Era già da un po' che mi incuriosiva vedere questo film. Ho colto l'occasione l'altra sera, alla fine di un weekend divertente e ricco di avvenimenti inconsueti.
Film 561: "St. Elmo's Fire" (1985) di Joel Schumacher
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ed è stato come tornare a casa.
Strana la sensazione che mi ha accolto all'inizio di questa pellicola, ennesimo prodotto anni '80 figlio e/o fratello di una miriade di altri a cui mi sto sempre più piacevolmente appassionando. Dopo aver visto altri prodotti simili come "Sixteen candles - un compleanno da ricordare" o "L'ammiratore segreto", e ancora "Bella in rosa" e "Breakfast Club" (quest'ultimo vero simbolo della cinematografia teen e un po' ribelle del periodo, con cui tra l'altro "St. Elmo's Fire" condivide un terzo del cast), mi sono accorto che il legame tra questo film e i precedenti è veramente molto forte, come se ognuno avesse una propria identità, ma inevitabilmente finisse per essere connesso agli altri.
La pellicola di Joel Schumacher è come se avesse ricevuto il testimone dal "Breakfast Club", come se i ragazzi avessero scontato la punizione e fossero finalmente usciti da scuola per cominciare le loro vite: con la presenza in entrambi i film di Emilio Estevez, Judd Nelson e Ally Sheedy la cosa sembra spesso, involontariamente(?), verificarsi. Eppure dove prima c'era Molly Ringwald, qui invece la bella di turno è una giovanissima Demi Moore dalla voce che più roca non si può, sensuale e magnetica dall'inizio alla fine, quando dovrà dimostrarsi, tra l'altro, la più fragile del gruppo. Completano il quadro Andrew McCarthy (proprio da "Bella in rosa"), Mare Winningham (poi vista in "Grey's Anatomy" nei panni della matrigna di Meredith) e quel Rob Lowe che finirà per recitare in tantissime produzioni televisive USA (le più famose "The West Wing", "Brothers & Sisters" e ora " Parks and Recreation"). L'effetto amicizia-di-gruppo è inevitabilmente lo stesso e finisce per riportare a quella bella sensazione che già il 'Club' mi aveva regalato.
Inutile, quindi, dire che anche questa storia mi sia piaciuta, nonostante alcuni limiti di approfondimento di trama e personaggi e alcuni aspetti sinceramente evitabili (l'infatuamento d'amore di Estevez per Andie MacDowell è sinceramente la storia più inutile).
Nonostante la storia qui sia meno originale e interessante, l'atmosfera era proprio quella che stavo cercando e, nella mia ottica, il film ha risposto bene alla mia richiesta di anni '80, drammi post adolescenza e romanticherie che, al giorno d'oggi, appartengono quasi più ai bambini che agli adulti. Negli anni '00 la timida e sfigata Wendy sarebbe stata letteralmente forzata al cambiamento in 'puttanone' dalle sue amiche più cool, invece di rispettare il suo essere ciò e chi vuole; Jules sarebbe certamente finita morta in qualche vicolo dopo essersi fatta di qualunque cosa e Kirby invece di seguire l'amata in montagna solo per riuscire a rubarle un bacio, forse si sarebbe depresso ed autocommiserato fino alla fine della storia. Ogni tanto, insomma, non fa male qualche storia all'acqua di rose.
In quest'ottica - semplificata - la caratterizzazione dei personaggi è molto spiccata, ma solo in superficie. Ognuno dei 7 ha caratteristiche decisamente evidenti (ragazzo in carriera, bella che ha bisogno di veri amici dopo che si è circondata di uomini che non la amano, sfigatina casa e chiesa che si emancipa dalla famiglia, alternativo intelligente e segretamente innamorato dell'amica, quest'ultima di classe, intelligente e con una carriera pronta a prendere il volo... ecc), ma non si approfondisce nessuno oltre il cliché che incarna. Le situazioni teen drama sono particolarmente incentrate sull'amore e le dinamiche di un gruppo che parte affiatato e sicuro, si sfalda e finirà (qui troppo semplificatamente, però) per riassemblarsi per ripartire con nuovi e più maturi presupposti.
Come al solito, a seconda dell'aspettativa che si ha, il risultato finale ne sarà potenzialmente influenzato. Di fatto io ho trovato ciò che cercavo e ho gradito "St. Elmo's Fire" come avevo gradito gli altri simili esperimenti filmici. Non è un capolavoro, mi pare ovvio, ma nel complesso funzione ed intrattiene.
Consigli: Anche in lingua originale è molto semplice da capire (io l'ho visto senza sottotitoli). Carino, fresco e senza pretese. Ottimo per una serata tranquilla alla riscoperta di un genere adesso decisamente cambiato che, ai nostalgici, finirà inevitabilmente per piacere.
Parola chiave: Amicizia.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
giovedì 27 giugno 2013
Film 561 - St. Elmo's Fire
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lunedì 24 giugno 2013
Film 560 - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1
Procediamo sicuri verso il finale anche di questa saga. Finalmente.
Film 560: "The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1" (2013) di Bill Condon
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Licia
Pensieri: Di una lentezza infinita la prima parte del film (con matrimonio incorporato) e di un ribrezzo infinito la seconda (Bella anoressica al limite dello scheletro a causa della gravidanza vampira). Ma, in fin dei conti, lenta anche la seconda parte.
"Twilight" non si smentisce e riesce a raccontare quello che potrebbe avvenire in mezz'ora narrandolo per un'eternità inespressiva firmata Kristen Stewart, che questa volta viene finalmente tramutata in sbrilluccicante vampira (ma solo proprio alla fine fine, quando sei già pronto a donare un rene purché la facciano finita). 117 minuti di parte #1 sono decisamente troppi, come troppo tempo viene dedicato ad una luna di miele con sesso umano-vampiro in cui di fatto, a parte il momento coito, non succede nulla. Lei, tra l'altro, è sexy e disinvolta come una colonna del Partenone.
Il resto dei macrotemi rimangono invariati rispetto alle precedenti pellicole, con un triangolo amoroso di grandi litigi ed ormoni in conflitto ed un epilogo per Jacob che ha dell'imbarazzante. In mezzo ci sono i Volturi sempre più vicini, il branco di lupi che si sfascia, una gravidanza che corrode dall'interno e un'interminabile banalità di intreccio e dialoghi.
Il romanticismo è talmente zuccheroso che è impossibile goderselo e, personalmente, trovo veramente sconcertante come nel 2013 si possa ancora vendere la magia di una storia d'amore che parte da lei minorenne alternativa, innamorata di lui bello e tenebroso (ma poi sensibile), con annesso matrimonio allo scoccare dei 18 anni e appiccicata gravidanza di lì a qualche mese(?) o settimana(?) con, sullo sfondo, un terzo poveretto che muore d'invidia e finisce per beccarsi un bacio di ripicca - ma poi va bene a tutti, diventeremo una grande famiglia - e a finire innamorato (che poi è l'imprinting) della figlia ibrido umano-vampira di colei di cui era innamorato (ma senza l'imprinting) e il suo rivale in amore. Mi sembra una specie di storia malsana e morbosa, dove il vecchio di turno si becca sempre la bambina che ha bisogno di essere protetta e salvata. Non credo - o meglio, dal mio punto di vista non mi sembra - sia un modello felice da proporre a milioni di ragazzine mononeuroniche che non aspettano altro che trovare il 'principe azzurro'.
Mi rendo perfettamente conto che dalle storie raccontate ognuno trae le proprie conclusioni, si spera sempre in maniera matura. Di fatto, però, non riesco a non pensare che si riproponga un modello di femminilità al limite del servilismo e un concetto di relazione 'a tutti i costi' che francamente mi spaventa. Qual è il limite della propria persona in una relazione e dove la linea che demarca la rivendicazione di sé stessi a prescindere da un amore che, per quanto bello e totalizzante, dovrebbe comunque risultare un'esperienza da vivere consci della propria persona e personalità?
Non è falso scandalizzarsi o un moralismo anni '00, semplicemente mi ha lasciato perplesso come ancora non si possa prescindere dall'idea di relazione in cui sentirsi realizzati e completi quando, di fatto, un personaggio(/persona) come Bella nella propria vita ha vissuto veramente pochissime esperienze per poter scegliere qualcosa che duri l'eternità. Anche se, nell'ottica del target del film, la prospettiva di regalare al pubblico l'idea del 'per sempre' fa certamente la differenza (e gli incassi lo dimostrano: $712,171,856 al botteghino mondiale).
Per quanto, comunque, "The Twilight Saga: Breaking Dawn - Part 1" sia migliore dei precedenti due, la virata patinata che ha preso la saga rispetto al primo film della Hardwicke non mi piace e, anzi, mi sembra lampante come alla fine ci si sia concentrati solo sull'aspetto commerciale legato a questo prodotto firmato Stephenie Meyer, relegando allo sfondo qualsiasi altro aspetto della trama che non facesse parte della tripletta Bella-Edward-Jacob.
Nemmeno questo quarto capitolo mi è piaciuto e, purtroppo, ho ritrovato nuovamente replicati tutti gli aspetti negativi che già si erano evidenziati con i precedenti "New Moon" ed "Eclipse". Vedremo se la parte #2 riuscirà nel miracolo salva-"Twilight".
