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domenica 31 marzo 2019

Film 1538 - Roman J. Israel, Esq.

Intro: Un altro titolo tra quelli candidati agli Oscar 2018. La corsa per mettersi in pari non è ancora finita però!
Film 1538: "Roman J. Israel, Esq." (2017) di Dan Gilroy
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Fre
In sintesi: mah, mah, mah. Questo "Roman J. Israel, Esq." partiva già con un titolo impronunciabile, figuriamoci cosa mi potevo aspettare dal resto. Personalmente ho trovato tutto il film assolutamente difficile da sopportare, sia a causa del protagonista, sia perché la storia non racconta nulla di nuovo, né lo fa in maniera interessante. E per quanto Denzel Washington possa essere bravo, non riesco a superare il fatto che mi stia antipatico. Lui come il suo personaggio qui;
ho trovato questo prodotto poco godibile, noioso - per non dire faticoso - e spesso antipatico. E' impossibile entrare in sintonia con Roman J. Israel, il che esclude un approccio empatico nei suoi confronti: è antipatico, strano, sopra alla righe non in un modo piacevole. Quello che fa, poi, non migliora la situazione e la storia finisce, sì, con un epilogo inaspettato, eppure si fatica a provare totalmente compassione per il protagonista. Era questo lo scopo di Dan Gilroy?;
i film della famiglia Gilroy mi lasciano sempre con un certo livello di insoddisfazione: magari non li capisco(?). Da "Nightcrawler" a "Michael Clayton", passando per le sceneggiature di "Real Steel", "The Bourne Legacy", "State of Play", "Rogue One: A Star Wars Story" e "The Great Wall", a tutti i loro titoli mi sembra manchi qualcosa o, per lo meno, qualcosa che piaccia a me. C'è sempre una certa dose di aspettativa inattesa, di 'mi aspettavo di più' e "Roman J. Israel, Esq." non si esime da questa considerazione.
Cast: Denzel Washington, Colin Farrell, Carmen Ejogo, Shelley Hennig, Lynda Gravatt, Hugo Armstrong, Sam Gilroy, Tony Plana.
Box Office: $13 milioni
Vale o non vale: Francamente una pellicola che si può evitare. Apprezzeranno i fan di Denzel Washington o quelli dell'approccio artistico di Gilroy.
Premi: Nomination come Miglior attore protagonista per Washington sia agli Oscar che ai Golden Globes 2018.
Parola chiave: Ricompensa.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 21 luglio 2018

Film 1502 - American History X

Intro: Uno di quei titoli classificabili nel mio processo di scelta delle pellicole sotto la voce “Prima o poi lo vedrò, ma sicuramente non oggi”. Ci voleva la spinta di mia cugina per decidere di sceglierlo, finalmente.
Film 1502: "American History X" (1998) di Tony Kaye
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Fre
In sintesi: in quanto a pesantezza non c’è male. “American History X” è un film difficile da guardare e durissimo nei confronti di uno spettatore che non può fare a meno che rimanere spiazzato. C’è tanto dolore ed odio, ci sono idee impossibili da condividere, c’è un Edward Norton bravissimo e incazzato come non lo avevo mai visto. Lui è il film;
mentre segui la storia senti sempre di più crescere in te il disgusto per quella mentalità razzista ed estremista, brutale nel riconoscersi un diritto di supremazia stupido, ignorante e infondato, crudele nel costruire un’escalation di violenza che non farà altro che portare a morte e desolazione, anche quando parrebbe esserci la speranza di un recupero. Ma si sa che in questo tipo di storie il lieto fine non è mai parte del racconto e, infatti, dopo il mare di sangue già ampiamente versato, non tarderà ad arrivare quel colpo di scena finale che lascerà lo spettatore ammutolito e con non poco materiale su cui riflettere. Che senso ha odiare gli altri a tal punto da volerne fare la propria ragione di vita?
Cast: Edward Norton, Edward Furlong, Fairuza Balk, Stacy Keach, Elliott Gould, Avery Brooks, Beverly D'Angelo.
Box Office: $23.9 milioni
Vale o non vale: decisamente non un prodotto per ogni occasione. E’ fortemente violento e ideologicamente fuorviante, racconta una storia complicata in cui tutti i passi falsi della famiglia Vinyard verranno pagati a carissimo prezzo. Bisogna avere la voglia e lo stomaco per immergersi in un film del genere.
Premi: Candidato all'Oscar per la performance da protagonista di Norton.
Parola chiave: Stupro.

