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domenica 22 gennaio 2023

Film 2162 - Puss in Boots: The Last Wish

Intro: Altro giro altro regalo, rimaniamo sulle scelte facili facili, ma questa volta di animazione.

Film 2162: "Puss in Boots: The Last Wish" (2022) di Joel Crawford
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Ciarán
In sintesi: sarò onesto, non ricordo assolutamente nulla del primo film uscito nel 2011 se non la parte in cui il gatto caccia fuori gli occhioni (esattamente come qui). Per il resto, buio totale. La verità, comunque, è che non serve ricordarsi molto di quanto successo prima per godersi questo secondo "Puss in Boots".
L'altra grande ammissione che devo fare è che non sono mai stato particolarmente fan di "Shrek", specialmente i vari sequel. Il gatto con gli stivali appare in "Shrek 2" e sicuramente è una delle aggiunte più significative e apprezzabili del franchise.
Premesse fatte, posso dire che "Puss in Boots: The Last Wish" sia assolutamente un'avventura divertente e piacevole da seguire. Inutile sottolineare quanto Antonio Banderas faccia la differenza nel valorizzare il personaggio, rappresentandolo con grande ironia e tempi comici perfetti. A Salma Hayek do la sufficienza, nel senso che non ha certamente fatto un cattivo lavoro, ma niente della sua performance è davvero memorabile. E parlando di performance che rimangono impresse, sicuramente Harvey Guillén ("What We Do in the Shadows") nei panni di Perrito regala a questo sequel quello che gatto con gli stivali aveva regalato a "Shrek 2", ovvero un personaggio iconico.
E' vero, è vero, di personaggi come il piccolo cagnolino che si finge gatto se ne sono già visti, eppure mi è sembrato che Guillén sia riuscito nell'ardua impresa di far suo un personaggio già visto e migliorarlo. Davvero Perrito è uno degli aspetti più riusciti del film.
Film che, in generale, funziona e scivola via come l'olio, senza che lo spettatore se ne renda nemmeno conto (la pellicola dura a malapena un'ora e mezza, quello che oggi potrebbe essere la lunghezza di un epiosidio di una serie tv). Il che è raro per un sequel di uno spin-off.
L'unico aspetto che veramente non ho gradito, invece, è il nuovo look che è stato applicato a questo "Puss in Boots: The Last Wish", un mix tra l'estetica precedente e una nuova da fumetto che a mio avviso non solo non si amalgama bene, ma finisce anche per distrarre lo spettatore. Francamente l'ho trovata una strana scelta considerato che solitamente non si cambia uno degli aspetti del tuo brand - così importante come tra l'altro - in corso d'opera. Non so se questa nuova estetica fosse stata adottata precedentemente nella serie Netflix "The Adventures of Puss in Boots" (2015–2018), però a me non ha convito.
A parte questo, comunque, la narrazione funziona, il risultato finale è godibile e il cast fa davvero un ottimo lavoro. Tutto sommato un ottimo sequel.
Film 1317 - Il gatto con gli stivali
Film 2162 - Puss in Boots: The Last Wish
Cast: Antonio Banderas, Salma Hayek Pinault, Harvey Guillén, Florence Pugh, Olivia Colman, Ray Winstone, Samson Kayo, John Mulaney, Wagner Moura, Da'Vine Joy Randolph, Anthony Mendez.
Box Office: $268.9 milioni (ad oggi)
Vale o non vale: Simpatico, divertente e godibile, questo sequel di "Puss in Boots" anche a distanza di 11 dal primo capitolo funziona e intrattiene. La premesse è intrigante e lo svilupo ben ritmato, il tutto perfettamente doppiato da un nuovo dinamico duo: Antonio Banderas e Harvey Guillén.
Premi: Candidato ai Golden Globes e BAFTAs per il Miglior film d'animazione.
Parola chiave: Mappa.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 29 marzo 2021