Ps. Una cosa che ho trovato molto divertente riguarda l'imprinting, qui usato per spiegare il momento in cui un lupo si lega inesorabilmente per la vita alla sua compagna, una specie di amore-oltre, qualcosa di imprescindibile una volta che si è verificato. Recentemente e per puro caso ho scoperto che l'imprinting è un fenomeno studiato in maniera maggiore legato agli uccelli: al momento della schiusa il pulcino è naturalmente portato a seguire la prima cosa movente che apparirà nel suo campo visivo, identificandola come 'madre'.
Non so se la Meyer fosse conscia dell'aspetto scientifico legato al concetto di imprinting (credo sinceramente di sì), ma in ogni caso secondo me - casuale o no - la dice lunga sull'idea di 'amore' che ha e vende l'autrice.
Film 538 - Twilight
Film 1998 - Twilight
Film 547 - The Twilight Saga: New Moon
Film 555 - The Twilight Saga: Eclipse
Film 560 - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1
Film 562 - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Consigli: Da vedere solo legato ai precedenti capitoli dell'interminabile saga. Non è il peggiore di tutti, ma comunque non è una pellicola che rivedrei o mi sentirei di consigliare se non per farsi qualche risata ai danni del fenomeno "Twilight". Tecnicamente è anche curato (gli effetti speciali comunque non mi piacciono), ma per quanto riguarda trama e recitazione non siamo nemmeno ai minimi sindacali.
Parola chiave: Renesmee.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 560: "The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1" (2013) di Bill Condon
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Licia
Pensieri: Di una lentezza infinita la prima parte del film (con matrimonio incorporato) e di un ribrezzo infinito la seconda (Bella anoressica al limite dello scheletro a causa della gravidanza vampira). Ma, in fin dei conti, lenta anche la seconda parte.
"Twilight" non si smentisce e riesce a raccontare quello che potrebbe avvenire in mezz'ora narrandolo per un'eternità inespressiva firmata Kristen Stewart, che questa volta viene finalmente tramutata in sbrilluccicante vampira (ma solo proprio alla fine fine, quando sei già pronto a donare un rene purché la facciano finita). 117 minuti di parte #1 sono decisamente troppi, come troppo tempo viene dedicato ad una luna di miele con sesso umano-vampiro in cui di fatto, a parte il momento coito, non succede nulla. Lei, tra l'altro, è sexy e disinvolta come una colonna del Partenone.
Il resto dei macrotemi rimangono invariati rispetto alle precedenti pellicole, con un triangolo amoroso di grandi litigi ed ormoni in conflitto ed un epilogo per Jacob che ha dell'imbarazzante. In mezzo ci sono i Volturi sempre più vicini, il branco di lupi che si sfascia, una gravidanza che corrode dall'interno e un'interminabile banalità di intreccio e dialoghi.
Il romanticismo è talmente zuccheroso che è impossibile goderselo e, personalmente, trovo veramente sconcertante come nel 2013 si possa ancora vendere la magia di una storia d'amore che parte da lei minorenne alternativa, innamorata di lui bello e tenebroso (ma poi sensibile), con annesso matrimonio allo scoccare dei 18 anni e appiccicata gravidanza di lì a qualche mese(?) o settimana(?) con, sullo sfondo, un terzo poveretto che muore d'invidia e finisce per beccarsi un bacio di ripicca - ma poi va bene a tutti, diventeremo una grande famiglia - e a finire innamorato (che poi è l'imprinting) della figlia ibrido umano-vampira di colei di cui era innamorato (ma senza l'imprinting) e il suo rivale in amore. Mi sembra una specie di storia malsana e morbosa, dove il vecchio di turno si becca sempre la bambina che ha bisogno di essere protetta e salvata. Non credo - o meglio, dal mio punto di vista non mi sembra - sia un modello felice da proporre a milioni di ragazzine mononeuroniche che non aspettano altro che trovare il 'principe azzurro'.
Mi rendo perfettamente conto che dalle storie raccontate ognuno trae le proprie conclusioni, si spera sempre in maniera matura. Di fatto, però, non riesco a non pensare che si riproponga un modello di femminilità al limite del servilismo e un concetto di relazione 'a tutti i costi' che francamente mi spaventa. Qual è il limite della propria persona in una relazione e dove la linea che demarca la rivendicazione di sé stessi a prescindere da un amore che, per quanto bello e totalizzante, dovrebbe comunque risultare un'esperienza da vivere consci della propria persona e personalità?
Non è falso scandalizzarsi o un moralismo anni '00, semplicemente mi ha lasciato perplesso come ancora non si possa prescindere dall'idea di relazione in cui sentirsi realizzati e completi quando, di fatto, un personaggio(/persona) come Bella nella propria vita ha vissuto veramente pochissime esperienze per poter scegliere qualcosa che duri l'eternità. Anche se, nell'ottica del target del film, la prospettiva di regalare al pubblico l'idea del 'per sempre' fa certamente la differenza (e gli incassi lo dimostrano: $712,171,856 al botteghino mondiale).
Per quanto, comunque, "The Twilight Saga: Breaking Dawn - Part 1" sia migliore dei precedenti due, la virata patinata che ha preso la saga rispetto al primo film della Hardwicke non mi piace e, anzi, mi sembra lampante come alla fine ci si sia concentrati solo sull'aspetto commerciale legato a questo prodotto firmato Stephenie Meyer, relegando allo sfondo qualsiasi altro aspetto della trama che non facesse parte della tripletta Bella-Edward-Jacob.
Nemmeno questo quarto capitolo mi è piaciuto e, purtroppo, ho ritrovato nuovamente replicati tutti gli aspetti negativi che già si erano evidenziati con i precedenti "New Moon" ed "Eclipse". Vedremo se la parte #2 riuscirà nel miracolo salva-"Twilight".
Ps. Una cosa che ho trovato molto divertente riguarda l'imprinting, qui usato per spiegare il momento in cui un lupo si lega inesorabilmente per la vita alla sua compagna, una specie di amore-oltre, qualcosa di imprescindibile una volta che si è verificato. Recentemente e per puro caso ho scoperto che l'imprinting è un fenomeno studiato in maniera maggiore legato agli uccelli: al momento della schiusa il pulcino è naturalmente portato a seguire la prima cosa movente che apparirà nel suo campo visivo, identificandola come 'madre'.
Non so se la Meyer fosse conscia dell'aspetto scientifico legato al concetto di imprinting (credo sinceramente di sì), ma in ogni caso secondo me - casuale o no - la dice lunga sull'idea di 'amore' che ha e vende l'autrice.
Film 538 - Twilight
Film 1998 - Twilight
Film 547 - The Twilight Saga: New Moon
Film 555 - The Twilight Saga: Eclipse
Film 560 - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1
Film 562 - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Consigli: Da vedere solo legato ai precedenti capitoli dell'interminabile saga. Non è il peggiore di tutti, ma comunque non è una pellicola che rivedrei o mi sentirei di consigliare se non per farsi qualche risata ai danni del fenomeno "Twilight". Tecnicamente è anche curato (gli effetti speciali comunque non mi piacciono), ma per quanto riguarda trama e recitazione non siamo nemmeno ai minimi sindacali.
Parola chiave: Renesmee.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
David di Donatello 2013: i vincitori
Sinceramente non sapevo nemmeno che fossimo in ballo con i David, ogni anno mi sembra diventino una ricorrenza con sempre meno spinta mediatica.
Ciò detto, trionfo per Tornatore e il suo "La migliore offerta" che, a questo punto, finirà per venire utilizzato come pellicola di rappresentanza italiana agli Academy Awards 2014 rubando, nuovamente, la possibilità di avere Sorrentino. Non che io apprezzi in particolare uno dei due autori piuttosto che l'altro, ma semplicemente mi pare che i prodotti di Sorrentino siano di più ampio respiro e abbiano quel qualcosa che possa catturare l'attenzione dello spettatore non locale.
Ennesimo premio anche a Margherita Buy che, come giustamente mi facevano notare, non vince tanto perché assolutamente versatile - fa sempre lo stesso ruolo: fatto bene, ma è sempre quello - ma perchè di fatto non c'era alcuna concorrenza. Mastandrea, invece, vince ben due premi (attore protagonista e non protagonista) venendo di fatto proclamato l'Attore della stagione passata. Ma forse il 'fattore Buy' vale anche nel suo caso.
Per il resto ormai i David mi sembrano sempre di più l'autocelebrazione del niente o della nostra incapacità di vedere questa occasione come un momento per fare sincera autocritica, evitando l'imbarazzante tendenza solita ad arruffianarsi chiunque centri con il mondo del cinema italiano. Della serie: una nomination non la si nega a nessuno. E così pellicole come "Una famiglia perfetta" ricevono ben due nomination (una per Francesca Neri Migliore attrice non protagonista!) oppure il cognome Gassmann si ritrova con una nomination alla Miglior regia esordiente per "Razzabastarda" e perfino nella stessa categoria con Laura Morante... Anche Ambra è presente grazie a "Viva l'Italia". Insomma, ce n'è per tutti... E forse perchè non c'è proprio null'altro da segnalare.
Ma ecco tutte le categorie con i rispettivi vincitori.
