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lunedì 7 novembre 2022

Film 2144 - The Woman King

Intro: Curioso, molto curioso di vederlo al cinema!

Film 2144: "The Woman King" (2022) di Gina Prince-Bythewood
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: devo dire che vedere "The Woman King" al cinema è stata un'esperienza che mi ha lasciato particolarmente soddisfatto. Il film è ben confezionato e alterna sapientemente i momenti di battaglia a quelli di formazione dei vari personaggi, qui capitanati da una Viola Davis meravigliosa che dimnostra, ce ne fosse stato ulteriormente bisogno, che l'attrice è anche in grado di portare sulle spalle il peso di una pellicola di questo genere. Come lei davvero poche.
Il tutto incastonato in una storia vera che Wikipedia riassume così: «Nel Regno di Dahomey, all'inizio del 1800, la generale Nanisca addestra e guida le sue Amazzoni in un'eroica resistenza contro i commercianti di schiavi europei.»
Insomma, in un mix tra passato e azione da supereroi, "The Woman King" riesce a raccontare con stile incisivo e accattivante la storia delle guerriere Agojie, uno dei pochissimi eserciti composti unicamente da donne della storia moderna. Ben realizzato e interpretato in maniera impeccabile, questo film - scritto, tra l'altro, dalla Maria Bello di "Le ragazze del Coyote Ugly" e "A History of Violence" - è una bocca d'aria fresca per un anno cinematografico per ora non esattamente in stato di grazia.
Cast: Viola Davis, Thuso Mbedu, Lashana Lynch, Sheila Atim, John Boyega, Hero Fiennes Tiffin.
Box Office: $91 milioni (ad oggi)
Vale o non vale: Forse non per tutti - non quelli che si aspettano una pellicola "alla Marvel", diciamo - "The Woman King" è un ottimo film raccontato con intensità e ben dosato nei suoi momenti di classico genere action e drammatico, con un cast estremamente dotato e, soprattutto, una Viola Davis che fa scintille.
Premi: /
Parola chiave: Shark tooth.
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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 26 aprile 2019

Film 1555 - The Company Men

Intro: In tutta onestà non ero molto interessato a vedere questo film, ma ogni tanto bisogna anche venirsi incontro.
Film 1555: "The Company Men" (2010) di John Wells
Visto: dal pc portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Fre
In sintesi: sono sempre un po' prevenuto a vedere non solo i film con Affleck, ma soprattutto quelli con lui che non sono andati bene al botteghino. Ammetto che mi sono dovuto ricredere, "The Company Men" è un film interessante e ben fatto;
storia interessante che tratta il periodo della recente recessione in America, mettendo a fuoco le sfortune lavorative di Bobby Walker (Affleck) che, a seguito del licenziamento dal buon lavoro presso una compagnia che si occupa della costruzione di navi, deve non solo ritrovare la fiducia in sé stesso, ma anche ricominciare da zero e capire come sopravvivere durante la crisi. La sceneggiatura non fa sconti a nessuno e regala una rappresentazione asciutta e credibile della vicenda che racconta, evitando toni eccessivamente drammatici o pietosi. Pur non essendo un capolavoro, il film funziona.
Cast: Ben Affleck, Chris Cooper, Kevin Costner, Tommy Lee Jones, Rosemarie DeWitt, Maria Bello, Craig T. Nelson.
Box Office: $8.1 milioni
Vale o non vale: per quanto di fiction, un racconto onesto e lucido del periodo di recessione dell'economia americana che mette a fuoco i meccanismi innescati dalla crisi: c'è chi perde (il lavoro, ma non solo) e c'è chi ha molto da guadagnare. Interessante.
Premi: /
Parola chiave: Lavoro.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 12 dicembre 2016

Film 1257 - The Late Bloomer

Netflix proponeva questa pellicola e sia il poster che le premesse della trama sembravano particolarmente interessanti, per cui ho deciso da darle una possibilità.

