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giovedì 26 ottobre 2023

Film 2211 - Red, White & Royal Blue

Intro: Tornato dal Messico e in assenza di Ciarán, mi sono consolato con la pellicola di Amazon Prime in quel momento sulla bocca di tutti.

Film 2211: "Red, White & Royal Blue" (2023) di Matthew López
Visto: dal computer
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: la romcom gay che ci meritiamo.
Spensierato, divertnete, sexy quanto basta e irriverente al punto giusto, questo "Red, White & Royal Blue" riporta la tradizionale storia d'amore con complicazioni annesse al centro del racconto, posizionandosi inoltre in una sorta di realtà alternativa che chiama in causa altri titoli tradizionalmente drammatici come "House of Cards" e "The Crown", per un risultato finale che si segue con piacere e fa (finalmente) dimenticare la debacle che è stata "Bros".
Non guasta, poi, che i due bei protagonisti Taylor Zakhar Perez e Nicholas Galitzine presentino un'evidente chimica e siano perfettamente in grado di portare sulle proprie spalle le sorti di questa pellicola - tratta dal romanzo di Casey McQuiston - contornati da un buon cast tra cui spiccano Stephen Fry e una Uma Thurman dal curioso accento (del sud, mi pare?).
Insomma, l'adattamento di "Red, White & Royal Blue" funziona e dimostra quanto sia più che mai possibile raccontare la storia d'amore tra due persone dello stesso sesso e farla risultare credibile (seppure in un contesto, qui, incredibile) e, soprattutto, tanto normale quanto qualunque altra storia d'amore. Poi, per carità, è una commedia romantica e, per sua natura, ripulisce, sanifica e idealizza il racconto delle vicende umane; ciononostante il risultato finale è un ulteriore punto a favore della normalizzazione e dello sdoganamento di valori che si oppongo a quella chiusura mentale che ultimamente sembra prendere, ahimè, sempre più piede.
Cast: Taylor Zakhar Perez, Nicholas Galitzine, Clifton Collins Jr., Sarah Shahi, Rachel Hilson, Stephen Fry, Uma Thurman.
Box Office: /
Vale o non vale: Carino, spensierato e, neanche a dirlo, con lieto fine. Certo, molto patinato, ma per chi apprezza o per chi fosse alla ricerca di qualcosa di leggero, questo è sicuramente un titolo da tenere in considerazione.
Premi: Candidato all'Emmy per Outstanding Television Movie.
Parola chiave: King.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 25 luglio 2022

Film 2118 - Diverso da chi?

Intro: Volevo introdurre Ciarán a una serie di titoli italiani a tematica LGBTQ+ sapendo che lui apprezza il genere, ma non ha grande familiarità con il nostro cinema a tinte arcobaleno.
Premesso che è una fatica pazzesca ritrovare certe pellicole e, ancora peggio, rintracciarne i sottotioli (per non parlare del fatto che la maggior parte non si sincronizza con l'audio originale), questa è la prima (e per ora unica) pellicola che abbiamo visto.

Film 2118: "Diverso da chi?" (2009) di Umberto Carteni
Visto: dal computer portatile
Lingua: italiano
Compagnia: Ciarán
In sintesi: non che sia un capolavoro e per certi aspetti questi 13 anni dalla sua uscita in sala si sentono tutti, però "Diverso da chi?" rimane un prodotto sufficientemente fresco e innovativo - seppure commerciale - rispetto a tematiche ancora troppo spesso ignorate dal cinema nostrano.
Si parla di diverse espressioni di genitorialità, famiglie arcobaleno, pari diritti, genitori single, il tutto condito in salsa politica che, per quanto leggera, lancia comunque qualche spunto di riflessione.
Quindi sì, non un titolo imprescindibile della filmografia italiana, eppure un prodotto che non farebbe male guardare, riguardare e far vedere. Perché, per quanto imperfetto, insegna comunque qualcosa e il rispetto degli altri e delle loro scelte di vita. E che la politica, oggi come allora, dovrebbe tenere il passo e assumersi le responsabilità delle persone che rappresenta (o dice di rappresentare).
Film 284 - Diverso da chi?
Film 2118 - Diverso da chi?
Cast: Luca Argentero, Claudia Gerini, Filippo Nigro, Francesco Pannofino, Giuseppe Cederna, Antonio Catania.
Box Office: $4,637,782
Vale o non vale: La recitazione di Argentero a volte è difficile da prendere seriamente, ma la combo Claudia Gerini + Filippo Nigro funziona bene e riequilibra il film in termini recitativi. Tra tematiche di un certo peso e un finale che ancora mi lascia un po' perplesso (ma almeno avvia un dialogo o propone una discussione), "Diverso da chi?" è in ogni caso sufficientemente godibile anche e piacevole da rivedere.
Premi: Candidato a 4 David di Donatello per il Migliore Regista Esordiente, Miglior attore (Argentero), attrice (Gerini) e attore non protagonista (Nigro).
Parola chiave: Famiglia.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 24 marzo 2021

Film 1974 - La llorona

Intro: Per pura casualità sono incappato nel trailer e ho supito capito che non volessi perdermi questa pellicola.
Film 1974: "La llorona" (2019) di Jayro Bustamante
Visto: dal computer portatile
Lingua: spagnolo, Mayan-Caqchickel, Mayan-Ixil
Compagnia: nessuno
In sintesi: promosso come una sorta di horror, devo dire che c'è davvero poco di spaventoso in questa pellicola di Jayro Bustamante che, onestamente, è molto più interessante (e disturbante) dal punto di vista della costruzione dei personaggi e del contesto socio-politico, anche se l'inusuale mix di generi arricchisce efficacemente la storia a livello narrativo.
Ispirato alla vera storia del dittatore guatemalteco Efraín Ríos Montt - condannato ad 80 anni di carcere per il genocidio commesso tra il 1982 e il 1983 nei confronti della comunità maya - "La llorona" utilizza intelligentemente il folklore locale contrapponendolo al racconto del processo al protagonista (Julio Diaz) e alla sua conseguente caduta in disgrazia, alternando momenti soprannaturali a un approccio quasi biografico che, insieme, fanno di questo film un interessante ibrido cinematografico che, nonostante un'occasionale lentezza narrativa, non manca di centrare i suoi obiettivi: far riflettere e intrattenere allo stesso tempo.
Cast: María Mercedes Coroy, Sabrina De La Hoz, Margarita Kenéfic, Julio Diaz, María Telón, Juan Pablo Olyslager, Ayla-Elea Hurtado.
Box Office: $294,404
Vale o non vale: Esteticamente molto curato e narrativamente capace di sollevare non pochi interrogativi, "La llorona" è un horror politico che spaventa più per le atrocità commesse dal suo protagonista che per il soprannaturale che non mancherà di dargli la caccia.
Non il tipico film dell'orrore, ma sicuramente una pellicola a cui dare una possibilità.
Premi: Candidato al Golden Globe per il Miglior film straniero. Presentato a Venezia 2019 alle Giornate degli Autori ha vinto per Miglior film e regia.
Parola chiave: Passato.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 29 gennaio 2021

