Ero sempre rimasto con la curiosità di vederlo, attratto soprattutto dalla locandina. Non c'era mai stata occasione in precedenza, né mi era mai saltato in mente di cercarne una copia. E' solo grazie alla programmazione di Sky Go se ho scoperto...
Film 883: "Kinky Boots - Decisamente diversi" (2005) di Julian Jarrold
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Una delle più belle sorprese dell'ultimo periodo, recuperare "Kinky Boots" è stata veramente un'ottima idea.
Classica commedia in stile british, la storia parte da due momenti padre-figlio molto diversi: alla rinomata fabbrica di scarpe "Price & Sons" il papà spiega pregi e valori che stanno alla base della produzione industriale al proprio ragazzo mentre, in contrapposizione, su un molo qualunque assistiamo alla scena di un bambino danzante e felice grazie alle scarpe col tacco che ha appena indossato, prima di essere ammonito da un padre che si vergogna di lui. Due situazioni diversissime, due mondi agli antipodi destinati, molti anni dopo, ad incrociarsi.
I due ragazzini, infatti, sono i protagonisti inaspettati del bel racconto cui assistiamo qui, una vicenda che mette alla berlina un pregiudizio tutt'oggi difficile da dissipare giocando bene gli elementi a proprio favore e riuscendo non solo a sdrammatizzare sulla paura per l'alterità, ma anche a dipingere un quadro molto contemporaneo della società.
Incombe la crisi e scarpe fatte per durare anni difficilmente sono un un prodotto che porta costante profitto: il rischio della chiusura è concreto, i licenziamenti numerosi, la mancanza di un piano alternativo evidente. Sarà grazie al consiglio di Lauren/Sarah-Jane Potts che il timido e insicuro Charlie/Joel Edgerton coglierà la palla al balzo e deciderà di puntare tutto sulla drag queen Lola, uno strepitoso Chiwetel Ejiofor en travesti. La produzione di classiche scarpe da uomo quindi verrà rimpiazzata da ben più esuberanti calzature, sempre da uomo, ma pensate appositamente per coloro che praticano il travestitismo. Inutile dire che gli operai della fabbrica saranno non poco sorpresi e per il nuovo prodotto e per la nuova figura chiave all'interno dell'azienda, colei che le scarpe le idea: Lola.
Ma cambiare la merce per tentare di conquistare un mercato di nicchia quasi inesplorato non è l'unico obiettivo di Charlie, che si metterà in testa di partecipare alla fiera della calzatura di Milano dove dare risalto alla sua innovativa idea commerciale.
Riassunto dei fatti a parte, rimane molto altro di "Kinky Boots", un'anima spiritosa e irriverente che prende piede man mano che la narrazione evolve, man mano che l'amicizia tra i due protagonisti si rinsalda, man mano che ognuno dei due trova la sua strada grazie alla collaborazione con l'altro. E' un bel modo di parlare di diversità, c'è il piglio giusto che permette di affrontare la questione - anche delicata, se poi consideriamo che il film ha già 10 anni... - in maniera giocosa, senza dimenticare però quali sono le questioni importanti da mettere a fuoco: ciò che non si capisce o conosce non è necessariamente il male assoluto; dare una chance può avere valore sia per chi la riceve che per chi la concede; si può nobilitare anche la realtà più apparentemente scabrosa se ci ricordiamo di considerare che dietro a tutto ci sono comunque persone.
Ora, dopo tutto questo zuccherificio edificante, torno un attimo sulla terra. E' chiaro che questa pellicola sia una favola, la rappresentazione di un mondo che, specialmente nel finale, si discosta tantissimo da una visione plausibile degli eventi. Fatta la doverosa precisazione, mi sento comunque di aggiungere che senza storie come questa, senza prodotti commerciali di questa matrice, molti step sarebbero ancora da compiere nel panorama dei diritti della persona, della comunità LGBT, della sdrammatizzazione della questione dell'alterità. E' quindi giusto, secondo me, trattare anche con leggerezza, mettere in commedia seguendo i toni eccentrici e sopra le righe del soggetto di questa favola il racconto se questo riesce a far avvicinare quanta più gente possibile all'argomento.
A me è sembrato che "Kinky Boots - Decisamente diversi" riesca nell'intento di incuriosire senza "spaventare", divertire senza appesantire e che, anche solo alla luce di questo fatto, sia un'operazione riuscita. E, affatto secondario, è davvero un film piacevole.
Ps. Prima che il mondo si accorgesse della sua esistenza l'anno scorso con "12 anni schiavo", i Golden Globe avevano già riconosciuto a Chiwetel Ejiofor ben 3 nomination, di cui due nel 2007, anno della sua candidatura per questo film.
Box Office: $9,950,133
Consigli: Divertente, colorato, chiassoso e capace di sfoggiare un'idea vincente. Niente male per un'unico prodotto cinematografico.
"Kinky Boots" si dimostra rapidamente adatto al suo compito di intrattenimento leggero e spensierato, riuscendo comunque a non soffocare le numerose questioni in ballo in una storia che, solo per cominciare, chiama in causa travestitismo, accettazione di se stessi, confronto di realtà agli antipodi. E' una favola, tutto andrà per il meglio, il che rende questa pellicola perfetta praticamente per ogni occasione di svago. Senza pregiudizi, da vedere.
Parola chiave: Stivali.
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#HollywoodCiak
Bengi
venerdì 27 febbraio 2015
Film 883 - Kinky Boots - Decisamente diversi
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mercoledì 25 febbraio 2015
Film 882 - Exodus - Dei e re
Impaziente di vederlo, curiosissimo di scoprirne il risultato.
Film 882: "Exodus - Dei e re" (2014) di Ridley Scott
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Erika
Pensieri: Ridley Scott ci riprova e torna al genere epico in costume cercando di bissare il successo clamoroso de "Il gladiatore", senza di fatto riuscirci.
Innanzitutto sceglie un protagonista atipico per questo genere, un Batman teoricamente egiziano e di fatto israelita che un po' cozza per lineamenti ed etnia, ma facciamo finta di niente e guardiamo al più credibile Joel Edgerton, sorprendentemente in parte nell'interpretare l'iracondo re egiziano Ramses.
Dopo la profezia che li metterà uno contro l'altro, Mosé/Batman si porrà - prima riluttante - alla guida dello stesso popolo che egli stesso aveva tirannizato e si riprometterà di sottrarlo alla schiavitù egiziana. Missione di per sé non facile, ma come tutti sappiamo ha dalla sua il vero Dio, il che aiuta un tantino.
A niente servono, quindi, i tentativi di Ramses di ribaltare la sorte in suo favore, le piaghe d'Egitto si abbatteranno sul suo regno fino a togliergli l'amato primogenito finendo, così, per muovere guerra a colui che si è fatto voce e braccio di Dio e, soprattutto, al suo popolo di esuli. La divisione delle acque del Mar Rosso è l'episodio rappresentativo per eccellenza di questa vicenda e, naturalmente, non poteva che essere incluso nel pacchetto.
Se quest'ultimo è la buona ricompensa che soddisfa lo spettatore dopo innumerevoli ore di visione (il film dura 150 minuti), in generale non si può dire che la soddisfazione sia una di quelle emozioni che provi all'uscita dalla sala. "Exodus - Dei e re" è un film tecnicamente curato e per certi aspetti avrebbe tutte le carte in regola per essere un peplum in chiave odierna riuscito e di sano intrattenimento, eppure fallisce nell'intavolare una storia che avrebbe necessitato di più contestualizzazione e consequenziale linearità. Spesso, infatti, si ha la sensazione che manchi qualcosa, che si sia saltati da un punto all'altro della vicenda senza che la produzione si sia presa il disturbo di mettere in scena tutti quegli elementi necessari che avrebbero reso il passaggio meno meccanico. Insomma, si danno per scontate troppe cose. E già questo tronca la magia.
In più, aggiungo io, questo approccio iperrealistico di una vicenda biblica mi ha fatto un po' ridere, più che altro perchè cercare il realismo in una storia in cui Dio separa le acque, tramuta l'acqua in sangue, fa piovere grandine sulle Piramidi, ecc ecc mi pare strida leggermente. Non dico che dovesse essere una favola, per carità, però liberarsi di un po' di quella rigorosa ricerca della plausibilità là dove il plausibile è soppiantato dall'incredibile mi fa pensare avrebbe regalato più tempo per gestire meglio altre questioni. Una su tutte la metamorfosi del pensiero di Mosè/Christian Bale/Batman, che prima è pro Egitto e poi è pro israeliti. Insomma, dal suo punto di vista le questioni in ballo erano tante: ha venerato falsi dèi, ha perso il "fratello", ha una totalmente nuova identità (sia personale che spaziale) e deve fare i conti con anni di disinteresse relativamente alla schiavitù di quella che ora è la sua gente. Tutte queste mastodontiche considerazioni qui sono trattate con una velocità sconfortante, come un voltare pagina che è proprio da concepirsi nel senso letterale: giro il foglio e sono nuovo.
