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venerdì 20 ottobre 2023

Film 2208 - The Fabelmans

Intro: Secondo titolo scelto nella mia lista di pellicole da recuperare mentre in viaggio verso Città del Messico, questa volta ho optato per uno dei grandi protagonisti agli Oscar di quest'anno.

Film 2208: "The Fabelmans" (2022) di Steven Spielberg
Visto: dalla tv dell'aereo
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: lo dico subito, questo film non mi ha particolarmente entusiasmato. Considerate le critiche entusiaste e la valanga di premi e nomination, mi aspettavo davvero un miracolo cinematografico. Invece "The Fabelmans" non mi ha colpito e, anzi, a tratti ho fatto fatica a finirlo.
E' vero che sul piccolo schermo del sedile di un aereo, in una situazione non esattamente fatta per godersi appieno l'esperienza cinematografica, la visione di un titolo come questo tende nettamente a perderci, però ammetto che la mia insoddisfazione rispetto all'ultimo progetto cinematografico di Spielberg non sta tanto nella fruizione, quanto nel prodotto finale in sé. Non ho amato il personaggio principale - e no, non sto parlando di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle), che pure non risulta particolarmente simpatico, ma di sua madre Mitzi (Michelle Williams) - né il tono generale del film che mi è parso volesse a tutti i costi evocare una straordinarietà delle circostanze che finisce per risultare forzata.
C'è da aggiungere che l'uscita più o meno ravvicinata con il "Belfast" di Kenneth Branagh del 2021 non aiuta: l'idea generale è simile (le origini familiari dei due grandi artisti), la dinamica familiare la fa da padrone, l'incasso al box-office è identico ("Belfast" ha incassato $49 milioni, costandone però tra i 10 e i 15, un quarto di "The Fabelmans"), l'apprezzamento della critica unanime, il numero di nomination agli Oscar esattamente lo stesso (Branagh ha però vinto per la Miglior sceneggiatura originale). Insomma, il paragone nasce spontaneo.
Ma dove Branagh riesce con successo a generare emozioni genuine attraverso il suo racconto, qui ho faticato a provare alcuna empatia per qualsivoglia personaggio. Forse solo il padre (Paul Dano), che inizialmente riveste il ruolo di "antagonista", ma di fatto è il più incompreso della famiglia. Non aiuta che Michelle Williams abbia il ruolo più detestabile di tutto l'ensable quando, onestamente, su di lei avevo riposto ogni mia buona speranza per questo film (non fatemi commentare, poi, quell'orrenda accoinciatura e quell'atroce frangetta).
Aggiungo che, forse, ho anche un po' perso interesse nell'opera moderna di Spielberg. Dopo gli evidenti buchi nell'acqua che sono stati titoli come "Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull", "War Horse", "The BFG" e "West Side Story" - e, francamente, per quanto mi riguarda anche "The Post" e "The Adventures of Tintin" che non ho trovato particolarmente appassionanti - ammetto che l'urgenza di recuperare l'ultima fatica del regista americano viene, con ogni titolo, sempre meno (tant'è che non ho visto "West Side Story" e ho recuperato per puro caso "Ready Player One", che pure mi è molto piaciuto).
Tutto quanto detto fin qui, condito con il fatto che "The Fabelmans" dura 2 ore e mezza, mi ha fatto gridare a tutto tranne che al capolavoro.
Cast: Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen, Gabriel LaBelle, Judd Hirsch, David Lynch.
Box Office: $45.6 milioni
Vale o non vale: Decisamente non il film di Spielberg che ho amato di più, né che rivedrò più di una volta. Molto lungo, in alcune parti caotico, costellato di personaggi a cui si fa fatica ad affezionarsi. A mio avviso, se si cerca un titolo semi-autobiografico su un regista contemporaneo, allora miglio scegliere "Belfast" di Branagh; mentre se si cerca una pellicola che leghi insieme cinema ed emozioni, allora "Nuovo Cinema Paradiso" di Giuseppe Tornatore.
Premi: Candidato a 7 premi Oscar per Miglior film, regia, sceneggiatura originale, attrice protagonista (Michelle Williams), attore non protagonista (Judd Hirsch), colonna sonora e scenografia. Candidato al BAFTA per la Miglior sceneggiatura originale e vincitore di 2 Golden Globe per Miglior film drammatico e regia su 5 nomination (attrice protagonista, Williams, colonna sonora e sceneggiatura). Vincitore del David di Donatello per il Miglior film straniero.
Parola chiave: Tradimento.
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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 13 agosto 2022

Film 2122 - Where the Crawdads Sing

Intro: Il trailer ci aveva incuriosito, così ne abbiamo approfittato per andare a vederlo.

