Il risultato finale è fiacco e troppo spesso noioso, il personaggio di Jon Voight è troppo irritante per sopravvivere così a lungo e JLo... che dire, fa quello che può (anche truccandosi nel bel mezzo della giungla! Voglio dire quale regista di documentario naturalistico in previsione di una crociera sul Rio delle Amazzoni non dà priorità alla cosmesi ricordandosi di portare con sé un rossetto?!) e devo dire che quantomeno in questa occasione sia riuscita nell'evitare di far strabordare quella sua anima da ghetto queen del Bronx che solitamente risulta essere suo marchio di fabbrica indelebile. Onore al merito. Detto ciò: "Anaconda" sashay away.
Cast: Jennifer Lopez, Ice Cube, Jon Voight, Eric Stoltz, Jonathan Hyde, Owen Wilson, Kari Wuhrer, Vincent Castellanos, Danny Trejo.
Box Office: $136.8 milioni
Vale o non vale: Crociera amazzonica sulle tracce di popolazioni indigene introvabili finisce male nel momento in cui la mitologica anaconda gigante mangiauomini si affaccia all'orizzonte. JLo resiste e le ricorda chi è la vera regina della festa.
Mi prendo ufficialmente una pausa dai film con animali assassini.
Premi: 6 candidature ai Razzie Awards del 1998 - e sorprendentemente nessuna per Jenny from the Block! - per Peggior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista (Voight), coppia sullo schermo (Voight e l'anaconda) e star emergente (l'anaconda... ahahah). "Anaconda" ha perso tutto contro "L'uomo del giorno dopo" ("The Postman") di Kevin Costner.
Parola chiave: Documentario.

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Bengi

martedì 13 ottobre 2020

Film 1935 - Deep Blue Sea

Intro: La mia paura irrazionale per gli squali si sposa benissimo con la mia passione spasmodica per le pellicole che li vede feroci protagonisti!
Film 1935: "Deep Blue Sea" (1999) di Renny Harlin
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: insieme al primo lettore dvd che abbia mai posseduto venivano offerti una serie di titoli più o meno commerciali come regalo conseguente all'acquisto ed è proprio grazie a questa combinazione che sono entrato in contatto, ormai 20 anni fa, con questo film. Inutile dire quanto fossi elettrizzato prima della visione, immaginandomi chissà quale capolavoro alla Spielberg a rimpolpare la mia passione per i killer più temuti dell'oceano. In realtà la visione fu piuttosto deludente, motivo per cui dimenticai in fretta l'esistenza di "Deep Blue Sea" fino a quando, l'altra sera, Netflix non me lo ha suggerito fra le proposte in linea con i miei gusti. Ah, gli algoritmi!
Sapendo bene a cosa andassi in contro, ho pensato che questa storia potesse essere il giusto accompagnamento facile facile per la mia ennesima serata di quarantena dublinese (ebbene sì, sono ancora chiuso in casa!)... peccato non avevo messo in conto che, nonostante tutto, una paura irrazionale lo è a prescindere dal livello di stupidità di una storia.
Con mia grande sorpresa, infatti, questa pellicola mi ha messo non poca paura, tanto che in più momenti sono letteralmente scattata per lo spavento! Ribadisco, non si tratta certo di un horror magistralmente realizzato, ma quella parte di me che non può fare a meno di sentirsi nel panico nell'immaginarmi completamente solo in un mare potenzialmente popolato da squali ha preso il sopravvento. Il che, lo devo dire, è stato divertente.
Per quelli che, diversamente da me, non sono intimoriti dal mastodontico animale marino o che, in generale, faticano ad immedesimarsi in storie come questa, sicuramente "Deep Blue Sea" risulterà inevitabilmente una boiata pazzesca e mal recitata, incapace di proporre una storia originale che vada oltre l'idea dello squalo killer super intelligente e vendicativo. Perché diciamolo, la storia raccontata qui è semplicemente accessoria all'elemento di paura e il banale effetto speciale spettacolare che sì, vent'anni fa risultava assolutamente d'impatto, ma oggi fa un po' ridere. Poi, a voler essere puntigliosi, un sacco di cose non tornano (spoiler): perché gli squali prima sono enormi e poi passano attraverso i corridoi semi allagati della struttura? Perché il personaggio di LL Cool J - azzannato alla gamba dallo squalo non si sa bene per quanti minuti, poi non solo non muore dissanguato, ma nel finale muove proprio la gamba ferita come se niente fosse? E perché lo stesso squalo, dopo aver praticamente masticato chiunque altro in 5 secondi, con lui perde tempo a "passeggiare"?! E come fa una banale barella da ambulanza a spaccare il vetro - di chissà quanti metri di spessore e quindi in grado di sopportare chissà che pressione - del laboratorio sottomarino? E come mai gli stessi squali iper intelligenti che praticamente saltano fuori dall'acqua come delfini ammaestrati nel momento in cui devono pasteggiare con qualche personaggio, poi nel finale non provano nemmeno a saltare la bassissima recinzione che li separa dal mare aperto? Tra l'altro, riferito alla questione della recinzione, la sceneggiatura ci fa intendere che il piano degli squali (sì, avete letto bene, non sto delirando) è sempre stato fin dall'inizio quello di causare il collasso della struttura dove sono rinchiusi per poter evdare, facendo sì che la parte sommersa di recinzione, quella in titanio, sprofondasse lasciando il posto a quella in semplice di semplice metallo in superficie e quindi per loro sfondabile. Ora, in tutto questo delirio, io mi chiedo: ma sti squali come fanno a sapere di che materiale sono fatte le varie recinzioni?!
Insomma, capite anche voi che la coerenza narrativa e la plausibilità non sono alla base di questo progetto; eppure la parte bambina di me ha onestamente apprezzato la buona dose di spaventi che questo film è in grado di causare. Concesso questo, "Deep Blue Sea" è banalmente un B movie travestito da blockbuster.
Cast: Saffron Burrows, Thomas Jane, LL Cool J, Jacqueline McKenzie, Michael Rapaport, Stellan Skarsgård, Samuel L. Jackson.
Box Office: $165 milioni
Vale o non vale: Se vi piacere il sottogenere horror che coinvolge squali assassini a caccia di umani questo è certamente un titolo appetibile. Per tutti gli altri alla ricerca di qualcosa di più... diciamo raffinato, allora meglio guardare altrove.
Premi: /
Parola chiave: Alzheimer.