Ed è qui che per me "Exodus: Gods and Kings" fallisce la sua impresa, perché non serviva citare la Bibbia per mettere in piedi una storia action-fantasy, bastava crearne una nuova e ci si risparmiava la fatica di dover rivedere in maniera contemporanea il libro dell'Esodo e, forse ancora di più, il confronto con il cult del '56 "I dieci comandamenti".
Insomma, diciamo che senza pretesa alcuna il film funziona abbastanza e regala buoni momenti spettacolari grazie all'abbondanza di effetti speciali. Uscendo dal disincanto, questa pellicola si dimostra un blockbuster insipido che spreca il suo potenziale (budget, cast - ma che senso ha avere Sigourney Weaver e usarla per due scene? -, ricchezza della storia) per realizzare un prodotto mediocre che spinge a tavoletta sull'azione dimenticatosi totalmente della dimensione spirituale ed umana che una vicenda come questa dovrebbe avere.
Box Office: $265.4 milioni
Consigli: Il film tenta di accontentare sia chi ama le pellicole commerciali che coloro che preferiscono storie con qualcosa in più da dire. Ridley Scott punta nientemeno che sulla Bibbia e ci ricama sopra tentando di riportarci alle atmosfere epiche che furono de "Il gladiatore", giocando non al meglio le sue carte. Cast ricchissimo (Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn, Sigourney Weaver, Ben Kingsley), budget faraonico (d'altronde...), storia dai numerosi snodi epici (piaghe d'Egitto, divisione delle acque, scrittura delle Tavole della Legge), eppure nulla di tutto questo riesce a regalare al film e allo spettatore la spettacolarità che si meriterebbero. Questo "Exodus - Dei e re" è, insomma, un tentativo riuscito solo a metà, buono per essere fruito senza alcuna pretesa di contenuti maturi, utile allo svago e funzionale a una serata al vago sapore biblico, ma più che altro a tinte action.
Parola chiave: Schiavitù.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 882: "Exodus - Dei e re" (2014) di Ridley Scott
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Erika
Pensieri: Ridley Scott ci riprova e torna al genere epico in costume cercando di bissare il successo clamoroso de "Il gladiatore", senza di fatto riuscirci.
Innanzitutto sceglie un protagonista atipico per questo genere, un Batman teoricamente egiziano e di fatto israelita che un po' cozza per lineamenti ed etnia, ma facciamo finta di niente e guardiamo al più credibile Joel Edgerton, sorprendentemente in parte nell'interpretare l'iracondo re egiziano Ramses.
Dopo la profezia che li metterà uno contro l'altro, Mosé/Batman si porrà - prima riluttante - alla guida dello stesso popolo che egli stesso aveva tirannizato e si riprometterà di sottrarlo alla schiavitù egiziana. Missione di per sé non facile, ma come tutti sappiamo ha dalla sua il vero Dio, il che aiuta un tantino.
A niente servono, quindi, i tentativi di Ramses di ribaltare la sorte in suo favore, le piaghe d'Egitto si abbatteranno sul suo regno fino a togliergli l'amato primogenito finendo, così, per muovere guerra a colui che si è fatto voce e braccio di Dio e, soprattutto, al suo popolo di esuli. La divisione delle acque del Mar Rosso è l'episodio rappresentativo per eccellenza di questa vicenda e, naturalmente, non poteva che essere incluso nel pacchetto.
Se quest'ultimo è la buona ricompensa che soddisfa lo spettatore dopo innumerevoli ore di visione (il film dura 150 minuti), in generale non si può dire che la soddisfazione sia una di quelle emozioni che provi all'uscita dalla sala. "Exodus - Dei e re" è un film tecnicamente curato e per certi aspetti avrebbe tutte le carte in regola per essere un peplum in chiave odierna riuscito e di sano intrattenimento, eppure fallisce nell'intavolare una storia che avrebbe necessitato di più contestualizzazione e consequenziale linearità. Spesso, infatti, si ha la sensazione che manchi qualcosa, che si sia saltati da un punto all'altro della vicenda senza che la produzione si sia presa il disturbo di mettere in scena tutti quegli elementi necessari che avrebbero reso il passaggio meno meccanico. Insomma, si danno per scontate troppe cose. E già questo tronca la magia.
In più, aggiungo io, questo approccio iperrealistico di una vicenda biblica mi ha fatto un po' ridere, più che altro perchè cercare il realismo in una storia in cui Dio separa le acque, tramuta l'acqua in sangue, fa piovere grandine sulle Piramidi, ecc ecc mi pare strida leggermente. Non dico che dovesse essere una favola, per carità, però liberarsi di un po' di quella rigorosa ricerca della plausibilità là dove il plausibile è soppiantato dall'incredibile mi fa pensare avrebbe regalato più tempo per gestire meglio altre questioni. Una su tutte la metamorfosi del pensiero di Mosè/Christian Bale/Batman, che prima è pro Egitto e poi è pro israeliti. Insomma, dal suo punto di vista le questioni in ballo erano tante: ha venerato falsi dèi, ha perso il "fratello", ha una totalmente nuova identità (sia personale che spaziale) e deve fare i conti con anni di disinteresse relativamente alla schiavitù di quella che ora è la sua gente. Tutte queste mastodontiche considerazioni qui sono trattate con una velocità sconfortante, come un voltare pagina che è proprio da concepirsi nel senso letterale: giro il foglio e sono nuovo.
Ed è qui che per me "Exodus: Gods and Kings" fallisce la sua impresa, perché non serviva citare la Bibbia per mettere in piedi una storia action-fantasy, bastava crearne una nuova e ci si risparmiava la fatica di dover rivedere in maniera contemporanea il libro dell'Esodo e, forse ancora di più, il confronto con il cult del '56 "I dieci comandamenti".
Insomma, diciamo che senza pretesa alcuna il film funziona abbastanza e regala buoni momenti spettacolari grazie all'abbondanza di effetti speciali. Uscendo dal disincanto, questa pellicola si dimostra un blockbuster insipido che spreca il suo potenziale (budget, cast - ma che senso ha avere Sigourney Weaver e usarla per due scene? -, ricchezza della storia) per realizzare un prodotto mediocre che spinge a tavoletta sull'azione dimenticatosi totalmente della dimensione spirituale ed umana che una vicenda come questa dovrebbe avere.
Box Office: $265.4 milioni
Consigli: Il film tenta di accontentare sia chi ama le pellicole commerciali che coloro che preferiscono storie con qualcosa in più da dire. Ridley Scott punta nientemeno che sulla Bibbia e ci ricama sopra tentando di riportarci alle atmosfere epiche che furono de "Il gladiatore", giocando non al meglio le sue carte. Cast ricchissimo (Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn, Sigourney Weaver, Ben Kingsley), budget faraonico (d'altronde...), storia dai numerosi snodi epici (piaghe d'Egitto, divisione delle acque, scrittura delle Tavole della Legge), eppure nulla di tutto questo riesce a regalare al film e allo spettatore la spettacolarità che si meriterebbero. Questo "Exodus - Dei e re" è, insomma, un tentativo riuscito solo a metà, buono per essere fruito senza alcuna pretesa di contenuti maturi, utile allo svago e funzionale a una serata al vago sapore biblico, ma più che altro a tinte action.
Parola chiave: Schiavitù.
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#HollywoodCiak
Bengi
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lunedì 23 febbraio 2015
Oscar 2015: And the winners are...
Ce l'abbiamo fatta, finalmente!
Anche il 22 febbraio è ormai alle spalle e chi doveva vincere ha vinto. I migliori sono stati decretati - come del resto i peggiori (vedi qui) - e la stagione delle premiazioni relative al 2014 si può dire definitivamente chiusa. Con un po' di sollievo.
Tra tutti i red carpet, le interviste, i dietro le quinte esclusivi, i party, i pranzi, le colazioni, le cene e i gala non ci si stava proprio più dietro e la sovraesposizione mediatica globale stava cominciando a stancare anche i più tenaci.
Con gli Oscar di questa notte si sono confermate le numerose voci che volevano "Birdman" vero vincitore di questa edizione, oltre che i pronostici relativamente ai quattro attori che avrebbero vinto, praticamente sempre gli stessi da che la corsa ai premi è cominciata. E così sia, che Patricia Arquette abbia il suo Oscar contro ogni umana previsione possibile e nella speranza che la vittoria le dia indietro una carriera che sia degna di questo nome dopo il prolungato momento appannato. Speriamo che qualcuno sia rimasto colpito dal suo discorso di ringraziamento a tinte femministe e che si ricordino che anche donne meno canonicamente hollywoodiane come la Arquette possono raccogliere l'attenzione e il gusto di pubblico e critica. Insomma, non esiste solo Meryl Streep (ma meno male che comunque esiste).
Signora di "Boyhood" a parte, il vero piacere di questa serata è stato seguire le tre vittorie di J.K. Simmons per quel gioiellino di "Whiplash" e vedere finalmente riconosciuti i grandi talenti di Alexandre Desplat (Miglior colonna sonora) e Julianne Moore (il suo film ancora non l'ho visto, quindi attendo di capire se fosse veramente tutto meritato o se fosse più che altro arrivato il suo momento, diciamo). Anche la vittoria (annunciata) della Canonero per "The Grand Budapest Hotel" è stato un bel momento, anche se lei mi rimane antipatica e questo guasta un po' le cose. Sorprese gradite le numerose vittorie del film di Wes Anderson (4 in totale), ma meglio ancora è stato vedere riconosciuto l'Oscar per il Miglior montaggio a "Whiplash" e all'ottimo lavoro di Tom Cross.