Film 1791 - Long Shot

Intro: Incuriosito dalle buone critiche e la coppia di protagonisti assortita in modo interessante, ho scelto di vedere questa commedia alla ricerca di qualcosa di piacevole e interessante.
Film 1791: "Long Shot" (2019) di Jonathan Levine
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: diciamoci la verità, questo "Long Shot" non è proprio niente di che e, anzi, visto tutto l'hype creato attraverso una promozione del film che passa attraverso la citazione di tutte le critiche positive ottenute da questa pellicola, direi che il risultato finale è abbastanza deludente.
Come direbbe saggiamente Rupaul:
Insomma, onestamente mi aspettavo qualcosa di più brioso e originale e nonostante la lodevole scelta di rappresentare la protagonista femminile come quella più di successo della coppia - finalmente mettendo in discussione i canoni della rappresentazione femminile nell'industria cinematografica mainstream, rimae il fatto che "Long Shot" non sia all'altezza delle aspettative: un prodotto ok che si lascia guardare, ma davvero nulla di eccezionale. Terribile, poi, il foto ritocco fatto su Charlize Theron in tutti i vari poster promozionali e non del film, poco credibile e mal riuscito.
Cast: Charlize Theron, Seth Rogen, O'Shea Jackson Jr., Andy Serkis, June Diane Raphael, Bob Odenkirk, Alexander Skarsgård, Randall Park, Lisa Kudrow.
Box Office: $53.9 milioni
Vale o non vale: Si può vedere e, per carità, non è un prodotto terribile, ma non credo aggiunga nulla di nuovo al panorama della commedia romantica (pseudo alternativa). Si poteva fare molto meglio e, considerato il cast, sa un po' di occasione sprecata.
Premi: /
Parola chiave: Campagna presidenziale.
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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 9 ottobre 2020

Film 1931 - The Kingmaker

Intro: L'altra sera stavo cercando qualcosa da vedere che si accompagnasse bene alla cena e, spulciando l'hard drive, ho ritrovato questo film che ho scaricato prima di partire. Era senza dubbio il titolo perfetto!
Film 1931: "The Kingmaker" (2019) di Lauren Greenfield
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: della Sig.ra Marcos conoscevo solo l'aneddoto sull'incredibile numero di scarpe, per cui è stato molto interessante approfondire l'argomento da un'agolazione più politica e umana.
La narrazione comincia con l'esposizione del punto di vista della protagonista - la vedova di Ferdinand Marcos, presidente (e di fatto diddatore) delle Filippine per poco più di vent'anni - e procede pian piano fornendo le prove di una corruzione e l'esercizio di un potere autoritario e violendo che finiscono per smontare inevitabilmente la visione quantomeno illusoria dei fatti che l'ex First Lady vorrebbe far passare. E non si può fare a meno di chiedersi se la donna, per dirla facile, ci sia o ci faccia. Perché è evidente che Imelda Marcos sia profondamente consapevole di ciò che le succede e le è successo intorno, per cui risulta difficile credere che il suo racconto basato sul concetto di amore per la nazione e il suo popolo si basi sulla percezione cosciente della realtà e non sia, invece, solamente una maniera per farsi scudo delle durissime critiche rvolte a lei e alla controversa figura del marito.
In un'ora e quaranta di documentario, infatti, la Greenfield ripercorre anni di storia delle Filippine e dei suoi potenti amministratori in un contesto che vede la corruzione e l'esercizio dell'autorità suprema quali elementi intrinsechi della gestione del paese, facendo leva su un'emotività della protagonista della storia che cozza profondamente con le scelte fatte e le decisioni prese.
Tra un mondo di sfarzo e lusso sfacciato che mette ancora più in evidenza il divario con la povertà dilagante della popolazione e l'inquietante assetto da regime totalitario che prende via via piede nell'amministrazione Marcos è di fatto impensabile ritenere innocente o anche solo estranea ai fatti una figura come quella della Marcos che, ad oggi, detiene ancora un enorme potere politico e mediatico a livello non solo nazionale. Senza contare che non mancano prove a sostegno di questa possibilità.
L'altro aspetto narrativo toccato da questa pellicola coinvolge, invece, la rinascita della dinastia Marcos, con la figura ora centrale del primogenito Bongbong alla ricerca di nuovo potere politico attraverso la candidatura a vicepresidente del paese. Non basterà la sconfitta a farlo desistere, tanto che verrà a galla un'alleanza con l'attuale presidente Duerte e risulterà rivelatrice nei confronti di un piano per la "rinascita" che si è messo in moto ormai molto tempo addietro.
Insomma, "The Kingmaker" comincia come una sorta di biografia della sua figura centrale Imelda Marcos e finisce per toccare tematiche che vanno molto oltre la semplice curiosità nei confronti dell'immagine glam e cosmopolita che ci si fermerebbe a considerare quando si pensa alla ex First Lady; il che, a mio avviso, costituisce la forza di questo documentario, una sorta di percorso quasi inaspettato che, invece, risulta essere il vero carburante di tutta la storia.
Cast: Imelda Marcos, Bongbong Marcos, Benigno Aquino III, Leni Robredo, Andres D. Bautista, Etta Rosales, Imee Marcos, Rodrigo Duterte, Corazon Aquino, Ferdinand Marcos.
Box Office: $148,653
Vale o non vale: Interessante e ben strutturato, questo film non si perde dietro reverenze e compliemti, ma si interessa di dare il più accuratamente possibile uno sguardo obiettivo rispetto ai vari elementi della sua storia (famiglia Marcos, strapotere e dittatura, appropriazione indebita di risorse dello stato, esilio, malcontento popolare, resurrezione politica e "perdono", corruzione, violenza, legge marziale). Il risultato è molto interessante e ben argomentato, anche se mi sento di dire che certi passaggi dei racconti degli attivisti (nonché vittime) avrebbero potuto essere gestiti meglio a livello narrativo. A parte questo, "The Kingmaker" è un solido documentario.
Premi: Il film è stato presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia 2019.
Parola chiave: Love.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 18 settembre 2017

Film 1409 - Viceroy's House

Ero rimasto incuriosito dal poster di questo film e dalla sua protagonista femminile. Così quando lo streaming lo ha messo a disposizione non ho perso tempo e l'ho recuperato!

Film 1409: "Viceroy's House" (2017) di Gurinder Chadha
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Una storia che non mi aspettavo, un film che non riuscivo. a decifrare e che, a sorpresa, mi ha lasciato soddisfatto. Non un capolavoro, ma nemmeno un prodotto non riuscito. Trovo che riesca a dare significativa visibilità e valore a una vicenda storica complicata, difficile e soffre. Si parla della liberazione dell'India dopo 300 anni di sottomissione all'Impero Britannico, un'indipendenza che costerà cara alla popolazione, costretta dalla politica ad una traumatica scissione che, a cose fatte, porterà non solo all'autonomia del paese, ma anche alla nascita del Pakistan.
In tutto questo si inseriscono le vicende dell'ultimo Viceré di sua maestà e di sua moglie, una coppia pragmatica in grado di distinguersi dai propri predecessori e in generale dalle varie altre rappresentanze per apertura mentale, rispetto culturale, visione d'insieme. Questo non li metterà al riparo da errori - purtroppo difficilmente evitabili in situazioni con grandi interessi in ballo -, ma non verrà mai messa in dubbio (almeno qui) la loro buona fede.
La storia di "Viceroy's House" analizza in parallelo le vicende politiche e quelle private dei vari protagonisti. Non manca l'amore alla "Giulietta e Romeo", né il colpo di scena finale che conferisce un tocco thriller a un racconto che è comunque basato su fatti reali. Ho apprezzato l'ampio spazio dedicato alle questioni politiche e sociali, privilegiate rispetto a romanticismo o scorci di coppia. La questione è seria e gli snodi non facili per cui anche se effettivamente l'approccio buonista e la fotografia patinata tradiscono un eccessivo standardizzarci a canoni prestabiliti, ho comunque trovato ammirevole la scelta di non limitarsi a lasciare la storia sullo sfondo, decidendo al contrario di farne la vera protagonista.
Personalmente mi sono molto interessato al ritratto dei due coniugi protagonisti (interpretati da Hugh Bonneville e Gillian Anderson), una coppia interessante e certamente affascinante, fuori dai canoni dell'epoca. In particolare sono stato proprio rapito dall'interpretazione della Anderson, in un ruolo che fino ad ora non le avevo mai visto interpretare: è un piacere vederla recitare, costruire il personaggio e renderlo credibile. Bonneville è un bravo attore, anche se troppo spesso costretto in confini nobiliari che inevitabilmente portano alla mente il meraviglioso "Downton Abbey".
In ogni caso una pellicola con evidenti buone intenzioni che no, non pecca per originalità, ma palesa in maniera inequivocabile la volontà di raccontare uno spaccato difficile e complesso e renderlo accessibile anche a chi non lo ha vissuto o non ne sapeva nulla. Anche solo per questo, "Viceroy's House" funziona.
Cast: Hugh Bonneville, Gillian Anderson, Manish Dayal, Huma Qureshi, Michael Gambon, Om Puri, Simon Callow.
Box Office: $7,199,150
Consigli: Non una storia per ogni occasione, ma sicuramente il racconto di un avvenimento che ha segnato la satira e di cui, in qualche modo, sarebbe meglio avere anche solo una vaga nozione. Di sicuro non si tratta di un film perfetto, ma ha i suoi buoni momenti, la cornice esotica è intrigante, i protagonisti in parte. Insomma, perché no?
Parola chiave: Ripartizione.