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Bengi

lunedì 12 ottobre 2020

Film 1934 - The Mummy Returns

Intro: L'altra mattina sono capitato per caso su un canale YouTube che proponeva la visione di questa pellicola a una vera archeologa - se non ricordo male addirittura egittologa - che si esprimeva rispetto alla veridicità o plausibilità delle trovate narrative messe in scena per questo prodotto. Inutile dire che mi è tornata una gran voglia di vedere il film...
Film 1934: "The Mummy Returns" (2001) di Stephen Sommers
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: sono sempre stato un gran fan di questa serie (ho visto tutti gli episodi almeno una volta) e ho sempre avuto una fascinazione per l'antico Egitto e, anche se c'entra poco, un mese fa sono stato al Museo Egizio di Torino che ha sicuramente rinvigorito il mio interesse. Quindi ho certamente rivisto con piacere "The Mummy Returns", secondo capitolo di un franchise che, ammettiamolo, dopo questo titolo ha perso decisamente smalto (e Rachel Weisz, il che non è poco).
Sequel diretto de "The Mummy", qui la storia continua la narrazione delle due coppie rivali, quella formata dagli O'Connell e quella ben più antica che vive di costanti resurrezioni formata da Imhotep e Anck-Su-Namun; in mezzo a tutto il trambusto che ovviamente costituisce quasi l'80% di tutta la storia, la produzione è riuscita anche ad inserirci le basi per il personaggio futuro soggetto di spin-off, ovvero il Re Scorpione, interpretato nientemeno che da Dwayne Johnson (all'epoca ancora The Rock).
Il film in generale funziona, è un'avventura più complessa di quella precedente, ci sono molti più personaggi coinvolti e le azioni sono assulutamente spettacolari, anche se è innegabile che si rilevi un certo carattere obsoleto rispetto alla resa finale degli effetti speciali; il che, però, non guasta assolutamente il divertimento, ulteriormente sancito a mio avviso dai vari flashback narrativi che ricollocano la storia nell'antichità e le conferiscono un non so che affascinante grandioso (per non dire faraonico...). Insomma, un piacevole film d'avventura senza alcuna pretesa oltre quella di intrattenere lo spettatore. Il risultato finale c'è tutto, anche a quasi vent'anni dalla sua uscita nelle sale.
Ps. Ah!, qualcosa di storicamente giusto nella storia c'è, ma principalmente sono le inesattezze a farla da padrone... La cosa che più in assoluto mi ha fatto ridere è che non importa in quale punto della città del Cairo si sia, in lontananza si distingueranno perfettamente i profili di tutte e tre le piramidi di Giza.
Film 1572 - The Mummy
Film 737 - La mummia - Il ritorno
Film 1934 - The Mummy Returns
Film 1402 - La mummia
Film 927 - Il re scorpione
Cast: Brendan Fraser, Rachel Weisz, John Hannah, Arnold Vosloo, Oded Fehr, Patricia Velásquez, Dwayne Johnson, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Freddie Boath, Alun Armstrong, Shaun Parkes.
Box Office: $435 milioni
Vale o non vale: Divertente, dal ritmo veloce visivamente intrigante, questo secondo capitolo del franchise espande la storia, pur riuscendo a mantenere intatti i toni del primo episodio. Il cast ritorna per intero, Stephen Sommers scrive e dirige nuovamente, il tutto per una macchina oliata capace di regalare un paio d'ore spensierate tra molte avventure e quel tocco esotico che non manca di far sognare. Io apprezzo sempre. Poi, sinceramente, io mi sarei risparmiato il collegamento Nefertiri-Rachel Weisz, ma erano altri tempi ed è apprezzabile vedere che pian piano le cose stanno cambiando.
Premi: /
Parola chiave: Bracciale.

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Bengi

domenica 11 ottobre 2020

Film 1933 - Drop Dead Gorgeous

Intro: Anche se il titolo di questo film mi diceva qualcosa, ammetto che non avessi idea di cosa trattasse. Poi, per qualche motivo che non riesco a ricordare, prima di partire mi è capitato di trovare info su questa storia che mi hanno convinto a volerlo recuperare...
Film 1933: "Drop Dead Gorgeous" (1999) di Michael Patrick Jann
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: nonostante sia una gran boiata, ammetto che "Drop Dead Gorgeous" mi abbia divertito e sia stato un buon compagno di serata.
Il cast è pazzesco - di quelli che metà attori già li conosci, l'altra metà li hai già visti e comunque una buona parte ha poi trovato fortuna ad Hollywood negli anni (cito solo Allison Janney e Amy Adams, qui al suo debutto, per i casi più lampanti) - e la storia è un'evidente satira del mondo patinato e ultra competitivo dei concorsi di bellezza americani, il tutto cosparso di tonalità kitsch e surreali che, prese nel modo giusto, regalano una visione spassosa e senza pretese alla cui base c'è il politicamente scorretto a tutto spiano.
Tra esplosioni e numeri di tip-tap, il film mette alla berlina una serie di elementi classici del genere che vanno dall'esaltazione dell'apparenza all'attaccamento morboso a un meccanismo contorto che vede nell'elezione a più bella del paese l'unico scopo di vita di alcuni personaggi, passando per dattagli assurdi collocati all'interno della narrazione che rendono il risultato finale una sorta di circo rocambolesco che, alla fine, dimostrerà la sua anima effimerà in un finale tanto veloce quanto inaspettato.
Poi, ribadisco, "Drop Dead Gorgeous" è talmente esagerato da mortificare spesso la critica che intende rivolgere, eppure, in parte, questa storia riesce anche a fare centro.
Cast: Kirstie Alley, Ellen Barkin, Kirsten Dunst, Denise Richards, Allison Janney, Amy Adams, Mindy Sterling, Brittany Murphy, Sam McMurray, Matt Malloy, Will Sasso, Nora Dunn.
Box Office: $10.5 milioni
Vale o non vale: Per molti sarà solo una gran scemata che forse ci si poteva risparmiare di vedere; a mio avviso non è tutto tempo perso, tenedo sempre presente che siamo di fronte ad un prodotto facile facile che si basa su una satira talmente eccentrica da risultare spesso inappropriata. Eppure, a volte, sembra perfettamente in linea con le assurdità dei concorsi di bellezza che "Drop Dead Gorgeous" prende così esplosivamente di mira.
Premi: /
Parola chiave: Vittoria.