Miglior film
"La migliore offerta"
prodotto da Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica
per la regia di Giuseppe Tornatore
Migliore regista
Giuseppe TORNATORE
"La migliore offerta"
Migliore regista esordiente
Leonardo DI COSTANZO
"L'intervallo"
Migliore sceneggiatura
Roberto ANDÓ, Angelo PASQUINI
"Viva la libertà"
Migliore produttore
Domenico PROCACCI
"Diaz"
Migliore attrice protagonista
Margherita BUY
"Viaggio sola"
Migliore attore protagonista
Valerio MASTANDREA
"Gli equilibristi"
Migliore attrice non protagonista
Maya SANSA
"Bella addormentata"
Migliore attore non protagonista
Valerio MASTANDREA
"Viva la libertà"
Migliore direttore della fotografia
Marco ONORATO
"Reality"
Migliore musicista
Ennio MORRICONE
"La migliore offerta"
Migliore canzone originale
"Tutti i santi giorni" musica e testi di Simone LENZI, Antonio BARDI, Giulio POMPONI, Valerio GRISELLI, Matteo PASTORELLI e Daniele CATALUCCI interpretata da VIRGINIANA MILLER
"Tutti i santi giorni"
Migliore scenografo
Maurizio SABATINI, Raffaella GIOVANNETTI
"La migliore offerta"
Migliore costumista
Maurizio MILLENOTTI
"La migliore offerta"
Migliore TRUCCATORE
Dalia COLLI
"Reality"
Migliore ACCONCIATORE
Daniela TARTARI
"Reality"
Migliore montatore
Benni ATRIA
"Diaz"
Miglior fonico di presa diretta
Remo UGOLINELLI, Alessandro PALMERINI
"Diaz"
Migliori effetti DIGITALI
STORYTELLER - Mario ZANOT
"Diaz"
Miglior film dell'Unione Europea
"Amour"
di Michael HANEKE (Teodora Film e Spazio Cinema)
Miglior film straniero
"Django Unchained" di Quentin TARANTINO (Warner Bros)
Miglior documentario di lungometraggio
"Anija (La nave)" di Roland Sejko
Miglior cortometraggio
"L'esecuzione" di Enrico Iannaccone
David Giovani
"La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore
David alla Carriera
Vincenzo CERAMI
Bengi
Ciò detto, trionfo per Tornatore e il suo "La migliore offerta" che, a questo punto, finirà per venire utilizzato come pellicola di rappresentanza italiana agli Academy Awards 2014 rubando, nuovamente, la possibilità di avere Sorrentino. Non che io apprezzi in particolare uno dei due autori piuttosto che l'altro, ma semplicemente mi pare che i prodotti di Sorrentino siano di più ampio respiro e abbiano quel qualcosa che possa catturare l'attenzione dello spettatore non locale.
Ennesimo premio anche a Margherita Buy che, come giustamente mi facevano notare, non vince tanto perché assolutamente versatile - fa sempre lo stesso ruolo: fatto bene, ma è sempre quello - ma perchè di fatto non c'era alcuna concorrenza. Mastandrea, invece, vince ben due premi (attore protagonista e non protagonista) venendo di fatto proclamato l'Attore della stagione passata. Ma forse il 'fattore Buy' vale anche nel suo caso.
Per il resto ormai i David mi sembrano sempre di più l'autocelebrazione del niente o della nostra incapacità di vedere questa occasione come un momento per fare sincera autocritica, evitando l'imbarazzante tendenza solita ad arruffianarsi chiunque centri con il mondo del cinema italiano. Della serie: una nomination non la si nega a nessuno. E così pellicole come "Una famiglia perfetta" ricevono ben due nomination (una per Francesca Neri Migliore attrice non protagonista!) oppure il cognome Gassmann si ritrova con una nomination alla Miglior regia esordiente per "Razzabastarda" e perfino nella stessa categoria con Laura Morante... Anche Ambra è presente grazie a "Viva l'Italia". Insomma, ce n'è per tutti... E forse perchè non c'è proprio null'altro da segnalare.
Ma ecco tutte le categorie con i rispettivi vincitori.
Miglior film
"La migliore offerta"
prodotto da Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica
per la regia di Giuseppe Tornatore
Migliore regista
Giuseppe TORNATORE
"La migliore offerta"
Migliore regista esordiente
Leonardo DI COSTANZO
"L'intervallo"
Migliore sceneggiatura
Roberto ANDÓ, Angelo PASQUINI
"Viva la libertà"
Migliore produttore
Domenico PROCACCI
"Diaz"
Migliore attrice protagonista
Margherita BUY
"Viaggio sola"
Migliore attore protagonista
Valerio MASTANDREA
"Gli equilibristi"
Migliore attrice non protagonista
Maya SANSA
"Bella addormentata"
Migliore attore non protagonista
Valerio MASTANDREA
"Viva la libertà"
Migliore direttore della fotografia
Marco ONORATO
"Reality"
Migliore musicista
Ennio MORRICONE
"La migliore offerta"
Migliore canzone originale
"Tutti i santi giorni" musica e testi di Simone LENZI, Antonio BARDI, Giulio POMPONI, Valerio GRISELLI, Matteo PASTORELLI e Daniele CATALUCCI interpretata da VIRGINIANA MILLER
"Tutti i santi giorni"
Migliore scenografo
Maurizio SABATINI, Raffaella GIOVANNETTI
"La migliore offerta"
Migliore costumista
Maurizio MILLENOTTI
"La migliore offerta"
Migliore TRUCCATORE
Dalia COLLI
"Reality"
Migliore ACCONCIATORE
Daniela TARTARI
"Reality"
Migliore montatore
Benni ATRIA
"Diaz"
Miglior fonico di presa diretta
Remo UGOLINELLI, Alessandro PALMERINI
"Diaz"
Migliori effetti DIGITALI
STORYTELLER - Mario ZANOT
"Diaz"
Miglior film dell'Unione Europea
"Amour"
di Michael HANEKE (Teodora Film e Spazio Cinema)
Miglior film straniero
"Django Unchained" di Quentin TARANTINO (Warner Bros)
Miglior documentario di lungometraggio
"Anija (La nave)" di Roland Sejko
Miglior cortometraggio
"L'esecuzione" di Enrico Iannaccone
David Giovani
"La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore
David alla Carriera
Vincenzo CERAMI
Bengi
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Francesca Neri,
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Margherita Buy,
Maya Sansa,
Michael Haneke,
Quentin Tarantino,
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Valerio Mastandrea
venerdì 14 giugno 2013
Film 559 - La grande bellezza
La pellicola del momento, capace di far discutere e chiacchierare. Le opinioni che mi sono giunte andavano dall'adorazione al rifiuto totale, passando per una vaga incomprensione del risultato finale.
Nel mio piccolo, non potevo esimermi dal vedere questa nuova ennesima controversa opera del cinema italiano contemporaneo: troppe opinioni a riguardo per non farmene una mia. E poi mi avevano caldamente consigliato di vederlo...
Film 559: "La grande bellezza" (2013) di Paolo Sorrentino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Ale
Pensieri: Il complesso susseguirsi di eventi narrato in questa storia è tale soprattutto per una messa in scena forzatamente non narrativa. Un pezzo dopo l'altro, si fatica a mettere insieme i momenti-sipario che caratterizzano l'insieme - specialmente all'inizio del film, quando ancora tutto è nuovo agli occhi dello spettatore, anche il modo di raccontare la storia - e ci si ritrova spesso storditi in una miriade di input in entrata che faticano ad avere una risposta d'uscita.
L'uscita, questa volta però dalla sala, è accompagnata da un momento di vuoto d'opinione e smarrimento in cui sono più le domande ronzanti in testa che le risposte. Il mio personale primo quesito è stato: chi è veramente Jep Gambardella? Un genio del male o un miserabile, schiacciato dalle sue stesse scelte di vita? Insomma... ci è o ci fa?
E poi ancora: qual è il significato rivestito da certi personaggi di contorno (per esempio il vicino di casa che si affaccia sempre al balcone, muto e una volta appare in compagnia di una donna e un altro soggetto - di evidenti differenti estrazioni sociali - che finiscono per baciarsi mentre il vicino resta impalato a fissare il vuoto come suo solito)? Cosa sottintendono i fenicotteri alla fine del film? Ramona, che nella sua ultima apparizione sembra essere morta ma poi si risveglia, è veramente viva come sembra o in realtà è una specie di momento onirico in cui Jep percepisce la sua presenza (lei vede il mare nel soffitto, lui non lo vede più... O siamo solo noi spettatori a non vederlo più?)?
Consapevole del copioso momento-spoiler (anche se mi sono francamente limitato), allargo il campo alla più generica domanda: ma "La grande bellezza" che film è?
Non ho risposta a questa domanda, nel senso che non si può prescindere dall'opinione personale e quindi ho solo la mia visione di quest'ultima fatica di Sorrentino: ho apprezzato la pellicola, ma ammetto che la messa in scena è spiazzante. Certamente diverso da tutto il cinema italiano contemporaneo (che ho visto), questo è più un prodotto figlio di altri tempi (molti passaggi mi hanno ricordato Fellini e Pasolini) ai cui meccanismi non siamo (più) abituati. Solitamente facilitati da intrecci lineari o banali favolette, la sfacciata irregolarità di questo racconto diventa, per il pubblico a cui piace, valore aggiunto e motivo di plauso per un estro creativo che al giorno d'oggi è più miraggio che realtà. D'altro canto, chi non apprezza, troverà il tutto molto fastidioso e quasi sfrontato.
