Se ne è fatto un gran parlare e non vedevo davvero l'ora di farmene un'opinione!
Film 811: "The Normal Heart" (2014) di Ryan Murphy
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: "The Normal Heart" mi ha spezzato il cuore.
E' chiaro, il mio coinvolgimento emotivo è stato sicuramente aumentato da motivazioni personali, ma lo strazio, il dolore, la disperazione e lo smarrimento che questo film per la tv porta a galla è qualcosa che ti lascia a pezzi.
E' bene, quindi, mettere subito in conto che la visione di questa produzione HBO firmata Ryan Murphy non sarà una passeggiata: sono gli anni '80, siamo a New York e la comunità gay si sta ammalando di AIDS. Muoiono a migliaia, ma l'emancipazione del mondo omosessuale è ancora acerba e i gay sono 'froci' o 'checche' agli occhi dell'opinione pubblica, ancora bidimensionali e caricati a macchietta. L'epidemia è gravissima e si pensa che solo nella comunità il virus si diffonda, il che contribuisce ad alimentare un'idea di promiscuità e lascività di costumi che spaventa chi quella comunità non la frequenta e non la conosce. Per carità, di sesso se ne faceva eccome, però, come si sa, non solo gli omosessuali uomini sono a rischio di contagio.
In questo scenario umanamente apocalittico si muove Ned Weeks - un bravissimo Mark Ruffalo che si meritava almeno l'Emmy, chissà il Golden Globe -, scrittore grazie al quale comincia a farsi sentire la voce proprio di quella comunità ghettizzata. Essere ascoltati non è per nulla facile e, anzi, sembrano più le sconfitte che le vittorie. Il suo approccio preciso e dettagliato spaventa, i suoi modi schietti e le sue richieste intimoriscono chi dovrebbe ascoltare o aiutare. Ci sarà, quindi, per tutto il film una differenza d'approccio tra quello di Ned e quello portato avanti e voluto dall'organizzazione che contribuisce a fondare, la "Gay Men's Health Crisis": da una parte il temperamento forte e l'animo indignato e fiero dello scrittore, dall'altro un tentativo più tranquillo e mediato di ottenere l'attenzione dei potenti per tentare un dialogo con loro che porti a dei frutti, seppur in sordina.
Vedere una pellicola come questa con, sulle spalle, il peso di un'esperienza che 30 anni di distanza porta con sé crea sicuramente e fin da subito una simpatia per il povero Ned, vittima della sua stessa creatura solo perché più coraggioso degli altri. Immagino, però, che dovendo vivere allora una situazione così delicata portasse a non poter semplicemente scegliere la via più idealisticamente coraggiosa. Trovare una soluzione, ottenere aiuto e considerazione erano gli scopi che, anche se raggiunti col ricatto e nel tentativo di mantenere ai margini la comunità gay, andavano in ogni caso perseguiti. E non si può biasimare l'associazione che cerca modi più 'docili' e meno drastici di avere quell'attenzione di cui disperatamente necessita.
Come si capisce, quindi, è un quadro abbastanza complesso, carico di emozioni che avvolgono e stravolgono lo spettatore sia perché la storia di "The Normal Heart" è davvero straziante in certi passaggi, sia perché c'è un grande cast che rende un'operazione come questa riuscita non solo dal punto di vista tecnico. Ruffalo, Matt Bomer e Taylor Kitsch, Alfred Molina, Jim Parsons e una Julia Roberts che, nonostante un ruolo cui sia già abituata (vedi "Erin Brockovich - Forte come la verità"), riesce bene a rappresentare la sua Dott.ssa Emma Brookner evitando di banalizzare un personaggio tanto forte e iconico come questo (unica a interessarsi dei gay, unico dottore a visitarli e tentare di curarli, unica ad effettuare ricerche in proposito e, da non sottovalutare a livello di comunicazione, anche in sedia a rotelle) e riuscendo a renderlo meno patinato di quanto, personalmente, mi sarei aspettato.
Insomma, è inutile nasconderlo: ho pianto e pure tanto, pure più di quanto credo di aver mai pianto per un film. Mi ha veramente fatto pensare, oltre che fatto stare male come non mai. E' una storia così crudele ed ingiusta e allo stesso tempo così carica di messaggi di speranza, personaggi-persone da ricordare e passi importanti per chi della comunità fa parte (newyorkese e non) che non si può rimanere indifferenti. Persone annientate, amori distrutti, una malattia che ti consuma e degrada e una società che distoglie volentieri lo sguardo. Come spesso capita quando mi imbatto in storie come questa, mi chiedo: e io, che avrei fatto? Sarei stato in disparte? Sarei stato a guardare? Avrei aiutato la mia comunità e messo da parte la paura, la mia codardia, le mie remore personali?
Sono fortunato, oggi, a non dovermi dare queste risposte, a non essermi dovuto confrontare con tali tragedie e vivere in un tempo e in un luogo in cui una persona omosessuale può pensare di decidere di e per sé stessa. Chiaro, non è per tutti così, ci sono ancora così tanti passi da fare...
Eppure, grazie a "The Normal Heart", hai come quella sensazione di quando ti guardi indietro, ripensi al passato, e ti ricordi che dopotutto qualche passo in avanti è stato fatto.
Non sarà molto e di sicuro la battaglia non è finita. Però, quando ti sei asciugato le lacrime, è una consapevolezza che ti fa sentire maledettamente bene.
Ps. 12 nomination agli Emmy 2014 tra cui una praticamente per ogni attore principale e solo 2 vittorie portate a casa: Outstanding Television Movie e Outstanding Makeup for a Miniseries or a Movie (Non-Prosthetic). Francamente credo sia un po' poco; forse i Golden Globes sapranno dare più risalto a questo titolo.
Box Office: /
Consigli: Tratto dal testo teatrale dello stesso Larry Kramer che qui scrive la sceneggiatura, questo film tv - che mette in imbarazzo una qualunque produzione italiana contemporanea - è di una potenza e un'intensità disarmanti. Lo spettatore non può che soffrire con i protagonisti, tifare per loro e sperare che Tommy Boatwright (Jim Parsons) non debba più archiviare alcun biglietto da visita. Si sa, la vita è dura e una tragedia che porta il nome di epidemia è una tema tanto difficile da portare sullo schermo soprattutto perché si rischia di cadere in cliché o puntare tutto su un'emozionalità superficiale e commerciale che priverebbe un dramma come quello dell'AIDS della rappresentazione seria, competente e dignitosa che merita. Qui pare tutto funzionare bene, Murphy riesce a dare il giusto spazio ai suoi protagonisti e, soprattutto, alla storia che devono raccontare. Forte come un pugno nello stomaco, specialmente se chi guarda può identificarsi. Eppure andrebbe visto, per molti buoni motivi.
Parola chiave: Malattia.
Trailer
Bengi
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