Film 1257: "The Late Bloomer" (2016) di Kevin Pollak
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: "The Late Bloomer", ovvero lo sbocciato tardi. E, naturalmente, si parla di sesso.
Questo film, apparente simpatico, irriverente, e politicamente scorretto è, in realtà, una mezza fregatura in quanto non mantiene nessuna delle promesse fatte e non riesce a decidere quale percorso intraprendere: siamo di fronte a una commedia o a una produzione indie indipendente? C'è una sorta di devozione documentaristica? O semplicemente si tratta di una baggianata spacciata per quello che non è?
Dato che tendenzialmente propendo per l'ultima, direi che il film di Kevin Pollak è fondamentalmente una delusione inutile da vedere, oltre che un titolo purtroppo scontato che parte lanciando qualche premessa interessante (mancata pubertà + recupero del desiderio sessuale + scoperta di se stessi) e finisce per inciampare nella comicità becera e banalissima alla "Road Trip" e "American Pie" della quale non si sentiva la mancanza. E la delusione aumenta quando si pensa allo spreco di un cast composto da non pochi nomi di rilievo (ma basta dare sempre lo stesso ruolo a Jane Lynch perché francamente la cosa ha rotto).
Tutto sommato, quindi, una fregatura, un film che del pretesto inusuale su cui si basa fa poi un utilizzo totalmente inutile finendo per riciclare gli stessi cliché cui siamo già ampiamente abituati, evitando il confronto maturo e preferendo, invece, l'idiozia delle battute degli amiconi scemi e andando a pare sul fisico invece che interrogarsi su cosa possa voler dire avere trent'anni e aver completamente saltato la pubertà, pulsioni, incertezze e brufoli compresi.
Ps. Basato sul libro di Ken Baker "Man Made: A Memoir of My Body".
Cast: Johnny Simmons, Maria Bello, Brittany Snow, Jane Lynch, J. K. Simmons, Kumail Nanjiani, Beck Bennett, Paul Wesley.
Box Office: /
Consigli: Per essere una storia che fondamentalmente parla solo di sesso, "The Late Bloomer" è un titolo particolarmente pudico, il che rende già tutta l'operazione un paradosso. Poi i personaggi bidimensionali e caricaturali, la mancanza di originalità e la piega vertiginosamente sciatta che prende la storia sono tutti elementi che concorrono a indebolire una produzione sulla carta anche interessante e che finisce, invece, per mancare completamente il bersaglio. Insomma, un titolo perdibilissimo.
Parola chiave: Prolattinoma.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 19 settembre 2016

Film 1212 - La quinta onda

Una scleta un po' casuale, a dire il vero.

Film 1212: "La quinta onda" (2016) di J Blakeson
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: La pretesa post apocalittica è smorzata da toni infantili e da scelte narrative che privilegiano un tipo di target giovanile che di fatto va ad intaccare un risultato finale così più da teen drama che da blockbuster su un futuro distopico.
Questa la premessa della storia, così ben riassunta da Wiki: "Un devastante attacco alieno ha distrutto il pianeta Terra grazie a quattro onde: interruzione di tutti i dispositivi elettrici, terremoti, epidemia del virus dell'aviaria modificato dagli alieni ed risveglio degli alieni che erano stati innestati tempo prima in alcuni umani, impedendo così ogni tentativo di preparazione e resistenza da parte dell'uomo per l'attacco successivo".
Di per sé nemmeno malaccio l'idea di partenza, ma ci si perde ampiamente strada facendo, soprattutto perché la trama è ampiamente intuibile già a metà della storia. In aggiunta, una serie di aspetti ridicoli (come il fatto che la protagonista cerca il fratello e lo incontra, ovviamente, per caso) ed effetti speciali non sempre riusciti confezionano una pellicola mediocre nonostante le buone intenzioni. Che si vede ci sono, visto l'ottimo cast, una produzione che pur non avendo un budget faraonico (35 milioni di $) prova lo stesso a proporre un certo standard qualitativo di immagine e resa finale, ma rimane il fatto che il punto debole qui sia la sceneggiatura: sciocca, concentrata troppo sul romanticismo e i temi adolescenziali. Non che mi aspettassi molto altro, lo ammetto.
Ps. Tratto dall'omonimo romanzo di Rick Yancey.
Cast: Chloë Grace Moretz, Ron Livingston, Nick Robinson, Maggie Siff, Alex Roe, Maria Bello, Maika Monroe, Zackary Arthur, Liev Schreiber, Tony Revolori.
Box Office: $110.7 milioni
Consigli: Tra i vari titoli catastrofici questo non è esattamente il più riuscito. Si lascia guardare, ma questo "The 5th Wave" non è capace di lasciare il segno, nonostante il tentativo. Si vede e si dimentica in frettissima.
Parola chiave: Testa.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 15 settembre 2016

Film 1211 - Lights Out: Terrore nel buio

Molte aspettative e tanta voglia di non perdermi questo film al cinema, alla fine sono riuscito a recuperarlo con Erika.

