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sabato 9 gennaio 2016

Film 1081 - The Revenant

Per la prima recensione del 2016 faccio un salto in avanti e anticipo una pellicola che ho appena finito di vedere. Insieme ad altre due che la precedono e che ho visto nei giorni scorsi, è una delle candidate favorite alla stagione dei premi di quest'anno e che, a mio avviso, potrebbe essere l'Oscar come Miglior attore per Leonardo DiCaprio. Finalmente.
Film 1081: "The Revenant" (2015) di Alejandro G. Iñárritu
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Come dicevo nell'introduzione, "The Revenant" è uno dei film legati all'imminente stagione di premi (che comincia proprio domani con i Golden Globes) che ho visto più di recente. Insieme a "The Big Short" e "Il ponte delle spie" fa parte di quel gruppo di film che sto cercando di recuperare in modo da arrivare preparato agli Oscar di fine febbraio. Più degli altri due, però, questo mi ha colpito, motivo per il quale sto anticipando la recensione per averne un ricordo che sia fresco. Eccoci, quindi.
Più che un film, un corso di sopravvivenza. Più che una storia, un pugno nello stomaco. "The Revenant" è il titolo di Iñárritu che avrei voluto vedere l'anno scorso, un'avventura che mi ha sorpreso molto di più che il tanto acclamato "Birdman". Quest'ultimo, pur meritevole di lode, ha mancato comunque di interessarmi pienamente, mentre qui tutto si può fare tranne che distrarsi. Violentissimo, crudo, in un certo senso cattivo e maledettamente freddo, il racconto di vendetta che si ispira alla vera storia di Hugh Glass (che Wikipedia descrive come frontiersman, fur trapper, and explorer) è un magnetico diario che sfoglia pagine della storia americana tra paesaggi mozzafiato e la disperata necessità di sopravvivere.
Vero e proprio scontro tra razze, culture e uomini, lo scenario dipinto qui è desolante e spaventoso tanto quanto i boschi in cui siamo costretti ad inoltrarci senza la dovuta preparazione. Già perché fin dalla prima, interminabile scena, Iñárritu non ci risparmia nulla: scalpi, frecce, sparatorie, sgozzamenti, agguati, accoltellamenti, il tutto per una rappresentazione tanto realistica che, a pensarci, fa venire la pelle d'oca. Il drammatico incontro con l'orso sarà qualcosa di straziante, ma niente paragonato al confronto finale fra i due antagonisti, stremati dal freddo e dal dolore eppure incessantemente decisi a braccarsi l'un l'altro.
Per quanto non possa dire che questo sia il mio personale miglior film dell'anno, non posso negare di aver subito il magnetismo di "The Revenant". Molto del merito - se non la maggior parte - va ad un grandissimo DiCaprio: non lo dico tanto per dire, la sua immersione nella parte è totale e evidente, il suo talento non si può discutere perché è sotto gli occhi di chi guarda. Dolorante, ferito non solo nella carne, abbattuto eppure inarrestabile, il suo Glass è uno di quegli uomini che, motivati da una causa, non molleranno fino al suo raggiungimento. E' solo così che l'uomo sopravvive ad una serie surreale di eventi sfortunati di cui mamma orsa è solo l'inizio.
Da questo particolare punto di vista, la storia raccontata qui mi ha ricordato quella di un'altra pellicola votata al martirio del suo protagonista: "Unbroken". Anche lì dopo mille soprusi, violenze, sfortune e vere e proprie torture, lo spettatore si trova disarmato di fronte all'accanimento della vita che, quando vuole, riesce veramente ad essere bastarda (anche il film della Jolie è tratto da fatti accaduti realmente). "The Revenant", inevitabilmente, mi ha riportato alla mente anche altri ricordi legati a pellicole del passato, come "Il Grinta" dei Coen (o il prossimo "The Hateful Eight" di Tarantino) o "Into the Wild". E, voluto o no, la totale assenza di tagli del montaggio (qui solo nella prima parte), ha fatto da ponte col precedente "Birdman", al quale il regista ha regalato una finta assenza di intervento del montaggio. Il confronto fra i due ultimi titoli del regista messicano è quindi inevitabile e anche se il soggetto è totalmente diverso, non si può fare a meno di chiedersi durante la visione quale dei due la spunterà. Personalmente scelgo "The Revenant", che ho trovato narrativamente molto forte e visivamente potentissimo. Sarà il fascino della terra sconosciuta e desolata, la grande performance di DiCaprio, una buona dose di oniricità, la naturalezza di una regia che sembra voler scomparire, eppure rimane sempre ben presente (come quando il fiato di Glass appanna lo schermo o quanto il sangue di Fitzgerald (Tom Hardy) macchia la videocamera a sancire la presenza del vetro). Tutti insieme questi elementi - a cui aggiungo una speciale menzione per Hardy, veramente bravo a proporre un accento così marcatamente yankee per lui che è inglese di Londra - producono un risultato finale compatto e solido, un film che non manca di lasciare il proprio segno e per il quale mi auguro DiCaprio ottenga finalmente il suo meritato riconoscimento. Ha dormito nudo nella carcassa di un cavallo... Cosa deve fare di più?
Film 1569 - The Revenant
Cast: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Will Poulter, Domhnall Gleeson, Lukas Haas, Forrest Goodluck, Paul Anderson, Kristoffer Joner, Melaw Nakehk'o.
Box Office: $16 milioni ad oggi (la pellicola è uscita ieri in tutta America dopo una distribuzione limitata cominciata il giorno di Natale)
Consigli: 4 candidature ai Golden Globes (Miglior film drammatico, regia, attore protagonista e colonna sonora del grandissimo Ryuichi Sakamoto) e 8 ai BAFTA, a cui sicuramente si aggiungeranno quelle degli Oscar (spero anche per Hardy), "The Revenant" è il film con cui il Miglior regista del mondo in carica ritorna al cinema per raccontare la sua nuova storia. Tratto dalla vita dell'esploratore e uomo di frontiera Hugh Glass, e più precisamente dal libro di Michael Punke, questo film è un viaggio serrato e violento in una sorta di terra di nessuno nella quale, per sopravvivere, bisogna uccidere il proprio vicino. Niente infiocchettature o abbellimenti, qui si va dritti al punto: o si sa come sopravvivere o si muore. Lo stesso, per trasposizione, vale per lo spettatore che, se vuole uscire sano e salvo da questa narrazione, deve essere certo di avere stomaco forte e un'imperitura convinzione che, alla fine, anche qualcosa di buono potrebbe succedere. O no?
Parola chiave: Vendetta.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

