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lunedì 17 gennaio 2022

Film 2076 - Sorry We Missed You

Intro: Completamente sconnesso dall'atmosfera natalizia del mese scorso, decido di vedere questa pellicola citata in un servizio di Report che stavo guardando su YouTube. Perché ogni tanto - anche quando il periodo è un po' difficile - bisogna anche ricordarsi che il cinema non è solo intrattenimento.

Film 2076: "Sorry We Missed You" (2019) di Ken Loach
Visto: dal portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: non sono l'estimatore numero 1 di Ken Loach, ma sicuramente quello che ho visto l'ho apprezzato, compreso questo "Sorry We Missed You".
Un filino meno tragico (quantomeno nel finale) del precedente "I, Daniel Blake", l'ultima fatica del grande regista inglese è nuovamente localizzata nel contemporaneo, come sempre nel mondo del lavoro, questa volta in particolare concentrandosi sulla categoria dei corrieri.
Il film parte con toni quotidiani piuttosto normali, caratteristica tipica di prodotti di questo genere e del regista in particolare, per poi man mano contorcesi in un susseguirsi di difficoltà, ostacoli e complicazioni che portano i protagonisti all'inevitabile confronto con una situazione - il vero cuore della storia - tanto estrema quanto ormai inevitabile. E' frustrante e doloroso assistere all'inevitabile complicarsi di un quadro clinico già precario, è impossibile non provare empatia per una famiglia che, come tante altre, fa del suo meglio per stare a galla e vorrebbe semplicemente poter lavorare onestamente. Lo standard di impiego, invece, è basso, le persone sono lasciate al loro destino, il lavoro e la possibilità di svolgerlo con dignità non sono più un diritto, ma una concessioni che vengono dall'alto - da entità non ben definite - e a cui la persona deve attaccarsi con le unghie e con i denti.
Ken Loach è il regista perfetto a portare sul grande schermo queste realtà e questi racconti sia per un interesse personale che per un background cinematografico che lo rendono uno dei più appassionati artisti ancora oggi interessati a mettere al centro delle proprie opere l'elemento sociale e umano. E, neanche a dirlo, se "Sorry We Missed You" funziona e va a toccare le corde giuste è certamente grazie a lui (senza nulla togliere a chiunque altro abbia partecipato al progetto).
Cast: Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor.
Box Office: $8.5 milioni
Vale o non vale: Pellicola non facile, ma bella e onesta. Un gran pugno allo stomaco per un'infinità di motivi (da vedere), eppure un film che lascia lo spettatore con la soddisfazione di aver visto qualcosa che abbia un valore e che sia in grado di sollecitare un dibattito. E non è poco.
Premi: Candidato al BAFTA come Outstanding British Film of the Year e candidato ai David di Donatello come miglior film straniero. In concorso a Cannes 2019.
Parola chiave: Chiavi.

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#HollywoodCiak
Bengi

martedì 14 febbraio 2017

Film 1305 - Io, Daniel Blake

Come ho già detto, tra i vari vantaggi di lavorare per/in un cinema, oltre a quello di conoscere persone interessanti, c'è quello di poter vedere le pellicole in proiezione...