La ricerca di una prospettiva che non sia la classica inquadratura è oggettivamente un pregio e l'impressione che ho avuto, nel complesso, è di un film in 'costante movimento'. Le numerose carrellate col dolly danno l'impressione di essere sempre a rincorrere qualcosa che sfugge, che siano i personaggi, che sia il senso intimo del film. La movimentata Roma delle feste che annaspa nella solitudine e nella frustrante incapacità di realizzarsi - troppo pigra o sfortunata - si ritrova poi a tenersi compagnia nelle serate tra amici, dove la falsa e ipocrita immagine di sé stessi viene denudata e derisa, ma mette bene in luce quanto di questi tempi la coerenza e la trasparenza siano più bei concetti che veri e propri doveri morali. E allora cosa resta? Cosa salva tutto (e tutti)? Per Jep è la ricerca, appunto, della grande bellezza. Proprio lui che ha speso la propria vita a diventare uomo mondano capace non solo di vivere 'la festa', ma anche di decretarne la distruzione e poco si direbbe intenzionato a ricercare una bellezza che vada oltre il fugace momento di una serata.
Il personaggio interpretato da Toni Servillo è magnetico protagonista e filtro di una serie di improbabili situazioni, dal rito del botox "da salotto" al tour notturno della Capitale grazie al misterioso uomo che custodisce tutte le chiavi che contano, dalla suora centenaria a cui è affidata una delle battute che rimane più impresse ("Sai perchè mangio solo radici? Perché le radici sono importanti"), all'Isabella Ferrari più vuota di sempre ("Che lavoro fai?", "Io sono ricca"), ma anche momenti di quotidiana umanità in cui il ricordo del primo grande amore inebria nostalgico la mente di Jep.
E' tutto un mosaico che se ami funziona e ammalia e fornisce un amaro spaccato della società contemporanea che non risparmia nessuno: il non accettare la propria età (la maggior parte delle persone presenti ai party ha certamente superato gli 'anta'), il vendere un'immagine falsa di sé stessi (la performer all'inizio del film), il tedio di una vita fatta di superficie, lo squallore che diventa il quotidiano (Ramona/Sabrina Ferilli che fa la spogliarellista nel locale del padre), l'egoismo sconfinato (i genitori che sfruttano la 'bambina artista' che sfoga tutta la sua rabbia e la frustrazione della sua condizione contro una tela), passando per una non certo leggera critica al mondo ecclesiastico (qui più interessato agli aspetti molto terreni piuttosto che alla fede e all'aiuto spirituale). Un insieme talvolta impietoso che mette tristezza, accompagnato però da una cornice bellissima che è Roma in un affascinante mood decadente (l'anziana aristocrazia che gioca a carte negli enormi palazzi vuoti fa sorridere, ma poi realizzi...).
Insomma, preso con il necessario spirito di penitenza "La grande bellezza" è un film che lascia innumerevoli spunti su cui riflettere ed è spesso capace di sprigionare un magnetismo anche dovuto a suoi certi passaggi indecifrabili. Carlo Verdone è un grande perdente e Sabrina Ferilli ha la giusta dose di coattagine locale che rappresenta con cognizione di causa. Servillo indossa la maschera del suo Jep come una seconda pelle e, fatta eccezione per il faticoso accento che solo ogni tanto sfoggia fastidiosamente, suscita una certa benevolenza, quasi affetto. Un po' come quello che ha per lui la sua domestica.
Poetico l'intro della pellicola, con coro femminile a tracciare quello che sarà il tema musicale della pellicola e che accompagna il primo momento significativo del film: il turista giapponese osserva il panorama e viene colto da un malore. Come Napoli, vedi Roma e poi muori.
Consigli: Dopo "This Must Be the Place" un'altra opera di grande richiamo per Sorrentino che, piaccia o no, è uno dei pochi italiani capaci di dare un'impronta alle sue storie. Questo "La grande bellezza" è certamente controverso e non facile e richiede costante attenzione per 142 minuti filati quasi mai semplici o distensivi. Interessante il ruolo della Ferilli che spezza un po' lo snobbismo generale; fantastica la scena in cui Jep smonta, uno dopo l'altro, i pilastri di moralità e senso civico dell'amica Stefania, autocelebrato baluardo di impegno sociale e famiglia. Dadina, la caporedattrice nana, è un personaggio bello e autoironico, mentre non mancano i cameo di volti più o meno noti: da Serena Grandi tiratrice di coca ad Antonello Venditti vicino di tavolo, passando per Giorgio Pasotti e perfino una biondissima Fanny Ardant.
Certamente da vedere, è il film italiano del 2013.
Ps. 5.267.312€ di incasso in Italia.
Parola chiave: L'apparato umano.
Trailer
Bengi
Nel mio piccolo, non potevo esimermi dal vedere questa nuova ennesima controversa opera del cinema italiano contemporaneo: troppe opinioni a riguardo per non farmene una mia. E poi mi avevano caldamente consigliato di vederlo...
Film 559: "La grande bellezza" (2013) di Paolo Sorrentino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Ale
Pensieri: Il complesso susseguirsi di eventi narrato in questa storia è tale soprattutto per una messa in scena forzatamente non narrativa. Un pezzo dopo l'altro, si fatica a mettere insieme i momenti-sipario che caratterizzano l'insieme - specialmente all'inizio del film, quando ancora tutto è nuovo agli occhi dello spettatore, anche il modo di raccontare la storia - e ci si ritrova spesso storditi in una miriade di input in entrata che faticano ad avere una risposta d'uscita.
L'uscita, questa volta però dalla sala, è accompagnata da un momento di vuoto d'opinione e smarrimento in cui sono più le domande ronzanti in testa che le risposte. Il mio personale primo quesito è stato: chi è veramente Jep Gambardella? Un genio del male o un miserabile, schiacciato dalle sue stesse scelte di vita? Insomma... ci è o ci fa?
E poi ancora: qual è il significato rivestito da certi personaggi di contorno (per esempio il vicino di casa che si affaccia sempre al balcone, muto e una volta appare in compagnia di una donna e un altro soggetto - di evidenti differenti estrazioni sociali - che finiscono per baciarsi mentre il vicino resta impalato a fissare il vuoto come suo solito)? Cosa sottintendono i fenicotteri alla fine del film? Ramona, che nella sua ultima apparizione sembra essere morta ma poi si risveglia, è veramente viva come sembra o in realtà è una specie di momento onirico in cui Jep percepisce la sua presenza (lei vede il mare nel soffitto, lui non lo vede più... O siamo solo noi spettatori a non vederlo più?)?
Consapevole del copioso momento-spoiler (anche se mi sono francamente limitato), allargo il campo alla più generica domanda: ma "La grande bellezza" che film è?
Non ho risposta a questa domanda, nel senso che non si può prescindere dall'opinione personale e quindi ho solo la mia visione di quest'ultima fatica di Sorrentino: ho apprezzato la pellicola, ma ammetto che la messa in scena è spiazzante. Certamente diverso da tutto il cinema italiano contemporaneo (che ho visto), questo è più un prodotto figlio di altri tempi (molti passaggi mi hanno ricordato Fellini e Pasolini) ai cui meccanismi non siamo (più) abituati. Solitamente facilitati da intrecci lineari o banali favolette, la sfacciata irregolarità di questo racconto diventa, per il pubblico a cui piace, valore aggiunto e motivo di plauso per un estro creativo che al giorno d'oggi è più miraggio che realtà. D'altro canto, chi non apprezza, troverà il tutto molto fastidioso e quasi sfrontato.
La ricerca di una prospettiva che non sia la classica inquadratura è oggettivamente un pregio e l'impressione che ho avuto, nel complesso, è di un film in 'costante movimento'. Le numerose carrellate col dolly danno l'impressione di essere sempre a rincorrere qualcosa che sfugge, che siano i personaggi, che sia il senso intimo del film. La movimentata Roma delle feste che annaspa nella solitudine e nella frustrante incapacità di realizzarsi - troppo pigra o sfortunata - si ritrova poi a tenersi compagnia nelle serate tra amici, dove la falsa e ipocrita immagine di sé stessi viene denudata e derisa, ma mette bene in luce quanto di questi tempi la coerenza e la trasparenza siano più bei concetti che veri e propri doveri morali. E allora cosa resta? Cosa salva tutto (e tutti)? Per Jep è la ricerca, appunto, della grande bellezza. Proprio lui che ha speso la propria vita a diventare uomo mondano capace non solo di vivere 'la festa', ma anche di decretarne la distruzione e poco si direbbe intenzionato a ricercare una bellezza che vada oltre il fugace momento di una serata.
Il personaggio interpretato da Toni Servillo è magnetico protagonista e filtro di una serie di improbabili situazioni, dal rito del botox "da salotto" al tour notturno della Capitale grazie al misterioso uomo che custodisce tutte le chiavi che contano, dalla suora centenaria a cui è affidata una delle battute che rimane più impresse ("Sai perchè mangio solo radici? Perché le radici sono importanti"), all'Isabella Ferrari più vuota di sempre ("Che lavoro fai?", "Io sono ricca"), ma anche momenti di quotidiana umanità in cui il ricordo del primo grande amore inebria nostalgico la mente di Jep.