martedì 24 marzo 2015

Film 893 - Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)

Weekend impegnativo quello in cui abbiamo deciso di vedere questa pellicola (o meglio ho obbligato Luigi a farlo). Partiti per Milano verso il concerto di Katy Perry e ritornati l'indomani dopo una serata in discoteca, abbiamo subito recuperato questo titolo. Perché? Ma la risposta è ovvia: era la domenica degli Oscar!

Film 893: "Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)" (2014) di Alejandro González Iñárritu
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Non mi è dispiaciuto, ma non mi ha nemmeno particolarmente colpito.
Il problema è sempre lo stesso: quando una pellicola viene osannata per mesi dalla critica, quando vince praticamente un premio diverso al giorno, quando tutti parlano solo e soltanto di capolavoro... Beh, inevitabilmente le aspettative sono alte. Le mie, sicuramente, lo erano.
E così ho recuperato "Birdman" il pomeriggio degli Oscar, per essere sicuro di avere un'idea di quello che sarebbe potuto diventare il nuovo Miglior film dell'anno (e così è stato). Un anno di "miglior cinema" che, a parte "Whiplash", "The Imitation Game" e "Grand Budapest Hotel", non mi ha particolarmente entusiasmato (nemmano "Boyhood", di cui ne ho visto metà, ma non ho nemmeno finito), né mi è rimasto impresso.
In questa cornice un po' fiacca, francamente mi sono apprrocciato all'ultimo film di Iñárritu con poco entusiasmo, ma speranzoso del miracolo, alla ricerca della redenzione. E, invece, ho guardato "Birdman" e me lo sono gettato alle spalle (come era stato l'anno scorso per "12 anni schiavo").
Ripeto, non perché non abbia valore, ma perché il plebiscito che lo ha preceduto ha snaturato la mia visione, caricandola di un bagaglio personale di aspettative che di certo non ha giovato al risultato finale. Quindi no, non lo rivedrei né lo ritengo il mio miglior film dell'anno, ma tutto sommato mi ha stupito piacevolmente vedere Michael Keaton in questo ruolo di protagonista tormentato dal suo passato (commerciale) e alla ricerca di riscatto.
Direi che, come giustamente tutti hanno notato, "Birdman" senza Keaton avrebbe avuto meno impatto, sarebbe riuscito peggio. Il valore aggiunto dell'attore, della sua presenza scenica stropicciata, i suoi tormenti interiori... tutto ha concorso al risultato finale che rende il personaggio principale non solo azzeccatissimo, ma in grado di reggere per intero questa storia tra pazzia e rapporti umani al limite del sopportabile. Solo l'ex moglie di Riggan, Sylvia (una sempre sottovalutata Amy Ryan), riesce a dargli un minimo di pace e stabilità, dove invece gli altri non fanno altro che contribuire al caos interiore dell'uomo che, attraverso la commedia che ha scritto e sta portando a teatro, cerca una rinascita creativa e lavorativa dopo i successi cinematografici da blockbuster (da cui il titolo di questa pellicola).