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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 6 settembre 2013

Film 579 - Io sono tu

Un altro esempio di titolo cambiato rispetto all'originale: senza senso e veramente brutto. Almeno il film fa ridere...


Film 579: "Io sono tu" (2013) di Seth Gordon
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Melissa McCarthy vive un momento d'oro e cavalca senza pudore l'onda di un successo esploso ad anni di distanza dalla fine della serie tv che l'ha lanciata, "Una mamma per amica". Con una nomination all'Oscar sulle spalle per "Le amiche della sposa" e un Emmy vinto per la sitcom "Mike & Molly", ormai la McCarthy è lanciatissima praticamente in ogni campo che coinvolga la recitazione. Questo commedia americana dal titolo originale "Identity Thief", ladro di identità, la vede impunita delinquente che ruba l'identità del povero Sandy Patterson/Jason Bateman facendolo finire invischiato in qualunque tipo di reato. Il film finirà per essere un on the road senza limiti e senza freni, tra lotte fisiche, siparietti trash-sexy, inseguimenti in macchina ed alcuni buoni momenti comici grazie alla coppia di attori.
Bateman è imbambolato quanto basta a far egregiamente risaltare la pazzia sbroccata di Diana, il personaggio della McCarthy, e questo permette alla pellicola di funzionare specialmente grazie al costante battibeccare dei due, duello verbale e non che spesso sconfina nel politicamente scorreto (veri momenti di forza della storia). Per il resto la trama si svolge in maniera piuttosto prevedibile e senza particolari scossoni narrativi, ma comunque è chiaro che nell'ottica del prodotto cinematografico di ampio consumo che si basi su interpretazioni comiche e nomi di richiamo, grandi slanci di creatività di cui inzuppare la storia è improbabile che se ne trovino.
Ho letto di critiche estremamente negative nei confronti di questa commedia, ma se devo essere sincero l'ho trovata veramente molto spassosa. Volgare, per carità, ma proprio godibile.
Ps. $173,923,765 di incasso al botteghino mondiale.
Consigli: E' perfetto per una serata in compagnia o comunque per passare un momento divertente da condividere. Melissa McCarthy si sta specializzando in ruoli comici (a breve in uscita "Corpi da reato" con Sandra Bullock, ma è presente anche nelle commedie "Piacere, sono un po' incinta", "Tre all'improvviso", l'orrendo "Questi sono i 40" e "Una notte da leoni 3") e va detto che le riescono piuttosto bene. L'inedito duo McCarthy-Bateman è promosso.
Parola chiave: Carta di credito.

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Bengi

giovedì 18 ottobre 2012

Film 466 - 1997 - Fuga da New York

Consigliatomi da un collegate quest'estate, questa pellicola chiude la mia 'folle' domenica di passione (cinematografica) in compagnia di Paola. Quattro film per una giornata non stop sul divano accompagnata da pizza e pasta. Evviva il weekend!