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Bengi

sabato 10 ottobre 2020

Film 1932 - Flightplan

Intro: Dopo anni che non lo rivedevo, ammetto che mi fosse tornata un po' la voglia. Qualche mese fa durante la quarantena avevo provato, ma lo streaming mi aveva messo a disposizione solo una versione doppiata in russo che certamente non faceva per me. Poi, l'altra sera, ho scoperto che senza neanche saperlo avevo il film sul mio hard-drive, scaricato chissà quanto tempo fa. Una benedizione!
Film 1932: "Flightplan" (2005) di Robert Schwentke
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: al di là della mia fascinazione per le pellicole ambientate sugli aerei o per i disaster movies (non è questo il caso però), devo dire che trovo "Flightplan" un thriller ben realizzato e solido nel suo insieme, tutto considerato. Jodie Foster - con il suo fortissimo accento yankee - è un'ottima protagonista che regge alla perfezione tutto il film sulle proprie spalle, riuscendo a primeggiare anche in un genere come quello proposto qui che, oltre all'azione e il mistero, propone anche una leggera virata psicologica a fare da contorno al tutto. Per me sempre un mix ben assortito e soddisfacente.
Onestamente non ho mai compreso perché questa pellicola non abbia ottenuto più successo o non venga tenuta più in considerazione, considerato che tantissimo cinema-spazzatura ha ottenuto apprezzamenti ben maggiori o vive di un fan-base che lo venera, mentre "Flightplan" fa onestamente il suo e anche con un certo impegno, devo dire, ma non ha mai raggiunto quel grado di considerazione da renderlo popolare. Eppure la suspense non manca, l'azione nemmeno e la questione del mistero - dov'è finita la piccola Julia, imbarcata sull'aereo con la mamma e poi sparita durante il volo? E soprattutto: Julia è mai davvero esistita? - non manca di regalare allo spettatore momenti di genuino intrattenimento che fanno di questo film una buona americanata commerciale. Di quelle che lo sai che faranno affidamento su elementi eccezionali ed eccentrici e punteranno molto (se non tutto) sull'utilizzo di effetti speciali e colpi di scena irrealistici, ma che alla fine non puoi fare a meno di apprezzare per la buona dose di intrattenimento senza pretese che sanno regalare. Ecco, per me "Flightplan" è proprio questo, una certezza dal punto di vista dell'intrattenimento: so che se anche l'ho già visto cento volte non smette mai di lasciarmi soddisfatto.
Film 180 - Flightplan - Mistero in volo
Film 1932 - Flightplan
Cast: Jodie Foster, Peter Sarsgaard, Erika Christensen, Sean Bean, Kate Beahan, Greta Scacchi, John Benjamin Hickey, Matt Bomer, Marlene Lawston, Michael Irby, Assaf Cohen.
Box Office: $223.4 milioni
Vale o non vale: A mio avviso uno dei titoli commerciali più sottovalutati dell'ultimo periodo. C'è azione, c'è mistero e c'è una grande protagonista. Poi certo, parliamoci chiaro, il film funziona in misura alle aspettative che si ha e qui non stiamo certo parlando di un capolavoro. Però se si tratta di cercare un titolo di disimpegno capace di intrattenere per un paio d'ore e regalare anche qualche mumento di suspense connesso ad una trama intrigante, allora avete trovato quello che stavate cercando.
Premi: /
Parola chiave: Finestrino.