Film 1305: "Io, Daniel Blake" (2016) di Ken Loach
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Gli unici film di Ken Loach che avevo visto nella mia vita ("Un bacio appassionato" e "Il vento che accarezza l'erba") francamente non mi avevano sconvolto e la fama da regista impegnato che segue ed alleggia sul famoso artista mi frenavano leggermente. In realtà già alla fine del primo tempo ero stato ampiamente conquistato da Daniel Blake e la sua dolce e triste storia.
"I, Daniel Blake" è un gran film che non ha bisogno di scelte pietose per arrivare al cuore del pubblico. La trama è straziante e i pugni nello stomaco arrivano piano, ma tutti ben assestati, eppure la lensazione alla fine della visione è quella di aver assistito a qualcosa di quasi magico.
L'umanità alla base del personaggio protagonista (interpretato da Dave Johns) colpisce e lascia non pochi spunti su cui riflettere e il bel rapporto che nasce tra Daniel, Katie (Hayley Squires) e la sua famiglia è quel racconto di cui ogni tanto abbiamo bisogno per rivedere del buono, una speranza negli altri, un aiuto se necessario che arrivi grauito e fatto in nome della semplice gentilezza e disponibilità. In un mondo fatto di ostacoli, burocrazia ed un cieco automatismo in cui è facile sentirsi presto lasciati fuori - soprattutto quando si è poveri -, la necessità di sopravvivvere spinge ognuno verso scelte differenti e anche il semplice conforto di un nuovo amico può rappresentare quell'elemento di differenza capace di cambiare tutto.
Qui Daniel Blake non è solo una persona, ma è un messaggio, a volte disarmante e sconcertante, a volte umanamente potente. Fossimo in America si potrebbe anche ribattezzare "The People vs. Daniel Blake", un cittadino qualunque che vuole semplicemente vivere l'ultima parte della sua vita con dignità e decoro, ma che finirà per scontrarsi contro la gigantesca montagna statale della previdenza sociale. Non c'è pietà per chi non rispetta le regole, non ci sono soluzioni alle contraddizioni interne, non c'è limite al senso di solitudine e impotenza e, nonostante questo, Daniel non getterà la spugna in nome dei suoi diritti e della ragione che è dalla sua parte. Eppure, dopo la gioia del trovare finalmente ascolto, il racconto non tarderà a ricordarci che spesso la vita è anche più dura di quanto non sia riuscita già ad essere fino a quel momento. Ma il messaggio di Daniel lo abbiamo recepito forte e chiaro.
Ps. Palma d'Oro a Cannes 2016 e BAFTA per il Miglior film britannico.
Cast: Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Sharon Percy.
Box Office: $12.45 milioni
Consigli: "Io, Daniel Blake" è un film potente e raffinato, privo di fronzoli e certamente triste. Non è una pellicolà che soddisferà tutti e certamente non è adatta ad ogni occasione, ma sono sicuro che una volta vista non mancherà di lasciare il segno.
Parola chiave: Lavoro.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 5 maggio 2016

Film 1131 - Norma Rae

Ne avevo sempre sentito parlare per un motivo o per un altro, ma non lo avevo mai visto. Così una sera a cena ho deciso di recuperarlo.
Film 1131: "Norma Rae" (1979) di Martin Ritt
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ho sempre pensato che i film degli anni '70, a prescindere dalla tematica, siano tutti maledettamente lunghi. Questa non è necessariamente una caratteristica negativa, quanto più un dato di fatto: per arrivare al dunque bisogna aspettare e non poco. Ad alimentare questa mia considerazione è arrivato casualmente "Norma Rae", pellicola interessante sulla costituzione del sindacato in una fabbrica di tessuti dell'Alabama, che prima di arrivare al nocciolo della questione spende tantissimo tempo nella contestualizzazione, a volte perdendo un po' di vista il centro dell'obiettivo: in questo senso mi ha molto colpito constatare che la prima parte della storia - per me a tratti interminabile - sia riassunta su Wikipedia inglese nel giro di tre semplici righe.
Ovviamente il contorno ha il suo valore e aiuta nel costruire le personalità dei vari personaggi e certamente il linguaggio cinematografico degli anni '70 non è lo stesso nostro contemporaneo, in ogni caso sono sicuro che qualche sforbiciata narrativa qua e là potesse essere operata.
Al di là di ciò, comunque, "Norma Rae" è un titolo che non solo è riuscito a incuriosirmi sin dall'inizio, ma anche a lasciarmi ampiamente soddisfatto. Probabilmente il motivo principale risiede nella presenza della mitica Sally Field, qui al suo primo Oscar, che da sola porta avanti la storia della protagonista mettendoci passione, impegno e talento, riuscendo a caratterizzare un personaggio non facile (nel senso che rendere indimenticabile una donna ordinaria, fondamentalmente ignorante, che come unici scopi nella vita ha i figli e il lavoro in fabbrica non è esattamente impresa che possa riuscire a tutti). Inoltre mi hanno sempre coinvolto le storie legate ai diritti civili o alle rivendicazioni di quei diritti fondamentali che oggi diamo per scontati ma che una volta andavano conquistati con la lotta, il sacrificio e l'impegno personale. In questo senso la pellicola di Ritt è esaustiva e ben argomentata, e riusce a rappresentare in maniera chiara ed efficace i passaggi che Norma, sulla base dei consigli del sindacalista Reuben (Ron Leibman), mette in pratica per sensibilizzare non solo i suoi datori di lavoro, ma in primo luogo i suoi diffidenti colleghi. Memorabile la scena in cui la donna, salita su un macchinario al centro della fabbrica, esibirà un cartello con scritto "Union", sindacato, davanti a tutti gli altri lavoratori che, finalmente, abbracceranno la protesta e uno ad uno spegneranno le apparecchiature lasciando, così, la rumorossissima fabbrica nel completo silenzio.
Ecco, dunque: Norma Rae non ha convinto solo i suoi colleghi, ma ha certamente convinto anche me.
Ps. Candidato a 4 Oscar, tra cui Miglior film, ha vinto per la Miglior attrice e la Miglior canzone originale ("It Goes Like It Goes" cantata da Jennifer Warnes). Sally Field, inoltre, ha vinto a Cannes come Miglior attrice.
Cast: Sally Field, Beau Bridges, Ron Leibman, Pat Hingle, Barbara Baxley, Gail Strickland, Morgan Paull.
Box Office: $22,228,000
Consigli: Tratto dalla storia vera di Crystal Lee Sutton - riportata nel libro "Crystal Lee, a Woman of Inheritance" da Henry P. Leifermann -, il film è un po' fuori dai canoni attuali di montaggio e recitazione (la morte del padre in fabbrica è imbarazzante), ma si fa comunque apprezzare per la genuinità dell'intento e la forza del suo personaggio princiaple. Un tema interessante, una giovane attrice capace per un risultato finale che vale la pena di recuperare.
Parola chiave: Sindacato.