Film 466: "1997 - Fuga da New York" (1981) di John Carpenter
Visto: dal computer di Paola
Lingua: italiano
Compagnia: Paola
Pensieri: Difficile non rimanere affascinati da questo prodotto futuristico che John Carpenter gira nel 1981, ma ambienta nel '97. Un po' di atmosfere che ricordano "Blade Runner" (che però è dell'82), una colonna sonora intrigante e un incipit narrativo particolarmente stimolante (cito l'inizio del film, perfetta sintesi dell'idea di partenza che viene proposta allo spettatore): «1988: l'indice di criminalità negli Stati Uniti aumenta del 400%. Quella che un tempo fu la libera città di New York diventa il carcere di massima sicurezza per l'intero paese. Un muro di cinta di 15 metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey, attraverso il fiume Harlem, e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Circonda completamente l'isola di Manhattan, tutti i ponti e i canali sono minati. La forza di polizia statunitense, come un esercito, è accampata intorno all'isola. Non vi sono guardie dentro il carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più».
Bene, come si fa a non avere voglia di proseguire la visione?
In un 1997 che più lontano da quello vero non si può, Kurt Russell è Jena Plissken, prigioniero vicino al patibolo a cui viene promessa la libertà in cambio di un viaggetto all'interno del carcere di Manhattan. Il motivo è recuperare il Presidente degli Stati Uniti, precipitato nella sfortunata area con una capsula di salvataggio, dopo che l'aereo presidenziale viene dirottato da un gruppo di terroristi che intende farlo esplodere. Da qui Jena ha un giorno di tempo - al termine del quale due microcapsule che gli sono state impiantate nel corpo esploderanno - per portare in salvo il Presidente e, chiaramente, anche sé stesso.
Avventuroso, anche se a tratti un po' lento (deficit di praticamente tutte le pellicole anni '80), "Escape from New York" è un esperimento cinematografico davvero interessante e piacevole da seguire, avvincente grazie alle molteplici originali idee incluse nella sceneggiatura. E' sempre interessante, tra l'altro, vedere - anche se a volte si tende ad estremizzare - come nel passato si immaginava il prossimo futuro, da confrontare con quella che è stata poi la realtà.
In una terra di nessuno autogovernata da galeotti molto spesso similari a zombie metropolitani, l'avventura di Jena sa appassionare e coinvolgere lo spettatore, curioso di capire se allo scoccare delle 24 ore di tempo l'antieroe Plissken ce la farà a cavarsela. Un classico che si potrebbe definire cult nel suo genere, figlio di uno dei registi più creativi (per non dire cult) da molti anni a questa parte, perfettamente realizzato dal punto di vista tecnico (scenografie e computer grafica) tanto da non sconvolgere nemmeno lo spettatore moderno che guarda con trent'anni di novità grafiche ormai assodate sulle spalle. Niente male e, nel complesso, interessante.
Ps. 6 milioni di dollari per produrlo, $50,000,000 di incasso mondiale.
Consigli: Un grande cast (Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Harry Dean Stanton), scenografie pazzesche, un'idea geniale e la mano di John Carpenter. Va visto.
Parola chiave: Il Duca.

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BB

giovedì 28 giugno 2012

Film 423 - 40 carati

Seratina tranquilla a casa e una pellicola di cui avevo vagamente sentito parlare.


Film 423: "40 carati" (2012) di Asger Leth
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Questo film ha incassato sì e no 600mila dollari. No, non in totale, ma sottraendo all'incasso totale ($42,644,373) la spesa per produrlo (42milioni), si fa presto a capire che se gli introiti del cinema fossero questi sarebbe più che altro un business basato sulla passione di chi lo fa.
A dirla tutta "Man on a Ledge" (letteralmente 'uomo su un cornicione': tra il titolo originale e quello italiano due premi alla fantasia) è una pellicola di consumo proprio carina. Classicamente americana, fatta di improbabili circostanze e molto inverosimili colpi di fortuna, nonché di un tutto per tutto che se la gioca tra il carcere a vita e la morte, la vicenda è comunque sempre ricca di suspance e non perde mai di vista l'obiettivo vero di un prodotto come questo: l'intrattenimento.
L'unico problema che potrei ipotizzare - a parte il titolo - è che manca una star. Dopo "Avatar" si è creduto che Sam Worthington fosse stato catapultato nell'olimpo delle stelle hollywoodiane, ma non è proprio così. A parte "Scontro tra titani" e seguito (già molto meno riuscito del primo) non ha un film di successo da un bel po'. Da "Avatar", per la precisione. Inoltre non ha una peculiarità che lo renda riconoscibile al grande pubblico e, personalmente, non lo trovo nemmeno troppo simpatico.
Idem dicasi per la coprotagonista del film Elizabeth Banks. Non per la simpatia, ma per la mancanza di riscontro sul grande pubblico. Ha fatto mille ruoli in pellicole di grande successo o impatto mediatico (Laura Bush in "W." poi "Spider-Man 3", "Zack & Miri - Amore a... primo sesso", "The Next Three Days", "Che cosa aspettarsi quando si aspetta"), eppure non ha trovato un ruolo che l'abbia lasciata davvero impressa nell'immaginario del pubblico. Solo di recente, con il personaggio di Effie Trinket in "Hunger Games" è riuscita a farsi notare davvero.
Infine Jamie Bell che, nonostante parti da comprimario in pellicole come "King Kong", "Flags of Our Fathers", "Jumper - Senza confini", "The Eagle" o "Jane Eyre" finisce sempre per essere l'indimenticabile e indimenticato Billy Elliot.
A parte questo, in ogni caso, a "40 carati" non sarebbe mancato nulla per funzionare alla grande. L'idea, seppur bizzara, è originale e lo svolgimento carico di tensione, quindi mi spiego a fatica il perchè di un flop tanto evidente.
Da recuperare.
Ps. Ed Harris è di una magrezza che lascia colpiti. Quasi macrocefalo con un corpo fasciato in completi quasi aderenti che lo fanno sembrare un bambino vecchio. Un po' spaventa.
Consigli: Nell'ottica del blockbuster figlio della tensione "40 carati" funziona piuttosto bene. Niente di straordinario, però intrattiene bene e finisce lasciando soddisfatti. Per me è stata una piacevole distrazione estiva.
Parola chiave: Diamante.