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Bengi

venerdì 9 ottobre 2020

Film 1931 - The Kingmaker

Intro: L'altra sera stavo cercando qualcosa da vedere che si accompagnasse bene alla cena e, spulciando l'hard drive, ho ritrovato questo film che ho scaricato prima di partire. Era senza dubbio il titolo perfetto!
Film 1931: "The Kingmaker" (2019) di Lauren Greenfield
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: della Sig.ra Marcos conoscevo solo l'aneddoto sull'incredibile numero di scarpe, per cui è stato molto interessante approfondire l'argomento da un'agolazione più politica e umana.
La narrazione comincia con l'esposizione del punto di vista della protagonista - la vedova di Ferdinand Marcos, presidente (e di fatto diddatore) delle Filippine per poco più di vent'anni - e procede pian piano fornendo le prove di una corruzione e l'esercizio di un potere autoritario e violendo che finiscono per smontare inevitabilmente la visione quantomeno illusoria dei fatti che l'ex First Lady vorrebbe far passare. E non si può fare a meno di chiedersi se la donna, per dirla facile, ci sia o ci faccia. Perché è evidente che Imelda Marcos sia profondamente consapevole di ciò che le succede e le è successo intorno, per cui risulta difficile credere che il suo racconto basato sul concetto di amore per la nazione e il suo popolo si basi sulla percezione cosciente della realtà e non sia, invece, solamente una maniera per farsi scudo delle durissime critiche rvolte a lei e alla controversa figura del marito.
In un'ora e quaranta di documentario, infatti, la Greenfield ripercorre anni di storia delle Filippine e dei suoi potenti amministratori in un contesto che vede la corruzione e l'esercizio dell'autorità suprema quali elementi intrinsechi della gestione del paese, facendo leva su un'emotività della protagonista della storia che cozza profondamente con le scelte fatte e le decisioni prese.
Tra un mondo di sfarzo e lusso sfacciato che mette ancora più in evidenza il divario con la povertà dilagante della popolazione e l'inquietante assetto da regime totalitario che prende via via piede nell'amministrazione Marcos è di fatto impensabile ritenere innocente o anche solo estranea ai fatti una figura come quella della Marcos che, ad oggi, detiene ancora un enorme potere politico e mediatico a livello non solo nazionale. Senza contare che non mancano prove a sostegno di questa possibilità.
L'altro aspetto narrativo toccato da questa pellicola coinvolge, invece, la rinascita della dinastia Marcos, con la figura ora centrale del primogenito Bongbong alla ricerca di nuovo potere politico attraverso la candidatura a vicepresidente del paese. Non basterà la sconfitta a farlo desistere, tanto che verrà a galla un'alleanza con l'attuale presidente Duerte e risulterà rivelatrice nei confronti di un piano per la "rinascita" che si è messo in moto ormai molto tempo addietro.
Insomma, "The Kingmaker" comincia come una sorta di biografia della sua figura centrale Imelda Marcos e finisce per toccare tematiche che vanno molto oltre la semplice curiosità nei confronti dell'immagine glam e cosmopolita che ci si fermerebbe a considerare quando si pensa alla ex First Lady; il che, a mio avviso, costituisce la forza di questo documentario, una sorta di percorso quasi inaspettato che, invece, risulta essere il vero carburante di tutta la storia.
Cast: Imelda Marcos, Bongbong Marcos, Benigno Aquino III, Leni Robredo, Andres D. Bautista, Etta Rosales, Imee Marcos, Rodrigo Duterte, Corazon Aquino, Ferdinand Marcos.
Box Office: $148,653
Vale o non vale: Interessante e ben strutturato, questo film non si perde dietro reverenze e compliemti, ma si interessa di dare il più accuratamente possibile uno sguardo obiettivo rispetto ai vari elementi della sua storia (famiglia Marcos, strapotere e dittatura, appropriazione indebita di risorse dello stato, esilio, malcontento popolare, resurrezione politica e "perdono", corruzione, violenza, legge marziale). Il risultato è molto interessante e ben argomentato, anche se mi sento di dire che certi passaggi dei racconti degli attivisti (nonché vittime) avrebbero potuto essere gestiti meglio a livello narrativo. A parte questo, "The Kingmaker" è un solido documentario.
Premi: Il film è stato presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia 2019.
Parola chiave: Love.

