Film 1285: "West Side Story" (1961) di Jerome Robbins, Robert Wise
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Il ricordo più intenso ed incisivo, nonché il primo, su questo film deriva dalla mia giovanile esperienza universitaria al DAMS, nello specifico dal corso di Storia del cinema. Tra gli approfondimenti a piacere scelsi, nell'ormai lontano 2007, "Introduzione al cinema di Hollywood" di Franco La Polla, una lettura che spesso mi torna alla mente nonostante gli ormai 10 anni passati dall'occasione di studio.
L'opinione di La Polla è piuttosto inequivocabile: "West Side Story" è il musical che negli anni '60 ha ucciso il genere del musical. Lo cito, così da fugare ogni perplessità:
E infine il film che fu salutato come il rinnovamento quando in realtà era giunto a sotterrare il genere, West Side Story («West Side Story», 1961) di Robert Wise.
Variazione sul tema di Giulietta e Romeo, la pellicola può vantare le belle coreografie di Jerome Robbins, ma non molto di più. Il problema è che nel mondo onirico del musical non c'è posto per i problemi sociali e sociologici. [...] sarà bene ricordare che anche più del teatro musicale il musical cinematografico affida il suo fascino alla componente eufemistica delle sue storie e della sua costruzione sia scenografica che coloristica. Affossare quest'ultima significa affossare il musical. Intendiamoci, non esiste alcun colpevole, si tratta soltanto di un diverso modo di sentire che negli anni si è fatto strada e che ha portato il genere alla sua consunzione nei termini in cui esso era noto e caro alle platee. Nel caso di West Side Story, poi, la bontà dei numeri di danza è indiscutibile, ma lo è altrettanto la loro secondarietà rispetto agli intenti primari del film, vale a dire il racconto di una storia d'amore e di morte. Già questo secondo elemento è alquanto inusitato nel panorama del musical classico, ma se vi si aggiunge anche una problematica sociale quale quella dell'emarginazione giovanile, è evidente che ci si trova davanti a un oggetto di natura a dir poco ambigua. Ne esce un'opera dove le convenzioni sceniche e drammaturgiche, tipiche del musical, diventano manierismo (La Polla, p. 141).
Negli anni queste parole sono rimaste dentro di me, più che altro a solleticare la curiosità e un certo sano scetticismo nei confronti di una convinzione tanto radicale quanto certamente provocatoria. Rimaneva la necessità di un'opinione personale da affiancare a un parere tanto radicale quanto importante.
Dato che le parole di La Polla le sono andate volutamente a rileggere solo oggi, da un certo punto di vista mi fa piacere constatare che qualcuna tra le cose scritte da lui emerge anche dai miei appunti sul film. Niente di così elaborato, per carità. Tra le cose che ho notato durante la visione, sicuramente le belle riprese dall'alto che esaltano i numeri di danza, oltre che certe scelte registiche interessanti che, attraverso movimenti eclatanti di macchina (come gli sguardi diretti in camera o le chiusure dei numeri più sincopati), conferiscono alla pellicola un approccio moderno. Detto questo, la maggior parte delle volte ho trovato, però, che le riprese fossero meno dinamiche di quanto mi sarei aspettato e più semplicemente una sorta di avanti e indietro in carrellata, a dare un ritmo "musicale" direttamente attraverso la ripresa della scena, invece che tramite le scelte del montaggio. Oggi a mio avviso è più quest'ultimo a costruire il senso del ritmo di un'opera cinematografica nel suo complesso.
Al di là di questo, "West Side Story" mi ha coinvolto a fasi alterne. Il ritmo è altalenante e la storia si prende davvero molto tempo per girare attorno a quelli che saranno gli snodi principali del film, per cui inizialmente ho un po' faticato ad ingranare. Certe scelte di cast - in un'epoca in cui ad Hollywood le parti etniche erano solo un po' di lavoro in più per trucco e maestri di dizione e le esigenze di un ruolo qualcosa in secondo piano rispetto al richiamo del nome illustre - non mi hanno davvero convinto e tutto quel cerone per rendere più scuri alcuni degli attori mi ha più volte distratto. Per entrare maggiormente nello specifico, sono sicuro che qualcuno più adatto di Natalie Wood nei panni di Maria (e che magare potesse anche cantare) si potesse trovare e George Chakiris non mi è sembrato davvero così in parte da meritarsi un Oscar (senza contare il fatto che è di origini greche, non ispaniche). La vera "regina" di questa storia è la fantastica Anita, ovvero una strepitosa e magnetica Rita Moreno che canta e balla come un'indemoniata e nella cui grinta ho ritrovato una sorta di antesignana e molto più raffinata Nicki Minaj. Senza contare che l'attrice è nata a Humacao, Porto Rico.