Film 2122: "Where the Crawdads Sing" (2022) di Olivia Newman
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Ciarán
In sintesi: uhm. Ci sono aspetti riguardo a questo film che mi sono piaciuti (come per esempio il finale) e altri che mi hanno lasciato perplesso.
Non posso dire che questavisione non sia stata sufficientemente di intrattenimento, ma qualcosa non torna. La parte iniziale, principalmente. Premesso che questa è una storia di fantasia e nella vita, comunque, tutto è possibile, mi chiedo come faccia un'intera famiglia di ettordici persone a lasciare, uno ad uno, la più piccola di casa nelle grinfie del dispotico patriarca ubriacone. Cioè, con quale cuore la madre abbandona tutti i suoi figli sapendo che il marito è un violento alcolista che non si fa problemi ad alzare le mani? E con che coraggio i fratelli maggiori spariscono senza sentire il bisogno di farsi carico di quelli più piccoli? E qual è il senso di lasciarsi alle spalle la sorella minore dopo che ci sei cresciuto insieme? Non so, a me già questo inizio non mi ha convinto.
A peggiorare le cose succede che, rimasta sola, la più piccola di casa ovvero Kya (Daisy Edgar-Jones) finisce per affrontare in totale - e sottolineo totale - solitudine gli anni dall'infanzia fino all'età adulta, senza che nessuno pensi di offrirle quantomeno aiuto. Lo so che la coppia dello shop di alimentari prova a darle due dritte all'inizio, ma non mi pare che accettare il lavoro di una minorenne in cambio di due spicci con cui questa potrà permettersi di che vivere (tra l'altro comprando al tuo negozio) sia una forma responsabile di aiuto.
Senza contare che i servizi sociali sono talmente incapaci da farsi prendere per i fondelli per anni da una ragazzina che si va a nascondere nella palude per evitarli. E aspettare che prima o poi torni a casa, magari? Macché, lasciamola raccogliere crostacei e vivere da sola, evitare ogni forma di educazione e di interazione sociale. Il tutto perché non sappiamo giocare a nascondino. Bah.
Ecco, diciamo che questa prima parte della storia mi ha lasciato un po' indifferente, per non dire deluso. Poi, in realtà, "Where the Crawdads Sing" recupera lentamente. Senza mai toccare picchi di grandezza, però almeno regala una seconda parte di storia - da quando Kya è adulta - più credibile o quantomento accettabile.
Mi ha infastidito tutto il circo imbastito attorno al tentativo di rendere Kya una vittima del bullismo cittadino. La ragazza della palude è un nomigliolo che si sarebbe potuto evitare avessero le persone vicine alla ragazzina pensato di fare qualcosa per aiutarla. E siccome ci sarebbe stato ampio margine di miglioramento rispetto ai tentativi di aiuto e solo marginalmente la condizione di Kya è stata determinata da fattori esterni incontrollabili, allora da spettatore mi sento di dire che questo è un modo semplicemente troppo facile per farci provare compassione per la povera protagonista. Kya non ha un forma rarissima di cancro e non si può alzare dal letto per 15 anni, per cui salta la scuola e ogni forma di interazione sociale coi suoi pari. No, Kya viene lasciata indietro da ogni membro della sua famiglia per nessun motivo ragionevole e, sul suo cammino, non incontra nessun adulto responsabile che si sente di farsi carico del benestare di una bambina che ha evidente bisogno d'aiuto. E va bene che la storia è ambientata negli anni '50 in una parte estremamente rurale dell'America, ma mi risulta comunque difficile da digerire come premessa narrativa.
Quindi, bypassando la questione della poverina trattata male da tutti, quello che davvero mi è piaciuto di questo film è il potente arco narrativo di Kya. E' vero che all'inizio è totalmente incapace di reagire - e chi lo sarebbe, dopo essere stati rincorsi dalla polizia e sbattuti in galera accusati di omicidio? - ma il personaggio trova la sua forza e piano piano si rivela allo spettatore, fino a quell'inaspettato finale che, onestamente, mi ha colto davvero di sorpresa.
Nel mezzo c'è un omicidio, un processo (troppo marginale, avrei preferito ci fossero state più scene dedicate a questa parte della storia), il primo amore, il secondo, la carriera e la vendetta, il tutto per un secondo tempo che trova finalmente il suo ritmo grazie alla zavorra iniziale che ci siamo lasciati alle spalle.
Insomma, "Where the Crawdads Sing" poteva essere sicuramente un film migliore di quello che in effetti si rivela essere, anche se tutto sommato il film si salva grazie al secondo tempo, un buon cast e quello strano fascino esercitato dalla palude e i suoi dintorni.
Cast: Daisy Edgar-Jones, Taylor John Smith, Harris Dickinson, Michael Hyatt, Sterling Macer, Jr., David Strathairn.
Box Office: $80.8 milioni (ad oggi)
Vale o non vale: Non avendo letto il libro di Delia Owens non posso che basarmi su quello che ho visto al cinema. Il risultato finale intrattiene a sufficienza, anche se la prima parte del film - non avendo alcuna credibilità - finisce per intaccare negativamente il resto del film. In ogni caso, guardabile.
Premi: /
Parola chiave: Swamp.
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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 9 maggio 2021