Film 1211: "Lights Out: Terrore nel buio" (2016) di David F. Sandberg
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Erika
Pensieri: Premessa intrigante, realizzazione buona, ma risultato finale sotto le aspettative. Non che "Lights Out" sia brutto, per carità, semplicemente visto l'enorme successo di pubblico mi aspettavo qualcosa di più incisivo e originale, mentre di fatto siamo di fronte all'ennesimo prodotto dell'orrore che gioca tutte le sue carte quando si tratta di spaventare con l'effetto improvviso, mancando di contestualizzare e creare la giusta storia per una trama, così, piuttosto vuota.
Tutto gira intorno al personaggio della quasi vampiresca Teresa Palmer che, reduce da un'infanzia turbolenta e un distacco netto dalla famiglia, si ritrova ad aver di nuovo a che fare con madre e fratellastro quando il ragazzino di fatto si rivolge a lei per chiedere aiuto: la mamma sembra comportarsi in modo alquanto strano e non passerà molto che si scoprirà a cosa è dovuto l'evidente squilibrio. Oltre che la mancanza di sonno generale...
Niente di originale, eppure l'idea del demonio che appare solo a luce spenta rimane un espediente in grado di solleticare, oltre che evocare non pochi ricordi suppongo nella mente di tutti. Chi non aveva paura del buio da bambino? Chi non temeva la presenza di qualcuno nascosto sotto al letto? E' proprio su questi elementi che "Lights Out" si concentra maggiormente quando si tratta di spaventare, dimenticosi però di creare tutto il resto. Chi è la misteriosa presenza notturna? Cosa vuole? Perché la luce la fa sparire? Come è possibile la sua esistenza?
Per quanto la pellicola risponda ad alcune di queste domande, il risultato finale presenta comunque una mancanza di approfondimento e spessore della storia che non può non essere deludente per lo spettatore. Si esce dalla sala con la sensazione di un pezzo mancante, un tratto che la sceneggiatura non affronta efficacemente, abbozzando solo superficialmente un flashback che ribadisce solo questo: una bambina indemoniata che diventa un ricordo indemoniato. Sì, ok, ma come, esattamente? No perché non basta essere gemelli del demonio per essere necessariamente dei buoni "cattivi da grande schermo".
Ecco perché, nel complesso, "Lights Out: Terrore nel buio" non mi ha impressionato. Certo, qualche momento spaventoso c'è stato (anche se tutto giocato sui forti rumori e apparizioni improvvise) e da questo punto di vista il film è stato conforme alle mie aspettative, ma in generale il risultato finale mi ha lasciato più deluso che spaventato. A luci spente o meno.
Cast: Teresa Palmer, Gabriel Bateman, Billy Burke, Maria Bello, Alexander DiPersia, Alicia Vela-Bailey, Andi Osho.
Box Office: $141.9 milioni
Consigli: Nella carente stagione estiva 2016 si inserisce questa sorpresa d'incassi e ci ricorda che, ogni tanto, anche un piccolo budget (4.9 milioni di dollari) può regalare grandi soddsfazioni laddove colossali produzioni hanno fallito. Questo il grande merito di una produzione che cavalca ampiamente l'estiva voglia di niente e regala al pubblico proprio questo: nulla. "Lights Out" è una storiella facile che approfitta di tutta una serie di cliché per ricamare sopra alla solita formula horror cui siamo abituati da decenni. Poco male, l'estate è anche questo e a noi non ci importa. Ci fosse stata anche una trama sarebbe stato meglio, ma in ogni caso si tratta di un film che si lascia guardare.
Parola chiave: Lampada UV.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 31 agosto 2015

Film 981 - McFarland, USA

Alla ricerca di qualcosa da vedere in una serata casalinga solitaria.