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Bengi

giovedì 8 ottobre 2020

Film 1930 - Now, Voyager

Intro: Mesi e mesi che cercavo di recuperare questa pellicola (sia in termini di dove trovarla che di quando guardarla), l'altra sera mi sono finalmente concesso il piacere del classico in bianco e nero!
Film 1930: "Now, Voyager" (1942) di Irving Rapper
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: il dettaglio che mi ha attratto e convinto a vedere questa pellicola è legato alla metamorfosi del personaggio della Davis, Charlotte Vale, che da brutto anatroccolo si trasforma in meraviglioso cigno. Su questo nessun fraintendimento, la storia segue effettivamente la trasformazione della sua protagonista, ma la cosa che mi ha sorpreso è che il tutto avviene nel giro della prima mezz'ora di film o forse addirittura meno. Di cosa andrà parlare, quindi, "Now, Voyager"?
Beh, diciamocelo subito: tutto mi sarei immaginato tranne che il finale raccontato qui. Non perché sia qualcosa di straordinariamente innovativo, ma perché propone un discogliersi dei nodi narrativi centrali alla storia in una maniera tutt'altro che semplice - di solito il criterio più usato ad Hollywood - andando, per così dire, a complicare la storia all'infinito. Ma procediamo con calma. (attenzione allo spoiler)
Charlotte Vale è una depressa, repressa e maledettamente insicura ragazza single (nel film non smettono mai di dire "spinster", zitella, ma diciamo che erano altri tempi) che vive infelice sotto la tirannia di una madre che l'ha concepita in età avanza e, soprattutto, non l'hai mai voluta e non ne fa mistero. Lo scopo di Charlotte è, di fatto, quello di farle da badante.
Sull'orlo di una crisi di nervi, la ragazza si fa ricoverare in quella che oggi chiameremmo rehab, e inizia la terapia con lo psichiatra della struttura che la aiuta a trovare un equilibro e la sprona a vivere una vita più aperta e, soprattutto, che non contempli l'ingratitudine della madre. Per questo motivo la ragazza si allontana da casa per 6 mesi e vi fa ritorno completamente cambiata: l'aspetto e l'attitudine sono l'esatto opposto a prima e, soprattutto, è stata coinvolta in un amore impossibile con Jerry (Paul Henreid) che, sposato e con figlie, non può che limitarsi a rimanere un flirt passeggero.
Ed è a questo punto che pensavo di avere la sceneggiatura in pugno, immaginandomi già che Jerry avrebbe nuovamente fatto capolino a un certo punto della storia per rivelarsi nuovamente single o recentemente vedovo, il tutto per la coronazione di un sogno d'amore della sfortunata zitella che, dopo anni di soprusi e violenze psicologiche, può finalmente trovare la serenità che merita tra le braccia dell'amato. E invece no, perché niente di tutto questo accade e, sopratutto, il racconto si complica e non poco. Sarò breve (ribadisco, spoiler): Charlotte torna a casa, la madre muore dopo una litigata con lei, la ragazza sente di dover tornare in rehab per riprendersi (nel frattempo ha ereditato la fortuna della famiglia), appena tornata alla clinica conosce Tina, una ragazzina in cui si identifica per insicurezza, paure e rifiuto da parte della madre, cosicché ne diventa amica, quasi madre e figlia, e, naturalmente, la non poco antipatica ragazzina risulterà essere proprio la figlia di quel Jerry che no, non è per niente single o vedovo, ma ringrazia Charlotte per il suo aiuto con la figlia concedendole di continuare di fatto a farle da madre mentre loro due, pur innamorati, faranno come se Tina fosse loro figlia e nella sua crescita e prosperità vedranno il coronamento di un amore ormai platonico. Fine, sipario, pausa di riflessione, respiro profondo, via.
Cioè, dopo tutto l'investimento emotivo per Charlotte - per cui non si può evitare di fare il tifo dal primo secondo che è in scena (vedere per credere) - sono rimasto francamente un po' confuso dalle complicazioni narrative che il finale mette in scena e le riserva, un'ulteriore punizione direzionata a un personaggio vessato per metà della storia e che, al di là del riscatto con la madre e sociale in generale, meritava a mio avviso una storia d'amore che, se proprio doveva esserci, almeno prescindesse da questo pastrocchio buonista.
Non vorrei essere frainteso: capisco perfettamente che a) stiamo parlando di un film degli anni '40 e che b) il messaggio di indipendenza racchiuso nel personaggio di Charlotte sia assolutamente una conquista apprezzabile ancora oggi, ma mi sento di dire che se lo fosse stata del tutto, la donna avrebbe trovato la felicità nella riscoperta di sé, nella ritrovata libertà - anche di scelta - e non sarebbe servita da strumento per la realizzazione della felicità del soggetto (non principale) maschile che vive, attraverso di lei, la soddisfazione di vedere la figlia prosperare sotto l'amore di una donna che per lui sacrifica affetto, tempo e risorse in nome di un sentimento che non troverà mai vera soddisfazione.
Ecco, devo dire che nonostante abbia apprezzato il film in generale - sicuramente mi ha lasciato con spunti su cui riflettere - non posso comunque nascondere la delusione nei confronti di un arco narrativo della protagonista che sembra promettere bene e, invece, finisce per veicolare una serie di messaggi almeno in parte ingiusti; poi, per carità, mi arrendo al fatto che parliamo di un prodotto all'alba dei suoi 80 anni, motivo per cui si rende necessaria una certa mediazione.
Per cui, per concludere, dico che "Now, Voyager" è stato tutto tranne quello che mi aspettavo eccetto che per un fatto: ero sicuro sarei rimasto rapito dalla performance di Bette Davis e così è stato. Una stella irraggiungibile.
Cast: Bette Davis, Paul Henreid, Claude Rains, Gladys Cooper, Bonita Granville, John Loder, Ilka Chase, Janis Wilson.
Box Office: $4,177,000
Vale o non vale: La perfoarmance di Bette Davis da sola vale tutto il film che no, non è un capolavoro, ma le regala tutto lo spazio per dimostrare le sue inarrivabili capacità d'attrice. Per il resto la storia d'amore verte più su toni di inaspettata virtù e rassegnata platonicità, per cui meglio consolarsi contemplando il meraviglioso guardaroba di Charlotte e dando credito all'attitudine positiva che questa pellicola conferisce nei confronti del percorso terapeutico intrapreso con uno specialista (che qui non è mai strizzacervelli!). Insomma, scesi a patti con il contesto di produzione e realizzazione del film, "Now, Voyager" può rivelarsi un interessante intrattenimento per una serata diversa.
Premi: Vincitore dell'Oscar per la Migliore colonna sonora e candidato per la Miglior attrice protagonista (Davis) e non protagonista (Cooper).
Parola chiave: Crociera.