Altri momenti inaspettati sono stati la vittoria di Alejandro González Iñárritu come Miglior regista, che scippa di fatto la statuetta al favorito Richard Linklater (a cui era andato il Golden Globe); il riconoscimento come Miglior film d'animazione per "Big Hero 6" che francamente trovo un po' eccessivo; la felice scelta dell'Academy di non lasciare a bocca asciutta "The Imitation Game" (Miglior sceneggiatura non originale + un discorso strappalacrime dello sceneggiatore che, confessa sul palco, a 16 anni aveva tentato il suicidio poiché si sentiva diverso e quindi incompreso); la ritrovata buona stella di Lady Gaga che si spoglia di tutte le scemenze massmediatiche e punta tutto (o quasi, considerato quegli orrendi guanti) sulla qualità di una performance ineccepibile e di grande impatto; e quello sketch - per noi italiani così Gianni Morandi - in cui Neil Patrick Harris, conduttore della serata, ha riproposto una delle scene che certo rimane più impressa di "Birdman", andando a presentare sul palco solo in mutande.
Questo episodio doppiamente d'impatto rimarrà assolutamente il ricordo più indelebile della conduzione di Harris - esattamente come la selfie all-star lo è stata per la conduzione di Ellen l'anno scorso - eppure la cifra stilistica pare inevitabilmente diversa. Lungi da me essere bacchettone - queste trovate acchiappa ascolti e chiacchiericcio post evento le capisco e le contemplo senza falsi pudori - ammetto, però, che da uno come Neil Patrick Harris, che masticava show prima ancora di aver sperimentato la pubertà, mi aspettavo qualcosina di più. Di più non rispetto all'episodio adamitico, ma proprio a livello di contenuti e conduzione.
Il numero di apertura - tra canzoni, balli e citazioni cinematografiche a gogo - pareva promettere bene, anzi molto bene, solo che durante il resto della serata (francamente troppo lunga), i tempi troppo stretti, la necessità di dover far ridere a tutti i costi e tutto lo spazio dedicato a troppe personalità hanno inciso su un risultato finale meno brillante di quanto mi sarei aspettato. E' stato bravo - ma hey, battere l'assetto catatonico di James Franco sarebbe veramente una sfida per chiunque -, eppure si poteva fare di più, anche se gli concedo due cose: la prima è che seguire la conduzione dopo uno show così chiacchierato e riuscito come quello di Ellen era veramente difficile, la seconda è che la mia maledetta sfortuna mi ha costretto a vedere l'evento doppiato in italiano (cosa che non accade probabilmente dalla terza liceo), il che mi ha ampiamente sfavorito su tempi comici ed effetto delle battute, considerando l'ampia inadeguatezza dei due interpreti.
Chiusa la parentesi dello show, prima di passare alle vittorie, ci terrei solo a una veloce postilla: solitamente c'è sempre qualcuno capace di rimanere impresso per la scelta dell'abito, la classe, qualcosa. Quest'anno sono rimasto particolarmente insoddisfatto da questo punto di vista e a parte una sufficienza generale, nessuno ha veramente colpito. Da un lato sono contento di non rivedere per un po' le tremende scelte pre-maman di Keira Knightley, ma in generale mi pare si sia un po' sprecata l'occasione.
E ora l'ultimo punto da considerare, la ciliegina sulla torta: chi ha vinto VS chi ci si aspettava vincesse.
Dopo il toto votazioni innescato qualche giorno fa ho seguito in silenzio le varie opinioni pervenute, aspettando con ansia di sapere se e cosa sarebbe stato confermato. Ecco, quindi, qui sotto i vincitori effettivi di tutte le categorie (in giallo) ed evidenziati in verde tutti coloro che erano stati ritenuti i possibili vincitori. Chiaramente le scommesse non erano su tutte le categorie, ma solo le principali, ovvero le prime 10 (escludendo le 2 categorie sulle sceneggiature): dove manca la sottolineatura verde è perché vincitore effettivo e votazione coincidevano. Buona lettura!
Ps. Gli Oscar fatti di Lego sono qualcosa di fantastico!
Best Motion Picture of the Year
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, John Lesher, James W. Skotchdopole
Boyhood (2014/I): Richard Linklater, Cathleen Sutherland
Best Performance by an Actor in a Leading Role
Benedict Cumberbatch for The Imitation Game (2014)
Eddie Redmayne for The Theory of Everything (2014)
Best Performance by an Actress in a Leading Role
Julianne Moore for Still Alice (2014)
Best Performance by an Actor in a Supporting Role
Edward Norton for Birdman (2014)
J.K. Simmons for Whiplash (2014)
Best Performance by an Actress in a Supporting Role
Patricia Arquette for Boyhood (2014/I)
Best Achievement in Directing
Alejandro González Iñárritu for Birdman (2014)
Wes Anderson for The Grand Budapest Hotel (2014)
Best Writing, Screenplay Written Directly for the Screen
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo
Best Writing, Screenplay Based on Material Previously Produced or Published
The Imitation Game (2014): Graham Moore
Best Animated Feature Film of the Year
Big Hero 6 (2014)
Best Foreign Language Film of the Year
Ida (2013): Pawel Pawlikowski
Leviafan (2014): Andrey Zvyagintsev
Best Achievement in Cinematography
Birdman (2014): Emmanuel Lubezki
Best Achievement in Editing
Whiplash (2014): Tom Cross
Best Achievement in Production Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Adam Stockhausen, Anna Pinnock
Best Achievement in Costume Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Milena Canonero
Best Achievement in Makeup and Hairstyling
The Grand Budapest Hotel (2014): Frances Hannon, Mark Coulier
Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Score
The Grand Budapest Hotel (2014): Alexandre Desplat
Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Song
Selma (2014): Common, John Legend (Glory)
Best Achievement in Sound Mixing
Whiplash (2014): Craig Mann, Ben Wilkins, Thomas Curley
Best Achievement in Sound Editing
American Sniper (2014): Alan Robert Murray, Bub Asman
Best Achievement in Visual Effects
Interstellar (2014): Paul J. Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter, Scott R. Fisher
Best Documentary, Feature
Citizenfour (2014): Laura Poitras, Mathilde Bonnefoy, Dirk Wilutzky
Best Documentary, Short Subject
Crisis Hotline: Veterans Press 1 (2013): Ellen Goosenberg Kent, Dana Perry
Best Short Film, Animated
Feast (2014): Patrick Osborne and Kristina Reed
Best Short Film, Live Action
The Phone Call (2013): Mat Kirkby, James Lucas
#HollywoodCiak
Bengi
Anche il 22 febbraio è ormai alle spalle e chi doveva vincere ha vinto. I migliori sono stati decretati - come del resto i peggiori (vedi qui) - e la stagione delle premiazioni relative al 2014 si può dire definitivamente chiusa. Con un po' di sollievo.
Tra tutti i red carpet, le interviste, i dietro le quinte esclusivi, i party, i pranzi, le colazioni, le cene e i gala non ci si stava proprio più dietro e la sovraesposizione mediatica globale stava cominciando a stancare anche i più tenaci.
Con gli Oscar di questa notte si sono confermate le numerose voci che volevano "Birdman" vero vincitore di questa edizione, oltre che i pronostici relativamente ai quattro attori che avrebbero vinto, praticamente sempre gli stessi da che la corsa ai premi è cominciata. E così sia, che Patricia Arquette abbia il suo Oscar contro ogni umana previsione possibile e nella speranza che la vittoria le dia indietro una carriera che sia degna di questo nome dopo il prolungato momento appannato. Speriamo che qualcuno sia rimasto colpito dal suo discorso di ringraziamento a tinte femministe e che si ricordino che anche donne meno canonicamente hollywoodiane come la Arquette possono raccogliere l'attenzione e il gusto di pubblico e critica. Insomma, non esiste solo Meryl Streep (ma meno male che comunque esiste).
Signora di "Boyhood" a parte, il vero piacere di questa serata è stato seguire le tre vittorie di J.K. Simmons per quel gioiellino di "Whiplash" e vedere finalmente riconosciuti i grandi talenti di Alexandre Desplat (Miglior colonna sonora) e Julianne Moore (il suo film ancora non l'ho visto, quindi attendo di capire se fosse veramente tutto meritato o se fosse più che altro arrivato il suo momento, diciamo). Anche la vittoria (annunciata) della Canonero per "The Grand Budapest Hotel" è stato un bel momento, anche se lei mi rimane antipatica e questo guasta un po' le cose. Sorprese gradite le numerose vittorie del film di Wes Anderson (4 in totale), ma meglio ancora è stato vedere riconosciuto l'Oscar per il Miglior montaggio a "Whiplash" e all'ottimo lavoro di Tom Cross.