Tutto sommato una girandola interessante che ci racconta la vita degli spettacoli di Broadway, la pazzesca lavorazione che c'è dietro, la fatica di chi ci mette tutto sé stesso e l'inevitabile difficoltà di farcela in un mondo che non solo ti etichetta dal primo secondo in cui ci metti piede, ma fatica davvero a darti una seconda occasione (vedi la stranissima critica del New York Times), ad andare oltre la tua primaria definizione. E' questo che fa impazzire Riggan, è questo che lo spezza in due e permette la creazione di un ego in costume da uomo-uccello che parla e dice le cose scomode, quelle che l'uomo non vuole sentirsi dire: sarebbe più facile tornare a fare al cinema, dove non bisogna dimostrarsi capaci di alcunché di artistico, dove già milioni di fan sono in adorazione, dove lo spietato mondo teatrale non solo non mette bocca, ma non è nemmeno preso in considerazione. E, invece, Riggan ha bisogno della redenzione, della sua rivincita che, per esserci, deve passare necessariamente per la distruzione di ciò che è stato e la rinascita in questo nuovo spettacolo del quale "Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)" ci racconta la faticosa messa in scena. Una volta ottenuto il suo scopo - e di fatto avendone fallito un altro - al protagonista non rimarrà che un'unica soluzione (finalmente comprensibile anche alla strampalata figlia Sam/Emma Stone)...
Ci sono molti temi in questa storia, molte questioni delicate e assolutamente attuali (rapporto padre-figlia, affermazione di sé, riscatto, sdoppiamento della personalità, rapporto coi mezzi di comunicazione, rappresentazione del mondo del teatro e di quello artistico in generale, rapporti di coppia ed umani per estensione, ...) e certamente ognuno troverà la sue valide ragioni per interessarsi a questo prodotto cinematografico, che fosse anche solo il banale interesse di capire per quali meriti "Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance)" è stato incoronato Miglior film dell'anno. Certamente è un film in grado di generare una discussione in proposito, di dividere, di lasciare qualche spunto o di lasciare perplessi. Ad ognuno "Birdman" farà un effetto diverso, ad ognuno susciterà emozioni differenti. Io l'ho visto e sono a posto così.
Ps. 9 candidature agli Oscar e 4 premi vinti: Miglior film, regia, sceneggiatura originale (in tutte e 3 la categorie è presente Iñárritu) e fotografia (di Emmanuel Lubezki, già vincitore l'anno scorso per "Gravity").
Box Office: $98.2 milioni
Consigli: Pellicola interessante, ma a mio avviso non adatta a tutti. Non è un esempio classico di intrattenimento per ogni occasione, ma un titolo da scegliere se si ha intenzione di immergersi e lasciarsi coinvolgere in un processo creativo e in un tormento emotivo che si mescolano insieme costantemente (oltre che un'orgia di personaggi interpretati da Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts). Insomma, una storia non sempre facile che a tratti si fatica a voler seguire. Di "Birdman" rimane chiaramente impresso il lavoro di montaggio - falsamente un'unica, lunghissima sequenza - e la colonna sonora praticamente tutta a batteria, oltre che naturalmente la figura centrale del protagonista e il suo bizzarro costume (ricordiamoci che Keaton è stato anche Batman, il che rende tutta questa operazione molto più reale di quanto non sembrerebbe). A dire il vero rimangono impressi anche gli enormi occhi di Emma Stone, ma questo a poco a che fare con l'impressione finale. Insomma, un film di cui farsi un'opinione, da vedere per capire cosa spinto tutti ad osannarlo. Può piacere o non piacere, ma se si ama il cinema (contemporaneo) questo è sicuramente uno di quei titoli che non si posso perdere.
Parola chiave: "What We Talk About When We Talk About Love", Raymond Carver.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 23 febbraio 2015

Oscar 2015: And the winners are...