E' tutto un mosaico che se ami funziona e ammalia e fornisce un amaro spaccato della società contemporanea che non risparmia nessuno: il non accettare la propria età (la maggior parte delle persone presenti ai party ha certamente superato gli 'anta'), il vendere un'immagine falsa di sé stessi (la performer all'inizio del film), il tedio di una vita fatta di superficie, lo squallore che diventa il quotidiano (Ramona/Sabrina Ferilli che fa la spogliarellista nel locale del padre), l'egoismo sconfinato (i genitori che sfruttano la 'bambina artista' che sfoga tutta la sua rabbia e la frustrazione della sua condizione contro una tela), passando per una non certo leggera critica al mondo ecclesiastico (qui più interessato agli aspetti molto terreni piuttosto che alla fede e all'aiuto spirituale). Un insieme talvolta impietoso che mette tristezza, accompagnato però da una cornice bellissima che è Roma in un affascinante mood decadente (l'anziana aristocrazia che gioca a carte negli enormi palazzi vuoti fa sorridere, ma poi realizzi...).
Insomma, preso con il necessario spirito di penitenza "La grande bellezza" è un film che lascia innumerevoli spunti su cui riflettere ed è spesso capace di sprigionare un magnetismo anche dovuto a suoi certi passaggi indecifrabili. Carlo Verdone è un grande perdente e Sabrina Ferilli ha la giusta dose di coattagine locale che rappresenta con cognizione di causa. Servillo indossa la maschera del suo Jep come una seconda pelle e, fatta eccezione per il faticoso accento che solo ogni tanto sfoggia fastidiosamente, suscita una certa benevolenza, quasi affetto. Un po' come quello che ha per lui la sua domestica.
Poetico l'intro della pellicola, con coro femminile a tracciare quello che sarà il tema musicale della pellicola e che accompagna il primo momento significativo del film: il turista giapponese osserva il panorama e viene colto da un malore. Come Napoli, vedi Roma e poi muori.
Consigli: Dopo "This Must Be the Place" un'altra opera di grande richiamo per Sorrentino che, piaccia o no, è uno dei pochi italiani capaci di dare un'impronta alle sue storie. Questo "La grande bellezza" è certamente controverso e non facile e richiede costante attenzione per 142 minuti filati quasi mai semplici o distensivi. Interessante il ruolo della Ferilli che spezza un po' lo snobbismo generale; fantastica la scena in cui Jep smonta, uno dopo l'altro, i pilastri di moralità e senso civico dell'amica Stefania, autocelebrato baluardo di impegno sociale e famiglia. Dadina, la caporedattrice nana, è un personaggio bello e autoironico, mentre non mancano i cameo di volti più o meno noti: da Serena Grandi tiratrice di coca ad Antonello Venditti vicino di tavolo, passando per Giorgio Pasotti e perfino una biondissima Fanny Ardant.
Certamente da vedere, è il film italiano del 2013.
Ps. 5.267.312€ di incasso in Italia.
Parola chiave: L'apparato umano.
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giovedì 6 giugno 2013
Film 558 - Miele
Ancora cinema italiano, questa volta attirato dalle numerose buonissime recensioni. E dall'esordio alla regia di una come Valeria Golino.
Film 558: "Miele" (2013) di Valeria Golino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Valeria Golino è uno di quei personaggi che ti piace o non ti piace, senza troppe vie di mezzo. Personalmente ciò che apprezzo di lei è che fa esattamente quello che vuole fare, scegliendo ogni volta un nuovo modo di mettersi in gioco.
Questa volta la prova è più ardua, dato che per "Miele" ha scelto non di recitare, ma di scrivere la sceneggiatura - liberamente tratta dal romanzo "A nome tuo" di Angela Del Fabbro - e di curarne la regia decretando, di fatto, il suo esordio nel campo del lungometraggio. Un esordio che non passa inosservato.
La Golino ha un occhio molto attento per i particolari fisici, su cui spesso decide di soffermare l'inquadratura per determinare in maniera efficace ed inequivocabile i sentimenti dei suoi personaggi. Così facendo, tra l'altro, riesce nell'intento di creare un contatto con lo spettatore, un'intimità profonda che lo legherà a Irene/Miele per tutta la durata del film. In queste scelte molto 'fisiche' Jasmine Trinca è sempre perfetta: sguardo intenso ed emotivamente molto carico, un corpo al servizio del racconto che non si risparmia niente e, anzi, gioca di squadra con la telecamera, finendo per raccontare tutto ciò che le parole non possono dire. Sicuramente da questo punto di vista "Miele" riesce bene.
Ho trovato, invece, che a volte si scivoli sui dialoghi. Un'impostazione troppo rigida e antiquata delle parole a volte finisce per rendere i discorsi tra i personaggi irreali o talmente impostati da risultarlo. Succede, così, che in alcuni passaggi il lavoro di fiction si palesi, guastando la naturalità interpretativa che regna per quasi tutta la pellicola. La Trinca in quest'ottica funziona quasi sempre, ma anche lei finisce per commettere qualche passo falso che, comunque, non intacca di fatto l'idea generale della sua buona performance.
Tra i comprimari Carlo Cecchi è certamente quello che rimane più impresso, bravissimo nell'interpretazione dell'ingegnere che diventa per breve tempo amico di Irene. I due, che prima si scontrano, finisco per scoprirsi anime affini (quasi una relazione platonica) e per il breve momento in cui condivideranno il loro tempo, riusciranno ad abbattere i reciproci muri eretti giocoforza ognuno per tutelare i propri segreti (la depressione per l'ingegnere, il lavoro per Irene). Inutile dire che l'amicizia cambierà necessariamente le loro prospettive, dove per la ragazza porterà ad una decisione drastica legata al suo silenzioso 'impiego' e per l'uomo un cambiamento di approccio al suicidio - che, se vogliamo, diventa una specie di atto di coraggio rispetto a ciò che prima l'ingegnere non si sentiva di fare, ovvero preferendo mettere fine alla sua vita di nascosto e in solitudine, fuggendo gli sguardi indiscreti altrui, approccio che pare evidente l'uomo abbia tenuto anche negli ultimi anni della sua vita -.
Pure qui l'unico neo all'interpretazione di Cecchi è una piccola cosa: a volte si mangia le parole e non sempre si capisce chiaramente tutto ciò che viene detto (a volte anche a causa dell'audio, bisogna dire, non sempre perfettamente distinguibile).
Nel complesso, insomma "Miele" mi ha lasciato un'impressione positiva. Tratta tematiche molto complesse (eutanasia, suicidio, malattia, dignità, etica) fornendo un punto di vista che, condivisibile o meno, non può non essere almeno preso in considerazione. Quello di Miele più che un lavoro è una missione in cui lei stessa crede fermamente fino a quando un 'elemento di disturbo' non le imporrà, se non una scelta morale, la necessità di schierarsi dalla parte delle sue convinzioni.
Nonostante i temi, il film non è né duro né buonista e, anzi, analizza e propone il tutto in maniera molto naturale. Lo spettatore, uscito dalla sala (io per un po' di tempo sono dovuto rimanere in silenzio a riflettere), deciderà cosa pensare dell'argomento senza poter però mettere in dubbio che il lavoro della Golino stimoli quantomeno una riflessione. Della serie: può piacere come non piacere, ma inevitabilmente si finirà per soffermarsi a pensare su quanto si è appena visto. E questo è certamente un valore aggiunto non comune a tutti i film dei giorni nostri.
Ps. Presente a Cannes 2013 nella sezine Un Certain Regard, si è portato a casa una menzione speciale da parte della Giuria Ecumenica (che lo ha segnalato assieme al giapponese "Soshite chichi ni naru").
Consigli: Il finale è prevedibile a causa di un particolare che viene svelato durante la narrazione. Sarebbe meglio non ragionarci troppo per evitare che ci si rovini proprio l'ultima scena del film, ma effettivamente è difficile non immaginarsi cosa accadrà (in chiave un po' troppo romantico-nostalgica per i miei gusti).
Il respiro internazionale della pellicola fa un certo effetto considerando che è l'esordio alla regia di un'attrice che porta al cinema tematiche tanto controverse, ma certamente la sorpresa aggiunge appeal al progetto, evitandogli quel tono provinciale solitamente comune alle pellicole italiane.
Nel complesso, quindi, vale la pena dare una chance a questa pellicola, anche solo per confrontare sé stessi con le situazioni riportate dalla sceneggiatura e regalarsi un punto di vista in più sulla questione. La Trinca poi è brava e l'intensa interpretazione - un po' lesbo dark - colpirà sicuramente lo spettatore.
Parola chiave: Lamputal.
Trailer
Bengi
Film 558: "Miele" (2013) di Valeria Golino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Valeria Golino è uno di quei personaggi che ti piace o non ti piace, senza troppe vie di mezzo. Personalmente ciò che apprezzo di lei è che fa esattamente quello che vuole fare, scegliendo ogni volta un nuovo modo di mettersi in gioco.
Questa volta la prova è più ardua, dato che per "Miele" ha scelto non di recitare, ma di scrivere la sceneggiatura - liberamente tratta dal romanzo "A nome tuo" di Angela Del Fabbro - e di curarne la regia decretando, di fatto, il suo esordio nel campo del lungometraggio. Un esordio che non passa inosservato.