Altri momenti inaspettati sono stati la vittoria di Alejandro González Iñárritu come Miglior regista, che scippa di fatto la statuetta al favorito Richard Linklater (a cui era andato il Golden Globe); il riconoscimento come Miglior film d'animazione per "Big Hero 6" che francamente trovo un po' eccessivo; la felice scelta dell'Academy di non lasciare a bocca asciutta "The Imitation Game" (Miglior sceneggiatura non originale + un discorso strappalacrime dello sceneggiatore che, confessa sul palco, a 16 anni aveva tentato il suicidio poiché si sentiva diverso e quindi incompreso); la ritrovata buona stella di Lady Gaga che si spoglia di tutte le scemenze massmediatiche e punta tutto (o quasi, considerato quegli orrendi guanti) sulla qualità di una performance ineccepibile e di grande impatto; e quello sketch - per noi italiani così Gianni Morandi - in cui Neil Patrick Harris, conduttore della serata, ha riproposto una delle scene che certo rimane più impressa di "Birdman", andando a presentare sul palco solo in mutande.
Questo episodio doppiamente d'impatto rimarrà assolutamente il ricordo più indelebile della conduzione di Harris - esattamente come la selfie all-star lo è stata per la conduzione di Ellen l'anno scorso - eppure la cifra stilistica pare inevitabilmente diversa. Lungi da me essere bacchettone - queste trovate acchiappa ascolti e chiacchiericcio post evento le capisco e le contemplo senza falsi pudori - ammetto, però, che da uno come Neil Patrick Harris, che masticava show prima ancora di aver sperimentato la pubertà, mi aspettavo qualcosina di più. Di più non rispetto all'episodio adamitico, ma proprio a livello di contenuti e conduzione.
Il numero di apertura - tra canzoni, balli e citazioni cinematografiche a gogo - pareva promettere bene, anzi molto bene, solo che durante il resto della serata (francamente troppo lunga), i tempi troppo stretti, la necessità di dover far ridere a tutti i costi e tutto lo spazio dedicato a troppe personalità hanno inciso su un risultato finale meno brillante di quanto mi sarei aspettato. E' stato bravo - ma hey, battere l'assetto catatonico di James Franco sarebbe veramente una sfida per chiunque -, eppure si poteva fare di più, anche se gli concedo due cose: la prima è che seguire la conduzione dopo uno show così chiacchierato e riuscito come quello di Ellen era veramente difficile, la seconda è che la mia maledetta sfortuna mi ha costretto a vedere l'evento doppiato in italiano (cosa che non accade probabilmente dalla terza liceo), il che mi ha ampiamente sfavorito su tempi comici ed effetto delle battute, considerando l'ampia inadeguatezza dei due interpreti.
Chiusa la parentesi dello show, prima di passare alle vittorie, ci terrei solo a una veloce postilla: solitamente c'è sempre qualcuno capace di rimanere impresso per la scelta dell'abito, la classe, qualcosa. Quest'anno sono rimasto particolarmente insoddisfatto da questo punto di vista e a parte una sufficienza generale, nessuno ha veramente colpito. Da un lato sono contento di non rivedere per un po' le tremende scelte pre-maman di Keira Knightley, ma in generale mi pare si sia un po' sprecata l'occasione.
E ora l'ultimo punto da considerare, la ciliegina sulla torta: chi ha vinto VS chi ci si aspettava vincesse.
Dopo il toto votazioni innescato qualche giorno fa ho seguito in silenzio le varie opinioni pervenute, aspettando con ansia di sapere se e cosa sarebbe stato confermato. Ecco, quindi, qui sotto i vincitori effettivi di tutte le categorie (in giallo) ed evidenziati in verde tutti coloro che erano stati ritenuti i possibili vincitori. Chiaramente le scommesse non erano su tutte le categorie, ma solo le principali, ovvero le prime 10 (escludendo le 2 categorie sulle sceneggiature): dove manca la sottolineatura verde è perché vincitore effettivo e votazione coincidevano. Buona lettura!
Ps. Gli Oscar fatti di Lego sono qualcosa di fantastico!
Best Motion Picture of the Year
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, John Lesher, James W. Skotchdopole
Boyhood (2014/I): Richard Linklater, Cathleen Sutherland
Best Performance by an Actor in a Leading Role
Benedict Cumberbatch for The Imitation Game (2014)
Eddie Redmayne for The Theory of Everything (2014)
Best Performance by an Actress in a Leading Role
Julianne Moore for Still Alice (2014)
Best Performance by an Actor in a Supporting Role
Edward Norton for Birdman (2014)
J.K. Simmons for Whiplash (2014)
Best Performance by an Actress in a Supporting Role
Patricia Arquette for Boyhood (2014/I)
Best Achievement in Directing
Alejandro González Iñárritu for Birdman (2014)
Wes Anderson for The Grand Budapest Hotel (2014)
Best Writing, Screenplay Written Directly for the Screen
Birdman (2014): Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo
Best Writing, Screenplay Based on Material Previously Produced or Published
The Imitation Game (2014): Graham Moore
Best Animated Feature Film of the Year
Big Hero 6 (2014)
Best Foreign Language Film of the Year
Ida (2013): Pawel Pawlikowski
Leviafan (2014): Andrey Zvyagintsev
Birdman (2014): Emmanuel Lubezki
Best Achievement in Editing
Whiplash (2014): Tom Cross
Best Achievement in Production Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Adam Stockhausen, Anna Pinnock
Best Achievement in Costume Design
The Grand Budapest Hotel (2014): Milena Canonero
Best Achievement in Makeup and Hairstyling
The Grand Budapest Hotel (2014): Frances Hannon, Mark Coulier
Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Score
The Grand Budapest Hotel (2014): Alexandre Desplat
Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Song
Selma (2014): Common, John Legend (Glory)
Best Achievement in Sound Mixing
Whiplash (2014): Craig Mann, Ben Wilkins, Thomas Curley
American Sniper (2014): Alan Robert Murray, Bub Asman
Best Achievement in Visual Effects
Interstellar (2014): Paul J. Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter, Scott R. Fisher
Best Documentary, Feature
Citizenfour (2014): Laura Poitras, Mathilde Bonnefoy, Dirk Wilutzky
Best Documentary, Short Subject
Crisis Hotline: Veterans Press 1 (2013): Ellen Goosenberg Kent, Dana Perry
Best Short Film, Animated
Feast (2014): Patrick Osborne and Kristina Reed
Best Short Film, Live Action
The Phone Call (2013): Mat Kirkby, James Lucas
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giovedì 19 febbraio 2015
Film 881 - Divergent
Comprato il dvd (per la verità regalato da Luigi), bisognava solo trovare il momento per rivedere questo film prima che uscisse il sequel nelle sale (in Italia esattamente tra un mese, il 19 marzo).
Film 881: "Divergent" (2014) di Neil Burger
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Ammetto che, alla fine, sono diventato abbastanza fan di questo franchise, anche se certamente l'approccio meno adulto e la storia non sempre all'altezza delle buone premesse me lo fa considerare comunque un gradino sotto ai primi due episodi di "Hunger Games".
Snobismo a parte, il primo episodio della saga tratta dai libri apparentemente clamorosamente di successo di Veronica Roth, non è per niente male nell'ottica dell'intrattenimento action-teen che strizza abbondantemente l'occhio ai thriller futuristici con un debole per il distopico. Con trame per il potere più fitte di quanto non si penserebbe, un'accativante premessa che divide la società in 5 fazioni (Abneganti, Candidi, Pacifici, Intrepidi, Eruditi) e una protagonista che scoprirà di avere un segreto da proteggere e un destino da prendere in mano, di fatto questo "Divergent" è un esperimento cinematografico che compie il suo dovere, sicuramente soddisfando appieno le aspettative dei fan della saga.
Io mi sono laciato guidare volentieri dagli sviluppi della trama, ho seguito senza mai annoiarmi le avventure di Tris/Shailene Woodley alla conquista del suo posto in una società che la dava già per scontata (per non parlare del risvolto action tra sparatorie, controllo della mente e sventati tentativi di rovesciamenti di potere) e il tutto pur avendo già visto questa pellicola e sapendo cosa aspettarmi.
Insomma, "Divergent" è riuscito a 'fidelizzarmi' - pur avendo scoperto che i libri sono scritti da cane - e la cosa non mi dispiace affatto. Attendiamo "Insurgent" (o come lo chiama in maniera orribile Wiki, "The Divergent Series: Insurgent").
Ps. Sono davvero molti i nuovi nomi che contato a Hollywood che compaiono in questa pellicola: la Woodley, Theo James, Jai Courtney, Ansel Elgort, Zoë Kravitz, e il bravissimo Miles Teller di "Whiplash".
Film 694 - Divergent
Film 911 - Insurgent
Film 1124 - Allegiant
Box Office: $288,747,895
Consigli: Si vede e fa rivedere con piacere. Non è certo un capolavoro, ma riesce a valorizzare quasi sempre i suoi assi nella manica (forse l'unico vero punto debole è l'evoluzione del cattivo, che spreca un po' - soprattutto nel finale - la bravura della Winslet, molto rigida ma certo a causa della gravidanza, all'epoca, in corso) e alla fine ci si affeziona a Tris, si tifa per lei e gioisce dei suoi successi. Il finale lascia con non pochi nodi da sciogliere, oltre che con una strage parentale da manuale: la nuova Tris orfana e consapevole si affaccia a un futuro incerto e noi, insieme a lei, aspettiamo di sapere cosa ne sarà della saga di "Divergent".