Ce l'abbiamo fatta, finalmente!
Anche il 22 febbraio è ormai alle spalle e chi doveva vincere ha vinto. I migliori sono stati decretati - come del resto i peggiori (vedi qui) - e la stagione delle premiazioni relative al 2014 si può dire definitivamente chiusa. Con un po' di sollievo.
Tra tutti i red carpet, le interviste, i dietro le quinte esclusivi, i party, i pranzi, le colazioni, le cene e i gala non ci si stava proprio più dietro e la sovraesposizione mediatica globale stava cominciando a stancare anche i più tenaci.
Con gli Oscar di questa notte si sono confermate le numerose voci che volevano "Birdman" vero vincitore di questa edizione, oltre che i pronostici relativamente ai quattro attori che avrebbero vinto, praticamente sempre gli stessi da che la corsa ai premi è cominciata. E così sia, che Patricia Arquette abbia il suo Oscar contro ogni umana previsione possibile e nella speranza che la vittoria le dia indietro una carriera che sia degna di questo nome dopo il prolungato momento appannato. Speriamo che qualcuno sia rimasto colpito dal suo discorso di ringraziamento a tinte femministe e che si ricordino che anche donne meno canonicamente hollywoodiane come la Arquette possono raccogliere l'attenzione e il gusto di pubblico e critica. Insomma, non esiste solo Meryl Streep (ma meno male che comunque esiste).
Signora di "Boyhood" a parte, il vero piacere di questa serata è stato seguire le tre vittorie di J.K. Simmons per quel gioiellino di "Whiplash" e vedere finalmente riconosciuti i grandi talenti di Alexandre Desplat (Miglior colonna sonora) e Julianne Moore (il suo film ancora non l'ho visto, quindi attendo di capire se fosse veramente tutto meritato o se fosse più che altro arrivato il suo momento, diciamo). Anche la vittoria (annunciata) della Canonero per "The Grand Budapest Hotel" è stato un bel momento, anche se lei mi rimane antipatica e questo guasta un po' le cose. Sorprese gradite le numerose vittorie del film di Wes Anderson (4 in totale), ma meglio ancora è stato vedere riconosciuto l'Oscar per il Miglior montaggio a "Whiplash" e all'ottimo lavoro di Tom Cross.

 Altri momenti inaspettati sono stati la vittoria di Alejandro González Iñárritu come Miglior regista, che scippa di fatto la statuetta al favorito Richard Linklater (a cui era andato il Golden Globe); il riconoscimento come Miglior film d'animazione per "Big Hero 6" che francamente trovo un po' eccessivo; la felice scelta dell'Academy di non lasciare a bocca asciutta "The Imitation Game" (Miglior sceneggiatura non originale + un discorso strappalacrime dello sceneggiatore che, confessa sul palco, a 16 anni aveva tentato il suicidio poiché si sentiva diverso e quindi incompreso); la ritrovata buona stella di Lady Gaga che si spoglia di tutte le scemenze massmediatiche e punta tutto (o quasi, considerato quegli orrendi guanti) sulla qualità di una performance ineccepibile e di grande impatto; e quello sketch - per noi italiani così Gianni Morandi - in cui Neil Patrick Harris, conduttore della serata, ha riproposto una delle scene che certo rimane più impressa di "Birdman", andando a presentare sul palco solo in mutande.
Questo episodio doppiamente d'impatto rimarrà assolutamente il ricordo più indelebile della conduzione di Harris - esattamente come la selfie all-star lo è stata per la conduzione di Ellen l'anno scorso - eppure la cifra stilistica pare inevitabilmente diversa. Lungi da me essere bacchettone - queste trovate acchiappa ascolti e chiacchiericcio post evento le capisco e le contemplo senza falsi pudori - ammetto, però, che da uno come Neil Patrick Harris, che masticava show prima ancora di aver sperimentato la pubertà, mi aspettavo qualcosina di più. Di più non rispetto all'episodio adamitico, ma proprio a livello di contenuti e conduzione.
Il numero di apertura - tra canzoni, balli e citazioni cinematografiche a gogo - pareva promettere bene, anzi molto bene, solo che durante il resto della serata (francamente troppo lunga), i tempi troppo stretti, la necessità di dover far ridere a tutti i costi e tutto lo spazio dedicato a troppe personalità hanno inciso su un risultato finale meno brillante di quanto mi sarei aspettato. E' stato bravo - ma hey, battere l'assetto catatonico di James Franco sarebbe veramente una sfida per chiunque -, eppure si poteva fare di più, anche se gli concedo due cose: la prima è che seguire la conduzione dopo uno show così chiacchierato e riuscito come quello di Ellen era veramente difficile, la seconda è che la mia maledetta sfortuna mi ha costretto a vedere l'evento doppiato in italiano (cosa che non accade probabilmente dalla terza liceo), il che mi ha ampiamente sfavorito su tempi comici ed effetto delle battute, considerando l'ampia inadeguatezza dei due interpreti.
Chiusa la parentesi dello show, prima di passare alle vittorie, ci terrei solo a una veloce postilla: solitamente c'è sempre qualcuno capace di rimanere impresso per la scelta dell'abito, la classe, qualcosa. Quest'anno sono rimasto particolarmente insoddisfatto da questo punto di vista e a parte una sufficienza generale, nessuno ha veramente colpito. Da un lato sono contento di non rivedere per un po' le tremende scelte pre-maman di Keira Knightley, ma in generale mi pare si sia un po' sprecata l'occasione.
E ora l'ultimo punto da considerare, la ciliegina sulla torta: chi ha vinto VS chi ci si aspettava vincesse.
Dopo il toto votazioni innescato qualche giorno fa ho seguito in silenzio le varie opinioni pervenute, aspettando con ansia di sapere se e cosa sarebbe stato confermato. Ecco, quindi, qui sotto i vincitori effettivi di tutte le categorie (in giallo) ed evidenziati in verde tutti coloro che erano stati ritenuti i possibili vincitori. Chiaramente le scommesse non erano su tutte le categorie, ma solo le principali, ovvero le prime 10 (escludendo le 2 categorie sulle sceneggiature): dove manca la sottolineatura verde è perché vincitore effettivo e votazione coincidevano. Buona lettura!
Ps. Gli Oscar fatti di Lego sono qualcosa di fantastico!