La Golino ha un occhio molto attento per i particolari fisici, su cui spesso decide di soffermare l'inquadratura per determinare in maniera efficace ed inequivocabile i sentimenti dei suoi personaggi. Così facendo, tra l'altro, riesce nell'intento di creare un contatto con lo spettatore, un'intimità profonda che lo legherà a Irene/Miele per tutta la durata del film. In queste scelte molto 'fisiche' Jasmine Trinca è sempre perfetta: sguardo intenso ed emotivamente molto carico, un corpo al servizio del racconto che non si risparmia niente e, anzi, gioca di squadra con la telecamera, finendo per raccontare tutto ciò che le parole non possono dire. Sicuramente da questo punto di vista "Miele" riesce bene.
Ho trovato, invece, che a volte si scivoli sui dialoghi. Un'impostazione troppo rigida e antiquata delle parole a volte finisce per rendere i discorsi tra i personaggi irreali o talmente impostati da risultarlo. Succede, così, che in alcuni passaggi il lavoro di fiction si palesi, guastando la naturalità interpretativa che regna per quasi tutta la pellicola. La Trinca in quest'ottica funziona quasi sempre, ma anche lei finisce per commettere qualche passo falso che, comunque, non intacca di fatto l'idea generale della sua buona performance.
Tra i comprimari Carlo Cecchi è certamente quello che rimane più impresso, bravissimo nell'interpretazione dell'ingegnere che diventa per breve tempo amico di Irene. I due, che prima si scontrano, finisco per scoprirsi anime affini (quasi una relazione platonica) e per il breve momento in cui condivideranno il loro tempo, riusciranno ad abbattere i reciproci muri eretti giocoforza ognuno per tutelare i propri segreti (la depressione per l'ingegnere, il lavoro per Irene). Inutile dire che l'amicizia cambierà necessariamente le loro prospettive, dove per la ragazza porterà ad una decisione drastica legata al suo silenzioso 'impiego' e per l'uomo un cambiamento di approccio al suicidio - che, se vogliamo, diventa una specie di atto di coraggio rispetto a ciò che prima l'ingegnere non si sentiva di fare, ovvero preferendo mettere fine alla sua vita di nascosto e in solitudine, fuggendo gli sguardi indiscreti altrui, approccio che pare evidente l'uomo abbia tenuto anche negli ultimi anni della sua vita -.
Pure qui l'unico neo all'interpretazione di Cecchi è una piccola cosa: a volte si mangia le parole e non sempre si capisce chiaramente tutto ciò che viene detto (a volte anche a causa dell'audio, bisogna dire, non sempre perfettamente distinguibile).
Nel complesso, insomma "Miele" mi ha lasciato un'impressione positiva. Tratta tematiche molto complesse (eutanasia, suicidio, malattia, dignità, etica) fornendo un punto di vista che, condivisibile o meno, non può non essere almeno preso in considerazione. Quello di Miele più che un lavoro è una missione in cui lei stessa crede fermamente fino a quando un 'elemento di disturbo' non le imporrà, se non una scelta morale, la necessità di schierarsi dalla parte delle sue convinzioni.
Nonostante i temi, il film non è né duro né buonista e, anzi, analizza e propone il tutto in maniera molto naturale. Lo spettatore, uscito dalla sala (io per un po' di tempo sono dovuto rimanere in silenzio a riflettere), deciderà cosa pensare dell'argomento senza poter però mettere in dubbio che il lavoro della Golino stimoli quantomeno una riflessione. Della serie: può piacere come non piacere, ma inevitabilmente si finirà per soffermarsi a pensare su quanto si è appena visto. E questo è certamente un valore aggiunto non comune a tutti i film dei giorni nostri.
Ps. Presente a Cannes 2013 nella sezine Un Certain Regard, si è portato a casa una menzione speciale da parte della Giuria Ecumenica (che lo ha segnalato assieme al giapponese "Soshite chichi ni naru").
Consigli: Il finale è prevedibile a causa di un particolare che viene svelato durante la narrazione. Sarebbe meglio non ragionarci troppo per evitare che ci si rovini proprio l'ultima scena del film, ma effettivamente è difficile non immaginarsi cosa accadrà (in chiave un po' troppo romantico-nostalgica per i miei gusti).
Il respiro internazionale della pellicola fa un certo effetto considerando che è l'esordio alla regia di un'attrice che porta al cinema tematiche tanto controverse, ma certamente la sorpresa aggiunge appeal al progetto, evitandogli quel tono provinciale solitamente comune alle pellicole italiane.
Nel complesso, quindi, vale la pena dare una chance a questa pellicola, anche solo per confrontare sé stessi con le situazioni riportate dalla sceneggiatura e regalarsi un punto di vista in più sulla questione. La Trinca poi è brava e l'intensa interpretazione - un po' lesbo dark - colpirà sicuramente lo spettatore.
Parola chiave: Lamputal.
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mercoledì 5 giugno 2013
Film 532 - La madre
In ritardo, ma è giunto il momento anche per questa recensione.
Film 532: "La madre" (2013) di Andrés Muschietti
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia:
Pensieri: Nonostante il film non mi sia sembrato granché, devo dire che Jessica Chastain non smette di lasciarmi affascinato. Salta da una pellicola all'altra come se niente fosse, abbracciando i progetti più disparati e, di conseguenza, i generi più diversi.
Dopo essersi calata nei panni di agente della Mossad, svampita bionda dal cuore tenerissimo e poi ancora agente della CIA (ecc, ecc), questa volta l'attrice interpreta i più ribelli panni di una rocker dal piglio duro che finirà a fare i conti con una nuova famiglia e un misterioso segreto. Che, a dire il vero, misterioso per lo spettatore non lo è affatto.
Il segreto de "La madre", infatti, non solo è facilmente intuibile, ma anche presto svelato, limitando di molto la portata horror di questo prodotto voluto da Guillermo del Toro (e sinceramente molto simile ad altri prodotti del genere made in Spain, come per esempio "Non avere paura del buio", sempre prodotto da del Toro). Di fatto l'elemento di paura viene poi disciolto in qualche mistica spiegazione dai tratti fiabeschi - per quanto dark - e il tutto è necessariamente rivalutato nella nuova prospettiva lanciata da un finale che certo non ti aspetti. O non vorresti.
Dove in prodotti come "La casa" non si lemosina certo in macabre trovate splatter o orrifiche, qui si sceglie per un approccio più mentale che visivo, dove la pauraè un'ombra proiettata sul muro, senza mai concretizzarsi in un vero spavento; per poi cedere ad una virata fuori tema tra il gotico e il già visto (la madre del titolo 'adotta' le due bambine per il trauma del suo figlioletto morto).
Onestamente le mie aspettative erano orientate più all'horror vero e proprio che a quello che viene mostrato qui. Non mi sono mai davvero spaventato e non mi sono francamente mai sentito coinvolto o veramente preso dalla trama. L'unico motivo per cui vale la visione di questo "Mama" è proprio la buona performance della Chastain, per quanto il suo personaggio sia perfettamente decodificabile fin dall'inizio, con un'evoluzione personale di certo non originale (prima Annabel non se la sente di fare da madre alle nipotine acquisite, poi finirà per affezionarcisi e amarle come sue, compiendo estremi sacrifici per loro), ma resa dall'attrice in maniera credibile nonostante l'orrenda parrucca stile "Non è un paese per vecchi" che le hanno fatto indossare.
Insomma, tutto sommato questa pellicola non è malvagia, ma nemmeno ciò che speravo di trovare. Le premesse horror sembrano esserci nell'interessante prologo e la successiva parte in cui le bambine vengono mostrate come selvaggi ragnetti che si nascondono nell'ombra, ma per come prosegue la trama l'insieme non mi ha sodisfatto.
Consigli: E' meno spaventoso di quanto uno non vorrebbe e più in linea con quelle pellicole che alla paura della immagini preveriscono sussurri, ombre e supposizioni dei protagonisti. Quando tutto il mistero legata alla figura di Madre viene svelato, si rimane un po' insoddisfatti.
E' una buona soluzione per una serata in compagnia o alla ricerca di svago. La Chastain funziona anche in questo ruolo e anche solo per questo motivo si può dare unapossibilità al film.
Parola chiave: Manicomio.
Trailer
Bengi
Film 532: "La madre" (2013) di Andrés Muschietti
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia:
Pensieri: Nonostante il film non mi sia sembrato granché, devo dire che Jessica Chastain non smette di lasciarmi affascinato. Salta da una pellicola all'altra come se niente fosse, abbracciando i progetti più disparati e, di conseguenza, i generi più diversi.
Dopo essersi calata nei panni di agente della Mossad, svampita bionda dal cuore tenerissimo e poi ancora agente della CIA (ecc, ecc), questa volta l'attrice interpreta i più ribelli panni di una rocker dal piglio duro che finirà a fare i conti con una nuova famiglia e un misterioso segreto. Che, a dire il vero, misterioso per lo spettatore non lo è affatto.
Il segreto de "La madre", infatti, non solo è facilmente intuibile, ma anche presto svelato, limitando di molto la portata horror di questo prodotto voluto da Guillermo del Toro (e sinceramente molto simile ad altri prodotti del genere made in Spain, come per esempio "Non avere paura del buio", sempre prodotto da del Toro). Di fatto l'elemento di paura viene poi disciolto in qualche mistica spiegazione dai tratti fiabeschi - per quanto dark - e il tutto è necessariamente rivalutato nella nuova prospettiva lanciata da un finale che certo non ti aspetti. O non vorresti.