Film 1991 - Barb and Star Go to Vista Del Mar

Intro: Ho visto il trailer su iMDB qualche tempo fa e ho capito dal primo secondo che avrei recuperato questo film a tutti costi. Poi, nell'attesa che venisse reso disponibile in streaming, onestamente mi ero dimenticato di questo titolo... Per fortuna il destino me l'ha fatto ritrovare!
Film 1991: "Barb and Star Go to Vista Del Mar" (2021) di Josh Greenbaum
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: credo che "Barb and Star Go to Vista Del Mar" sia non solo uno dei film più assurdi che abbia mai visto, ma anche uno dei più gay senza necessariamente esserlo. Cioè, qui c'è chiaramente più di una semplice strizzatina d'occhio queer & camp e francamente ho amato. Tutto, dall'inizio alla fine. Tra l'altro ho riso come non mi capitava da tempo.
"Barb and Star Go to Vista Del Mar" è un affascinante esperimento che mixa il nonsense a trovate geniali - il granchio Morgan Freemond vince su tutte - e, ancora di più, shakera i generi cinematografici più agli antipodi e riesce comunque a far funzionare il tutto - si passa con grande disinvoltura dalla commedia al thriller al musical (tra l'altro con una serie di numeri coreografati alla perfezione).
Ovviamente se questa pellicola funziona è principalmente grazie a loro, Kristen Wiig e Annie Mumolo (qui anche sceneggiatrici) che fanno un lavoro fantastico nel portare in vita le due protagoniste e, devo ammettere, bisogna spendere una parola anche su Jamie Dornan che qui si spinge veramente oltre il suo classico ruolo da macho e/o oggetto sessuale e regala una performance estremamente divertente e giocosa. I tre assieme valgono tutto il film.
Devo aggiungere che un altro elemento di "Barb and Star Go to Vista Del Mar" che ho trovato davvero ben sviluppo è l'aspetto estetico, qui ben definito dall'inizio alla fine. Perfino i titoli di coda sono bellissima.
Chiudo con l'unica nota negativa: avrei preferito vedere la cattiva interpretata da qualcun'altro. Non riesco a capire il perché abbiano affidato il ruolo a Kristen Wiig quando ha già sufficientemente da fare nell'interpretare Star. E non è che Sharon Gordon Fisherman sia un personaggio così iconico che richieda addirittura che la star del film si sdoppi per interpretare entrambe donne. Specialmente perché i villain interpretati dalla Wiig non sono famosi per essere ben accolti dalla critica: ha vinto nel 2017 come Peggior attrice non protagonista per "Zoolander 2" ed è stata nominata quest'anno nella stessa categoria per "Wonder Woman 1984"...
Detto questo, ribadisco che "Barb and Star Go to Vista Del Mar" è stata una delle avventure cinematografiche più soddisfacenti degli ultimi mesi: random, folle e maledettamente adorabile. Non potevo chiedere di più.
Cast: Kristen Wiig, Annie Mumolo, Jamie Dornan, Damon Wayans Jr., Wendi McLendon-Covey, Vanessa Bayer, Reyn Doi, Fortune Feimster, Rose Abdoo, Phyllis Smith, Andy García, Reba McEntire.
Box Office: $14,959
Vale o non vale: Mi rendo conto che non sia un prodotto per tutti e che ci sarà sicuramente chi lo troverà sciocco o addirittura stupido. Io l'ho trovato talmente borderline da risultare geniale e maledettamente divertente. Da vedere!
Premi: /
Parola chiave: Mosquitos.

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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 7 febbraio 2021

Film 1799 - The Karate Kid

Intro: Sempre cavalcando l'onda del ritorno al passato - o riscoperta di certi film di cui ricordavo poco o niente - decido di dedicarmi a un grande classico degli anni '80.
Film 1799: "The Karate Kid" (1984) di John G. Avildsen
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: continuo a pensare che una nomination all'Oscar per il ruolo (certo iconico, per carità) di Pat Morita sia un tantino esagerato, in ogni caso non si può dire molto su questa pellicola se non che sia oggettivamente un cult! Tanto che a 34 anni dall'uscita nelle sale di questo primo film del franchise (che ad oggi conta 5 film ed una serie animata), la saga che ci ha introdotto al mitico mantra del metti-la-cera-togli-la-cera ha generato una serie tv che sta riscuotendo un gigantesco successo, "Cobra Kai".
Inutile dire che il furore da "The Karate Kid" non si sia mai veramente sopito e anche se i sequel non sono esattamente granché, questo primo film non è niente male e porta sul grande schermo il bel rapporto di amicizia tra il giovane e spaesato nerd appena arrivato in città Daniel LaRusso (Macchio) e il tosto insegnante di karate dal cuore tenero Mr. Miyagi (Morita). Insieme si avvieranno verso un percorso di crescita e dedizione a certi valori (impegno, sacrificio, non violenza) fino allo duello finale che si tiene durante il torneo e che vede Daniel scontrarsi contro i ragazzi che lo hanno bullizzato fin dall'inizio del film.
Anche se per essere un film per teenager c'è veramente un sacco di violenza in questo film, non si può divere che "The Karate Kid" non si lasci guardare sempre con piacere e una certa dose di nostalgia.
Cast: Ralph Macchio, Noriyuki "Pat" Morita, Elisabeth Shue, William Zabka, Martin Kove, Randee Heller.
Box Office: $130.4 milioni
Vale o non vale: Nonostante una certa intenzionalità positiva (tematiche LGBTQI e female empowerment), questo film baratta in fretta i suoi buoni propositi in nome dei diktat hollywoodiani dell'epoca, fallendo platealmente anche nel tentativo di darsi un appeal più commerciale.
Premi: Candidato all'Oscar e al Golden Globe per il Miglior attore non protagonista (Morita).
Parola chiave: Tournament.
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sabato 21 ottobre 2017

Film 1423 - The Sixth Sense

Per un po' di giorni sono andato per grandi aree tematiche. Dopo i tre cartoni animati di fila, sono passato all'horror a tinte thriller come se niente fosse. E, soprattutto, nonostante l'assordante casino dell'area comune del mio ostello.