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Bengi

lunedì 10 aprile 2017

Film 1338 - Truth: Il prezzo della verità

Dove c'è Cate, ci sono anche io.

Film 1338: "Truth: Il prezzo della verità" (2015) di James Vanderbilt
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Pensavo che la realizzazione del servizio fosse il cuore di questa storia, ma non è così. La qual cosa è stata una sorpresa anche gradita, visto che ha sufficientemente ampliato il raggio d'azione della pellicola che, altrimenti, sarebbe stata semplicemente l'ennesimo caso di pellicole sul giornalismo d'inchiesta.
"Truth: Il prezzo della verità" è tratto da una storia vera che, di per sé, è piuttosto avvincente e si guarda con interesse. Forse certe parti si incastrano tra loro meno bene di altre, in ogni caso il risultato finale è abbastanza compatto e coerente, anche se manca quell'elemtno in più, un piglio trascinante che credo sarebbe stato in grado di fare la differenza, facendo emergere il film dai restanti titoli similari già esistenti. Da questo punto di vista è un po' un dispiacere: forse la produzione ha pensato bastesse un cast da urlo per portare a casa un risultato straordinario, ma non è così. Per fare la differenza forse serviva concentrarsi di più sul personaggio protagonista e meno sui dettagli dell'inchiesta, così da creare un'empatia e costruire meglio anche l'aspetto che riguarda l'ambito personale di una vicenda che, per lo spettatore comune, è il racconto di qualcosa di sconosciuto e inimmaginabile.
Per quanto riguarda gli attori, Cate Blanchett è come sempre in parte, anche se mi risulta difficile giudicare una somiglianza con la vera Mary Mapes. Il resto del cast è piuttosto eterogeneo e ben fornito di volti noti in ogni momento, ma non tutte le parti avrebbero richiesto un tale utilizzo di attori famosi (per esempio la parte di Elisabeth Moss). Redford ha sempre qualcosa che mi disturba, che non mi convince appieno, ma al di là di questo aspetto (personale) lui e la Blanchett sono un'ottima coppia da grande schermo, una certezza di qualità.
Da un punto di vista più tecnico, invece, devo dire che ho trovato troppo abusato l'effetto rallenty. Utilizzarlo così spesso spezza il ritmo e ne sminuisce il valore evocativo che, in ogni caso, è troppo retorico anche a causa di una colonna sonora costruita ad hoc per garantire una certa costruzione drammatica del film. In generale avrei preferito scegliessero meglio i momenti cui farne utilizzo, per conservarne la valenza e il sottotesto.
In ogni caso in questo "Truth" ho trovato una storia conforme alle mie aspettative, anche se avrei sperato di trovare un prodotto un minimo più incisivo. Il reportage - seppur di fiction - del reportage è uno sforzo da minimo sindacale, soprattutto se si pensa ai protagonisti galattici qui a disposizione. Sicuramente non un prodotto facile, sicuramente non mainstream. In ogni caso si lascia guardare, a tratti appassiona.
Cast: Cate Blanchett, Robert Redford, Topher Grace, Elisabeth Moss, Bruce Greenwood, Stacy Keach, Dennis Quaid, Dermot Mulroney, John Benjamin Hickey.
Box Office: $5.6 milioni
Consigli: Chi apprezza la Blanchett non si lascerà scappare l'ennesima ottima prova della propria beniamina, idem dicasi per chi favorisce Redford. L'episodio riportato qui dalla storia non lo conoscevo e il risultatofinale è un mix tra "Fahrenheit 9/11", "Il caso Spotlight" e "Tutti gli uomini del presidente", pur non sempre riuscendo a mantenere costante l'interesse dello spettatore. Incuriosisce capire come andrà a finire e come verrà gestito lo scandalo e come i media USA reagiscono a questo tipo di eventi, in ogni caso rimane sempre la sensazione che manchi qualcosa, che ci si fermi a una dimensione troppo generale, mancando l'approfondimento più centrato. Comunque si può tranquillamente vedere, meglio se consapevoli del tema politico-impegnato.
Parola chiave: Promemeoria.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 11 febbraio 2017

Film 1304 - Game Change

Sky Go propone e noi cogliamo al volo. Nonostante i suoi riconosciuti disservizi.

Film 1304: "Game Change" (2016) di Christophe Lourdelet, Garth Jennings
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Poe
Pensieri: Prima che Julianne Moore vincesse finalmente l'Oscar, è stato questo film per la tv a consegnarle quella parte di premi importanti che si meritava da tempo e ancora non aveva ottenuto, ovvero un Golden Globe e un Emmy come miglior attrice. Con "Game Change" - titolo profetico - l'attrice ha ritrovato quel consenso globale che da tempo faticava a venirle riconosciuto. Del resto è stata la scelta perfetta che ha fatto certamente la differenza, capace di un mimetismo inquietante che rende difficile, a posteriori, distinguere quale fosse l'imitazione e quale l'originale. Julianne Moore qui è Sarah Palin.
Per quanto riguarda il risultato finale di questa pellicola televisiva targata HBO, forse avrei preferito qualche risvolto politico meno di superficie, diciamo un approfondimento che andasse oltre l'attenzione didascalica per la messa in scena di certe vicende reali che qui trovano ampio spazio e contestualizzasse più a fondo il punto di vista politico, il quadro sociale in cui la storia della Palin e del Governo americano sono immersi. La sensazione che ho avuto è che si rimanga più spesso bloccati a fotocopiare un episodio piuttosto che integrarlo all'interno della storia, la quale di conseguenza diventa una sorta di collage di tanti pezzi, pur non così amalgamati.
Un altro aspetto che ho faticato ad assimilare ciecamente riguarda il rapporto tra la Palin, candidata alla Vicepresidenza degli Stati Uniti, e il suo superiore, il candidato alla Presidenza John McCain. Le loro dinamiche mi sono sembrate descritte in maniera troppo edulcorata. Non so dire se l'ex candidato alla Presidenza possa davvero aver reagito così alle varie debacles della sua vice durante tutta la campagna elettorale, ma di sicuro c'è la rappresentazione di una pazienza, un'accettazione incondizionata, quasi un fatalismo che mi rimangono difficili da ritenere totalmente plausibili. Al pari della "solitudine" degli addetti alla campagna elettorale rispetto al partito cui fanno riferimento. Nel film si dice che la Palin sia una macchina da soldi, ma non sono sicuro che questo sia bastato a smorzare la frustrazione e il disappunto dei repubblicani di fronte alla sconcertante impreparazione della Governatrice dell'Alaska e, in generale, alla sconfitta elettorale. Quindi mi chiedo: dov'è qui il partito repubblicano e perché sembra che siano solo McCain e i suoi a prendere le decisioni?
In ogni caso "Game Change" rimane un interessante approfondimento via fiction di un episodio della storia politica statunitense moderna, il racconto della storia di una persona impreparata di fronte all'attenzione mediatica mondiale contro la quale difficilmente esiste un training preparatorio sufficientemente adeguato. Va detto che la Palin rappresenta al contempo il caso di una persona ignorante che riveste una carica governativa e, in aggiunta, si candida per un ruolo dalle implicazioni globali per il quale non è minimamente competente e anche se la sua ingenuità suscita una certa dose di compassione, niente può scacciare via la desolante sensazione di spaesamento nel momento in cui ci si ricorda che, nella realtà, non sono poche le persone nella stessa posizione della governatrice. E per quanto faccia bene farci sopra della satira - nel film sono mostrate anche le vere imitazioni che Tina Fey ha proposto durante un'intera stagione del Saturday Night Live, vincendo perfino un Emmy per la sua interpretazione -, è comunque spaventoso che le sorti del mondo possano anche solo per un istante venire affidate a mani tanto inconsapevoli e incapaci.
Ps. 3 Golden Globes vinti (Miglior film per la tv, attrice protagonista e attore non protagonista ad Ed Harris) e 5 Emmy Awards, tra cui Miglior serie televisiva, sceneggiatura e attrice protagonista.
Cast: Julianne Moore, Woody Harrelson, Ed Harris, Peter MacNicol, Jamey Sheridan, Sarah Paulson, Ron Livingston, Brian d'Arcy James.
Box Office: /
Consigli: Anche se non totalmente soddisfacente, questo film HBO ha il pregio di ripercorrere molto attentamente le vicende che hanno portato Sarah Palin dalla sua Alaska fino al cuore della politica americana, rischiando perfino di trovare una poltrona di spicco all'interno della Casa Bianca. Impreparata, ignorante, presuntuosa, bigotta, la donna faticherà a sottostare alle regole di una campagna elettorale durissima e certamente difficile anche per i più preparati. "Game Change" è un film politico patinato che ha dalla sua un cast fenomenale e un personaggio principale capace di attirare l'interesse dell'opinione pubblica. Può piacere, ma non è una scelta buona per ogni occasione.
Parola chiave: Cultura.