Parola chiave: Cerimonia della Scelta.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 881: "Divergent" (2014) di Neil Burger
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Ammetto che, alla fine, sono diventato abbastanza fan di questo franchise, anche se certamente l'approccio meno adulto e la storia non sempre all'altezza delle buone premesse me lo fa considerare comunque un gradino sotto ai primi due episodi di "Hunger Games".
Snobismo a parte, il primo episodio della saga tratta dai libri apparentemente clamorosamente di successo di Veronica Roth, non è per niente male nell'ottica dell'intrattenimento action-teen che strizza abbondantemente l'occhio ai thriller futuristici con un debole per il distopico. Con trame per il potere più fitte di quanto non si penserebbe, un'accativante premessa che divide la società in 5 fazioni (Abneganti, Candidi, Pacifici, Intrepidi, Eruditi) e una protagonista che scoprirà di avere un segreto da proteggere e un destino da prendere in mano, di fatto questo "Divergent" è un esperimento cinematografico che compie il suo dovere, sicuramente soddisfando appieno le aspettative dei fan della saga.
Io mi sono laciato guidare volentieri dagli sviluppi della trama, ho seguito senza mai annoiarmi le avventure di Tris/Shailene Woodley alla conquista del suo posto in una società che la dava già per scontata (per non parlare del risvolto action tra sparatorie, controllo della mente e sventati tentativi di rovesciamenti di potere) e il tutto pur avendo già visto questa pellicola e sapendo cosa aspettarmi.
Insomma, "Divergent" è riuscito a 'fidelizzarmi' - pur avendo scoperto che i libri sono scritti da cane - e la cosa non mi dispiace affatto. Attendiamo "Insurgent" (o come lo chiama in maniera orribile Wiki, "The Divergent Series: Insurgent").
Ps. Sono davvero molti i nuovi nomi che contato a Hollywood che compaiono in questa pellicola: la Woodley, Theo James, Jai Courtney, Ansel Elgort, Zoë Kravitz, e il bravissimo Miles Teller di "Whiplash".
Film 694 - Divergent
Film 911 - Insurgent
Film 1124 - Allegiant
Box Office: $288,747,895
Consigli: Si vede e fa rivedere con piacere. Non è certo un capolavoro, ma riesce a valorizzare quasi sempre i suoi assi nella manica (forse l'unico vero punto debole è l'evoluzione del cattivo, che spreca un po' - soprattutto nel finale - la bravura della Winslet, molto rigida ma certo a causa della gravidanza, all'epoca, in corso) e alla fine ci si affeziona a Tris, si tifa per lei e gioisce dei suoi successi. Il finale lascia con non pochi nodi da sciogliere, oltre che con una strage parentale da manuale: la nuova Tris orfana e consapevole si affaccia a un futuro incerto e noi, insieme a lei, aspettiamo di sapere cosa ne sarà della saga di "Divergent".
Parola chiave: Cerimonia della Scelta.
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mercoledì 18 febbraio 2015
Film 880 - John Wick
Critiche positive parlavano di una rinascita di carriera. Incassi non stratosferici, ma buoni lasciavano ben sperare. Il trailer, poi, aveva già solleticato la curiosità necessaria. Non mancava che recuperarlo...
Film 880: "John Wick" (2008) di Chad Stahelski, David Leitch (uncredited)
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Definirlo adrenalinico è riduttivo. "John Wick" è un film carico, che spinge sull'acceleratore fin da subito, regalando la possibilità al suo protagonista John Wick/Keanu Reeves due cog***ni così. Ed è un bene, perché è proprio quello che volevamo da questa pellicola!
Potremmo definirlo quasi un one man show, con il Sig. Wick al centro di un tripudio di sparatorie, scazzottate, inseguimenti, randellate e chi più ne ha più ne metta. Tutti i poveretti che avranno l'ardire di mettersi sulla sua strada soccomberano, riducendo di fatto la storia ad una narrazione in solitaria delle gesta del protagonista, nonostante sullo sfondo i comprimari non manchino di avere un nome proprio (tra i più famosi Michael Nyqvist, Alfie Allen, Willem Dafoe, Adrianne Palicki, John Leguizamo, Ian McShane e Bridget Moynahan solo nei flashback).
Devo dire che questo ritorno duro e crudissimo di Reeves al cinema mi è piaciuto assai. La sua calma apparente, il suo viso gentile dai bei lineamenti sono un toccasana per un genere cinematografico come quello dell'action con l'eroe che uccide a mani nude metà della popolazione mondiale in nome di un solo granitico principio (qui l'uccisione della cagnolina regalatagli dalla moglie morta). Gli ormai stantii Schwarzenegger, Stallone, Seagal, Van Damme, anche Statham, sono tutti capaci di prodursi sempre nella stessa cosa, sempre nella stessa espressione, sempre nel solito cliché, mentre l'approccio di questo "John Wick" e del suo - spesso sottovalutato - interprete sono una ventata fresca per chi apprezza il genere. Francamente io ho trovato piacevole anche "47 Ronin", ma poi son gusti.
In ogni caso ben tornato Keanu Reeves - appena visto sul tappeto rosso del Sundance con l'ultima fatica horror di Eli Roth, "Knock Knock" - nella speranza che questo titolo, come già hanno sentenziato i Razzie Awards 2015, sia un buon segno per una rinascita della sua carriera.
Ps. Una delle prime cose che ti colpisce del film è sicuramente che tra i produttori c'è nientemeno che Eva Longoria.
Box Office: $78.7 milioni
Consigli: Non certo una pellicola per tutti, "John Wick" è un action thriller che della violenza fa il suo cavallo di battaglia. Vendetta, vendetta e ancora vendetta a suon di proiettili e obiettivi umani fino a raggiungere colui che ha risvegliato la bestia ormai quietata, lo sfortunato figlio scemo di papà interpretato da Alfie Allen (fratello della cantante Lily, nonché Theon Greyjoy de "Il trono di spade"). Chi ama il generico spaccatutto-spaccotutto sarà molto felice di constatare che all'età di 50 anni tondi Keanu Reeves sia ancora in grado non solo di sembrare giovane e atletico, ma soprattutto di fare un c*lo così a tutti. E' davvero un piacere per gli occhi e ti gasa da morire. Certo, fa un po' effetto pensare alla carneficina che propina questa pellicola, ma hey, se lo volete guardare sapete esattamente a cosa andate incontro! E allora, in quest'ottica, "John Wick" è da vedere.
Parola chiave: Cane.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 880: "John Wick" (2008) di Chad Stahelski, David Leitch (uncredited)
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Definirlo adrenalinico è riduttivo. "John Wick" è un film carico, che spinge sull'acceleratore fin da subito, regalando la possibilità al suo protagonista John Wick/Keanu Reeves due cog***ni così. Ed è un bene, perché è proprio quello che volevamo da questa pellicola!
Potremmo definirlo quasi un one man show, con il Sig. Wick al centro di un tripudio di sparatorie, scazzottate, inseguimenti, randellate e chi più ne ha più ne metta. Tutti i poveretti che avranno l'ardire di mettersi sulla sua strada soccomberano, riducendo di fatto la storia ad una narrazione in solitaria delle gesta del protagonista, nonostante sullo sfondo i comprimari non manchino di avere un nome proprio (tra i più famosi Michael Nyqvist, Alfie Allen, Willem Dafoe, Adrianne Palicki, John Leguizamo, Ian McShane e Bridget Moynahan solo nei flashback).
Devo dire che questo ritorno duro e crudissimo di Reeves al cinema mi è piaciuto assai. La sua calma apparente, il suo viso gentile dai bei lineamenti sono un toccasana per un genere cinematografico come quello dell'action con l'eroe che uccide a mani nude metà della popolazione mondiale in nome di un solo granitico principio (qui l'uccisione della cagnolina regalatagli dalla moglie morta). Gli ormai stantii Schwarzenegger, Stallone, Seagal, Van Damme, anche Statham, sono tutti capaci di prodursi sempre nella stessa cosa, sempre nella stessa espressione, sempre nel solito cliché, mentre l'approccio di questo "John Wick" e del suo - spesso sottovalutato - interprete sono una ventata fresca per chi apprezza il genere. Francamente io ho trovato piacevole anche "47 Ronin", ma poi son gusti.
In ogni caso ben tornato Keanu Reeves - appena visto sul tappeto rosso del Sundance con l'ultima fatica horror di Eli Roth, "Knock Knock" - nella speranza che questo titolo, come già hanno sentenziato i Razzie Awards 2015, sia un buon segno per una rinascita della sua carriera.
Ps. Una delle prime cose che ti colpisce del film è sicuramente che tra i produttori c'è nientemeno che Eva Longoria.