Film 1423: "The Sixth Sense" (1999) di M. Night Shyamalan
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Ma sì, ovviamente lo avevo già visto, eppure è stato come rivederlo per la prima volta; insomma, come al solito non ricordavo nulla. Tranne la famosa scena del "Vedo la gente morta". Quella non si scorda...
Vedere "The Sixth Sense" a quasi vent'anni dalla sua uscita in sala fa un po' effetto, considerando che adesso Bruce Willis non ha più un capello e fa la pubblicità della Vodafone e Haley Joel Osment è un ometto strano che ha conservato la faccia da bambino nel corpo di un adulto non esattamente in formissima. Al di là di questo, dicevo, fa effetto pensare che sia passato già così tanto tempo da quando il mondo conobbe il fenomeno M. Night Shyamalan, solo recentemente riabilitato grazie a titoli degni di nota dopo notevoli passi falsi e flop ("Lady in the Water", "E venne il giorno", "After Earth").
Questioni marginali a parte, come sta il nostro caro sesto senso? In forma direi, nonostante la quasi maggiore età conquistata (mi riferisco alla data di uscita italiana, 29 ottobre 1999, in America uscì il 6 agosto). Il film infatti è sempre in grado di evocare un certo buon numero di scene intriganti e singolari, riuscendo a costruire un crescendo di suspense e tensione rotto solo dalla rivelazione del grande segreto che sta dietro tutta la storia (spoilerone con 6.567 giorni di ritardo): Bruce Willis muore dopo la prima scena.
Bisogna ammettere che al tempo fu una trovata geniale, un colpo di scena da maestro che conferiva alla trama quel giusto elemento di sorpresa perfettamente in linea con tutto il racconto, tanto da far esclamare a fine visione "Finalmente ha tutto senso!". E in effetti senso ce l'ha (mi astengo da facili battute legate al titolo). Insomma, la scelta di rivedere questa pellicola mi ha soddisfatto, ricongiungendomi a una storia di cui ricordavo gli snodi essenziali senza però riuscire a connettere tutti i punti. Di fatto "The Sixth Sense" è un buon thriller che mixa intelligentemente alcune caratteristiche dell'horror, per un risultato finale spaventoso quanto soddisfacente e sufficientemente riuscito. Ancora oggi. Ps. 6 candidature agli Oscar del 2000 (Miglior film, regia, sceneggiatura, attrice e attore non protagonisti (Collette, Osment), montaggio), 2 ai Golden Globes (sceneggiatura e attore non protagonista) e 4 ai BAFTA (film, regia, sceneggiatura e montaggio).
Cast: Bruce Willis, Toni Collette, Olivia Williams, Haley Joel Osment, Donnie Wahlberg, Glenn Fitzgerald, Mischa Barton, M. Night Shyamalan.
Box Office: $672.8 milioni
Consigli: Devo dire che questo titolo è riuscito a mantenere intatto un certo fascino nonostante gli anni che passano e la storia che, una volta conosciuto il finale, perde parte del suo originale appeal. Forse non una scelta valida per ogni occasione, eppure una pellicola da tenere presente quando si sia alla ricerca di un buon thriller dalle tinte in parte horror e dal sapore già leggermente vintage.
Parola chiave: Fantasmi.

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mercoledì 16 agosto 2017

Film 1397 - The Edge of Seventeen

Ero curiosissimo di vedere questo film fin da quando furono svelate le candidature ai Golden Globes lo scorso dicembre, ma non ero mai riuscito a trovare un link per lo streaming. Poi, fortunatamente, ce l'ho fatta.

Film 1397: "The Edge of Seventeen" (2016) di Kelly Fremon Craig
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: "The Edge of Seventeen" è un buon prodotto, un titolo che funziona e, pur ricadendo nelle classiche cateogire standard, riesce comunque a distinguersi per alcuni aspetti che lo rendono, di conseguenza, godibile e particolare. Quello su cui mi sento di puntare di più, ovviamente, è la presenza di una brava Hailee Steinfeld, credibile protagonista capace dell'introspezione necessaria alla storia. Parliamo, infatti, di cambiamenti importanti legati al periodo dell'adolescenza, motivo per cui una protagonista non in grado di "garantire" le emozioni necessarie avrebbe completamente rovinato il risultato finale. Senza contare, poi, che la storia non manca di esasperare toni e situazioni, in un crescendo di dramma che, naturalmente, riflette appieno l'approccio teenager ai cambiamenti della vita.
Da questo punto di vista il film mi ha molto ricordato altre pellicole simili, come "Juno" e "Easy Girl", che delle proprie forti e giovani protagoniste femminili fanno eroine moderne, ragazze in grado di affrontare le criticità dell'essere adolescendi - bullismo, solitudine, incapacità di comunicare con i genitori, traumi vari - riuscendo a trovare una via d'uscita personale e funzionale. Anche questo è sicuramente uno dei punti di forza di questa pellicola che, nonostante il finale buonista, regala comununque al suo pubblico un messaggio fatto di matura capacità di relazionarsi agli altri, nonostante tutti gli sbagli che si possano commettere. Del resto se non è durante l'adolescenza che si può commettere qualche errore, quando?
Ps. Candidato ai Golden Globes 2017 per la Miglior attrice protagonista - commedia o musical (Hailee Steinfeld).
Cast: Hailee Steinfeld, Woody Harrelson, Kyra Sedgwick, Haley Lu Richardson, Blake Jenner, Hayden Szeto.
Box Office: $18.8 milioni
Consigli: A volte un po' esagerato, in ogni caso un prodotto piacevole e in definitiva riuscito. Ritrae bene certe problematiche giovanili e fa della sua protagonista un esempio di come la solitudine e la cattiveria altrui possano impattare sulla vita di chiunque, figuriamoci chi ancora adulto non è. Dunque non certo un titolo per ogni occasione, eppure da recuperare (anche in questo periodo di calura e svogliatezza estiva!).
Parola chiave: Messaggio