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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 25 settembre 2015

Film 1001 - Affare fatto

A casa in malattia: film 11. Siamo giunti alla fine!

Film 1001: "Affare fatto" (2015) di Ken Scott
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ultimo titolo della mia collezione "Salvate il malato Bengi", la scelta è ricaduta su una classica commedia stupida, così per arrivare a fine serata senza pensieri.
"Unfinished Business" ha un cast pazzesco che spreca per una serie di banalità anche volgarotte, ma di certo al cosa non mi ha colto alla sprovvista. Mi aspettavo tutto quello che ho visto (perfino il lato B di Dave Franco), per cui niente ha potuto scalfire la mia ultima, tranquilla visione casalinga.
La trama è semplice: Dan, che si dimette dalla sua vecchia compagnia, ne comincia una propria insieme a due matti e, a fatica, nel giro di un anno riescono ad ottenere la loro grande occasione. Credendo di dover solo ottenere la fimra del contratto che consentirebbe loro di svoltare, scopriranno invece che il vecchio capo di Dan è pronto a mettergli i bastoni fra le ruote.
Come si capisce, la storia non ha nulla di originale e anche se le avventure folli che ci sono in mezzo hanno qualche momento divertente, il risultato finale non è così spassoso come sarebbe dovuto essere per giustificare tanta volgarità e banalità. Diciamo che salvo il terzetto improbabile (Vince Vaughn, Dave Franco, Tom Wilkinson) e poco altro. Insomma, niente di che.
Cast: Vince Vaughn, Dave Franco, Tom Wilkinson, Sienna Miller, Nick Frost, James Marsden, June Diane Raphael.
Box Office: $13.6 milioni
Consigli: Boiatona che ha qualche momento divertente e che principalmente si posiziona nell'intrattenimento a cervello spento che mira ad essere successone commerciale grazie a divertimenti fino all'eccesso, politicamente scorretto, sesso e protagonisti improbabili insieme ma che in realtà funzionano. La formula - a livelo di incasso - non ha funzionato, ma non si può dire che sia un titolo peggiore di altri che, invece, sono stati clamorosi successi commerciali. Forse la stella di Vince Vaughn si è spenta, ma non è colpa sua: probabilmente non avrebbe mai dovuto accendersi.
Parola chiave: Viaggio d'affari.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 9 maggio 2011

Film 252 - C'è chi dice no

Questa volta appuntamento al cinema con Licia (toscana) per una commedia italiana ambientata a Firenze. E lei non ha gradito...