Best Motion Picture of the Year
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, John Lesher, James W. Skotchdopole
Boyhood (2014/I): Richard Linklater, Cathleen Sutherland

Best Performance by an Actor in a Leading Role
Benedict Cumberbatch for The Imitation Game (2014)
Eddie Redmayne for The Theory of Everything (2014)

Best Performance by an Actress in a Leading Role
Julianne Moore for Still Alice (2014)

Best Performance by an Actor in a Supporting Role
Edward Norton for Birdman (2014)
J.K. Simmons for Whiplash (2014)

Best Performance by an Actress in a Supporting Role
Patricia Arquette for Boyhood (2014/I)

Best Achievement in Directing
Alejandro González Iñárritu for Birdman (2014)
Wes Anderson for The Grand Budapest Hotel (2014)

Best Writing, Screenplay Written Directly for the Screen
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo

Best Writing, Screenplay Based on Material Previously Produced or Published
The Imitation Game (2014): Graham Moore

Best Animated Feature Film of the Year
Big Hero 6 (2014)

Best Foreign Language Film of the Year
Ida (2013): Pawel Pawlikowski

Leviafan (2014): Andrey Zvyagintsev

Best Achievement in Cinematography
Birdman (2014): Emmanuel Lubezki

Best Achievement in Editing
Whiplash (2014): Tom Cross

Best Achievement in Production Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Adam Stockhausen, Anna Pinnock

Best Achievement in Costume Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Milena Canonero

Best Achievement in Makeup and Hairstyling
The Grand Budapest Hotel (2014): Frances Hannon, Mark Coulier

Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Score
The Grand Budapest Hotel (2014): Alexandre Desplat

Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Song
Selma (2014): Common, John Legend (Glory)

Best Achievement in Sound Mixing
Whiplash (2014): Craig Mann, Ben Wilkins, Thomas Curley

Best Achievement in Sound Editing
American Sniper (2014): Alan Robert Murray, Bub Asman

Best Achievement in Visual Effects
Interstellar (2014): Paul J. Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter, Scott R. Fisher

Best Documentary, Feature
Citizenfour (2014): Laura Poitras, Mathilde Bonnefoy, Dirk Wilutzky

Best Documentary, Short Subject
Crisis Hotline: Veterans Press 1 (2013): Ellen Goosenberg Kent, Dana Perry

Best Short Film, Animated
Feast (2014): Patrick Osborne and Kristina Reed

Best Short Film, Live Action
The Phone Call (2013): Mat Kirkby, James Lucas

#HollywoodCiak
Bengi

domenica 31 agosto 2014

Venezia 71: nomination & vincitori

Per la prima volta nella storia del Festival, il presidente di giuria è un compositore. Non uno a caso, chiaramente, ma nientemeno che il bravissimo Alexandre Desplat, 6 volte candidato al premio Oscar, vincitore di un Golden Globe, oltre che parecchi César in patria. Venezia 71 fa, così, una scelta molto interessante e dimostra di sapersi distinguere ancora nel panorama internazionale per spirito di iniziativa.
Il festival, come è ovvio, è già in corso, quindi provvedo subito a riportare tutta la lista dei film in concorso nelle principali sezioni, in attesa di scoprire quali saranno i vincitori - annunciati il 6 settembre - di questa edizione 2014!