Box Office: $78.7 milioni
Consigli: Non certo una pellicola per tutti, "John Wick" è un action thriller che della violenza fa il suo cavallo di battaglia. Vendetta, vendetta e ancora vendetta a suon di proiettili e obiettivi umani fino a raggiungere colui che ha risvegliato la bestia ormai quietata, lo sfortunato figlio scemo di papà interpretato da Alfie Allen (fratello della cantante Lily, nonché Theon Greyjoy de "Il trono di spade"). Chi ama il generico spaccatutto-spaccotutto sarà molto felice di constatare che all'età di 50 anni tondi Keanu Reeves sia ancora in grado non solo di sembrare giovane e atletico, ma soprattutto di fare un c*lo così a tutti. E' davvero un piacere per gli occhi e ti gasa da morire. Certo, fa un po' effetto pensare alla carneficina che propina questa pellicola, ma hey, se lo volete guardare sapete esattamente a cosa andate incontro! E allora, in quest'ottica, "John Wick" è da vedere.
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martedì 17 febbraio 2015
Oscars 2015: Who's going to win?
Oscars are just around the corner and it's time to have a poll!
So here we are with some of the hottest category of this year's Oscar nominations and it's all in your hands: who do you think is going to be the victor in his or her category this Sunday, Feb. 22?
Remember: who is going to be the winner in your opinion, not the one you cheer on!
Now take just a few minutes to vote each category and... don't forget to share!
May the best win. #HollywoodCiak
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Film 879 - Sex List - Omicidio a tre
Di certo non c'era bisogno di rispolverare questo titolo del 2008, però lo streaming lo proponeva e non lo avevo visto...
Film 879: "Sex List - Omicidio a tre" (2008) di Marcel Langenegger
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Ok, lo immaginavo che non fosse granché e di fatto così è stato. Però lo spreco del buon cast per questo debole thriller a sbiadite, sbiaditissime tinte sessuali mi lascia perplesso. Il punto è che si può anche tentare di accaparrarsi un po' di pubblico con l'aiuto di nomi di star, ma queste ultime il copione non lo leggono?
In questo caso particolare la storia è da subito prevedibile e che la bella S/Michelle Williams nasconda qualcosa è chiaro non appena il suo personaggio compare. Quando poi le prime incongruenze su Wyatt Bose/Hugh Jackman si rendono palesi, la connessione tra i due si da già per scontata. O almeno lo fa lo spettatore, perché il solitario e po' noioso Jonathan McQuarry/Ewan McGregor rimarrà imbambolato a porsi un sacco di domandi per un bel po', senza riuscire a darsi le giuste risposte. Il finale lo riscatterà leggermente, ma il suo carattere ingenuo e la sua presenza - diciamocelo - superflua guastano un po' il risultato finale del film, che si impregna inevitabilmente del carattere del suo protagonista. L'opposto aggressivo, di successo e bugiardo del personaggio di Hugh Jackman non farà altro che aumentare questa visione globale.
Inoltre, nonostante lo spudorato titolo italiano che fa promesse impossibili da mantenere, la componente sessuale è tanto superflua quanto presto dimenticata, nonostante sia messa al centro della vicenda. Non sono le avventure con donne consenzienti e predatrici di cui è impossibile scoprire l'identità ad essere il fulcro della storia, ma il castello di bugie messe in atto dal falso Bose. La parte interessante sarebbe, quindi, capirne i fini, cosa che avverrà solamente nell'ultima parte della trama.
In generale, quindi, direi che "Deception" (questo il vero titolo) ha sprecato la sua occasione di destare l'interesse giusto per la sua storia. Sembra un po' la maledizione dei film che tentano di mettere il sesso al centro della vicenda - come "Rivelazioni" o "Striptease" con Demi Moore, "Basic Instinct" e soprattutto "Basic Instinct 2" -, mischiandolo un po' a casaccio con gli spunti thriller delle varie trame. Clamoroso flop al botteghino (25 milioni di $ per produrlo).
Box Office: $17,741,298
Consigli: E' meno malvagio di altri esempi che mixano erotismo e thriller, ma rimane il fatto che sia una storia prevedibile e comunque poco interessante. Un po' uno spreco di cast (Hugh Jackman, Ewan McGregor, Michelle Williams, Maggie Q, Lisa Gay Hamilton, Charlotte Rampling) per una trama dominata dal già visto e da un espediente osé che è tanto sexy da non destare alcun interesse. Si poteva evitare quell'aspetto e approfondire di più la figura di Wyatt Bose. Tant'è, il risultato è funzionale a una visione senza impegno, senza necessità che si ricordi di aver visto questo "Sex List - Omicidio a tre". Io, finché non ho riletto questo titolo dalla mia lista di recensioni da recuperare, non mi ricordavo minimante della sua esistenza.
Parola chiave: Banca.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 879: "Sex List - Omicidio a tre" (2008) di Marcel Langenegger
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Ok, lo immaginavo che non fosse granché e di fatto così è stato. Però lo spreco del buon cast per questo debole thriller a sbiadite, sbiaditissime tinte sessuali mi lascia perplesso. Il punto è che si può anche tentare di accaparrarsi un po' di pubblico con l'aiuto di nomi di star, ma queste ultime il copione non lo leggono?
In questo caso particolare la storia è da subito prevedibile e che la bella S/Michelle Williams nasconda qualcosa è chiaro non appena il suo personaggio compare. Quando poi le prime incongruenze su Wyatt Bose/Hugh Jackman si rendono palesi, la connessione tra i due si da già per scontata. O almeno lo fa lo spettatore, perché il solitario e po' noioso Jonathan McQuarry/Ewan McGregor rimarrà imbambolato a porsi un sacco di domandi per un bel po', senza riuscire a darsi le giuste risposte. Il finale lo riscatterà leggermente, ma il suo carattere ingenuo e la sua presenza - diciamocelo - superflua guastano un po' il risultato finale del film, che si impregna inevitabilmente del carattere del suo protagonista. L'opposto aggressivo, di successo e bugiardo del personaggio di Hugh Jackman non farà altro che aumentare questa visione globale.
Inoltre, nonostante lo spudorato titolo italiano che fa promesse impossibili da mantenere, la componente sessuale è tanto superflua quanto presto dimenticata, nonostante sia messa al centro della vicenda. Non sono le avventure con donne consenzienti e predatrici di cui è impossibile scoprire l'identità ad essere il fulcro della storia, ma il castello di bugie messe in atto dal falso Bose. La parte interessante sarebbe, quindi, capirne i fini, cosa che avverrà solamente nell'ultima parte della trama.
In generale, quindi, direi che "Deception" (questo il vero titolo) ha sprecato la sua occasione di destare l'interesse giusto per la sua storia. Sembra un po' la maledizione dei film che tentano di mettere il sesso al centro della vicenda - come "Rivelazioni" o "Striptease" con Demi Moore, "Basic Instinct" e soprattutto "Basic Instinct 2" -, mischiandolo un po' a casaccio con gli spunti thriller delle varie trame. Clamoroso flop al botteghino (25 milioni di $ per produrlo).
Box Office: $17,741,298
Consigli: E' meno malvagio di altri esempi che mixano erotismo e thriller, ma rimane il fatto che sia una storia prevedibile e comunque poco interessante. Un po' uno spreco di cast (Hugh Jackman, Ewan McGregor, Michelle Williams, Maggie Q, Lisa Gay Hamilton, Charlotte Rampling) per una trama dominata dal già visto e da un espediente osé che è tanto sexy da non destare alcun interesse. Si poteva evitare quell'aspetto e approfondire di più la figura di Wyatt Bose. Tant'è, il risultato è funzionale a una visione senza impegno, senza necessità che si ricordi di aver visto questo "Sex List - Omicidio a tre". Io, finché non ho riletto questo titolo dalla mia lista di recensioni da recuperare, non mi ricordavo minimante della sua esistenza.
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lunedì 16 febbraio 2015
Film 878 - Ouija
Visto per caso il trailer poco prima dell'uscita negli Stati Uniti (ottobre 2014), ero rimasto estremamente curioso di recuperare questo titolo, da noi programmato a gennaio... Perché? Tra i tanti motivi, anche perché è il primo horror della Hasbro!
Film 878: "Ouija" (2014) di Stiles White
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Erika
Pensieri: Pur aspettandomi non certo niente di eccezionale, speravo almeno che questa pellicola teen riuscisse ad intrattenermi con qualche buon momento horror alla "Necropolis - La città dei morti".
In realtà, per quanto potesse essere brutto o boiata, questo "Ouija" ha superato di gran lunga le mie aspettatie negative, riuscendo a fare quasi totalmente schifo. Quel 'quasi' è relativo semplicemente all'idea centrale del film, che colpisce direttamente l'immaginario attraverso l'espediente dell'impronunciabile tavola Ouija. L'idea di partenza sarebbe anche giusta, ma la realizzazione pezzente e la trama priva di qualsivoglia guizzo creativo relegano questa pellicola a malapena allo standard degli horror per la televisione (come "7500", per capirci). Il clamoroso successo che di fatto ha incontrato il film non me lo so davvero spiegare, considerando che altri esperimenti sicuramente più riusciti non sono, invece, riusciti a sfondare sul mercato mondiale.