Film 1976 - Soul

Intro: Nuova serata di cinema casalingo per gli adepti del Penthouse Cineforum. Questa volta virata d'animazione.
Film 1976: "Soul" (2020) di Pete Docter
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Kate, Bizzy
In sintesi: la Pixar si addentra in tematiche sempre più complesse decidendo, questa volta, di raccontare una storia che ruota tutta attorno al concetto di morte e aldilà. Idea non facile di base, è ancora più interessante che a portare questo film alla luce sia una casa di produzione di pellicole d'animazione. Anche se, probabilmente, buona parte del motivo per cui "Soul" effettivamente funziona risiede proprio in questo elemento chiave che, facendosi scudo tramite l'implicazione giocosa e quasi ludica del cartone animato, riesce a trattare tematiche complesse senza rischiare di cadere nella banalità o in una eccessiva drammaticità. Però diciamocelo fin da subito: "Soul" non è necessariamente un film per bambini, quanto più probabilmente un prodotto per un pubblico più adulto. Proprio come lo è stato "Inside Out".
Dopo l'esplorazione emotiva di qualche anno fa - curiosamente la protagonista di "Inside Out" è Amy Poehler, amica e spesso collega della protagonista femminile di questa pellicola, Tina Fey, mentre Pete Docter è il regista di entrambe le pellicole - Pixar decide di rincarare la dose ed esplorare in maniera colorata e con un notevole spirito di avventura il (classico e molto) complesso tema del cosa ci possa essere dopo la morte e cosa accada alle anime di coloro che abbiano lasciato il mondo terreno. Chapeau per coraggio e intraprendenza.
Gli escamotage narrativi utilizzati dalla storia per giustificare e contestualizzare un mondo così distante e impensabile dalla concreta realtà cui siamo abituati sono assolutamente ben architettati e va menzionato lo sforzo della sceneggiatura di dare spazio a tutta una serie di tematiche legate all'esistenza umana in generale (senso della vita, traguardi da raggiungere, importanza di seguire i propri sogni, solitudine, passato e connessione con le proprie radici) che arricchiscono il racconto di più strati narrativi significativi. A livello estetico - ma qui nessuna sorpresa - il film è solidamente costruito e particolarmente piacevole.
Detto questo, come sempre, un vago senso di insoddisfazione personale va ricondotto al plebiscito mediatico rispetto alla qualità di questa pellicola che, dopo essermi stata "venduta" come l'ennesimo nuovo capolavoro Pixar, ha in parte gonfiato le mie aspettative nei confronti di questo titolo. Che, per carità, è stato assolutamente godibile - specialmente se pensiamo a cosa sia stato reso disponibile in questo periodo di pandemia ("Wonder Woman 1984" e "Mulan" due grandi delusioni) - ma forse meno rivoluzionario o innovativo di quanto mi sarei aspettato. O forse mi sono semplicemente un po' stufato di Hollywood?
Cast: Jamie Foxx, Tina Fey, Graham Norton, Rachel House, Alice Braga, Richard Ayoade, Phylicia Rashad, Donnell Rawlings, Questlove, Angela Bassett.
Box Office: $116.3 milioni
Vale o non vale: Piacevole diversivo d'animazione che, mascherato da titolo per tutta la famiglia, non manca di affrontare tematiche adulte e profonde. Rimane sufficientemente spensierato da non risultare pesante, anche se sarà impossibile evitare qualche riflessione personale sull'aldilà una volta terminata la visione.
Premi: Candidato a 3 Oscar e 3 BAFTA per Miglior film d'animazione, sonoro e colonna sonora. Vincitore di 2 Golden Globe per Miglior film d'animazione e colonna sonora.
Parola chiave: Tombino.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 5 aprile 2017

Film 1336 - La comune

Due weekend fa ero a Milano per il terzo appuntamento del master che sto seguendo. L'argomento erano le digital pr e, più in generale, la promozione di contenuti legati alle pellicole in uscita in sala e la loro relativa promozione. Come esempio concreto ci è stato presentato il trailer di questa pellicola che mi ha subito incuriosito. Così, tornato a casa, ho dedicato la mia domenica sera alla scoperta della storia che mi aveva così intrigato.