Dove in prodotti come "La casa" non si lemosina certo in macabre trovate splatter o orrifiche, qui si sceglie per un approccio più mentale che visivo, dove la pauraè un'ombra proiettata sul muro, senza mai concretizzarsi in un vero spavento; per poi cedere ad una virata fuori tema tra il gotico e il già visto (la madre del titolo 'adotta' le due bambine per il trauma del suo figlioletto morto).
Onestamente le mie aspettative erano orientate più all'horror vero e proprio che a quello che viene mostrato qui. Non mi sono mai davvero spaventato e non mi sono francamente mai sentito coinvolto o veramente preso dalla trama. L'unico motivo per cui vale la visione di questo "Mama" è proprio la buona performance della Chastain, per quanto il suo personaggio sia perfettamente decodificabile fin dall'inizio, con un'evoluzione personale di certo non originale (prima Annabel non se la sente di fare da madre alle nipotine acquisite, poi finirà per affezionarcisi e amarle come sue, compiendo estremi sacrifici per loro), ma resa dall'attrice in maniera credibile nonostante l'orrenda parrucca stile "Non è un paese per vecchi" che le hanno fatto indossare.
Insomma, tutto sommato questa pellicola non è malvagia, ma nemmeno ciò che speravo di trovare. Le premesse horror sembrano esserci nell'interessante prologo e la successiva parte in cui le bambine vengono mostrate come selvaggi ragnetti che si nascondono nell'ombra, ma per come prosegue la trama l'insieme non mi ha sodisfatto.
Consigli: E' meno spaventoso di quanto uno non vorrebbe e più in linea con quelle pellicole che alla paura della immagini preveriscono sussurri, ombre e supposizioni dei protagonisti. Quando tutto il mistero legata alla figura di Madre viene svelato, si rimane un po' insoddisfatti.
E' una buona soluzione per una serata in compagnia o alla ricerca di svago. La Chastain funziona anche in questo ruolo e anche solo per questo motivo si può dare unapossibilità al film.
Parola chiave: Manicomio.
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martedì 4 giugno 2013
Film 557 - La scoperta dell'alba
Un po' malaticcio, ieri sera ero alla ricerca di qualcosa da guardare per la mia serata casalinga che non fosse il solito film-disimpegno. E ho scelto, insolitamente, una pellicola italiana...
Film 557: "La scoperta dell'alba" (2012) di Susanna Nicchiarelli
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia:
Pensieri: Dal libro omonimo scritto da Walter Veltroni, la regista-sceneggiatrice-attrice del precedente "Cosmonauta" trae questa pellicola che svolazza tra tematiche fantasy, dramma e denuncia. Terreni insolitamente mischiati per il cinema italiano. E forse in generale.
Trattando di Brigate Rosse, genitori scomparsi, persone giustiziate a colpi di pistola e viaggi nel tempo,"La scoperta dell'alba" si incammina per sentieri sinceramente inaspettati e, per quanto riguarda questo aspetto, è stata una piacevole sorpresa. Peccato, però, che il tutto sia guastato dalla solita tendenza del nostro cinema a rendere il tutto negli unici toni autodefiniti di qualità, ovvero quelli drammatici ed esasperati.
In quest'ottica Margherita Buy non ha rivali, essendo l'unica attrice italiana a recitare in maniera drammatica anche quando sorride, essendosi specializzata in ruoli da isterica single altoborghese con una tendenza al sussurrato o allo sguardo contrito. E non importa che debba ordinare un caffé al bar o staccare la spina ad un malato terminale, la sua recitazione sarà ugualmente sofferta.
Anche in questo caso, quindi, il respiro affannato e lo sguardo carico di speranze infrante finisce per farla da padrone, guastando un'atmosfera che, talvolta, avrebbe potuto regalare momenti meno pesanti. La colpa, per carità, non è solo dell'elemento Buy - per quanto in alcune scene sia evidentemente sottotono -, ma anche di una sceneggiatura che, pur di dare risposte alle non poche domande sollevate durante la visione, finisce per sottovalutare alcuni passaggi, finendo per trattarli in maniera sbrigativa o superficiale. Come si può, per esempio, pensare che due bambine negli anni '70 rispondano senza fare una piega ad una telefonata di loro stesse dal futuro? E com'è possibile che intervenendo sul passato, il personaggio della Buy non influenzi anche il suo presente? Già solo queste due domande, a mio avviso, rendono l'idea dell'incompletezza che intacca alcuni passaggi di questa pellicola.
In ogni caso, non posso dire che l'approccio della Nicchiarelli mi sia piaciuto, e per quanto riguarda la sceneggiatura e per la resa dei personaggi di contorno, macchiette veloci e fugaci, incapaci di donare alla cornice un benché minimo spessore narrativo. Giusto Sergio Rubini riesce nell'intento di risultare un po' incisivo. La colpa non è tanto degli attori, quanto proprio della mancanza di appeal nella sceneggiatura.
Divido, quindi, il mio parere su "La scoperta dell'alba" in due: lo spunto della storia ha decisamente il suo fascino (ma questo è merito del libro di Veltroni), ma, per come viene reso il tutto, si finisce per rovinare il risultato finale uniformandosi al solito prodotto del cinema italiano uguale a sé stesso quando si trattano argomenti drammatici: è incapace di elevarsi a qualcosa di nuovo o originale.
Ps. Bruttissimi costumi.
Pps. Lina Sastri un po' sacrificata in un ruolo a passeggio che sarebbe stato più interessante vederre approfondito.
Consigli: Non un esperimento malvagio, ma purtroppo sempre influenzato dalla nostra tradizionale idea di pellicola drammatica, dove i bisbigli si sprecano, la protagonista è una nevrotica intelligentona un po' solitaria e il tutto finisce per essere sempre troppo simile ad una qualsiasi fiction destinata al grande pubblico televisivo. Per chi ama la Buy è il film perfetto. Per gli altri, nel caso di necessità di svago, sicuramente è meglio direzionarsi su altri lidi.
Parola chiave: Telefono.
Trailer
Bengi
Film 557: "La scoperta dell'alba" (2012) di Susanna Nicchiarelli
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia:
Pensieri: Dal libro omonimo scritto da Walter Veltroni, la regista-sceneggiatrice-attrice del precedente "Cosmonauta" trae questa pellicola che svolazza tra tematiche fantasy, dramma e denuncia. Terreni insolitamente mischiati per il cinema italiano. E forse in generale.
Trattando di Brigate Rosse, genitori scomparsi, persone giustiziate a colpi di pistola e viaggi nel tempo,"La scoperta dell'alba" si incammina per sentieri sinceramente inaspettati e, per quanto riguarda questo aspetto, è stata una piacevole sorpresa. Peccato, però, che il tutto sia guastato dalla solita tendenza del nostro cinema a rendere il tutto negli unici toni autodefiniti di qualità, ovvero quelli drammatici ed esasperati.
In quest'ottica Margherita Buy non ha rivali, essendo l'unica attrice italiana a recitare in maniera drammatica anche quando sorride, essendosi specializzata in ruoli da isterica single altoborghese con una tendenza al sussurrato o allo sguardo contrito. E non importa che debba ordinare un caffé al bar o staccare la spina ad un malato terminale, la sua recitazione sarà ugualmente sofferta.
Anche in questo caso, quindi, il respiro affannato e lo sguardo carico di speranze infrante finisce per farla da padrone, guastando un'atmosfera che, talvolta, avrebbe potuto regalare momenti meno pesanti. La colpa, per carità, non è solo dell'elemento Buy - per quanto in alcune scene sia evidentemente sottotono -, ma anche di una sceneggiatura che, pur di dare risposte alle non poche domande sollevate durante la visione, finisce per sottovalutare alcuni passaggi, finendo per trattarli in maniera sbrigativa o superficiale. Come si può, per esempio, pensare che due bambine negli anni '70 rispondano senza fare una piega ad una telefonata di loro stesse dal futuro? E com'è possibile che intervenendo sul passato, il personaggio della Buy non influenzi anche il suo presente? Già solo queste due domande, a mio avviso, rendono l'idea dell'incompletezza che intacca alcuni passaggi di questa pellicola.
In ogni caso, non posso dire che l'approccio della Nicchiarelli mi sia piaciuto, e per quanto riguarda la sceneggiatura e per la resa dei personaggi di contorno, macchiette veloci e fugaci, incapaci di donare alla cornice un benché minimo spessore narrativo. Giusto Sergio Rubini riesce nell'intento di risultare un po' incisivo. La colpa non è tanto degli attori, quanto proprio della mancanza di appeal nella sceneggiatura.
Divido, quindi, il mio parere su "La scoperta dell'alba" in due: lo spunto della storia ha decisamente il suo fascino (ma questo è merito del libro di Veltroni), ma, per come viene reso il tutto, si finisce per rovinare il risultato finale uniformandosi al solito prodotto del cinema italiano uguale a sé stesso quando si trattano argomenti drammatici: è incapace di elevarsi a qualcosa di nuovo o originale.
Ps. Bruttissimi costumi.
Pps. Lina Sastri un po' sacrificata in un ruolo a passeggio che sarebbe stato più interessante vederre approfondito.