Ripeto, secondo me il merito principale - a parte quel naturale fascino di terrore misto voglia di essere spaventati insito nel genere horror - va all'idea della tavoletta e alla fantasia che un gioco addirittura in vendida nei negozi possa essere davvero un tramite per la comunicazione coi morti. Chi non ha mai provato da ragazzo a mettere in piedi una seduta spiritica con gli amici? Ecco, il potere magnetico di questo prodotto di bassissima qualità sta tutto lì e gioca al meglio un'idea che, fosse stata sviluppata, avrebbe sicuramente saputo rendere molto di più. Peccato, una vera delusione.
Ps. L'attrice che interpreta la sorella stronza in casa di cura è Lin Shaye, già medium nella saga di "Insidious", ma soprattutto famosa ai più per essere la costantemente abbronzata amica incartapecorita di Cameron Diaz in "Tutti pazzi per Mary".
Film 878 - Ouija
Film 1254 - Ouija: L'origine del male
Film 1611 - Ouija: Origin of Evil
Film 2305 - Ouija: Origin of Evil
Box Office: $99 milioni
Consigli: Giovanissimi divi della tv americana (Olivia Cooke da "Bates Motel", Daren Kagasoff da "La vita segreta di una teenager americana", Douglas Smith da "Big Love" ma anche il secondo "Percy Jackson") sbarcano al cinema tendenzialmente nel più totale anonimato e riescono a conquistare il primo posto del botteghino americano. Ma non fatevi ingannare, il film in questione è mal realizzato, privo di idee originali (il finale è facilmente intuibile) e con brutti effetti speciali. Il risultato finale è molto sotto la soglia della semplice insufficienza e, nonostante la buona idea della tavola Ouija che fa comunicare i giovani coi morti, di fatto è più inquietante Jumanji come gioco da tavola. E ho detto tutto.
Parola chiave: Bocca cucita.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 878: "Ouija" (2014) di Stiles White
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Erika
Pensieri: Pur aspettandomi non certo niente di eccezionale, speravo almeno che questa pellicola teen riuscisse ad intrattenermi con qualche buon momento horror alla "Necropolis - La città dei morti".
In realtà, per quanto potesse essere brutto o boiata, questo "Ouija" ha superato di gran lunga le mie aspettatie negative, riuscendo a fare quasi totalmente schifo. Quel 'quasi' è relativo semplicemente all'idea centrale del film, che colpisce direttamente l'immaginario attraverso l'espediente dell'impronunciabile tavola Ouija. L'idea di partenza sarebbe anche giusta, ma la realizzazione pezzente e la trama priva di qualsivoglia guizzo creativo relegano questa pellicola a malapena allo standard degli horror per la televisione (come "7500", per capirci). Il clamoroso successo che di fatto ha incontrato il film non me lo so davvero spiegare, considerando che altri esperimenti sicuramente più riusciti non sono, invece, riusciti a sfondare sul mercato mondiale.
Ripeto, secondo me il merito principale - a parte quel naturale fascino di terrore misto voglia di essere spaventati insito nel genere horror - va all'idea della tavoletta e alla fantasia che un gioco addirittura in vendida nei negozi possa essere davvero un tramite per la comunicazione coi morti. Chi non ha mai provato da ragazzo a mettere in piedi una seduta spiritica con gli amici? Ecco, il potere magnetico di questo prodotto di bassissima qualità sta tutto lì e gioca al meglio un'idea che, fosse stata sviluppata, avrebbe sicuramente saputo rendere molto di più. Peccato, una vera delusione.
Ps. L'attrice che interpreta la sorella stronza in casa di cura è Lin Shaye, già medium nella saga di "Insidious", ma soprattutto famosa ai più per essere la costantemente abbronzata amica incartapecorita di Cameron Diaz in "Tutti pazzi per Mary".
Film 878 - Ouija
Film 1254 - Ouija: L'origine del male
Film 1611 - Ouija: Origin of Evil
Film 2305 - Ouija: Origin of Evil
Box Office: $99 milioni
Consigli: Giovanissimi divi della tv americana (Olivia Cooke da "Bates Motel", Daren Kagasoff da "La vita segreta di una teenager americana", Douglas Smith da "Big Love" ma anche il secondo "Percy Jackson") sbarcano al cinema tendenzialmente nel più totale anonimato e riescono a conquistare il primo posto del botteghino americano. Ma non fatevi ingannare, il film in questione è mal realizzato, privo di idee originali (il finale è facilmente intuibile) e con brutti effetti speciali. Il risultato finale è molto sotto la soglia della semplice insufficienza e, nonostante la buona idea della tavola Ouija che fa comunicare i giovani coi morti, di fatto è più inquietante Jumanji come gioco da tavola. E ho detto tutto.
Parola chiave: Bocca cucita.
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venerdì 13 febbraio 2015
Film 877 - La teoria del tutto
Non vedevo davvero l'ora di vederlo!
Film 877: "La teoria del tutto" (2014) di James Marsh
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Avevo gigantesche aspettative per questa pellicola. Pensavo mi sarei trovato di fronte alla rivelazione della stagione. E invece non è stato così.
Anche "The Theory of Everything" finisce per guastarsi nel suo risultato finale non tanto per un motivo relativo al prodotto in sé, ma per colpa di tutto quel turbinio mediatico che lo ha già incoronato come uno dei migliori titoli di quest'anno (o meglio, l'anno scorso) e lo ha visto e vedrà trionfare in tante di quelle premiazioni che gli Oscar saranno solo la cigliegina sulla torta. Non che il film abbia una reale chance di vincere in tutte le categorie, ma è probabile che il Miglior attore sarà proprio l'Eddie Redmayne qui protagonista. E' evidente, infatti, che la sua trasformazione in Stephen Hawking sia degna di plauso, avendo meticolosamente sviscerato gli step di una malattia degenerativa crudele e debilitante. Io questo glielo riconosco senza se e senza ma. Poi, idiealisticamente, mi spendo solo un attimo per ricordare che è però molto meno facile rappresentare un personaggio di invenzione, che non soffre di disturbi invalidanti percepibili a occhio nudo, che riprodurre qualcosa (o qualcuno) che esiste o è esistito. Lo dico solo perché mi pare che ultimamente si tenda a premiare quasi sempre l'interpretazione biografica (le due di "Dallas Buyers Club" dell'anno scorso, la vittoria dell'anno prima di Daniel Day-Lewis che fa Lincoln, Sean Penn che interpreta Harvey Milk, Forest Whitaker che rifà Idi Amin in "The Last King of Scotland" e l'anno prima Philip Seymour Hoffman che veste i panni Truman Capote, mentre l'anno ancora precedente aveva vinto Jamie Foxx rifacendo Ray Charles. Sono 6 esempi su un campione di 10 edizioni degli Oscar considerati. E ho preso ad esempio solo la categoria del Miglior attore protagonista!) a discapito di altre ottime interpretazioni sempre, però, seconde per il fatto che non sono relative a un "ritratto" di qualcun'altro. Fatta questa postilla, continuiamo.
"La teoria del tutto" è una buona pellicola, tecnicamente molto curata, con un protagonista forte sia a livello narrativo che interpretativo. Hawking è chiaramente un soggetto interessante da 'studiare, una persona di cui si segue con curiosità la storia di vita, i numerosi successi, l'assoluta genialità e un quotidiano fatto di difficoltà che altri non affrontano nemmeno in una vita intera. Se, però, andiamo oltre questo e oltre la perfetta metamorfosi di Redmayne nel famoso fisico, ho trovato il progetto molto meno ispirato ed ispirante. Le immagini promozionali mi parevano suggerire più una storia concentrata sull'amore della coppia che sulla malattia, ma non è esattamente così. La prepotenza di un male che non ha cura e ti colpisce giorno dopo giorno deve avere certamente uno spazio privilegiato nella trama, eppure un approfondimento più specifico sulla relazione con la moglie Jane/Felicity Jones e sulle loro dinamiche famigliari mi sarebbe piaciuto di più. Il colpo di scena finale (per me che la storia vera non la sapevo) con l'ingresso dell'infermiera Elaine mi ha spezzato il cuore, eppure è trattato molto freddamente e rapidamente, cosa che non mi sarei aspettato.
Forse le patinate immagini di locandine e trailer mi avevano mandato completamente fuori strada, facendomi indirizzare su un tipo di biografia strappalacrime che, invece, si è dimostrata essere molto più concretamente la narrazione pacata di una vita certamente unica. Meno poesia del previsto, quindi, meno romanticismo, amore senza tempo (cioè c'è, ma non come te lo aspetteresti e in questo, ripeto, il finale è davvero qualcosa che ti lascia di stucco) e tutte quelle manfrine rosa cui i blockbuster americani ci hanno abituato. Ci sta, probabilmente è giusto così, eppure io altro mi aspettavo e la cosa mi ha un po' condizionato.
Tutto sommato, comunque, è la storia solo apparentemente straordinaria di una coppia che, invece, è più normale di quanto ci si aspetterebbe. Dalla coraggiosa scelta di Jane di stare al fianco di Stephen, al momento di mettere in piedi un sistema comunicativo ex novo per il professore, questa storia mettere a dura prova lo spettatore sensibile a questo tipo pellicole, eppure l'approccio è meno sdolcinato o caricato di quanto non ci si aspetterebbe.