Film 1336: "La comune" (2016) di Thomas Vinterberg
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non dico che mi aspettassi una commedia, ma certamente qualcosa di un filo più leggero sì. Soprattutto perché l'inizio sembra tutto rose e fiori e divertimento, mentre basta che passi la prima mezzora per capire che in realtà i toni saranno tutt'altro che allegri.
Essendo questo "Kollektivet" il secondo film danese che vedo in tutta la mia vita dopo "Il pranzo di Babette", l'impressione che ho avuto - sulla base di così scarsi dati - è che in Danimarca abbiano un modo di affrontare le situazioni molto diverso dal mio. Qui si accetta tutto a testa bassa, come se fosse possibile sopportare qualsiasi prova attraverso la sola razionalità (non sarà, invece, così). In Italia una storia del genere si sarebbe risolta forse in rissa, sicuramente fra urla e schiamazzi.
La comune, come idea, mi inquieta. Tutto il giorno tutti i giorni con qualcuno, sempre in mezzo ad altre persone, le loro storie, le loro necessità e problemi. Trovo l'idea di per sé intrigante, ma nel concreto ingestibile per quanto mi riguarda. Ecco perché questa storia mi affascinava tanto, solleticando una curiosità da esperimento sociale. In realtà la comune è solo un pretesto, quasi un esperimento nostalgico, in ogni caso non il centro della vicenda che, invece, è rappresentato dalla relazione fra i due protagonisti Erik e Anna (Ulrich Thomsen, Trine Dyrholm). Francamente speravo che il racconto intraprendesse sentieri più inesplorati e interessanti - per quanto, come dicevo, anche le situazioni cui siamo certamente abituati (vedi tradimento e sua confessione, ecc...) qui sono trattate in maniera poco convenzionale - e sicuramente più legati alla vita di gruppo e alle dinamiche che si innescano in una situazione particolare come quella presentata qui. Da questo punto di vista, a mio avviso, il film spreca un po' il suo potenziale iniziale. Per certi versi mi ha ricordato un altro titolo che nasceva sul pretesto di un esperimento sociale, "L'onda", per quanto qui manchilo slancio di approfondire le dinamiche di gruppo e le conseguenze che le varie situazioni hanno su tutte le persone coinvolte.
Insomma, mi aspettavo un film diverso. Il poster italiano suggerisce un numero di protagonisti altissimo che in realtà non c'è e il trailer sfrutta il dinamismo dei primi 30 minuti per creare aspettative di un certo tipo che, dicevo, naufragano nel giro di qualche scena. Diciamo che di per sé la storia ha un certo appeal e gode di una protagonista femminile particolarmente magnetica per la quale non si fatica a provare simpatia ed empatia; in ogni caso il risultato finale si discosta molto dal mio modo di vedere e affrontare certe situazioni e tematiche, per cui ho un po' faticato a portare a termine la visione.
"La comune" è un film che incuriosisce ma, a mio avviso, fatica ad andare oltre le intriganti premesse iniziali.
Ps. Vincitore dell'Orso d'Argento per la Migliore attrice alla Berlinale 2016.
Cast: Ulrich Thomsen, Fares Fares, Trine Dyrholm, Julie Agnete Vang, Lars Ranthe, MagnusMillang, Martha Sofie, Wallstrøm Hansen, Anne Gry Henningsen, Sebastian Grønnegaard Milbrat.
Box Office: $3.64 milioni
Consigli: Vivere in una comune danese degli anni '70 è l'incipit della storia che il regista danese de "Il sospetto" e "Via dalla pazza folla" racconta qui. In realtà la sceneggiatura andrà a percorrere strade più tradizionalmente battute, scegliendo di coinvolgere la vita di gruppo solo superficialmente e preferendo, invece, focalizzarsi su quella famigliare e di coppia. Il risultato finale è un così così, i toni sono particolarmente drammatici da un certo punto in poi, la ricostruzione storica efficace. Non un film per ogni occasione, ma una storia che ha dalla sua il pregio di incuriosire con una tematica non troppo familiare.
Parola chiave: Eredità.

Se ti interessa/ti è piaciuto

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

martedì 10 aprile 2012

Film 378 - One Day

Attratto da protagonisti, storia e locandina, ho proposto a Marco questa pellicola di cui, però, nessuno dei due sapeva praticamente alcunché.


Film 378: "One Day" (2011) di Lone Scherfig
Visto: dal computer di di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Marco
Pensieri: Oltre ad un bellissimo lavoro sul poster del film, al glam suscitato dalla Hathaway (e, perchè no, anche da Sturgess che dopo il visionario "Across the Universe" ha decisamente acquistato punti, anche se poi in effetti è praticamente sparito) e ad una trama dall'input oggettivamente affascinante (due si conoscono, decidono di rimanere amici anche se sanno di essere innamorati - ma non sono pronti - e si rivedono una volta all'anno il giorno dell'anniversario del loro primo incontro), "One Day" non mi ha colpito per molto altro.
Mi aspettavo amore travolgente, passione, vita che rema contro e amore che abbatte ogni confine, personaggi capaci di intraprendere percorsi che valgano la pena di essere raccontati. Anche se, come spesso, mi ritrovo ad attendermi cose un po' lontane da quelle che saranno raccontate, credo di poter dire con serenità che per questa pellicola si potesse fare di più. Emma e Dexter si dicono tante di quelle robe sdolcinate che, a parole, parrebbe di stare in uno di quei filmetti per ragazzine alla "Dear John" o "Le pagine della nostra vita", eppure il risultato finale è piuttosto piatto e privo di grandi slanci di cuore. Manca un po' di "anima", non so se mi spiego.
Eppure, ripeto, l'input ha delle potenzialità grandissime! Raccontare 20 anni di vita di due persone passando per quell'unico giorno dell'anno in cui da sempre si incontrano parebbe dare una rosa di possibilità tanto ampia da dare alla testa. Ma lo sceneggiatore David Nicholls (in realtà anche autore del libro "Un giorno" da cui è tratto il film) si introduce alla descrizione di personaggi troppo cliché (lui conduttore di programmi tv spazzatura di grande successo, lei maestrina che vuole cambiare la vita dei suoi studenti), bloccati nella bidimensionalità della carta da cui provengono. E poi dov'è il trasporto, l'ansia, la voglia, la centralità dell'appuntamento annuale che dovrebbe percorrere i due protagonisti dalla testa ai piedi? Mi pare proprio che manchi la simbolicità di un evento che, a partire già dal titolo, dovrebbe ricoprire la centralità della narrazione. Ho avvertito troppo debolmente questo aspetto.
Ho apprezzato, invece, la come sempre grandissima Patricia Clarkson, qui nel ruolo della mamma di Dexter, un'attrice che è un piacere veder recitare per capacità e grazia. Eppure è sempre pochissimo considerata. Abbastanza bene i due 'ragazzi', anche se la Hathaway non mi è sembrata al top della forma (l'ultima interpretazione veramente interessante è stata la Regina Bianca di "Alice in Wonderland", ma attendiamo la sua Catwoman in "Il cavaliere oscuro - Il ritorno").
Insomma, il prodotto raggiunge appena la sufficienza e, bisogna dirlo, non centra e/o soddisfa appieno le aspettative. Peccato, i numeri c'erano. Al box office, comunque, il risultato non è stato pessimo: 15milioni di dollari per produrlo e $56,706,628 di incasso totale.
Consigli: La regista è la stessa di "An Education", un paio d'anni fa silenziosa sorpresa degli Oscar che aveva conquistato la critica (io non sono mai riuscito a finire di vederlo...). Vale la pena, forse, scoprire come la regista danese si confronta, qui come allora, con un'opera tratta da un romanzo per tentare un confronto o, per meglio dire, per aggiungere un pezzo del puzzle.
Parola chiave: Incontro.