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Bengi

martedì 15 novembre 2016

Film 1238 - Benvenuto Presidente!

Serata casalinga a Copenaghen a base di cena self-made e un'inusuale scelta suggerita da Netflix che, nonostante lo stampo anglofono, presentava un unico titolo tutto italiano (e Poe aveva voglia di una serata del tutto... comprensibile!).

Film 1238: "Benvenuto Presidente!" (2016) di Riccardo Milani
Visto: dalla tv di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Poe
Pensieri: Intento pseudonobile per un risultato così così.
Si ride un pochino e ci si rattrista per una rappresentazione satirica della politica italiana che è anche credibile allo stesso tempo, ma nel complesso il film non riesce a concretizzare efficacemente il messaggio che intende veicolare, riuscendo solamente in parte a risvegliare un senso civico e patriottico troppo spesso messo in secondo piano da una serie di gag sciocchine e risvolti romantici ritenuti doverosi. In realtà della storia d'amore dell'ingenuo Peppino con la rigida Janis non frega granché a nessuno, ma del resto la retorica da commedia pare richiedere anche il sacrificio amoroso dei due protagonisti, per cui sottrarci alle inevitabili scivolate romantiche di una storia che si concentra su una trama inusualmente "politicizzata" sembra essere il prezzo da pagare necessariamente. Ci si fosse concessi una storia meno romantica e più sociale, un'analisi della politica italiana di oggi, anche in chiave satirica, avrebbe certamente colto più nel segno e lasciato in chi guarda certamente qualcosa su cui riflettere che vada oltre la critica facile e il populismo spinto. "Benvenuto Presidente!" baratta questa occasione scegliendo per il facile percorso comico che nulla aggiunge e nulla toglie al genere in versione nostrana e pur vantando il merito di (quantomeno) sollevare la question), il risultato finale non è nulla più che la classica commediola racimola incasso che si fa vedere tanto facilmente quanto si fa dimenticare.
Cast: Claudio Bisio, Kasia Smutniak, Beppe Fiorello, Omero Antonutti, Remo Girone, Cesare Bocci, Massimo Popolizio, Piera Degli Esposti; (cameo) Pupi Avati, Lina Wertmüller, Steve Della Casa, Gianni Rondolino.
Box Office: € 8.508.324
Consigli: Cosa succede quando si da in mano la presidenza della Repubblica a un cittadino ordinario nonché benemerito sconosciuto? Niente, semplicemente una piccola rivoluzione. Questo il pretesto della commedia facile facile "Benvenuto Presidente!" che sembrerebbe partire bene andando a toccare certi nervi scoperti della situazione politica italiana, ma finisce per ricadere nelle sue stesse trappole (oltre che nei cliché del romanticismo cinematografico del genere). Nessun particolare intento innovativo muove questa storia, si cavalca l'onda del populismo e si finisce con l'happy ending richiesto dal disimpegno di una serata al cinema. Niente di più.
Parola chiave: Repubblica italiana.

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Bengi

lunedì 26 maggio 2014

Film 719 - Grace di Monaco

Benedetto sia il cinema a 3€.

Film 719: "Grace di Monaco" (2014) di Olivier Dahan
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Apre Cannes 2014 e riceve recensioni tiepidissime, in America non ha ancora una data d'uscita, gli incassi fino ad oggi non sono incoraggianti. Insomma, questo "Grace of Monaco" fatica a farsi strada.
Il film di per sé non è malvagio e si segue tranquillamente, anche se in effetti fatica a creare momenti di vera empatia con la protagonista Grace Kelly/Nicole Kidman, sofferente sotto la campana di vetro principesca, racchiusa in un regno che per lei è ormai anche prigione. Il matrimonio vacilla, la guerra con la Francia incombe, i monegaschi non la sentono "propria". In questa cornice di subbuglio la storia dell'ex attrice diventata principessa si snoda in maniera troppo piatta e patinata, attentissima ai fasti e al glamour, ma meno efficace quando si tratta di un vero coinvolgimento emotivo che vada oltre la superficie inevitabile. Buona la scelta dei primissimi piani - specialmente sugli occhi - della protagonista, richiamo hitchcockiano d'effetto, indebolito solo dal botox della Kidman.
In generale, comunque, nonostante i molti tentativi di rendere particolarmente veritiera e documentata la storia - "attrice premio Oscar" verrà ripetuto almeno una decina di volte - la sensazione è sempre quella che sia tutta una fiction. Anche se sulla carta gli elementi in comune tra le due attrici parebbero numerosi, di fatto vedere la Kidman nei panni della Kelly non torna tanto quanto ci si sarebbe aspettati; per non parlare di Tim Roth che non non assomiglia a Ranieri neanche per errore. Evidentemente le somiglianze stanno nell'attitudine e nella trasposizione inevitabile che si fa pensando alle due protagoniste di questa pellicola.
In generale, quindi, "Grace di Monaco" riesce nel ricreare atmosfere passate e, perfino, uno sfondo politico abbastanza cosciente e comprensibile, ma rimane un biopic abbastanza piatto o, perlmomeno, privo di un'impronta personale o caratterizzante. La Kidman, una volta certezza, oggi ha perso un po' del suo smalto e fatica a ritrovare una dimensione cinematografica che vada oltre i vecchi fasti di un tempo. Questo film, nella sua troppo fredda e maschilista mise-en-scène, ne è eloquente esempio.
Box Office: $2,484,242
Consigli: Per certi aspetti è un prodotto interessante, per quanto la sua anima commerciale tradisca una certa propensione all'eclatante piuttosto che per la verità dei fatti. Eppure la storia avrebbe il suo fascino e meriterebbe il racconto. Manca, però, una personalizzazione e umanizzazione dei personaggi, una tridimensionalità che fornisca spessore anche alal storia. La Kidman è sempre più algida, ma la sua interpretazione sembra sincera. Si può certamente vedere senza indugi, ma non ci si aspetti il capolavoro o la magia (creata dai media) della storia vera.
Parola chiave: Charles de Gaulle.

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Bengi

lunedì 12 maggio 2014

Film 712 - The Iron Lady

Luigi si era perso un recente ruolo fondamentale nella carriera di Meryl Streep. Recuperare subito!