Film 252: "C'è chi dice no" (2011) di Giambattista Avellino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Licia
Pensieri: "C'è chi dice no" è un film che, a farsi un'idea senza conoscerne il contenuto, parrebbe avere molto da dire (vedere il trailer per credere), ma che, alla resa dei conti (ossia in sala), delude profondamente.
Il tema dei raccomandati, in Italia, sembra piuttosto sentito e, proprio per questo, andrebbe affrontato con un piglio meno burlone nonostante si tratti di una commedia.
Secondo la sceneggiatura di Fabio Bonifacci basta fare un po' di 'sano' stalking ai 'ruba-posto' per stressare un po' la vita (se non proprio fargliela pagare) a coloro i quali si sono visti favoriti rispetto ai veri meritevoli sul posto di lavoro. Se non fosse che è un film sarebbe, tra l'altro, un suggerimento un attimo rischioso. Ma siccome gli ideali (e il bisogno di soldi) sono più forti della paura, non c'è per niente da stupirsi quando i tre del 'no' del titolo (Luca Argentero, Paola Cortellesi e Paolo Ruffini) decidono di scendere in campo. E qui, purtroppo, il film si incaglia.
Volendo sorvolare sugli imbarazzanti accenti toscani di Cortellesi (da brividi) e Argentero (che continua a non essere un attore, anche se è migliorato), non si può far finta di non vedere il poco brio di queste punizioni inflitte al nemico raccomandato. Regge bene solo Ruffini, tra l'altro, che nella parte dello sfigato pare esserci nato.
Malissimo la conclusione (spoiler!) - con una polizia stranamente efficiente - che scivola clamorosamente in un autogol: tutto rimane com'è (tra i raccomandati) e i 3 si ritrovano ai domiciliari nella stessa casa. Potrà essere un dignitoso finale da commedia? Perchè non si possono intraprendere tutti i generi cinematografici: o un film di denuncia, o divertente, o sopra le righe o una fiction che, però, si basa sulla realtà. Se fino allo smascheramento dei concorsi truccati il tono è leggero e disimpegnato (lo dimostrano i dialoghi più mirati alla battuta che a riportare fatti di triste attualità), la virata finale prende tinte più reali dal punto di vista della situazione del lavoro in Italia - dove puoi cacciare i raccomandati, ma sicuramente saranno rimpiazzati da altri come loro - e fa ricadere sui 3 addirittura una condanna. Il tono scanzonato avrebbe richiesto, a mio avviso, se non un banale happy ending, quantomeno una soddisfazione più tangibile per lo spettatore che si è subito una filippica di 95 minuti e poi si ritrova col tutto come prima.
Aggiungo: Myriam Catania (che un po' raccomandata, se vogliamo, lo è: è figlia di Rossella Izzo e nipote di Simona Izzo, Giuppy Izzo...) sarà per il ruolo, sarà perchè lo recita bene, è di un'antipatia infinita. Ma la voce è tra le più famose d'Italia (doppia personaggi come Keira Knightley, Lindsay Lohan, Jessica Alba e Amanda Seyfried) ed è strano contestualizzarla sul suo viso...
Ps. Nel film anche Edoardo Gabbriellini, cuoco in "Io sono l'amore" di Guadagnino, qui in una parte decisamente più frizzante.
Consigli: Purtroppo una commedia che, nonostante i buoni propositi non decolla. Il trio è poco affiatato se non addirittura poco legato, inadatto. Si salva la cornice fiorentina e la buone intenzioni di piazzare un film del genere in un contesto di attualità. Ma non basta. E' sicuramente un ottimo disimpegno per una serata senza pensieri.
Parola chiave: Scarpe rosse.

Trailer

Ric

lunedì 25 ottobre 2010

Film 157 - Laureata...e adesso?

Voglia di leggerezza. E ne ho trovata tanta...


Film 157: "Laureata...e adesso?" (2009) di Vicky Jenson
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non tutti i film possono essere capolavori. Certo dopo aver visto "Inception" un film come questo perde completamente il minimo valore che poteva possedere originariamente. Vorrei, poi, ringraziare il genio che ha tradotto il titolo originale "Post Grad" (dopo diploma) con questo nostro italiano. Ridicolo e per niente invitante.
Questo, ovviamente, non aiuta un film già di per sé debole, privo di appeal commerciale, con una protagonista (Alexis Bledel) rimasta frigida dai tempi di "Una mamma per amica". Zero emozioni, risulta pure perfino antipatica. Resta legata al ruolo di secchioncella-saputella che l'ha resa famosa - qui manca la fondamentale parlantina del tv show - e non le riesce nemmeno tanto bene. Rimane di ghiaccio perfino con il bollente Rodrigo Santoro.
Il contorno attoriale, potenzialmente buono, rimane bloccato dalla bizzarra sceneggiatura che punta sulla famigliola freak che però si vuole bene. Il padre Michael Keaton è un nerd. Il fratellino Bobby Coleman è un futuro maniaco. La madre Jane Lynch (Sue Sylvester di "Glee"!) arresa ad una famiglia di pazzoidi senza motivo. C'è pure Carol Burnett, star della tv americana (5 Golden Globes vinti!) e il camaleontico J.K. Simmons (il papà di "Juno" per intenderci).
Il resto è noia.
Consigli: Assolutamente perdibile. Anzi, consigliatamente - concedetemi il neologismo - perdibile...
Parola chiave: Lavoro.




Ric