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Ric

martedì 8 maggio 2012

Film 404 - Fuga da Alcatraz

Un classico che dovevo assolutamente vedere prima o poi!


Film 404: "Fuga da Alcatraz" (1979) di Don Siegel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Marco
Pensieri: Bello e interessante, ho davvero apprezzato la visione. Senza particolari effetti speciali, giocato sulla mimica e la tensione che luoghi come la prigione sanno autogenerare (poi qui siamo ad Alcatraz, mica robetta), "Escape from Alcatraz" tiene ancorati alla visione i suoi spettatori.
Seguendo la storia di numerosi detenuti, di cui tre tenteranno la fuga dal famoso penitenziario, si viene catapultati in una realtà drammatica e si è spinti spesso a chiedersi che cosa avremmo fatto al posto dei protagonisti. Reclusione in celle singole e microscopiche, compagni detenuti non certo amichevoli e una cerarchia interna assodata che vuole il nuovo come sottomesso a tutti i costi. Ovviamente il nostro Frank Morris/Clint Eastwood non si farà mettere i piedi in testa da nessuno e, anzi, riuscirà nell'intento di reclutare altri volenterosi (e motivati) scavatori per il suo piano di evasione.
Le scene finali che riprendono la fuga sono davvero ben riuscite, lasciate ai giochi di luci ed ombre naturali e privi di colonna sonora, il tutto a sottolineare un momento di rigoroso silenzio necessario a rimanere invisibili.
Naturalmente c'è più di un momento in cui questo silenzio è 'condizionato' dalla post produzione del film che, evidentemente, ha lavorato sull'audio per cancellare suoni che altrimenti sarebbero stati più evidenti. E, per quanto d'effetto, lascia perplessi il momento in cui Eastwood si sostituisce al suo manichino nel letto mentre la guardia gli intima di svegliarsi. C'è l'effetto sorpresa perchè lo avevamo visto fino ad un secondo prima intento alla perlustrazione dietro le pareti delle celle, ma è troppo evidente la diversità tra il corpo del fantoccio (specialmente nei capelli) e quella di Clint, quindi il trucchetto delude leggermente.
Nel complesso, comunque, è una pellicola ben realizzata, ottima per farsi ulteriormente un'idea sul grande Clint attore, dallo sguardo freddo e mai impaurito. Altro che Steven Seagal o Chuck Norris...
Consigli: Sicuramente un bel film da vedere. Per tutti gli amanti di Eastwood e non.
Parola chiave: Crisantemo.

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Ric

giovedì 10 dicembre 2009

Film 31 - Tutta colpa di Giuda

Dopo "Star Wars" c'era ancora tempo per dedicarsi ad un'altra pellicola. Non sapendo quale scegliere ci siamo affidati al caso dello streaming, che ci ha consigliato un film che al cinema volevamo vedere, ma avevamo perso!