Film 712: "The Iron Lady" (2011) di Phyllida Lloyd
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Nonostante abbia comprato il dvd, la scelta è stata dettata non tanto dal fatto che il film sia un capolavoro, ma dalla magnifica interpretazione di Meryl Streep nei panni di Margaret Thatcher. Lo so che è inutile ribadirlo, ma Meryl può tutto e quest'ulteriore interpretazione ne è l'ennesima prova. Nonostante mi sia dispiaciuto seriamente che far vincere la Streep abbia significato far perdere Michelle Williams per "My Week with Marilyn", non si può che considerare il terzo Oscar della sua carriera come Miglior attrice semplicemente meritato (l'ultima volta che ha vinto era il 1983). Ovvero: era ora.
Come anticipavo all'inizio, la pellicola di per sé non è riuscitissima e, anzi, manca di un filo conduttore forte e facile da rintracciare. Purtroppo la trama finisce per essere influenzata dal caos di ricordi di un'anziana Thatcher che fatica lei stessa a trovare la propria strada fra i ricordi e il risultato è molto dispersivo e poco incisivo. Se, infatti, l'intento fosse stato celebrativo per quanto riguarda la politica del Primo Ministro inglese o se fosse stata una sorta di biografia personale o, ancora, un racconto di fiction su come una tale figura umana e politica abbia fatto i conti col proprio passato... in ognuno dei casi comunque il tentativo è fallito. Perché "The Iron Lady" è ognuna di queste cose, ma nessuna delel tre.
Il film, insomma, è confuso, ma non lo è la sua protagonista, che spiazza l'audience con una performance veramente impeccabile in grado da sola di valere la visione della pellicola. Anche perché, Streep e Jim Broadbent a parte, non ci sono altri attori protagonisti veramente degni nota.
Film 384 - The Iron Lady
Box Office: $114,956,699
Consigli: Gli amanti della Streep andranno in visibilio per questa ennesima testimonianza del talento dell'attrice. Chi, invece, si aspettava una biografia o quantomeno un approfondimento coscienzioso e ben costruito della vita privata e pubblica di Margaret Thatcher rimarrà, probabilmente, un po' deluso sia per i contenuti che per la messa in scena. Il risultato finale rimane un po' troppo sulla superficie, anche se Meryl salva decisamente la sorte di tutta la produzione. 2 Oscar: Miglior attrice protagonista e Miglior trucco.
Parola chiave: Politica.

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Bengi

mercoledì 25 settembre 2013

Film 587 - Passione sinistra

Non amo nessuno dei 4 protagonisti e sono sempre titubante riguardo il cinema italiano. Però il trailer, devo dirlo, era accattivante...


Film 587: "Passione sinistra" (2013) di Marco Ponti
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Diciamo che tutto sommato il film non è nulla di più che un prodotto carino e di facilissimo consumo. Quando in Italia si affronta il tema politico (al giorno d'oggi) nella commedia lo si fa rimanendo molto furbescamente in superficie, evitando di andare oltre quella critica popolare facilmente condivisibile e, soprattutto, vendibile. In questo senso la vocazione politica di "Passione sinistra" è unicamente di cornice per dar linfa ad una favoletta che, altrimenti, sarebbe solo la fotocopia di uno qualsiasi degli altri prodotti simili già visti in precedenza.
La mossa vincente di questa pellicola è certamente quella di aver scelto un buon cast - anche se la Lodovini non mi piace -, andando sul sicuro con Geppi Cucciari, usando bene l'animo stronzo di Alessandro Preziosi e regalando la parte perfetta ad Eva Riccobono che, nei panni di attrice, non saprei immaginare in altro contesto se non quello della svampita scema e anoressica. Con questo insieme di buoni comprimari, la nota dolente è proprio l'insopportabile personaggio di Nina/Lodovini, piena di sé e spocchia, un insieme di equità, no global, lotta per i diritti, giustizia uguale per tutti (e per questo sono figa) che alla lunga è qualcosa di insostenibile. Si addolcirà grazie all'inevitabile amore con Giulio/Preziosi e, a maggior ragione, cadrà ancora di più in un insopportabile cliché della donna dagli idieali di sinistra che si innamora dell'uomo di destra, ci si scontra, si mette in discussione e trova la vera sé stessa abbandonando buona parte del suo essere stata così radicale.
Insomma, per quanto per una parte di film "Passione sinistra" cerchi di mascherare la sua vera natura dietro la facciata di vago impegno sociale con una denuncia politica all'acqua di rose, man mano che si affronta la narrazione ci si accorge che il tema politico è solo il pretesto per presentare la storia di una coppia che si scontra su quali parti prendere, ma a letto fa scintille. Della serie: l'amore abbatte ogni barriera. Già sentito?
Ps. Cameo di Marco Travaglio che non risulta simpatico nemmeno 'recitando' sé stesso.
Consigli: Niente di più che una commedia infarcita di cliché su amore, relazioni e politica contemporanea. E' un film carino da guardare una sera e in compagnia e da soli, dato che non impegna la mente e ha qualche battuta divertente. Nell'insieme della spensieratezza senza secondi fini funziona. Ma la denuncia politica è un'altra cosa.
Parola chiave: Partito politico.

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Bengi

mercoledì 3 luglio 2013

Film 563 - Viva l'Italia

E continuiamo sulla scia del cinema italiano, che ultimamente frequento più spesso.

Film 563: "Viva l'Italia" (2012) di Massimiliano Bruno
Visto: dal computer di Marco
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Massimiliano Bruno, dopo "Nessuno mi può giudicare", riconvoca Raoul Bova e Rocco Papaleo per questa sua seconda fatica registica e, al posto della Cortellesi, sceglie Ambra per l'ennesimo ruolo femminile scanzonato e brillante. La cornice, però, questa volta è completamente diversa, ispirandosi ad una politica italiana della peggior specie in un ritratto a prima vista esasperato, ma in fin dei conti non molto diverso dalla situazione reale. Il che rattrista e non poco.
Al di là della trama anche divertente a tratti, posto che è necessario incassare il colpo facendo autocritica in silenzio, l'anima fortemente 'impegnata' di questa pellicola funziona solo in parte, un po' perchè a volte forzata e quasi imposta - come se si volesse necessariamente giocare la carta della commedia, sì, ma che fa anche pensare -, un po' perchè la risoluzione finale della trama non mi ha convinto del tutto (la presa di posizione molto polemica poi scema).
Da una parte pare che la critica al mondo politico e, collateralmente, della gestione nazionale sembra affrontata di petto e con una certa consapevolezza, ma poi si finisce per cadere nello stesso gioco che ha generato l'input narrativo e mi sembra che, almeno nella gestione della storia di Valerio/Alessandro Gassman, si faccia autogoal.
Il film denuncia raccomandazioni (Susanna/Ambra Angiolini), mancata meritocrazia (Riccardo/Raoul Bova), incompetenza ai vertici (Gassman) e una politica di false promesse e falsi valori (Michele Spagnolo/Michele Placido) per buona parte dei suoi 100 minuti di durata, ma di fatto scioglie il suo intreccio liquidando le avversità in un modo che, a mio parere, non è accettabile dopo tanto criticare: il ricatto. E' vero che questo è applicabile poichè c'è chi si è messo nella posizione di farsi ricattare, ma non ritengo sia coerente, nel finale, cancellare l'incompetenza di Valerio rappresentandolo non come una persona degna di essere al vertice della sua azienda, ma solo l'ennesimo furbetto davvero degno dell'eredità del padre Michele.
Allo stesso tempo la questione del reparto dove lavora Riccardo, ormai allo sbando per la mancanza di fondi e la noncuranza del primario, che viene letteralmente restaurato nel giro di una notte (con il paninaro locale riparatore di lavatrici che aggiusta macchinari medici come se fosse una Whirlpool qualunque), è di una semplificazione imbarazzante, conclusione indegna di una parte di trama che fa ridere tanto è assurda.
Il personaggio di Placido, poi, come ogni bravo politico che si rispetti, finirà in tv a fare le sue scuse - davvero convinte, però - cercando il contatto con quella gioventù che necessita di essere risvegliata da un torpore di disillusione e sfiducia (che gente come lui ha causato) per destare nuova consapevolezza di cittadini che si battono per i propri diritti e, soprattutto, il proprio futuro.
In quest'ottica la predica finale dell'ex politico corrotto tramutato neoredento (ma non per sua volontà, solo a causa di una malattia che lo porta a non essere più in grado di filtrare il pensiero che diventa parola) è certamente sensata, ma finisce per assomigliare più a una mossa "paracula" perchè di fatto, come si diceva, il film stesso sceglie poi di pubblicizzare un mezzo poco nobile per esplicitare le nuove consapevolezze del personaggio di Gassman (ovvero che nella vita ci vogliono 'le palle' per ottenere ciò che si vuole).
A parte questo, comunque, "Viva l'Italia" è un perfetto prodotto commerciale nostrano, migliore di molti altri che ci propinano, sia chiaro, ma di fatto ancora troppo legato alla paura di essere considerato solo come commedia leggera e che sente, quindi, la necessità di autodefinirsi impegnata.
Il personaggio più riuscito è quello di Ambra, divertente e agghiacciante allo stesso tempo, specchio di una parte di società contemporanea (ma di fatto ognuno dei 3 figli di Spagnolo lo sono) che, però, avrà gli strumenti e l'aiuto necessari al riscatto e alla rinascita. Bova, invece, resta sempre invischiato nel cliché del bello-buono-e-bravo che lui interpreta, a volte, con passione da fiction tv. Quando fa altro, però, nessuno lo considera. Placido, infine, è un capo famiglia stronzo-ma-poi-sensibile che smaschererà i suoi stessi trucchetti non tanto per necessità, quanto perchè obbligato dalla sua malattia 'rivelatrice'.
Gli ingredienti per un film divertente ci sono, anche se di fatto ci si perde un po' per strada nel finale (morale e lieto fine sempre e comunque).
Ps. Due nomination ai David di Donatello (una per Ambra come Miglior attrice non protagonista) e più di 5.000.000€ di incasso al nostro botteghino.