Film 981: "McFarland, USA" (2015) di Niki Caro
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ho scelto questa pellicola un po' a caso, nel senso che ne ero venuto a conoscenza avendo trovato su IMDb le foto della premiere qualche mese fa e mi ero chiesto cosa ci facesse Kevin Costner in mezzo a tanti messicani. O, più in generale, cosa ci facesse Kevin Costner su un red carpet...
Beh, sorpresa, "McFarland, USA" è un film ben fatto, strutturato in maniera funzionale a raccontare una storia di povertà e riscatto, sogni, speranze e realtà difficili. Il tutto - ed è ciò che mi è piaciuto di più - senza quella tendenza cinematografica (commerciale) a far sembrare la storia un miracolo per cui piangere. La regista Niki Caro racconta dei 7 ragazzi reclutati da Jim White (Costner) per la corsa campestre senza sentimentalismi smielati o rallenty commemorativi e, in generale, senza calcare troppo la mano sull'aspetto emotivio, valorizzando il suo film grazie a un buon cast, una sceneggiatura sensata che racconta la forza dell'impegno e della motivazione e una storia vera che è davvero un bel racconto da seguire.
Personalmente ho trovato molto ispirante la storia di questi ragazzi che, obbligati dalle loro situazioni familiari a lavorare per aiutare con i soldi, portano avanti un progetto che sembra più grande di loro (vincere il campionato), vanno a scuola e vivono le loro vite ben consapevoli dei loro obblighi e doveri e, non da meno, di avere solo questa possibilità per non finir male come la metà del resto della popolazione di McFarland. Inoltre io amo correre, il che ha certamente influito a farmi apprezzare questa pellicola.
Insomma, un buon prodotto sullo sport di squadra, sul valore dell'impegno (senza scappatoie) e della vera amicizia, oltre pregiudizi, il mito del sogno americano e della gratificazione che scaturisce dal solo possesso di oggetti. Io ho apprezzato.
Box Office: $44.7 milioni
Consigli: Pellicola sulla corsa campestre, tratta da una storia vera, su come 7 ragazzini provenienti da una comunità non certo privilegiata siano riusciti a far loro il sogno di moltissimi atleti. Un bel racconto senza fronzoli, asciutto nella narrazione che va dritto al punto. La scena della quinceañera esprime bene cosa voglia dire far parte di una comunità. Un film a cui dare una chance, anche se non proprio per ogni occasione.
Parola chiave: Palo Alto.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 4 settembre 2014

Film 768 - Le ragazze del Coyote Ugly

Al grido di 'rivanghiamo il passato', ecco una delle pellicole che aveva certamente colpito il mio immaginario di preadolescente.