Film in gara per il Leone d'Oro 2014

The Cut di Fatih Akın (Germania/Francia/Italia/Russia/Canada/Polonia/Turchia)
A pigeon sat on a branch reflecting on existence (En duva satt på en gren och funderade på tillvaron) di Roy Andersson
(Svezia/Germania/Norvegia/Francia)
99 Homes di Ramin Bahrani (USA)
Tales (Ghesseha) di Rakhshan Bani e'Temad (Iran)
Le rançon de la glorie di Xavier Beauvois (Francia/Belgio/Svizzera)
Hungry Hearts di Saverio Costanzo (Italia)
Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte (Francia)
Pasolini di Abel Ferrara (Francia/Belgio/Italia)
Manglehorn di David Gordon Green (USA)
Birdman di Alejandro González Iñárritu (USA)
3 coeurs di Benoît Jacquot (Francia)
The Postman's White Nights (Belye nochi pochtalona alekseya trayapitsyna) di Andrei Konchalovsky (Russia)
Il giovane favoloso di Mario Martone (Italia)
Sivas di Kaan Müjdeci (Turchia)
Anime nere di Francesco Munzi (Italia/Francia)
Good Kill di Andrew Niccol (USA)
Loin des hommes di David Oelhoffen (Francia)
The Look of Silence di Joshua Oppenheimer (Danimarca/Finlandia/Norvegia/Indonesia/Gran Bretagna)
Fires on the Plain (Nobi) di Shinya Tsukamoto (Giappone)
Red Amnesia (Chuangru zhe) di Xiaoshuai Wang (Cina)

Orizzonti
(il presidente di giuria è Ann Hui)
Theeb di Naji Abu Nowar (Giordania/Emirati Arabi Uniti/Qatar/Gran Bretagna)
Line of Credit (Kreditis Limiti) di Salome Alexi (Georgia/Germania/Francia)
Senza nessuna pietà di Michele Alhaique (Italia)
Cymbeline di Michael Almereyda
La vita oscena di Renato De Maria (Italia)
Near Death Experience di Benoît Delépine e Gustave Kervern (Francia)
Réalité di Quentin Dupieux (Francia/Belgio)
Goodnight Mommy (Ich seh/Ich seh) di Veronika Frank e Severin Fiala (Austria)
Hill of Freedom (Jayueui onduk) di Sangsoo Hong (Corea del Sud)
Bypass di Duane Hopkins (Gran Bretagna)
The President di Mohsen Makhmalbaf (Georgia/Francia/Gran Bretagna/Germania)
Your Right Mind di Ami Canaan Mann (USA)
Belluscone - Una storia siciliana di Franco Maresco (Italia)
Nabat di Elchin Musaoglu (Azerbaijan)
Heaven knows what di Josh Safdie e Ben Safdie (USA/Francia)
These are the rules (Takva su pravila) di Ognjen Svilicic (Croazia/Francia/Serbia/Macedonia)
Court di Chaitanya Tamhane (India)

Cortometraggi
La bambina (Bache) di Ali Asgari (Italia/Iran)
Lift you up di Ramin Bahrani (USA)
Ferdinand Knapp di Andrea Baldini (Francia)
Great Heat (Da shu) di Tao Chen (Cina)
Mademoiselle di Guillame Gouix (Francia)
Castillo y el armado di Pedro Harres (Brasile)
Daily bread (Pat - Lehem) di Idan Hubel (Israele)
L'attesa del maggio di Simone Massi (Italia)
3/105 di Avelina Prat e Diego Opazo (Spagna)
Maryam di Sidi Saleh (Indonesia)
Art (Arta) di Adrian Sitaru (Romania)
Era apocrypha di Brendan Sweeny (USA)
Cams di Carl-Johan Westregård (Svezia)
In overtime (Fi al waqt al dae'a) di Rami Yasin (Giordania/Palestina)

Bengi