Consigli: Nonostante la mia solita diffidenza rispetto al cinema italiano e, come già detto, una certa superficialità ingenua in alcune scelte narrative, "Viva l'Italia" è una buona opzione nell'ottica del divertimento spensierato per una sera in compagnia. La critica alla nostra politica odierna fa male all'inizio e bisogna comunque farci i conti durante la visione.
Parola chiave: Raccomandazione.

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Bengi

lunedì 15 aprile 2013

Film 531 - Le idi di marzo

Sempre stato curioso di vederlo. Ecco l'occasione giusta: le feste pasquali!


Film 531: "Le idi di marzo" (2011) di George Clooney
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Sapevo solo che parlasse di politica, che sullo schermo lo scontro era fra Ryan Gosling e George Clooney e che non a tutti fosse piaciuto. Non molto, insomma, per essere una delle pellicole più chiacchierate di un paio di stagioni fa.
Già, perchè Mr. Gosling con "Le idi di marzo" e "Crazy, Stupid, Love." nel 2011-12 ha fatto veramente il botto, esplodendo a livello mediatico quale sex-symbol e attore capace di misurarsi in ruoli difficili o divertenti, spigliati o drammatici. Insomma, adesso anche Ryan tutto può.
A differenza di Ryan Reynolds, il cui effetto exploit si è rovinato a causa di un "Lanterna verde" piuttosto moscio, questo Ryan è riuscito a costruire l'immagine di bello e, soprattutto bravo, che si sposa perfettamente con l'immagine pubblica di George Clooney, da anni considerato uno che, oltre ad essere affascinante, è anche piuttosto capace di fare il suo mestiere (o mestieri, visto che da attore si è perfettamente calato nei panni di sceneggiatore e regista). La premessa per "Le idi di marzo", insomma, era allettante, ma non era l'unico fattore in ballo.
Alcuni commenti al film, infatti, mi erano arrivati tiepidi, se non addirittura freddini. Sembrava che le aspettative rispetto all'ultima fatica di Clooney fossero state disattese. L'approccio al film, quindi, era duplice curiosità: mi sarebbe piaciuto o alla fine sarei rimasto deluso anche io?
Ad essere totalmente onesti, "The Ides of March" non mi ha per nulla lasciato insoddisfatto, nonostante il mio approccio 'guardingo'. L'atmosfera apparentemente pacata è limpida sarà smascherata dalla trama in maniera interessante e intelligente, lasciando lo spazio, per il resto della pellicola, ad una tensione generale impalpabile ma sempre maledettamente presente. E la domanda sarà sempre: il Governatore Mike Morris è o non è colpevole?
L'intrigo, il potere, i compromessi e le verità delle persone sono tutti temi che mi appassionano sempre in un film, quindi man mano che la storia si evolveva ero sempre più interessato a capire come si sarebbe venuto a risolvere il tutto. L'idealismo iniziale, i valori della politica e l'etica delle persone sono tutte tematiche che finiranno per dover scontrarsi con i meccanismi umani più scotati e deludenti: carriera, arrivismo, tornaconto personale e, chiaramente, la gestione del potere. Anche i più 'puri' dovranno sporcarsi le mani, scendere a patti con i propri errori e sacrificare qualcosa in funzione di un obiettivo più grande: che sia la carriera politica, che sia il tenersi il proprio lavoro o prendersi una sonora rivincita.
La 'caduta agli Inferi' di Stephen Meyers/Gosling è ben architettata e pensata e la sceneggitura composta di meccanismi narrativi su più livelli, viene lentamente districata durante i 100 minuti di pellicola, con un crescendo nel finale proprio quando sarebbe sembrato tutto finito per Meyers. Il gioco d'astuzia, bilanciato da buone idee e bei dialoghi, funziona bene e lascia certamente soddisfatti. E' il prezzo richiesto al personaggio che, invece, lascia un po' di amaro in bocca.
Il percorso di del giovane e motivato Stephen, quindi, regge bene le sorti di una storia in cui fanno capolino una serie di altri personaggi ognuno con qualcosa da nascondere, il Governatore in primis. Il suo segreto - che ha un nome: Molly Stearns/Evan Rachel Wood - sarà il fulcro di tutta la vicenda, cui ruoteranno attorno una serie di avvenimenti che saranno necessariamente influenzati dal misterioso segreto (che, per carità, non è nulla di nuovo).
Sebbene i temi presentati non siano di originalità assoluta, il mix rende bene e, sullo schermo, tutto funziona a dovere: ci sono tensione e pathos, una buona sceneggiatura e un cast veramente all'altezza (oltre ai già citati sono presenti anche i premi Oscar Marisa Tomei e Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti e Jeffrey Wright). Insomma, sono rimasto soddisfatto da queste 'idi'. E George Clooney sa quello che fa.
Ps. Una nomination all'Oscar per la sceneggiatura, 4 ai Golden Globes (film drammatico, regia, attore protagonista e sceneggiatura) e $75,993,061 di incasso mondiale.
Consigli: Cast ricco e capace, bella fotografia e colonna sonora (di Alexandre Desplat), trama interessante e ben sviluppata (basata sull'opera teatrale "Farragut North" di Beau Willimon. Vale la pena di dargli un'opportunità se il genere politico con intrighi, giochi di potere e corruzione vi appassiona.
Parola chiave: Biglietto d'addio.

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Bengi

lunedì 30 aprile 2012

Film 399 - The Lady

Avevo voglia di vederlo e, approfittando di una serata che sarebbe cominciata tardi, dopo l'ufficio sono 'scappato' al cinema.