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giovedì 4 maggio 2017

Film 1362 - A Monster Calls

Invitati all'apertura del Future Film Festival grazie a Marta e al Cinema Galliera, io e Poe non ci siamo lasciati scappare l'occasione di vedere questa pellicola in anteprima.
A Monster Calls

Film 1362: "A Monster Calls" (2016) di J.A. Bayona
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Poe
Pensieri: L'approccio a questa pellicola è stato di totale inconsapevolezza se escludiamo l'unico dettaglio a me conosciuto prima di entrare in sala, ovvero la presenza di Felicity Jones. La presentazione introduttiva di apertura all'evento ci fa scoprire qualche dettaglio in più, ma rimane il fatto che "A Monster Calls" è stato soprattutto una sorpresa.
In un festival che quest'anno punta tutto sui personaggi - più volte preferito l'inglese character -, pare abbastanza evidente che il mostro sia il motivo scatenante della presenza di questa storia addirittura prima di tutte le altre. Va detto che quest'ultimo risulta piuttosto d'impatto, fatto di rami ed effetti speciali, oltre che di una voce profonda e affascinante regalata da nientemeno che un Liam Neeson capace di rendere indimenticabile una performance catturata attraverso il mocap, ovvero il motion capture che, da una tuta e dei marcatori fissati su di essa e collegati a un computer, trasforma la recitazione in carne ed ossa in quella che qui è sotto forma di arbusto abnorme.
L'elemento mostruoso è certamente uno di quelli che colpisce di più relativamente a questo film, ma non solo. Ci sono la difficoltà dell'affrontare una malattia che non recede e, sorpresa non da poco, un giovane protagonista davvero capace. Su Lewis MacDougall ci si deve un attimo soffermare. Il 14enne scozzese, qui alla sua prima esperienza da protagonista, è un ragazzo né già uomo né tuttavia bambino (per dirla con la storia) con alcuni problemi a relazionarsi con gli altri, sofferente pe la malattia della madre e la lontananza di un padre risposato in America. La performance di MacDougall è intensa e credibile, sfaccettata e ricca di sfumature, neanche parlassimo di un consumato signore del mestiere. A lui sicuramente il merito di trainare un prodotto altrimenti francamente un po' lento, a volte quasi piatto.
Non fosse per la malattia della mamma (una brava Felicity Jones), per le storie e le belle illustrazioni che le animano o per gli elementi già citati, "7 Minuti dopo la Mezzanotte" (questo il titolo italiano) risulterebbe un tantino statico. La colonna sonora c'è, ma non sempre si nota, i personaggi di Conor e la nonna a volte si faticano a comprendere e per la maggior parte del tempo si vaga nella storia in attesa di una spiegazione che metta assieme i vari pezzi del puzzle, il tutto per 2 ore di pellicola a cui forse una sforbiciatina qua e là non avrebbe guastato. Il risultato finale non è male, quello no, ma forse considerate le premesse mi sarei aspettato un prodotto leggermente più dinamico, addirittura meno introspettivo.
Rimane incerta, tra l'altro, l'interpretazione del finale: anche la madre finirà per vedere il mostro, ma sarà perché lo aveva già visto o perché è una sorta di proiezione della figura del padre (me lo chiedo perché Neeson appare in una foto di famiglia, facendo capire che è il nonno di Conor)? E poi perché appare il mostro? Il ragazzo lo crea, si capisce dalla storia, ma allora come mai la donna finirà per vederlo?
Insomma, non è proprio tutto chiaro relativamente a questa pellicola che è tratta dall'omonimo romanzo di Patrick Ness. Il risultato finale è tecnicamente molto elevato, gli effetti speciali sono ben fatti e credibili e la scelta del cast mi è sembrata particolarmente felice; dal punto di vista del racconto e della sua resa per il grande schermo, forse avrei preferito un approccio più incisivo che riuscisse a trascinare anche lo spettatore inconsapevole del fatto che, iniziato il film, si sarebbe trovato di fronte ad una storia non facile, un percorso di formazione atipico e a tratti disperato, un'esperienza umana complessa e carica di emotività, un viaggio pesante verso un epilogo inevitabile, oltre che la maturità dei propri personaggi. Insomma, "A Monster Calls" mette sul piatto non pochi elementi complicati da gestire ed esporre e ne esce vincitore per i toni, un po' meno per i modi (cinematografici). Credo che il suo più grande pregio sia quello di saper comunicare in maniera perfetta la singolarità e peculiarità dell'essere umano, delle contraddizioni che lo caratterizzano e, neanche a dirlo, dell'umanità che ne sta alla base. Non mi sarei mai aspettato un budget tanto alto (43 milioni di dollari) per una storia tanto difficile da vendere. Il box-office non è stato clemente, anche se forse questo titolo qualche chance in più se la meritava.
Cast: Lewis MacDougall, Sigourney Weaver, Felicity Jones, Toby Kebbell, Liam Neeson, Geraldine Chaplin.
Box Office: $43.4 milioni
Consigli: Una storia per nulla facile, un protagonista con i problemi tipici dei ragazzi di oggi oltre che quelli stabilmente presenti dentro casa. A sbloccare la situazione ci penserà un mostro apparentemente cattivo, una sorta di Grillo parlante dalle dimensioni inconsuete che porterà il ragazzo al confronto con se stesso e la situazione che sta passando. Il risultato finale è di qualità, anche se a volte si ha la sensazione che niente stia procedendo. Il finale è assolutamente di impatto e dovrebbe ripagare anche chi, nel caso, non dovesse apprezzare i toni un po' sommessi della prima parte. Di sicuro non è un titolo da scegliere per un'occasione spensierata.
Parola chiave: 00:07.