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Bengi

mercoledì 7 ottobre 2020

Film 1929 - The Founder

Intro: Erano anni che volevo recuperare questo film e l'altra sera ne ho approfittato grazie a Netflix!
Film 1929: "The Founder" (2016) di John Lee Hancock
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: c'è stato un momento qualche tempo fa in cui Michael Keaton è tornato alla ribalta e pure in gran spolvero, un momento durato un paio d'anni e cominciato grazie all'incredibile successo da parte della critica ottenuto dal film di Iñárritu, "Birdman", di cui l'ex Batman era protagonista. Tra un Golden Globe vinto, una nomination all'Oscar come Miglior attore e una valanga di nomination e premi a seguire, pareva che la carriera di Keaton avesse preso nuovamente il volo, anche considerato che l'attore si è trovato, per 2 anni di fila, in quella che poi è risultata essere la pellicola vincitrice come Miglior film agli Oscar ("Birdman" nel 2014 e "Spotlight" nel 2015). Insomma, questo "The Founder" non poteva che essere la consacrazione di un trend positivo. Ma così non è stato.
Non voglio focalizzare la recensione sui perché o per come il film o il suo attore non abbiano ricevuto sufficiente attenzione, mi limiterò a dire che nel suo insieme il film di John Lee Hancock funziona ed è compatto sia a livello narrativo che di esecuzione, ma con certi limiti che forse non ne hanno favorito il successo commerciale. Il più evidente di tutti? Il protagonista è maledettamente antipatico.
Ray Kroc sarà intelligente, avrà fiuto per gli affari e certamente ha una visione del business che ai fratelli McDonald manca in toto, ma non si può sorvolare sul fatto che il protagonista di questa storia sia arrogante ed egocentrico, poco rispettoso degli altri e privo di empatia pre il prossimo, il che contrasta alla grande con la visione degli affari dei due fratelli ristoratori, ingenui e dalla grande etica del lavoro, qui enorme svantaggio che li rende dinosauri inamovibili in un contesto dinamico e sempre in aggiornamento come quello del mondo degli affari.
Prese in esame le due controparti di questa storia è evidente che, per quanto Keaton sia bravo a fare il suo lavoro, il racconto della genesi del brand multimilionario McDonald's non sia favorita da un racconto edificante o da personaggi con cui lo spettatore possa facilmente relazionarsi, ergo tutta l'operazione "The Founder" finisce per non risultare così accattivante come avrebbe potuto. Diciamo che, in generale, la sceneggiatura manca di una componente divertente o divertita che alleggerisca un'atmosfera altrimenti sempre austera o pesante (penso a qualcosa alla "The Wolf of Wall Street" o "The Big Short") che finisce per conferire al risultato finale quella "giocosità" che, paradossalmente, si associa proprio a quel marchio di cui la storia qui si interessa.
Insomma, il prodotto in sé funziona anche, ma manca un po' di brio.
Cast: Michael Keaton, Nick Offerman, John Carroll Lynch, Linda Cardellini, Patrick Wilson, B. J. Novak, Laura Dern.
Box Office: $24.1 milioni
Vale o non vale: Sicuramente un buon biopic, solido nella costruzione e nelle interpretazioni del cast; non aspettatevi qualcosa di memorabile, però, il risultato finale è meno appassionante di quanto non ci si aspetterebbe. Forse indeciso tra l'anima di fiction e quella con un piglio quasi documentaristico, "The Founder" abbraccia un approccio sicuramente molto accurato per quando riguarda la spiegazione dei fatti, mancando di una più giocosa vitalità che avrebbe giovato a tutta l'operazione. Comunque si lascia assolutamente guardare.
Premi: /
Parola chiave: Franchise.

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Bengi

lunedì 5 ottobre 2020

Film 1928 - The Boys in the Band

Intro: Avevo sentito tanto parlare del revival dello spettacolo teatrale, così quando ho scoperto che ne avevano fatto un film, ho voluto subito recuperarlo.
Film 1928: "The Boys in the Band" (2020) di Joe Mantello
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: le pellicole tratte da pièce teatrali non sono mai facili da realizzare, più che altro per una mancaza di location che garantiscono "movimento" alla storia e per un quantitativo di dialoghi che non sempre è facile da rendere efficacemente. Devo dire che "The Boys in the Band" non presenta queste problematiche grazie a una sceneggiatura che dà spazio anche agli esterni, una regia oculata e un cast perfetto che regala ottime performance (del resto è lo stesso del revival teatrale dell'anno scorso).
Per quanto mi riguarda, quello che non mi aspettavo si lega più che altro alla trama in sé che, dopo un inizio dinamico e interessante, prende velocemente una piega amara e verbalmente violenta, per un risultato finale che lascia interdetti. Sarà che il complesso rapporto di amicizia tra Michael e Harold (Jim Parsons e Zachary Quinto) toglie ossigeno a tutte le altre dinamiche presenti - avrei dato molto più spazio ai personaggi secondari -, sarà che le tematiche affrontate sono molto complesse e sensibili, di fatto questa storia finisce per svolgere la sua narrazione con un approccio passivo-aggressivo che non avevo previsto. Probabilmente fuorviato da un trailer molto più spensierato e glam, mi immaginavo qualcosa di più "facile" - quasi frivolo se vogliamo - quando invece il racconto non si risparmia la sua buona dose di cattiveria e smaschera molte delle ipocrisie certamente familiari all'epoca, ma che non mancano di essere rilevanti anche oggi.
Insomma, "The Boys in the Band" è stato niente di ciò che mi aspettavo, sicuramente una visione molto più complessa e difficile da digerire (tant'è che mi sono concesso qualche pausa), anche se tutto sommato ho apprezzato la presenza di un prodotto come questo su una piattaforma mainstream come Netflix perché non solo è importante ricordare che lo show scritto da Mart Crowley, scomparso solo qualche mese fa, è datato 1968, ma anche che tutt'oggi la questione LGBTQI+ rimane aperta e vitale più che mai. E ogni tanto non fa male pensare che certi aspetti che siamo abituati a dare per scontato, anche solo 50/60 anni fa non lo erano per niente e che se pure ci sembra di aver già conquistato moltissimo, c'è ancora un'inifinità di strada da fare.
Cast: Jim Parsons, Zachary Quinto, Matt Bomer, Andrew Rannells, Charlie Carver, Robin de Jesús, Brian Hutchison, Michael Benjamin Washington, Tuc Watkins.
Box Office: /
Vale o non vale: Chi ha apprezzato l'opera teatrale - o chi in generale apprezza gli adattamenti cinematografici tratti prodotti nati per il teatro - dovrebbe gradire. La regia è buona, il cast onestamente pazzesco e il risultato finale compatto e ben realizzato. Poi, chiaramente, non si tratta di un titolo facile o per tutti i palati, ma nel complesso credo valga la pena di dare una chance a questa pellicola. A cui, mi sento di dire, farei seguire la visione del veloce "The Boys in the Band: Something Personal", un dietro le quinte che dà maggiore tridimensionalità ad un prodotto cui non in molti sono familiari.
Premi: /
Parola chiave: Birthday party.