Trailer

Ric

lunedì 8 novembre 2010

Film 176 - Mangia, prega, ama

Anche qui è un po' come per Tom Cruise: ce la farà la 'diva Julia' a riportare in auge la sua carriera?


Film 176: "Mangia, prega, ama" (2010) di Ryan Murphy
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ryan Murphy, creatore di tormentoni tv come "Popular", "Nip/Tuck" e il recentissimo "Glee" approda alla regia sul grande schermo (dopo "Correndo con le forbici in mano") con la trasposizione di un romanzo, pare, molto conosciuto tra le ladies amaricane dei dopo 'anta'. Così sceglie una diva hollywoodiana già nei citati 'anta' e con la carriera un po' in declino dopo ben 3 gravidanze e l'assenza dalle scene di anni e tenta il colpaccio della sua carriera.
Il risultato della trasposizione è, cinematograficamente parlando, non totalmente riuscito. Sarà che la stella di Julia Roberts non si è appannata solo a causa dell'assenza dalle scene, ma per quella perdita di smalto di cui ci siamo accorti un po' tutti. O che, in fondo in fondo, Julia c'è sempre stata un po' antipatica con quel sorriso tanto grande quanto sproporzionato. Sta di fatto che non ci si riesce ad identificare con lei appieno perchè, forse, ormai ha acquisito un'aria da spocchiosetta che, quando non riesce a controllarsi, traspare dallo sguardo furbo.
A livello di trama, poi, si cade un po' nei cliché del folklore popolare, delle dicerie, della cultura da turista un po' troppo facile. Sarà che chiamano in causa proprio noi italiani (a fare da cicerone a Liz/Julia Roberts c'è proprio il nostro Luca Argentero) spacciandoci per assoluti cultori del 'dolce far niente' e null'altro...
In ogni caso il viaggio della nostra eroina è un cammino, un percorso di formazione annunciato, bello visivamente e profondo spiritualmente, ma sembra sempre un pelino forzato, un attimo aggiustato per rendere tutto ancora più sensazionalmente incredibile. Nel complesso una pellicola più che godibile, per carità, ma forse meno spirituale di quanto quei 'prega' e 'ama' ci vogliano far credere.
Comprimari maschili della Roberts piovono a bizzeffe dalla Holliwood che conta: James Franco ("Howl", "Notte folle a Manhattan", "Spider-Man"), Billy Crudup ("Quasi famosi", "Watchmen"), Richard Jenkins (nominato all'Oscar per "L'ospite inatteso") e Javier Bardem (Oscar 2008 per "Non è un paese per vecchi"). Sul piano femminile la più nota è Viola Davis ("State of Play", "Il dubbio", "Innocenti bugie").
Per tirare le somme: non c'è male, ma non è né un capolavoro né nulla di trascendentale. E' un film che passa e lascia il tempo che trova. Forse il problema sta anche lì, nel tempo: 133 minuti sono troppi.
Consigli: Meglio guardare questa pellicola con lo stomaco pieno, altrimenti l'irresistibile necessità di mangiare diverrà irrefrenabile!
Parola chiave: Voglia di vivere.




Ric