Film 768: "Le ragazze del Coyote Ugly" (2000) di David McNally
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Supercult dei teen movie a stampo musical, "Coyote Ugly" è riuscito certamente a lasciare un suo segno. Le ragazze che ballano sul bancone servendo da bere innalzandosi a un livello di emancipazione femminile che passa per cameratismo, postfemminismo e 'girl power', sono entrate di sicuro nell'immaginario - non si sa quanto vasto, lo riconosco - delle (e degli) adolescenti che nel 2000 si sgolavano a ritmo di "Can't Fight the Moonlight" e sognavano di scatenarsi pazzi sul bancone di un bar.
Certamente va riconosciuta alla pellicola questa buona idea che fa presa sullo spettatore, abbastanza d'impatto da trascinare per intero il film. "Le ragazze del Coyote Ugly", infatti, non è nulla di che nel complesso e, anzi, certi livelli di miele e occhi a cuore sono, eredità del decennio precedente, rivissuti oggi non solo fanno venire la carie, ma anche ridere.
La favola di Violet/Piper Perabo che si trasferisce dal New Jersey a New York per sfondare come cantante, ma ha la fobia del pubblico è, se la si guarda più nel dettaglio, la stessa che l'industria del cinema americano racconta da anni in prodotti come questo. Perseguire il sogno, emanciparsi, fallire, rialzarsi, rimettersi in carreggiata, credere in se stessi e nel proprio talento, non svilirsi e affermare il proprio valore senza comprottersi e - naturalmente - trovare inaspettatamente l'amore della vita (nel giro di una settimana) sono tutti più o meno topic narrativi del genere commedia romantica per adolescenti. Tanto affermati che lo sono ancora oggi come un ventennio fa: ne sono esempi lampanti "Burlesque", "Crossroads", "Save the Last Dance", Step-Up", "Honey" come una volta lo erano stati "Flashdance" e "Dirty Dancing".
In questo caso specifico cambiano solo le motivazioni e gli ostacoli che la protagonista deve affrontare e, naturalmente, l'aspetto legato alla sensualità che, a dire il vero, per il genere è un po' insolito. Credo, però, che la giustificazione stia semplicemente nel fatto che il film si ispira all'articolo apparso su GQ "The Muse of the Coyote Ugly Saloon" di Elizabeth Gilbert, che parla proprio del bar Coyote Ugly che apre nel '93 nell'East Village.
Comunque, in definitiva, la pellicola ha - rivista a 14 anni di distanza - ancora una sua spinta personale, capace di magnetizzare lo sguardo sui balletti delle bariste e di (ri)lanciare la nostalgia per una canzone che, al tempo, fu di enorme successo. Quindi, per chiudere, la scelta di rivedere questo film è stata divertente (per il tuffo nel passato) e nemmeno troppo spiacevole.
Ps. Tra le ragazze del Coyote anche Maria Bello e Tyra Banks.
Box Office: $113,916,474
Consigli: Un po' teen, un po' romance, un po' chick flick, "Le ragazze del Coyote Ugly" è una specie di cult nel suo genere. Può non piacere, perché di certo non è un capolavoro e rimescola sempre i soliti elementi senza aggiungere quasi nulla di nuovo nel genere delle pellicole romantiche, ma di sicuro l'idea che sta dietro al titolo di questo film ha colpito nel segno, nell'immaginario collettivo. Se non l'avete mai visto vale la pena di scoprire da dove deriva il bizzarro nome del locale. Se lo avete già visto, può valere la pena rivederlo per ritrovare il confortante mondo di buoni sentimenti, indiscussi talenti e virtuosi protagonisti che questa pellicola ripropone. Si torna indientro di 14 anni e ci si può tranquillamente lasciar trasportare dalla storia. E cantare nel finale!
Parola chiave: Contratto discografico.

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Bengi

lunedì 23 dicembre 2013

Film 637 - Prisoners

Ero attirato principalmente dalla presenza dei due attori protagonisti, anche perché Jake Gyllenhaal mancava dal grande schermo già da un po' di tempo...