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domenica 4 ottobre 2020

Film 1927 - Enola Holmes

Intro: Me lo ero salvato tra i titoli da guardare una volta in Irlanda. E così ho fatto, la prima sera.
Film 1927: "Enola Holmes" (2020) di Harry Bradbeer
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: tratto da "The Case of the Missing Marquess: An Enola Holmes Mystery" di Nancy Springer, questo nuovo film di Netflix sfoggia un cast notevole e una storia piacevole per un risultato finale che, pur non indimenticabile, è certamente in grado di intrattenere il suo spettatore. Ma andiamo con ordine.
Millie Bobby Brown, Sam Claflin, Henry Cavill, Helena Bonham Carter, Fiona Shaw e Frances de la Tour (praticamente metà cast di "Harry Potter") si scomodano tutti per raccontare la storia della più giovane sorella Holmes, allevata dalla madre eccentrica e progressista (Bonham Carter) la quale, però, improvvisamente scompare nel nulla. Tra indizi da trovare, destinazioni da raggiungere e non pochi diversivi nel mezzo, saremo in grado di scoprire se la minore degli Holmes ha le stesse doti del ben più famoso fratello.
Onestamente ho trovato "Enola Holmes" divertente per la maggior parte del tempo e sicuramente avventuroso, anche se da ciò che avevo intuito dal trailer mi aspettavo che il film avesse un ritmo molto più serrato. La cosa che più mi ha innervosito, però, è certamente l'arco narrativo legato alla madre, filo conduttore di tutta la storia - o almeno il 70% di essa - che verso il terminare del racconto viene abbandonato in nome di un altro mistero da risolvere. Capisco che le avventure di Enola siano spalmate in molteplici romanzi e intuisco che l'intenzione qui sia quella di creare un franchise, ma non si può far reggere tutta la storia su un presupposto che poi non troverà risoluzione nel finale. L'ho trovato estremamente frustrante. Non dico che la dissoluzione del mistero dovesse necessariamente verificarsi in questo primo titolo, semplicemente si poteva fin da subito dare più rilevanza alla questione del marchese scappato di casa (che poi è il titolo del primo libro, ma non è che Netflix lo abbia specificato da alcuna parte in questo adattamento cinematografico) e relegare la sottotrama familiare in secondo piano, così da far intuire che sarebbe poi diventato il filo conduttore dei prossimi capitoli.
A parte questo, comunque, ribadisco che "Enola Holmes" rimane un prodotto carino e spensierato, perfetto per questo cambio di stagione. Millie Bobby Brown è magnifica nel ruolo di protagonista e Helena Bonham Carter, per quanto poco presente, è in grado di lasciare il segno. Meno significativo Henry Cavill nei panni di Sherlock, onestamente più un guru con consigli di vita che un detective scaltro e sempre un passo avanti rispetto agli altri. Probabilmente a suo discapito vanno le ben più riuscite e dinamiche performance di Robert Downey Jr., Benedict Cumberbatch e, perché no, Jonny Lee Miller che hanno contribuito a forgiare l'idea moderna del personaggio di Sherlock Holmes per come lo immaginiamo oggi.
In ogni caso con questa pellicola Netflix non ha sbagliato e, anzi, ha regalato al suo pubblico un prodotto fresco e piacevole che mette in mostra il grande talento della sua protagonista (qui anche produttrice), intrattiene e lascia soddisfatti. Ci sarà un seguito?
Film 1927 - Enola Holmes
Film 2159 - Enola Holmes 2
Cast: Millie Bobby Brown, Sam Claflin, Henry Cavill, Helena Bonham Carter, Louis Partridge, Burn Gorman, Adeel Akhtar, Susan Wokoma, Fiona Shaw, Frances de la Tour.
Box Office: /
Vale o non vale: Fresco, giovane, simpatico ed esteticamente accattivante, "Enola Holmes" è un titolo semplice in grado di accompagnare piacevolmente la serata. Onestamente speravo in qualche momento di deduzione in più, però tutto sommato il risultato finale è riuscito. Si lascia vedere tranquillamente.
Premi: /
Parola chiave: Madre.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 3 ottobre 2020

Film 1926 - For Keeps

Intro: In treno verso casa, con la prospettiva di 5 ore di viaggio, mi è sembrato giusto termi compagnia con un filmetto facie facile che da tempo volevo recuperare.
Film 1926: "For Keeps" (1988) di John G. Avildsen
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: sono un fan delle pellicole anni '80 che parlano di teenagers e le loro difficoltà nell'affrontare l'approccio all'età adulta, per cui ho sicuramente un debole per Molly Ringwald e la sua filmografia d'esordio ("Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare", Breakfast Club", "Bella in rosa"). Mi sono interessato a questo film quando ho scoperto che la protagonista fosse proprio lei e che, da quanto potevo dedurre, si parlasse di tematiche di una certa complessità, come gravidanza e ripercussioni sul futuro.
Devo dire che "For Keeps" non si tira certo indietro quando è il momento di mettere in scena le difficoltà della coppia Darcy - Stan dal momento in cui si scopre che la ragazzina è incinta e che i progetti di successi scolastici a venire saranno decisamente da mettere in stand-by. Pur concesso questo, la rappresentazione delle dinamiche di una coppia di minorenni che decide di tenere il figlio di una gravidinza inattesa e sposarsi per andare a vivere in una topaia (che magicamente diventerà piccola reggia) dopo che i genitori li avranno di fatto ripudiati, presenta una dose non indifferente di edulcorazione e semplicismo su cui, a mio avviso, è bene non soprassedere con troppa leggerezza. Non contenta, la storia affronta anche questioni delicate come la depressione post partum, per poi ricorrere a un escamotage frettoloso nel momento in cui la sceneggiatura ha bisogno di procedere oltre e accompagnarci verso l'happy ending.
Insomma, nonostante le buone intenzioni è pur vero che ci troviamo di fronte ad una pellicola romantica il cui scopo finale è quello di rassicurare lo spettatore - probabilmente teenager - e garantire quella dose di felicità e serenità ai protagonisti che assicuri un finale soddisfacente dopo tutta la dose di complicazioni derivate dal presupposto iniziale.
Credo che "For Keeps" regali a tratti una visione plausibile di come sarebbe la vita di due teenagers alle prese con un bebè, ma è pur vero che per il benestare dell'operazione commerciale, la storia è stata farcita di semplificazioni e una certa qual dose di superficialità che ha tratti mi ha infastidito (il personaggio della madre di Darcy è terribile). Decisamente non un capolavoro, ma in definitiva passabile.
Cast: Molly Ringwald, Randall Batinkoff, Kenneth Mars, Miriam Flynn, Conchata Ferrell, Sharon Brown.
Box Office: $17.5 milioni
Vale o non vale: I fan della Ringwald non possono esimersi dal recuperare uno dei tanti prodotti mainstream adolescenziali della popolare attrice anni '80 (oggi la troviamo in "Riverdale"). Per tutti gli altri, magari fa di quel particolare decennio, può essere un passatempo sensato, pur consapevoli che si tratta di una storia per nulla spensierata.
Premi: /
Parola chiave: Gravidanza.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 1 ottobre 2020