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Bengi

venerdì 24 marzo 2017

Film 1329 - Regali da uno sconosciuto - The Gift

Scelto una sera tra la programmazione di Sky Go perché desideravo recuperarlo, ma mi ero sempre scordato.

Film 1329: "Regali da uno sconosciuto - The Gift" (2015) di Joel Edgerton
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Pensavo fosse un horror, ma non lo è. E' un buon thriller con un'inaspettata dose di suspense ben architettata.
Diversamente da quanto pubblicizzato nel trailer, però, non si tratta certo di un capolavoro intramontabile. E' un buon titolo di genere, certamente un esordio a regia+sceneggiatura di un Joel Edgerton sempre più interessante, un film che punta sugli elementi giusti e riesce a portare a casa un risultato finale veramente ben riuscito rispetto al solito. Detto ciò, a mio avviso questo "The Gift" fa semplicemente il suo dovere, intrattenendo e spaventando quanto basta.
Sicuramente il merito va a un buon trio di attori - da Jason Bateman non mi sarei aspettato credibilità nei toni troppo drammatici -, affiatati e capaci e a una regia in grado di architettare non pochi momenti da spavento di soprassalto e inquietanti rivelazioni (e supposizioni). Insomma, "Regali da uno sconosciuto" funziona e non fa pentire di averlo scelto.
Cast: Jason Bateman, Rebecca Hall, Joel Edgerton, Allison Tolman, Tim Griffin, Busy Philipps.
Box Office: $59 milioni
Consigli: Intrigante e quasi sempre all'altezza, "The Gift" è un buon thriller con non pochi momenti di suspense e situazioni sufficientemente strane da far sentire il disagio trai protagonisti. Un titolo per chi cerca un po' di atmosfera inquietante senza rinunciare a un po' di glam (la Hall ha un fascino innato) e a una certa dose di minimalismo, sia estetico che stilistico.
Parola chiave: Svenimento.

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Bengi

martedì 14 marzo 2017

Film 1323 - Moonlight

Ultimo titolo (per ora) recuperato in vista della notte degli Oscar. Al momento non ho in programma di vedere altro, anche se non escludo di lasciarmi convincere da qualche pellicola lasciata indietro. Dopo questo film, ritornato dal master, mi sono lanciato finalmente nella serata più attesa, lunga e bella dell'anno! And the Oscar goes to...