Film 637: "Prisoners" (2013) di Denis Villeneuve
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Pensavo sinceramente fosse uno di quei film con un grande cast (Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Maria Bello, Terrence Howard, Melissa Leo, Paul Dano), ma con nessuna chance di proporti qualcosa di interessante. E invece "Prisoners" è più che sorprendente!
Parte piano e, sinceramente, lascia quasi intendere che ciò che vedi è proprio quello che ti aspettavi: il solito prodotto che si gioca tutto attraverso i suoi protagonisti, senza davvero impegnarsi in una storia interessante e/o convincente. In realtà, piano piano, il racconto prende direzioni inaspettate, finanedo per intraprendere percorsi narrativi che toccano temi piuttosto scottanti come la giustizia privata, il fanatismo e, naturalmente, il rapimento di minori e le conseguenze che ha sulle famiglie che lo subiscono. Insomma, non esattamente cose da nulla.
Il tema del rapimento segue tutto il percorso del film praticamente dall'inizio e accompagna i 153 minuti di pellicola come tema portante a cui, man mano che si procede a raccontare, si aggiungono gli altri che vanno ad arricchire "Prisoners" di pathos e tensione. Numerose le domande che si è costretti a porsi: come mi comporterei se rapissero mio figlio? Quanta fiducia darei a chi è incaricato di indagare? E, se fossi sicuro di aver individuato il/i colpevole/i, quanto potrei spingermi oltre pur di ottenere una confessione che mi aiuti a ritrovare mio figlio? Riuscirei a trasformarmi in una specie di vendicatore della notte, tra torture e sensi di colpa?
Insomma, pur partendo in sordina, questa pellicola ingrana presto la marcia giusta e si confronta con domande che rendono spesso difficile rapportarsi con quello che si sta vedendo, ovvero la personale discesa all'inferno di Keller Dover per ritrovare la figlia rapita il giorno del ringraziamento da qualcuno che lui ritiene essere l'infantile Alex Jones. Avrà ragione?
Il dubbio è una componente intrinseca di questa storia e per la maggior parte del tempo bisognerà fare i conti con la possibilità che tutto ciò che sta facendo Keller sia effettivamente sbagliato. Le piste che lui e il Detective Loki stanno seguendo, poi, sono completamente differenti e non si sa mai davvero per quale dei due parteggiare.
In un difficile gioco di specchi, tra l'ombra dell'abuso sessuale e il feroce timore di non riuscire a ritrovare in tempo la sua bambina, Keller finirà per affrontare anche i suoi personalissimi demoni, segnato per sempre da ciò che farà pur di non sprecare nessuna possibilità di trarre in salvo la sua Anna.
Sia nel modo di affrontare la vicenda, sia nei personaggi - e, per forza, nell'interpretazione degli attori - "Prisoners" funziona alla grande e lascia un segno forte nello spettatore, costretto anche lui a ritrovarsi faccia a faccia con decisioni scomode, scene violente e rivelazioni inquietanti da far accapponare la pelle. Melissa Leo invecchiata è letteralmente la rivelazione del film - nella versione italiana molto l'aiuta avere la doppiatrice di Meryl Streep, Maria Pia Di Meo -, glaciale ed inquietante al contempo. Hugh Jackman nella parte del padre che tutti vorremmo avere è una garanzia, aiutato dalle sue spalle-armadio e la capacità di risultare roccia sì, ma in grado di commuoversi e comunicarti anche solo con lo sguardo che il suo mondo di padre si sta sgretolando man mano che le ore passano e le possibilità di trovare la sua bambina ancora viva diminuiscono. Viola Davis in generale non mi dispiace mai, anche se quando le toccano queste parti pianto-annesse finisce sempre per lacrimare anche dal naso e la cosa mi distrae sempre un po' dalla sua interpretazione
(vedi "Il dubbio"). Più innoqui Maria Bello e Terrence Howard i cui ruoli finiscono per essere marginali. Paul Dano lievemente ritardato è perfetto e si fa odiare in maniera magnifica, mentre il detective di Jake Gyllenhaal piace per il taglio di capelli cool e perché, alla fine, è esattamente chi speravi che fosse.
Nonostante questo film non sia stato particolarmente preso in considerazione tra le pellicole meritevoli di nomination in questa stagione di premiazioni, devo dire che, al momento, "Prisoners" è uno dei migliori prodotti cinematografici che ho visto, ben scritto, realizzato e recitato, teso ed oscuro, capace di tenerti appeso ad una speranza fino all'ultimo secondo, fino a quel fischio che ti fa, finalmente, tirare un sospiro di sollievo.
Ps. $118,433,958 incassati al botteghino e 46 milioni spesi per produrlo.
Consigli: Assolutamente uno dei titoli più interessanti di questo 2013. Grande cast, ottima sceneggiatura, atmosfera cupa da thriller, ma con parecchie incursioni dark nella psiche dei protagonisti. Bello e riuscito. Davvero una sorpresa.
Parola chiave: Camper.

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Bengi

lunedì 4 gennaio 2010

Film 46 - The Private Lives of Pippa Lee

Come ci eravamo lasciati? Con l'appassionante storia di una zia zitella (ma poi neanche tanto) che sconvolge la società americana bigotta che la vorrebbe incatenare alle regole del 'buon gusto'. In realtà il mio ultimo film del 2009 non è stato "La signora mia zia", ma, bensì, questo film di cui ora scrivo con estremo ritardo (giustificato).