Per quanto riguarda le canzoni, invece, alcune sono davvero belle ("America" la più incisiva, il momento della sfida di ballo tra le bande rivali nella sala da ballo è stupendo) e capaci di comunicare lo stato d'animo dei personaggi e gli sviluppi narrativi attraverso i loro versi. Non a caso si tratta di un adattamento cinematografico di un musical (di Broadway), dove la necessità di far progredire la narrazione prevede l'utilizzo delle canzoni non solo come strumento di intrattenimento, ma di vero e proprio dialogo e racconto. In questo è piuttosto evidente la genialità dei testi, i quali sfruttano brillantemente le strofe per dipingere un quadro della situazione che non si limita alla sola storia, ma include anche il contesto sociale in cui i personaggi sono immersi: un elemento ben sviluppato e vincente di "West Side Story" e credo uno di quelli che ho preferito in assoluto.
In definitiva, comunque, la visione di questo film è stata il dovuto completamento di un puzzle dal pezzo mancante che, però, non mi ha del tutto soddisfatto. La fredda frigidità di Natalie Wood mi ha infastidito, il pesante "trucco portoricano" è fastidioso e certi passaggi si sarebbero potuti sforbiciare ampiamente (di certo l'overture è saltabile e i titoli di coda sembrano belli all'inizio, ma alla lunga sembrano solo interminabili). Pure, ho amato Rita Moreno (cui certamente ora so spettare l'Oscar vinto), i bellissimi costumi e le straordinarie scenografie e coreografie pensate per balli che sembrano immaginati per un numero infinito di ballerini. Non so se "West Side Story" abbia decretato la definitiva dipartita del genere musical - sono curioso di vedere cosa ha in serbo "La La Land" -, a me sembra che nonostante tutto sia un titolo capace ancora oggi di attrarre il non facile status di culto, per cui preferisco evitare estremismi. Per quanto mi riguarda non è stata una pellicola sconvolgente, pur riuscendo per certi aspetti a rimanermi impresso. Mi aspettavo altro e certamente sono stato influenzato e "deviato" dal background di genere che mi sono costruito negli anni ("Into the Woods", "Nine", "Evita", "Sweeney Todd", "Come d'incanto", "8 donne e un mistero", "Cry Baby", "Chicago" e ovviamente quei capolavori che sono "Nightmare Before Christmas" e "Moulin Rouge!" oltre che chissà quali altri titoli che ora non ricordo), in ogni caso recuperarlo è stata la scelta giusta per farmi finalmente un'idea su questa porzione di storia del cinema americano.
Ps. 11 candidature agli Oscar del 1962 e 10 premi vinti: Miglior film, regia (per la prima volta andato a due persone), attore e attrice non protagonisti, fotografia, costumi, scenegorafie, sonoro, montaggio e colonna sonora. L'unico a perdere fu Ernest Lehman per la sceneggiatura non originale che, quell'anno, andò a Abby Mann per "Vincitori e vinti".
Cast: Natalie Wood, Richard Beymer, Rita Moreno, George Chakiris, Russ Tamblyn, Simon Oakland, Ned Glass, William Bramley.
Box Office: $43.7 milioni
Consigli: Una pellicola che vince 10 premi Oscar, tra cui Miglior film, diciamocelo: va vista. Se si ama il cinema, credo che la scelta prima o poi sia come obbligata, se si amano i musical o titoli d'epoca ancora di più. Le gigantesche scenografie permettono una libertà di movimento che spinge i numeri musicali ad osare e confrontarsi con un numero inusualmente alto di persone, il che li rende davvero d'effetto (e il corpo di ballo che non si risparmia). Certo, non è una scelta buona per ogni occasione sia perché si tratta di un prodotto musicale che si esprime anche attraverso la musica, sia perché dura due ore e mezza belle piene. Insomma, serve il momento buono.
Parola chiave: Bande rivali.
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