Film 1323: "Moonlight" (2016) di Barry Jenkins
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: La vittoria di "Moonlight" come Miglior film mi ha fatto ampiamente rivedere la mia posizione di incertezza rispetto a "La La Land". I vincitori annunciati mi danno sempre un po' fastidio anche se a posteriori devo dire che, bagarre di buste sbagliate a parte, probabilmente si tratta di uno scippo bello e buono. Non voglio dire che la pellicola di Barry Jenkins non meritasse di stare in categoria, assolutamente, ma non so se quello che sta dietro alla lavorazione del musical di Chazelle sia paragonabile a ciò che si vede qui. Tutto per dire che "Moonlight" non mi ha convinto, probabilmente perché mi aspettavo qualcosa di diverso. L'ho trovato lento e non poetico, con un buon cast e una certa capacità evocativa del suo regista; non un brutto film, sicuramente non tra i miei migliori dell'anno.
Dicevo: lento. Una pellicola che si prende il suo tempo per raccontare la storia di Chiron, ragazzino di colore che vive una situazione difficile sia a casa che a scuola. Bullizzato dai compagni e non considerato dalla madre drogata, nel tempo troverà conforto in alcune figure chiave che influenzeranno il suo percorso. Una di queste è certamente Teresa, interpretata da una Janelle Monáe nuovamente presente (e nuovamente in un film con Mahershala Ali, dopo "Hidden Figures") che, nonostante il piccolo ruolo, mi è rimasta molto impressa. Brava Naomie Harris, per quanto il suo ruolo mi abbia molto ricordato quello di Mo'Nique in "Precious". Ali, invece, non mi ha lasciato esattamente senza fiato. Per carità, nessuno dice che non sia bravo, ma mi aspettavo davvero molto di più, nonché una presenza incisiva e determinante che di fatto non c'è. Bravissimi, invece, tutti e tre gli attori che interpretano Chiron in età diverse (Alex Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes).
Insomma, di base il film non mi è piaciuto, anche se ci sono state certe scene che mi hanno colpito. Per esempio quella alla spiaggia, dove Chiron e Kevin, ancora adolescenti, hanno il loro primo rapporto e la scena al diner, quando dopo anni si incontrano di nuovo. Qui in particolare mi è piaciuto il fatto che la storia sia meno convenzionale del solito. Chiron è gay e ne è tutto il contrario. o meglio, è diverso dalla classica idea che se ne potrebbe avere. E nonostante il suo aspetto da duro, il suo essere così chiuso in se stesso e l'idea che dal di fuori uno potrebbe farsi, la storia ci racconta che il ragazzo può essere esattamente qualunque persona egli voglia e che le convenzioni, nei momenti personali o di intimità, non valgono niente. Anche lo spettatore, come Kevin, si chiede più volte cosa ne sia stato del piccolo ed insicuro Chiron delle scene iniziali, eppure subito la storia ci ricorda che, a prescindere dall'idea stereotipata che ognuno di noi ha, niente vieta a nessuno di essere quello che veramente è nella forma che più gli aggrada. Poi, va detto, lo stesso Chiron ricade nello stereotipo del ragazzo di strada il cui unico destino è quello di finire a spacciare, ma questa è un'altra storia...
Chiaramente la tematica omosessuale mi ha necessariamente riportato alla mente il capolavoro di Ang Lee "Brokeback Mountain" - scandalosamente snobbato dall'Academy nella categoria Miglior film (scippo degli scippi) - e mi sono ritrovato a pensare, a tratti, che questo film ne fosse una sorta di versione afroamericana e contemporanea. Qui però, nonostante i tempi così diversi, non c'è amore. Che è un po' quello che ho sentito mancante in tutta la storia. La fatica dell'accettarsi, il rifiuto del genitore, il background sociale sono tutti elementi che certamente determinando la persona di Chiron, ma quel primo episodio al chiaro di luna, la gentilezza della coppia che da bambino lo ha accolto, la consapevolezza di sé dovrebbero quantomeno aiutare una ricerca di affetto anche verso la propria stessa persona. Questo mi è parso mancante praticamente sempre mentre seguivo la storia, un vuoto non indifferente che tutta la qualità tecnica e non del prodotto finale non riesce a colmare e, a mio avviso, si fa ampiamente sentire.
Cuore a parte, ho trovato sensata la scelta di assegnare l'Oscar alla sceneggiatura (e mi sarei limitato a quello), nell'ottica di un trionfo epocale di "La La Land" e in mancanza di titoli prettamente competitivi. Fatico a immaginarmi "Arrival" o "Hidden Figures" vincitori in quella categoria, quindi era abbastanza intuibile che sarebbe stata favorita questa storia - ribadiamolo: neri, gay, droga - anche e se non di più in vista di un trionfo come miglior pellicola dell'anno al revival del musical. Che non c'è stato, come sappiamo.
In ogni caso, una cosa che certamente mi ha colpito di "Moonlight" è stata quella legata al montaggio. Si tagliano quasi in anticipo le scene in maniera molto netta: le musiche sembrano sempre sottolineare una sorta di continuazione, di proseguimento di ciò che si sta guardando, eppure, non importa quale canzone stia suonando, tutto viene tagliato a metà, interrotto in favore della scena successiva. E' una scelta curiosa, a volte un po' fastidiosa, che certamente rimane impressa.
Per concludere, questo migliore dell'anno non lo condivido. Storia difficile, cast in parte, risultato finale a tratti disomogeneo. Non lo considero nemmeno tra quelli che mi hanno colpito della stagione passata. Un film come ne ho visti molti, anche se l'importanza della sua vittoria ha un significato storico che va oltre i gusti personali (primo titolo a tematica LGBT e dal cast unicamente di colore a trionfare nella categoria più importante dell'Academy). Ciò detto, "Moonlight" non mi ha convinto.
Ps. 8 candidature agli Oscar 2017 e 3 premi vinti (Miglior film, sceneggiatura e attore non protagonista), 6 candidature ai Golden Globe e una vittoria (Miglior film drammatico) e 4 nomination ai BAFTA.
Cast: Trevante Rhodes, André Holland, Janelle Monáe, Ashton Sanders, Jharrel Jerome, Naomie Harris, Mahershala Ali, Alex Hibbert.
Box Office: $50 milioni
Consigli: Un film tosto, non facile da digerire e certamente impegnativo anche per come è consegnato allo spettatore. Lento, con un protagonista silenzioso e tanti momenti fatti di soli sguardi, "Moonlight" è uno dei film della passata stagione di cui farsi un'opinione, anche se sono sicuro non piacerà a tutti. Io avevo determinate aspettative personali, disattese. Non è un titolo per ogni occasione e sicuramente è bene approcciarcisi preparati sia per quanto riguarda la tematica che per quanto concerne le modalità di realizzazione. Per il resto... fatevene un'idea.
Parola chiave: Blu.

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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 21 agosto 2016

Film 1197 - Una spia e mezzo

Agli inizi di aprile Dwayne Johnson e Kevin Hart hanno presentato assieme gli MTV Movie Awards come versione collaterale di promozione di questo film, in America uscito il 17 giugno. Arrivato in Italia con un mese di ritardo, ero veramente curioso di scoprire come potessero funzionare i due attori assieme sul grande schermo.