Film 1925 - The New Mutants

Intro: Prima film di ottobre, pirma recensione dalla terra straniera: mi sono trasferito a Dublino!
E' con grande emozione che scrivo la prima recensione "irlandese" dalla mia stanzetta di quarantena del campus universitario della DCU. E, con ancora più piacere, torno con la mente a un paio di settimane fa, quando, dopo una giornata torinese piena di cose da fare e vedere, nel tardo pomeriggio io e Andrea abbiamo deciso di regalarci un momento di relax al cinema dopo un veloce aperitivo. In sala solo noi.
Film 1925: "The New Mutants" (2020) di Josh Boone
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Andrea
In sintesi: non c'era bisogno che fosse un capolavoro - nessuno se lo aspettava - ma che si presentasse in maniera più decente, quello sì, soprattutto considerata la buona tradizione sugli "X-Men" a cui ci hanno abituato (lasciamo perdere "Dark Phoenix" che pur non essendo così tremendo come lo hanno descritto, non è nemmeno un gran film).
La 20th Century Studios realizza in collaborazione con la Marvel uno spin-off sui mutanti di Wolverine & co. nella speranza di inaugurare un nuovo filone le cui parole chiave sembrano essere 'teen' e 'horror', pur non riuscendo nell'impresa di portare alla luce un progetto che abbia davvero qualcosa da dire.
"The New Mutants" parrebbe intrigante all'inizio, costellato com'è di interrogativi che necessitano risposta, ma nello svolgimento perde di vista l'obiettivo più importante, ovvero regalare qualcosa di succoso e nuovo allo spettatore medio di oggi, più che mai bombardato di possibilità e scelte per quanto riguarda la fruizione cinematografica in sala e casalinga. In quest'ottica la pellicola di Boone manca davvero di idee innovative, considerando che nel giro di mezzora si è praticamente già intuita tutta la trama... E anche volendo sorvolare su questo aspetto, la mancanza di location alternative all'ospedale-prigione limita ampiamente l'appeal della storia, per non parlare del fatto che la protagonista Blu Hunt non è in grado di sostenere tutta la storia sulle sue spalle, mancando palesemente di una verve recitativa. Charlie Heaton ripete il suo ruolo da cane bastonato di "Stranger Things", mentre il personaggio di Anya Taylor-Joy è talmente antipatico da non riuscire a riscattarsi nemmeno nel finale, mentre l'approccio "selvatico" di Maisie Williams è troppo distraente e finisce per diventare il solo elemento che ci si ricorda rispetto al personaggio interpretato dall'unica vera attrice famosa del gruppo (ovvero Arya Stark de "Il Trono di Spade").
Tutti questi elementi insieme contribuiscono ad un risultato finale che, per quanto si sforzi, non riesce davvero a coinvolgere chi guarda. Ci si chiede spesso cosa c'entri questo racconto con i precedenti titoli della saga e, a visione finita, si rimane piuttosto insoddisfatti rispetto alla piega presa dalla storia. Un numero maggior di set e location avrebbero giovato, regalando un più ampio respiro alla messa in scena (questo approccio non ha aiutato nemmeno quel "Glass" di M. Night Shyamalan) e, probabilmente, ci si fosse concentrati di più sulle abilità dei ragazzi, piuttosto che sui turbamenti misteriosi della protagonista Danielle Moonstar, probabilmente il risultato sarebbe stato più godibile e divertito. Perché poi, a ben vedere, è proprio il divertimento che manca. "The New Mutants" si prende troppo sul serio, pur non avendo gli elementi giusti per farlo.
Film 622 - X-Men - Conflitto finale
Film 276 - X-Men: L' inizio
Film 582 - X-Men - L'inizio
Film 728 - X-Men - Giorni di un futuro passato
Film 1092 - X-Men - Giorni di un futuro passato
Film 1166 - X-Men: Apocalisse
Film 1778 - Dark Phoenix
Film 275 - X-Men le origini - Wolverine
Film 583 - Wolverine - L'immortale
Film 1489 - Logan
Film 1100 - Deadpool
Film 1535 - Deadpool
Film 1644 - Deadpool 2
Film 1925 - The New Mutants
Cast: Maisie Williams, Anya Taylor-Joy, Charlie Heaton, Alice Braga, Blu Hunt, Henry Zaga.
Box Office: $39 milioni
Vale o non vale: La saga legata agli X-Men negli ultimi tempi sembra aver perso il suo smalto, fallendo nel consegnare agli spettatori prodotti che valgano la pena di essere visti. Non si esime nemmeno questo tentativo di rilanciare il franchise tra i giovani, nonostante i vari rimandi a titoli similari ("Twilight"), che non riesce a distaccarsi da una dimensione quasi televisiva, sprecando un potenziale di cast e soldi che, nelle mani giuste, avrebbe potuto regalarci un nuovo, interessante capitolo sui mutanti. Insomma, se siete fan del genere, forse meglio tornare alle origini...
Premi: /
Parola chiave: Orso.

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Bengi