Film 399: "The Lady" (2011) di Luc Besson
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Approcciarsi ad una storia interessante tramite un film mi sembra sempre un ottimo modo di cominciarne la scoperta. Di Aung San Suu Kyi non sapevo quasi nulla al di là del Nobel per la Pace e la reclusione, quindi ho approfittato del racconto di Luc Besson per un approfondimento, anche se romanzato, della vicenda personale di questa donna tenace.
Inutile dire che la storia è straordinaria e certamente meritava di essere raccontata. Penso che chiunque converrà che la fermezza e la determinazione di questa donna e della sua famiglia, la fiducia incondizionata e la consapevolezza che esite una causa superiore per cui combattere pacificamente, sono argomenti che valgono la pena di essere affrontati a prescindere. Sapendo, poi, che il tutto è ispirato da una storia vera non fa che aumentare la necessità di portare al grande pubblico una vicenda drammatica e commovente, ispirante e ispirata tanto quanto il "Gandhi" di Attenborough.
Ma, al di là della vita di questa donna, c'è la pellicola di Besson. Devo dire che non ho mai seguito troppo la produzione di questo artista e, a parte "Il quinto elemento" e "Io vi troverò", non ho visto altri suoi lavori (che siano diretti o solo sceneggiati da lui). In questo caso, come dicevo, non sono andato tanto perché attirato dalla firma del regista, ma per la storia e, soprattutto, per seguire l'interpretazione di un'attrice che apprezzo moltissimo, Michelle Yeoh.
Trovo che la scelta di affidare a lei la parte di Aung San Suu Kyi sia più che azzeccata e, anzi, l'attrice avrebbe meritato ben più riconoscimenti importanti della sola nomination ai Satellite 2011 come Miglior attrice protagonista. Eppure pare non essersi accorto nessuno del talentuoso trasformisto di questa donna che, in silenzio e pace come la persona a cui si ispira, plasma sé stessa in funzione di un personaggio che richiede rigida vocazione. Conta l'espressività delicata, il solo accenno all'emozione tradita attraverso uno sguardo che può permettersi poche lacrime. Ma è una vita, oltre che di grandi sacrifici, anche di importantissime soddisfazioni quella della politica birmana e non si può non rimanere affascinati dalla calma potenza di questa donna attraverso l'interpretazione davvero ispirata della Yeoh.
Il messaggio, oltre che forte, è potenziato dalla veridicità della storia che si sta raccontando e lo spettatore non può non rimanere quantomeno incuriosito dalla figura di una Lady che è di ferro, ma solo perchè impossibile da piegare o spezzare. Per il resto è la nonviolenza ad ispirare le gesta e le scelte politiche di questo leader che, fino al 13 novembre 2010 è rimasta reclusa, prigioniera nella sua stessa casa per anni, a causa di un governo militare che si rifiutava di riconoscerle la vittoria schiacciante alle elezioni popolari del 1990.
Vincente per molti aspetti, questa pellicola presenta a mio avviso una buona ricostruzione storica, chiara perchè, fortunatamente, si concede il lusso di trattare senza fretta l'intero svolgersi della vicenda (sono 132 minuti di proiezione). Bellissima la scena della consegna del Nobel e, sicuramente d'impatto, quella dell'episodio in cui, disarmata, Aung affronta andandogli incontro un militare che le punta contro una pistola. Bene anche la scelta del comprimario David Thewlis che interpreta il devoto marito. Ho trovato, invece, meno efficace la figura del dittatore, quasi macchietta piuttosto che sanguinario generale. Forse anche la sua stessa natura di fervido credente di superstizioni e mistiche arti me lo ha reso più ridicolo che spaventoso. Eppure uccide a sangue freddo senza alcun ripensamento.
Per il resto l'ho trovato un bel film. Chiaramente la tematica richiede concentrazione e, soprattutto, di essere uno spettatore motivato. Ma chi è interessato alle biografie delle grandi figure del nostro tempo, troverà sicuramente questo "The Lady" (il cui titolo è molto vicino al "The Iron Lady" della Lloyd, pellicola molto meno riuscita eppure molto più considerata dalla critica) molto interessante e capace di lasciare in chi guarda la voglia di informarsi riguardo alle vicende di una donna che ha davvero consacrato sé stessa per la sua Nazione. Oltre a lanciare un messaggio politico fortissimo, regala allo spettatore numerosi spunti su cui interrogarsi. In una società violenta e intollerante, evidentemente la possibilità di procedere pacificamente c'è, seppure con grandi sacrifici. Sta al singolo decidere se vale davvero la pena di compierli.
Consigli: Lo consiglio. Il tema è complesso e sicuramente pesante, ma vale la pena di conoscere più a fondo la storia di una donna che, negli ultimi anni, è stata capace di influenzare concretamente la brutta realtà del suo Paese nonostante la reclusione forzata durata decenni. Per una volta conta il messagio. Potente.
Parola chiave: Cancro.

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Ric

mercoledì 22 febbraio 2012

Film 384 - The Iron Lady

Ed ecco un altro film candidato all'ottantaquattresima edizione degli Academy Awards.
(Come ieri, ribadisco: ho pensato di privilegiare quei film che concorrono ad una qualsiasi categoria degli Oscar di quest'anno in modo non farmi trovare troppo impreparato per domenica sera. Recupererò poi, con calma, le altre pellicole, mantenendo immutato come criterio di numerazione l'ordine di visione.)
And the winner is...


Film 384: "The Iron Lady" (2011) di Phyllida Lloyd
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Andrea, Marco
Pensieri: Quando hai Meryl Streep nel cast di un tuo film, solitamente puoi stare ben tranquillo. Il peggio che possa succedere è che non la candidino a nessun premio o che, al contrario, la candidino per qualunque sorta di riconoscimento e lei non vinca nulla.
Da anni ormai, infatti, la Streep inanella un successo dopo l'altro riuscendo a dimostrarsi non solo quale l'attrice americana vivente più versatile e capace, ma anche ad essere, alla sua età (che non si dice), ancora capace di portare gente a vedere i suoi film (qualche esempio dal 2006 ad oggi: "Il diavolo veste Prada" - $326,551,094; "Mamma Mia!" - $609,841,637; "Il dubbio" - $50,907,234; "Julie & Julia" - $129,538,392; "È complicato" - $219,069,702; e questo "The Iron Lady" - $60,194,000). Non importa il genere, non importa il tema, Meryl funziona sempre. E questo film ne è un ottimo esempio.
Questo film, particolarmente accurato nel riproporre l'immagine (estetica) della Thatcher è carente, invece, per aspetti più tecnici. Manca, per esempio, una buona trama. Il che non è da poco. E poi una buona regia, oltre che una linearità temporale non destabilizzante.
Se l'intento era quello di rendere confuso lo spettatore come è confusa una persona malata di parkinson, per quanto mi riguarda l'effetto è riuscito. La discontinuità della narrazione, certamente voluta, ha però un effetto negativo su chi guarda e vorrebbe, giustamente, godersi in pace il suo biopic su uno dei personaggi chiave della storia britannica e mondiale. Ma lì sta l'inganno: questo non è un vero biopic, dice la regista, ma bensì un'interpretazione che si basa sui fatti veramente accaduti. Non che io fossi particolarmente preparato sul periodo storico di riferimento - non mi riferivo all'indagine storica -, più che altro mi ha infastidito l'evidente frazionamento della narrazione in pillole di memoria destinate a durare il tempo di un pensiero. Non c'è una fluida fruibilità del ricordo, perchè ogni ricordo è a sé e sembra fare parte di un puzzle finito di cui però si sono persi alcuni pezzi per completarlo. Ebbene questi buchi sono il punto più debole di un prodotto come questo.
Il tutto si salva, chiaramente, grazie alla grandissima Meryl che, pare (finalmente!) riuscirà a guadagnarsi con l'interpretazione di Margaret Thatcher il suo terzo meritatissimo Oscar. Buone possibilità di vincita, tra l'altro, anche nella categoria Miglior trucco mentre, stranamente, è mancata la nomination per i costumi.
Insomma, per concludere, direi che il film è da vedere più che altro per la capacità di un'attrice - non britannica, tra l'altro - di sapersi calare nelle vesti e nei gesti, nei tic e nel parlato (i trailer in originali lasciano a bocca aperta) di un'estranea tanto lontana dalla sua personalità. Il resto è contorno, cornice, nonché unifunzionale a sorreggere le sorti di un prodotto filmico che ha ragione di esistere solo nell'ottica di dare spazio ad una magistrale interpretazione.
Consigli: Particolarmente riuscita la Thatcher di oggi, malata e spaesata in un mondo che una volta governava e, invece, adesso lei deve subire. E' toccante e fa riflettere.
Bravissima, inutile ribadirlo ancora, Meryl Streep che da sola vale il prezzo del biglietto. Ma non aspettatevi un biopic.
Parola chiave: Isole Falkland.