Film 1197: "Una spia e mezzo" (2016) di Rawson Marshall Thurber
Visto: dal cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Poe
Pensieri: Un misto fra "Brooklyn Nine-Nine" e "21 Jump Street", "Central Intelligence" è una commedia carina e molto dinamica, perfetto titolo estivo che non brillerà per innovazione o profondità, ma di sicuro intrattiene a dovere. Grande chimica tra i due protagonisti Kevin Hart e Dwayne Johnson, per un'ottima scelta di cast.
Basato sul pretesto dell'inversione dei ruoli, il fighissimo Calvin (Hart) del liceo si ritrova da adulto a svolgere un impiego con pochi stimoli, mentre il più che rotondo e bullizzato Bob (Johnson), si rivelerà essere una stranissima iperpalestrata montagna di muscoli; il duo, ritrovatosi grazie all'amicizia di Facebook, si incontrerà per una birra al bar e finirà per investigare su un'asta milionaria di offerte per una lista di codici che permettono il controllo di satelliti. Il tutto, ovviamente, che Calvin lo voglia o meno.
In questo mondo surreale di agenti corrotti, sparatorie e salti dalle finestre, non mancano certi momenti efficaci di simpatico divertimento, servito dalla strana coppia di protagonisti e da una serie di trovate comiche spesso fisiche o comunque volgari, ma che non mancano di centrare l'obiettivo. Del resto stiamo parlando di una pellicola di totale disimpegno che intende raggiungere lo spettatore attraverso quella comicità stramba che va di moda adesso e una dose d'azione da non sottovalutare. Del resto Johnson si è ormai specializzato nel genere action, oltre che nei titoli mainstream in grado di totalizzare buoni incassi al botteghino: anche "Una spia e mezzo" non fa eccezione - pur non con un totale eclatante - riuscendo ampiamente a ripagare i 50 milioni di dollari spesi per produrlo.
Dunque un prodotto simpatico, tutto sommato migliore di quanto mi aspettassi. Non un capolavoro e non maledettamente folgorante quanto lo "Spy" di qualche tempo fa, ma comunque una piacevole sorpresa estiva in grado di riempire in maniera simpatica il vuoto calendario cinematografico estivo.
Ps. Inaspettatamente, questo film è stato scritto tra gli altri anche da Ike Barinholtz, attore visto in "Le sorelle perfette", "Cattivi vicini" 1 e 2, "The Mindy Project" e adesso al cinema con "Suicide Squad".
Cast: Kevin Hart, Dwayne Johnson, Amy Ryan, Aaron Paul, Danielle Nicolet, Timothy John Smith, Megan Park, Ryan Hansen, Thomas Kretschmann, Jason Bateman, Melissa McCarthy.
Box Office: $208.6 milioni
Consigli: Divertente quanto basta, dinamico e con un buon duo di protagonisti, "Central Intelligence" è un film più riuscito di quanto non ci si potrebbe aspettare e più soddisfacente di metà dei prodotti usciti durante questa insipida estate 2016. Niente di indimenticabile, ovvio, ma comunque spassoso.
Parola chiave: La freccia d'oro.

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#HollywoodCiak
Bengi

martedì 21 gennaio 2014

Film 657 - Lo sguardo di Satana - Carrie

Luigi voleva vederlo... E vuoi non accontentarlo, dopo che lo obbligo sempre a vedere quello che voglio io?

Film 657: "Lo sguardo di Satana - Carrie" (2013) di Kimberly Peirce
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: Luigi
Pensieri: Lo sguardo di Satana cui fa riferimento il titolo non si può certo collegare alla protagonista spiritata, ma è certamente da attribuire a quello dello spettatore quando finisce di vedere l'enorme boiata di film che è "Carrie".
Dato che, fortunatamente, lo streaming mi ha risparmiato il prezzo del biglietto - oltre che l'obbligo del doppiaggio -, posso dire che vedere questo film è stata "solo" una perdita di tempo, ma almeno non di altro. La vera questione qui, però, è la seguente: perché?
Ovvero perché produrre il remake di un classico del cinema del '76, nientepopodimeno che di Brian De Palma, se poi si hanno in mente solo i soldi che si andranno ad incassare? A quasi quarant'anni di distanza ha senso riportare sul grande schermo un prodotto sperando di trainare al cinema e gli affezionati del titolo originale e i ragazzini che quando vedono del sangue vanno in fibrillazione? Insomma, non era davvero possibile inventarsi qualcosa di nuovo?
Questo sguardo assatanato di Carrie dev'essere miope o comunque poco lungimirante, perché davvero, chiunque veda questa pellicola si accorgerà della bassissima qualità di un prodotto del genere, caratterizzato dalla totale mancanza di pathos, da un'incapacità di produrre scene montate con senso del ritmo e dall'evidente carenza di idee, stile e bravura da parte di chi ha curato la sceneggiatura. Io se fossi Stephen King disconoscerei questo titolo.
La banalità dell'insieme e la brutta realizzazione degli effetti speciali e delle scene più violente - sì, anche quella tanto attesa del bagno di sangue post doccia da globuli rossi suini - non sono salvati nemmeno dal cast, che tra i suoi protagonisti vede Chloë Grace Moretz nella parte di baby Carrie macrocefala dall'aspetto da zitella, ma l'attitudine da porca e nientemeno che Julianne Moore nella parte della mammina religiosamente pazza che vede nella sua creatura il rifugio terreno del male assoluto (e quindi le cuce vestiti da zitella). La loro quotidianità familiare è un continuo nonsense di situazioni al limite del ridicolo, con escoriazioni da cutter e forbici volanti a farla da padrone in un crescendo paradossalmente divertente di cliché borderline.
Insomma, il risultato finale è impietoso e anche se è vero che un po' di soldi questa pellicola è riuscita ad incassarli ($82,716,354), sostengo fortemente che quest'idiozia ci potesse essere ampiamente risparmiata.
Consigli: Né veramente horror, né veramente splatter, "Lo sguardo di Satana - Carrie" è solo un brutto esempio di cinema mainstream contemporaneo. Oltre che di pessimo remake.
Parola chiave: Secchio.

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Bengi