Film 31: "Tutta colpa di Giuda" (2009) di Davide Ferrario
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Ale
Pensieri: Più che un film un esperimento. La realtà nel cinema, il cinema nella realtà che si contaminano vicendevolmente senza mai un definito schema che faccia capire allo spettatore dove finisce una e comincia l'altro. E' tutta una contaminazione, quasi un labirinto di situazioni tipicamente da cinema e altre tipicamente reali. E, oltre a tutto questo, la musica, il ballo e il carcere. Un bel po' di elementi per un solo film a bassissimo costo e italiano, per di più.
L'elemento che più mi attirava al film era la partecipazione di Luciana Littizzetto, abituato al suo solito carisma. In realtà il suo ruolo qui è molto piccolo e per niente simpatico. Cioè, conoscendo lei e sapendo chi è e come è fatta apprezzi di più Suor Bonaria di quanto non meriterebbe il personaggio che di buono non ha proprio niente.
In realtà la grande sorpresa è stata Kasia Smutniak che conoscevo solo per gli spot della Tim e per essere la madre della figlia di Taricone. Diciamo che effettivamente qualche pregiudizio ce lo avevo. Invece è brava, spigliata, recita pure bene. In un carcere, con veri detenuti che recitano, non dev'essere stata un'esperienza subito facile. E' giovane e volenterosa, si vede, ogni tanto da qualche enfasi di troppo al suo personaggio senza un motivo apparente, però nel complesso l'ho estremamente rivalutata.
Inoltre è da tenere presente, in questa pellicola, la sottile - ma forse neanche troppo - critica al mondo delle carceri italiane che viene descritto come fine a sé stesso, senza alcuna capacità di riabilitare alla vita quelle persone che invece ne avrebbero davvero bisogno. Il carcere è un limbo, un mondo diverso da tutti gli altri - che poi dipenderà anche da carcere a carcere, qui ci si misura con una realtà quasi all'acqua di rose - che ha una sua struttura, sue regole, sua burocrazia. Scontrarsi con un muro del genere può far paura, ma il film aiuta forse a sconfiggere alcuni pregiudizi sul mondo della prigione. Innanzitutto sembra possibile combinare qualcosa di buono, sia nella storia del film che nella realtà. Mi riferisco e allo spettacolo pasquale per cui è stata richiesta la presenza della Smutniak/Irena e alla capacità di Ferrario di costruire un film sul carcere coinvolgendo veri detenuti. E poi l'idea che ne rimane è che non per forza uno che ha sbagliato di brutto nella vita è per forza un poco di buono. Non credo si voglia semplificare, ma solo passare un messaggio positivo per coloro che questa realtà la guardano con diffidenza.
Ho trovato bella (e suggestiva) anche l'idea dell'ultima cena in carcere da paragonare a quella di Gesù. Se è vero che lo spettacolo non si realizzerà mai (l'indulto fa uscire praticamente tutti di prigione) è altrettanto vero che lo spettatore assiste allo spettacolo grazie alle prove. L'idea dell'ultimo numero musicale alla cena prima del giorno della liberazione è direttamente collegabile alla storia cristiana e quindi acquisisce un significato altro, non religioso, ma sicuramente solenne.
Un grande limite di questo film, però, è il poco richiamo. Manca forse appeal per una pellicola di valore, ma carente dal punto di vista commerciale. A) Chi è la Smutniak? B) Perchè la Littizzetto non è stata 'usata' di più per far pubblicità al film? Ecco, forse io me la sarei giocata un po' meglio. E, soprattutto, avrei bandito dal set quell'uomo orribile che all'inizio della storia è il fidanzato di Irena e nella vita vera dovrebbe essere uno dei Marlene Kuntz. E' assolutamente insopportabile!
Alcune considerazioni per finire. In questo film piove sempre o è sempre nuvoloso, anche quando prendono il sole.
La prima parte del film è un po' hippie, Irena è fidanzata con questo regista tutto concettuale, artistoide alternativo, freddo come un ghiacciolo e più simile ad un manico di scopa. Ma insieme che ci stanno a dire?!
Tutta la storia è un po' semplificata. Probabilmente era un'esigenza particolare, ma sa un po' di fittizio in alcuni punti, cioè si capisce che nella realtà ci sarebbe stato un altro step che nella storia invece manca. Come nella decisione dei ruoli, in cui tutti, senza averne mai parlato prima, sanno chi vogliono interpretare e non ce ne sono 2 che vogliano fare lo stesso personaggio.
Consigli: Meglio dedicare attenzione al film, non è decisamente uno di quelli da svago.
Parola chiave: Libero: "Che cosa c'è di più triste di un carcere vuoto?" Irena: "Uno pieno?"



#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 3 dicembre 2009

Film 26 - Ti amerò sempre

Uno dei film che avevo messo in attesa (per mancanza di tempo, tematica complessa) è quello che ho deciso di vedere ieri sera.