Consigli: Non un esperimento malvagio, ma purtroppo sempre influenzato dalla nostra tradizionale idea di pellicola drammatica, dove i bisbigli si sprecano, la protagonista è una nevrotica intelligentona un po' solitaria e il tutto finisce per essere sempre troppo simile ad una qualsiasi fiction destinata al grande pubblico televisivo. Per chi ama la Buy è il film perfetto. Per gli altri, nel caso di necessità di svago, sicuramente è meglio direzionarsi su altri lidi.
Parola chiave: Telefono.
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Walter Veltroni
lunedì 3 giugno 2013
Film 556 - Beautiful Creatures - La sedicesima luna
Proviamo a spegnere la testa.
Film 556: "Beautiful Creatures - La sedicesima luna" (2013) di Richard LaGravenese
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Senza infamia e senza lode. E' un film principalmente neutro, privo di brio ma non così brutto da meritarsi pessimi commenti. Più che altro è un esperimento insipido, che fallisce principalmente perchè privo di una personalità propria capace di catturare l'attenzione. Ovvero una pellicola sulla magia, ma senza magia.
I due personaggi principali Alden Ehrenreich e Alice Englert sono abbastanza normali da risultare anche carini e piacevoli e fa piacere che per una volta si sia puntato più sulla rappresentazione di una qualsiasi coppia di adolescenti che su due belloni e maledetti o i più cool della scuola. La Englert non è certo particolarmente bella e Ehrenreich sembra la versione giovane di Liev Schreiber. Non credo si possa dire, però, che l'opzione meno 'beauty' abbia coinciso con un insolito implemento delle capacità recitative. Ma "Beautiful Creatures" non richiedeva, di fatto, la necessità di esibire numerose sfumature espressive.
Interessante, invece, che due attori premi Oscar come Emma Thompson e Jeremy Irons abbiano deciso di puntare su questo prodotto che, di fatto, non aggiunge nulla alle loro fortunatissime carriere. Se ciò che cercavano era un successo commerciale facile hanno purtroppo scelto la pellicola sbagliata in quanto a livello di incassi il risultato è stato da flop (60 milioni di dollari spesi per produrlo e $60,052,138 di incasso mondiale).
A questo punto ci sarebbe da interrogarsi sui motivi di tanto sfacelo, nella speranza che ci si accorga che non basta solamente trarre da un libro di successo una storia per il cinema perchè questa si tramuti in un buon prodotto che si svincoli dalle banalità di cui siamo già sufficientemente saturi.
Il fatto che "Beautiful Creatures - La sedicesima luna" non sia nulla di che non è un risultato auspicabile per una produzione nuova che aspira a bissare i grandi successi commerciali di saghe come "Twilight" o "Harry Potter". Considerato che di partenza la storia non ha alcunché di originale - lei, futura maga, emarginata sociale, allo scoccare dei 16 anni sarà reclamata dal suo destino che letteralmente sceglierà a quale team farla appartenere: buoni o cattivi (ovvero luce o tenebre)? Nel mezzo c'è il liceo, una storia d'amore con un mortale appena sbocciata e una maledizione che, naturalmente, sembrerebbe destinata ad impedire che i giovani possano stare insieme dato che, per spezzare l'incantesimo, il vero amore di Lena dovrebbe morire... - si sarebbe dovuto puntare su qualche cosa di assolutamente unico per staccarsi da quella massa di prodotti teen misto fantasy e drammi di cui ormai si fatica a distinguerne i componenti. Io, personalmente, avrei preferito una caratterizzazione dei due personaggi di Irons e la Thompson in maniera più incisiva e aggressiva, magari privilegiando quell'antagonismo tra i due che di fatto nel film c'è, ma non è sfruttato a dovere. Due attori di quel calibro in ruoli tanto piatti... Uno spreco! E dire che la Thompson riesce a rendere credibile e maledettamente affascinante anche quel monologo della sua Sarafine in chiesa in maniera tanto naturale da far dimenticare le non poche battute piuttosto bruttine che le sono spettate dalla sceneggiatura. Insomma lei almeno ci ha provato...
"Beautiful Creatures", insomma, non ha aspetti così negativi da renderlo brutto, inguardabile o intollerabile, semplicemente non ha nulla che lo renda degno di essere ricordato.
Consigli: Il ruolo femme fatale di Emmy Rossum è probabilmente il più riuscito, sia perchè lei è credibile nei panni di Ridley Duchannes, sia perchè ho trovato davvero magnetiche le scene che la ritraggono durante la rivelazione della sua vera natura (le tenebre). In quel momento particolare, la scelta delle immagini mi è sembrata piuttosto audace per il pubblico di ragazzini a cui si rivolge la pellicola. Non viene mostrato nulla che non sia uno sguardo tra il maligno e il lascivo ma, nonstante la bellezza della Rossum non sia in quel momento particolarmente favorita, l'ho trovata ambiguamente provocante.
A parte questo, comunque, il film è guardabile nell'ottica del necessario svago spegni-cervello.
Parola chiave: Medaglione.
Trailer
Bengi
Film 556: "Beautiful Creatures - La sedicesima luna" (2013) di Richard LaGravenese
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Senza infamia e senza lode. E' un film principalmente neutro, privo di brio ma non così brutto da meritarsi pessimi commenti. Più che altro è un esperimento insipido, che fallisce principalmente perchè privo di una personalità propria capace di catturare l'attenzione. Ovvero una pellicola sulla magia, ma senza magia.
I due personaggi principali Alden Ehrenreich e Alice Englert sono abbastanza normali da risultare anche carini e piacevoli e fa piacere che per una volta si sia puntato più sulla rappresentazione di una qualsiasi coppia di adolescenti che su due belloni e maledetti o i più cool della scuola. La Englert non è certo particolarmente bella e Ehrenreich sembra la versione giovane di Liev Schreiber. Non credo si possa dire, però, che l'opzione meno 'beauty' abbia coinciso con un insolito implemento delle capacità recitative. Ma "Beautiful Creatures" non richiedeva, di fatto, la necessità di esibire numerose sfumature espressive.
Interessante, invece, che due attori premi Oscar come Emma Thompson e Jeremy Irons abbiano deciso di puntare su questo prodotto che, di fatto, non aggiunge nulla alle loro fortunatissime carriere. Se ciò che cercavano era un successo commerciale facile hanno purtroppo scelto la pellicola sbagliata in quanto a livello di incassi il risultato è stato da flop (60 milioni di dollari spesi per produrlo e $60,052,138 di incasso mondiale).
A questo punto ci sarebbe da interrogarsi sui motivi di tanto sfacelo, nella speranza che ci si accorga che non basta solamente trarre da un libro di successo una storia per il cinema perchè questa si tramuti in un buon prodotto che si svincoli dalle banalità di cui siamo già sufficientemente saturi.
Il fatto che "Beautiful Creatures - La sedicesima luna" non sia nulla di che non è un risultato auspicabile per una produzione nuova che aspira a bissare i grandi successi commerciali di saghe come "Twilight" o "Harry Potter". Considerato che di partenza la storia non ha alcunché di originale - lei, futura maga, emarginata sociale, allo scoccare dei 16 anni sarà reclamata dal suo destino che letteralmente sceglierà a quale team farla appartenere: buoni o cattivi (ovvero luce o tenebre)? Nel mezzo c'è il liceo, una storia d'amore con un mortale appena sbocciata e una maledizione che, naturalmente, sembrerebbe destinata ad impedire che i giovani possano stare insieme dato che, per spezzare l'incantesimo, il vero amore di Lena dovrebbe morire... - si sarebbe dovuto puntare su qualche cosa di assolutamente unico per staccarsi da quella massa di prodotti teen misto fantasy e drammi di cui ormai si fatica a distinguerne i componenti. Io, personalmente, avrei preferito una caratterizzazione dei due personaggi di Irons e la Thompson in maniera più incisiva e aggressiva, magari privilegiando quell'antagonismo tra i due che di fatto nel film c'è, ma non è sfruttato a dovere. Due attori di quel calibro in ruoli tanto piatti... Uno spreco! E dire che la Thompson riesce a rendere credibile e maledettamente affascinante anche quel monologo della sua Sarafine in chiesa in maniera tanto naturale da far dimenticare le non poche battute piuttosto bruttine che le sono spettate dalla sceneggiatura. Insomma lei almeno ci ha provato...
"Beautiful Creatures", insomma, non ha aspetti così negativi da renderlo brutto, inguardabile o intollerabile, semplicemente non ha nulla che lo renda degno di essere ricordato.
Consigli: Il ruolo femme fatale di Emmy Rossum è probabilmente il più riuscito, sia perchè lei è credibile nei panni di Ridley Duchannes, sia perchè ho trovato davvero magnetiche le scene che la ritraggono durante la rivelazione della sua vera natura (le tenebre). In quel momento particolare, la scelta delle immagini mi è sembrata piuttosto audace per il pubblico di ragazzini a cui si rivolge la pellicola. Non viene mostrato nulla che non sia uno sguardo tra il maligno e il lascivo ma, nonstante la bellezza della Rossum non sia in quel momento particolarmente favorita, l'ho trovata ambiguamente provocante.
A parte questo, comunque, il film è guardabile nell'ottica del necessario svago spegni-cervello.
Parola chiave: Medaglione.
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