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Ric

domenica 5 febbraio 2012

Film 363 - Midnight in Paris

Ultimo film del 2011!


Film 363: "Midnight in Paris" (2011) di Woody Allen
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco
Pensieri: Nonostante certe critiche per la banalità della resa del messaggio - goditi il presente e non sognare il passato perchè ti dimentichi di assaporare il tuo attimo - devo dire e con forza ribadire che "Midnight in Paris" è il mio personalissimo colpo di fulmine del 2011. Allen è un narratore che mi piace (tra i suoi film che ho visto: "Io & Annie", "Hannah e le sue sorelle", "Celebrity", "La maledizione dello scorpione di giada", "Hollywood Ending", "Anything Else", "Match Point", "Scoop", "Vicky Cristina Barcelona" e "Basta che funzioni") e molti dei suoi temi soliti - domande sulla vita e il suo senso, meccanica del destino, critica alla classe sociale medio-alta, relazioni di coppia - sono presenti anche in questo suo ultimo prodotto, tra i più commerciali da lui mai realizzati.
Cambio di cornice con, per sfondo, la Tour Eiffel, questa pellicola è una storia d'amore per tante cose che non sono la donna della coppia in questione (Wilson/McAdams): c'è l'amore per la città, per la cultura, per le piccole cose della vita, per la creatività e per la bellezza globale che circonda chiunque di noi.
E' un film che lascia tendenzialmente ottimisti, nonostante le domande esistenziali del protagonista Gil e il suo snervante basso profilo, la famiglia americana di Inez tanto saldamente e ostinatamente legata al 'logo' USA e al disincanto che il messaggio del film stesso produce: non ha senso il guardarsi indietro nostalgico se ci dimentichiamo di vivere il nostro presente.
Buono (e bello) il cast molto glam e internazionale, tra cui alcuni premi Oscar: Owen Wilson e Rachel McAdams (già citati), poi ancora Michael Sheen, Kathy Bates, Marion Cotillard e Adrien Brody. Spicca, non tanto per l'elevata qualità artistica dell'interpretazione, la partecipazione alla pellicola di Mme. Carla Bruni con una particina tanto chiacchierata da destare molta curiosità. Fa un po' ridere, lo ammetto, non tanto perchè l'espressività sia pessima, ma perchè l'auto-doppiaggio in italiano con finto accento francese cade in una spirale dell'assurdo che mal gioca a favore dell'artista (no, le virgolette non voglio metterle) ormai italo-francese. La parte, comunque, è molto piccola e non fondamentale. Rimane comunque l'unica italiana ad aver preso parte al film.
Insomma, per finire posso dire che ho ampiamente gradito e trovo più che meritate le 4 nomination all'Oscar che il film porta alla prossima cerimonia di premiazione del 26 febbraio. Non credo vincerà nulla tra Miglior film, regia, sceneggiatura e scenografia, ma rimane il fatto che, almeno per una volta, l'Academy si è ricordata che il Woody Allen contemporaneo esiste ed è ancora capace di raccontare il suo punto di vista.
Consigli: Bello e piacevole, ben girato e con una 'magica' storia da raccontare. Da vedere non solo perchè di un grande regista, ma perchè racconta con passione l'amore per una città, analizza puntualmente certi aspetti umani del quotidiano e ricostruisce in maniera affascinante un pezzetto di passato capace di lasciare senza fiato.
Parola chiave: Romanzo.

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Ric

giovedì 21 luglio 2011

Film 284 - Diverso da chi?

Al ritorno dall’Europride romano, che vedeva come protagonista secondaria la Sig.ra Gerini, ho sentito il pungente bisogno di trovarmi nuovamente faccia a faccia con questa pellicola italiana più sperimentale del solito (o così parrebbe).


Film 284: "Diverso da chi?" (2009) di Umberto Riccioni Carteni
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Eccomi, così, subito ad assecondare il bisogno, alla ricerca del motivo che mi aveva fatto tornare in mente il film. Che fosse per Argentero o perché non ricordavo bene la trama, di fatto questo film mi è sembrato ancora più indifferente della prima volta. Buone le premesse, per carità, ma oltre allo sfondo politico che potrebbe mettere un po’ di pepe, la pellicola cede al rassicurante richiamo eterosessuale e, nel secondo tempo, prende una piega surreale che delude chi si aspettava davvero qualcosa di innovativo sul panorama nostrano alquanto stantio.
Peccato, l’occasione per dare uno scossone all’Italia bigotta poteva essere colta con maggior coraggio e non, invece, tentando di accattivarsi entrambe le fette di pubblico (etero e gay per intendersi). Questa è la classica politica del 'va bene per tutti', ma è talmente presa alla lettera che a tratti infastidice.
Bene, comunque, la Gerini che è sempre una brava attrice del cinema contemporaneo italiano. Capace, anche, Filippo Nigro che risulta più che adeguato nel ruolo del compagno geloso.
Inutile dire, invece, che certe lacune attoriali di Argentero facciano accapponare la pelle. E’ migliorato, ma non si può dire che sia capace. Ma se ce l’ha fatta Monica Bellucci, possiamo certamente affermare che la fortuna è con i belli.
Insomma, alla fine si fa guardare, ma si poteva osare molto di più.
Ps. Quattro nomination ai David di Donatello: tre agli attori e uno per l’esordio alla regia di Umberto Riccioni Carteni.
Film 284 - Diverso da chi?
Film 2118 - Diverso da chi?
Consigli: L'incipit interessante può essere fonte preziosa di dibattito. Ma, se sperate nel film, il finale vi deluderà con una semplificazione da rimanere basiti.
Parola chiave: Gay&famiglia.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 16 maggio 2011

Film 256 - Silvio Forever

Un documentario dietro l'altro. Questa volta si parla di politica.


Film 256: "Silvio Forever" (2011) di Roberto Faenza, Filippo Macelloni
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco
Pensieri: Biografia non autorizzata del nostro capo di governo, questo documentario mi ha deluso.
Con tutti gli elementi che c'erano a disposizione, il risultato mi è sembrato più da barzelletta che da denuncia culturale ed intellettuale.
Disarmanti, sì, l'egocentrismo, la spavalda sicurezza, il delirio di onnipotenza, i giri loschi, il vortice del sesso che coinvolgono Berlusconi nel tempo, ma impiattati a mo' di monologo autocelebrativo (la voce è di Neri Marcorè) finiscono per rendere il tutto meno efficace.
Visto e considerato che Berlusconi è già da solo macchietta ridicola, non c'era bisogno, a mio avviso, di calcare troppo la mano tra un passaggio e l'altro. I fatti si commenterebbero da soli, la voce fuori campo alla lunga stanca per il marcato accento e distrae. Lo spettatore potrebbe benissimo unire i pezzi del puzzle senza bisogno di un tutor che lo aiuti a vedere il quadro d'insieme (di per sé piuttosto evidente da intuire).
Ovviamente il tono è totalmente antiberlusconiano e politicamente fortemente schierato contro, rimangono comunque ben ancorate in mente le frasi, le figuracce, i deliri, le gag, le barzellette, i momenti imbarazzanti. L'intento era più che nobile, ma forse sarebbe stato meglio se a parlare fossero stati i fatti stessi.
Consigli: Un punto di vista in più sulla società odierna e chi la governa non può che far bene. Comunque da vedere.
Parola chiave: Berlusconi a tutto tondo.

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#HollywoodCiak
Bengi