Film 26: "Ti amerò sempre" (2008) di Philippe Claudel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Quello che mi è piaciuto di questo film francese (ancora?!) è la protagonista: Kristin Scott Thomas, fantastica attrice inglese versatile e ricca di sfumature, che trasporta nel personaggio di Juliette Fontaine una dignità, una riservatezza, una classe che poche altre sarebbero state in grado di eguagliare. Il film in sé è ben strutturato, considerando poi che è un'opera prima. Si parte dall'uscita dal carcere di Juliette che adesso deve riprendere i rapporti col mondo dopo anni di reclusione. Ritrova la sorella, che nel frattempo si è creata la sua vita (sono passati 15anni) e vive in una famiglia multietnica che accoglie Juliette a braccia aperte. Ma non c'è felicità per lei, all'inizio. C'è solo la tristezza di sapersi sola, di non appartenere più al mondo, di dover ricominciare da zero con una pesantissima eredità alle spalle. Man mano che la storia evolve si scopre che una condanna così lunga era stata la conseguenza di un omicidio, ma fino all'ultimo non se ne sa il motivo. Non spiego tutto, perchè credo che questo film debba essere scoperto. O riscoperto (visto che in pochi in Italia l'hanno visto). Non voglio togliere, a chi ne ha piacere, la possibilità di lasciarsi trasportare da una storia difficilissima raccontata, però, con garbo, mai calcando la mano o sfruttando l'ondata di sentimenti (e assicuro che qui ce ne sono in abbondanza!).
A differenza di altri film francesi che ho visto, questo ha un'impronta più europea, si potrebbe dire 'da esportazione'. La Scott Thomas è attrice affermatissima (nomination all'Oscar per "Il paziente inglese", poi altri film come "Un matrimonio all'inglese", "L'altra donna del re", "La famiglia omicidi", "I love shopping", "Gosford Park", "L'uomo che sussurava ai cavalli", ...) che aiuta a far riconoscere un buon prodotto rispetto alla moltitudine di titoli che ormai settimanalmente il cinema ci propone. La pellicola, infatti, per essere una produzione franco-tedesca è riuscita a racimolare circa 5 milioni di dollari di incasso mondiale che, considerando la complessità di un film come questo, è davvero piuttosto atipico.
Oltre all'attrice protagonista, comunque, devo dire che mi è piaciuta molto Elsa Zylberstein, sorella di Juliette, molto francese (anche qui sempre ballerine ai piedi) e molto brava, mai fuori luogo nell'interpretare le emozioni sicuramente difficili e contrastanti di chi ritrova qualcuno dopo tantissimo tempo, sapendo di dover fare i conti con delle verità scomode che prima o poi verranno a galla.
Insomma, non è per niente un film facile, ma nonostante questo, non passano lentamente i 117 minuti di "Ti amerò per sempre". Anzi, devo dire che sono rimasto sempre più rapito dalla storia, volevo sapere perchè, come poteva essere successo, che cosa aveva scatenato il tutto. Sembra una morbosità da gossip odierno, è vero, ma ero un po' stranito dal fatto che non provassi nessuna antipatia per Juliette, nonostante sapessi cosa aveva fatto. Ovviamente la realtà è sempre relativa, e nel finale si capisce il perchè di un gesto, sicuramente gravissimo, ma pur sempre scaturito da qualcosa di più grande. Un po' me l'ero aspettato un finale del genere, non volevo arrendermi all'idea che la protagonista potesse essere semplicemente un involucro di cattiveria finto e senza alcun sentimento.
Inoltre ho apprezzato tantissimo il bel rapporto che si ricrea tra le due sorelle e la tenerezza della nipotina che adora Juliette e l'aiuta ad aprirsi di nuovo, a ricominciare ad amare. Insomma, la ragazzina è la terapia della zia!
Infine, due note curiose. 1. Non è certo un film sull'arte, ma nelle scene al museo la passione per ciò che si mostra è tale da essere trasmessa allo spettatore. Questo film è riuscito dove una pellicola teoricamente centrata sulla cultura artistica come "Mona Lisa smile" ha fallito miseramente. Ispirante! 2. Il marito di Leà, sorella di Juliette, è ricercatore presso il CNR. Coincidenza divertente (per me)!
Consigli: Non giudicare finchè non si sa tutta la storia.
Parola chiave: "Il dolore" di Émile Friant




Ric