Film 46: "The Private Lives of Pippa Lee" (2009) di Rebecca Miller
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Storie di una Pippa qualunque. Già, avete letto bene. In America Pippa è un nome comune come Justin, anche se da noi il significato è decisamente un altro. Avevo sentito parlare di questo film qualche tempo fa, mi pare per la mostra del cinema di Berlino e mi aveva decisamente incuriosito il titolo. Nondimeno il cast era decisamente interessante: quella santa - e gnocchissima - donna di Robin Wright (Penn), il sempreverde Alan Arkin, la rediviva Winona Ryder e poi Maria Bello (quella del 'Coyote Ugly'), Keanu Reeves, Shirley Knight (mamma di Rex Van de Kamp in "Desperate Housewives"), Blake Lively (di "Gossip Girls"), Julianne Moore e la nostra Monica Bellucci. Già già già, proprio l'unica attrice italiana - con la voce più brutta del pianeta - che riesca a lavorare anche al di fuori dell'Italia. Siccome questo film nel nostro Paese non è uscito e non se ne prevede l'uscita, ho deciso di guardarmelo in inglese - sottotitolato - per vedere se valesse la pena di ricredermi anche sulla recitazione della nostra attrice da esportazione per eccellenza. Siccome i francesi l'adorano e gli americani continuano a farla lavorare, mi sono domandato se la parlata 'in straniero' agevolasse effettivamente la comprensione di quello che dice e che di solito non giunge al pubblico. Volete sapere la risposta? Ovviamente è no.
Mi sono appena riguardato la scena importante dove recita Monica - tra l'altro chiave nel film - e non solo ho avuto la pelle d'oca per quanto recita male (fino ad ora solo Ambra Angiolini in "Bianco e nero" c'era riuscita), ma poi se io fossi inglese madrelingua non la capirei! Non ho voluto apposta leggere i sottotitoli quando parlava lei, di solito l'inglese parlato da uno straniero è estremamente più facile da capire, ma con lei questo discorso non vale, fa davvero fatica a pronunciare qualunque cosa. Ma che la doppino, santo cielo!
Passiamo oltre. Ho scoperto di avere una nuova musa da aggiungere alla lista. Assieme a Cate Blanchett, Meryl Streep, Marion Cotillard, Kate Winslet, Tilda Swinton e Amy Adams adesso ci sarà lei, la fantastica Robin Wright! Ora che è divorziata finalmente non dovremo ricordarla perchè è moglie di, ma solo perchè è brava e bellissima! Non ha paura delle rughe, affronta i primi piani che è una bellezza e non è mai inappropriata nella recitazione! E che io la ami, quindi, è ovvio.
Questo film in particolare la rivede finalmente protagonista in una storia corale che racconta le numerose vite della già citata Pippa, una che prima viveva nel caos, poi nell'ordine più rigoroso. Prima festini, droghe, ragazzi a gogo, poi suora di clausura e badante full time senza compenso. La trattano tutti male e lei non si arrabbia. Giuro, una santa! Poi si rompe i coglioni e la gente se ne stupisce... Mah. Comunque si prende la sua bella rivincita, perchè conquista il cuore del super tatuato Keanu Reeves (che quanto a tardone è già molto esperto, dopo la Diane Keaton di "Tutto può succedere") e saluta moralmente tutti con un bel dito medio, specialmente chi le ha voltato le spalle tradendola.
La pellicola ha il tocco femminile della regista, racconta tutto in modo delicato e pulito, sussurra le cosacce e non strilla mai momenti particolari. Non mi ha esaltato, lo ammetto, ma non mi è neanche del tutto dispiaciuto. Direi che è guardabilissimo, specialmente per ringraziare quantomeno quei produttori che, nonostante tutto, ci fanno ancora lavorare la nostra Bellucciona!
Non trovo particolarmente azzeccate due scelte, comunque: a) Alan Arkin/Herb Lee che porta un tremendo tupé che fa rabbrividire e b) Blake Lively come Pippa da giovane. Una roba che non si regge. E poi nemmeno si somigliano le due Pippa! Herb da giovane conosce Blake/Pippa con il tupé di capelli grigi mentre lei non solo è totalmente un'altra persona, ma sembra una 16enne! E poi, invecchiati, Pippa diventa Robin sui 50 anni e Herb perde solo il parrucchino! Ma un truccatore più bravo o almeno intelligente no?!
Dimenticavo un'altra considerazione: ma Julianne Moore che fa la giovane?!
Consigli: Se non conoscete bene l'inglese, la versione sottotitolata aiuta, ma attenzione a non concentrarvi troppo se nel frattempo state facendo altro! Io, mentre guardavo il film stavo anche cucinando il sugo per la pasta. Peccato che me lo sia dimenticato sul fuoco per circa un'ora... e il sugo si è carbonizzato! Maledetti sottotitoli che richiedono il 100% della mia concentrazione!
Parola chiave: Pippa: "I'm awake!"


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