In conclusione "La teoria del tutto" è certo uno dei titoli da non perdere di questo lungo percorso fino agli Oscar, eppure manca quella sensazione di epicità o, a seconda del tipo di approccio, di raccoglimento che forse l'avrebbero reso memorabile, oltre che valido per una grande interpretazione del protagonista. Devo dire che i candidati a Miglior film di questo 2015 non mi hanno ancora sconvolto, per quello che ho visto. Ne devo recuperare ancora molti, nella speranza di rimanere conquistato pienamente da almeno qualcheduno.
Box Office: $91.3 milioni
Consigli: Mi fa sempre sorridere quando leggo che i medici avevano pronosticato la morte imminente di qualcuno e quest'ultimo, invece, sopravvive contro ogni speranza. Mi fa sorridere più che altro perché è la prova tangibile che nessuno può pronosticare nulla con certezza, il che è sempre rassicurante. Le persone, poi, sono in grado (anche) di cose straordinarie e, nel caso Stephen Hawking, sopravvivere a una malattia come l'atrofia muscolare progressiva non è nemmeno la più peculiare.
Quello che è apprezzabile del film di James Marsh è l'approccio alla vicenda che sembra sincero e depurato da un sensazioalismo che certo la figura di uno scienziato di fama mondiale avrebbe potuto ispirare. Chi cerca una biografia onesta su una figura umana complessa qui troverà non poche soddisfazioni; meno chi si aspetta livelli di romanticismo da zucchero a causa della storia di un amore che fa affrontare la malattia. In ogni caso è una buona pellicola con un protagonista particolarmente efficace (Eddie Redmayne) e può essere vista anche solo per farsi un'idea più dettagliata sul fisico, matematico, cosmologo e astrofisico britannico. Anche se, lo ammetto, questo film mi ha colpito molto meno di quanto avrei sperato.
Parola chiave: Equazione.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 877: "La teoria del tutto" (2014) di James Marsh
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Avevo gigantesche aspettative per questa pellicola. Pensavo mi sarei trovato di fronte alla rivelazione della stagione. E invece non è stato così.
Anche "The Theory of Everything" finisce per guastarsi nel suo risultato finale non tanto per un motivo relativo al prodotto in sé, ma per colpa di tutto quel turbinio mediatico che lo ha già incoronato come uno dei migliori titoli di quest'anno (o meglio, l'anno scorso) e lo ha visto e vedrà trionfare in tante di quelle premiazioni che gli Oscar saranno solo la cigliegina sulla torta. Non che il film abbia una reale chance di vincere in tutte le categorie, ma è probabile che il Miglior attore sarà proprio l'Eddie Redmayne qui protagonista. E' evidente, infatti, che la sua trasformazione in Stephen Hawking sia degna di plauso, avendo meticolosamente sviscerato gli step di una malattia degenerativa crudele e debilitante. Io questo glielo riconosco senza se e senza ma. Poi, idiealisticamente, mi spendo solo un attimo per ricordare che è però molto meno facile rappresentare un personaggio di invenzione, che non soffre di disturbi invalidanti percepibili a occhio nudo, che riprodurre qualcosa (o qualcuno) che esiste o è esistito. Lo dico solo perché mi pare che ultimamente si tenda a premiare quasi sempre l'interpretazione biografica (le due di "Dallas Buyers Club" dell'anno scorso, la vittoria dell'anno prima di Daniel Day-Lewis che fa Lincoln, Sean Penn che interpreta Harvey Milk, Forest Whitaker che rifà Idi Amin in "The Last King of Scotland" e l'anno prima Philip Seymour Hoffman che veste i panni Truman Capote, mentre l'anno ancora precedente aveva vinto Jamie Foxx rifacendo Ray Charles. Sono 6 esempi su un campione di 10 edizioni degli Oscar considerati. E ho preso ad esempio solo la categoria del Miglior attore protagonista!) a discapito di altre ottime interpretazioni sempre, però, seconde per il fatto che non sono relative a un "ritratto" di qualcun'altro. Fatta questa postilla, continuiamo.
"La teoria del tutto" è una buona pellicola, tecnicamente molto curata, con un protagonista forte sia a livello narrativo che interpretativo. Hawking è chiaramente un soggetto interessante da 'studiare, una persona di cui si segue con curiosità la storia di vita, i numerosi successi, l'assoluta genialità e un quotidiano fatto di difficoltà che altri non affrontano nemmeno in una vita intera. Se, però, andiamo oltre questo e oltre la perfetta metamorfosi di Redmayne nel famoso fisico, ho trovato il progetto molto meno ispirato ed ispirante. Le immagini promozionali mi parevano suggerire più una storia concentrata sull'amore della coppia che sulla malattia, ma non è esattamente così. La prepotenza di un male che non ha cura e ti colpisce giorno dopo giorno deve avere certamente uno spazio privilegiato nella trama, eppure un approfondimento più specifico sulla relazione con la moglie Jane/Felicity Jones e sulle loro dinamiche famigliari mi sarebbe piaciuto di più. Il colpo di scena finale (per me che la storia vera non la sapevo) con l'ingresso dell'infermiera Elaine mi ha spezzato il cuore, eppure è trattato molto freddamente e rapidamente, cosa che non mi sarei aspettato.
Forse le patinate immagini di locandine e trailer mi avevano mandato completamente fuori strada, facendomi indirizzare su un tipo di biografia strappalacrime che, invece, si è dimostrata essere molto più concretamente la narrazione pacata di una vita certamente unica. Meno poesia del previsto, quindi, meno romanticismo, amore senza tempo (cioè c'è, ma non come te lo aspetteresti e in questo, ripeto, il finale è davvero qualcosa che ti lascia di stucco) e tutte quelle manfrine rosa cui i blockbuster americani ci hanno abituato. Ci sta, probabilmente è giusto così, eppure io altro mi aspettavo e la cosa mi ha un po' condizionato.
Tutto sommato, comunque, è la storia solo apparentemente straordinaria di una coppia che, invece, è più normale di quanto ci si aspetterebbe. Dalla coraggiosa scelta di Jane di stare al fianco di Stephen, al momento di mettere in piedi un sistema comunicativo ex novo per il professore, questa storia mettere a dura prova lo spettatore sensibile a questo tipo pellicole, eppure l'approccio è meno sdolcinato o caricato di quanto non ci si aspetterebbe.
In conclusione "La teoria del tutto" è certo uno dei titoli da non perdere di questo lungo percorso fino agli Oscar, eppure manca quella sensazione di epicità o, a seconda del tipo di approccio, di raccoglimento che forse l'avrebbero reso memorabile, oltre che valido per una grande interpretazione del protagonista. Devo dire che i candidati a Miglior film di questo 2015 non mi hanno ancora sconvolto, per quello che ho visto. Ne devo recuperare ancora molti, nella speranza di rimanere conquistato pienamente da almeno qualcheduno.
Box Office: $91.3 milioni
Consigli: Mi fa sempre sorridere quando leggo che i medici avevano pronosticato la morte imminente di qualcuno e quest'ultimo, invece, sopravvive contro ogni speranza. Mi fa sorridere più che altro perché è la prova tangibile che nessuno può pronosticare nulla con certezza, il che è sempre rassicurante. Le persone, poi, sono in grado (anche) di cose straordinarie e, nel caso Stephen Hawking, sopravvivere a una malattia come l'atrofia muscolare progressiva non è nemmeno la più peculiare.
Quello che è apprezzabile del film di James Marsh è l'approccio alla vicenda che sembra sincero e depurato da un sensazioalismo che certo la figura di uno scienziato di fama mondiale avrebbe potuto ispirare. Chi cerca una biografia onesta su una figura umana complessa qui troverà non poche soddisfazioni; meno chi si aspetta livelli di romanticismo da zucchero a causa della storia di un amore che fa affrontare la malattia. In ogni caso è una buona pellicola con un protagonista particolarmente efficace (Eddie Redmayne) e può essere vista anche solo per farsi un'idea più dettagliata sul fisico, matematico, cosmologo e astrofisico britannico. Anche se, lo ammetto, questo film mi ha colpito molto meno di quanto avrei sperato.
Parola chiave: Equazione.
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giovedì 12 febbraio 2015
Film 876 - Terminator Salvation
Ero sempre stato curioso di vederlo, anche se - non avendo visto nessuna delle pellicole precedenti - mi ero sempre astenuto dal farlo aspettando, magari, di cominciare con il primo titolo. E invece...
Film 876: "Terminator Salvation" (2009) di McG
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Mi approccio a questo film con un grande 'boh' di partenza perché è il primo della saga di "Terminator" che vedo e per forza di cose fatico ad incasellarlo nel suo contesto narrativo globale.
Di per sé il risultato finale non mi è sembrato malvagio, anche se dalle critiche negative che ho letto mi pare di aver appreso che questo titolo collide un po' con i precedenti e il passaggio di più mani sulla sceneggiatura di certo non avrà aiutato. Però a livello commerciale il tutto funziona e "Terminator Salvation" è sicuramente un esempio di cosa neanche tanti anni fa si intendesse per reboot cinematografico: moltissima azione, effetti speciali costanti e un puntare tutto sulle sorprese narrative della trama.
Devo dire che chi, come me, di "Terminator" conosce solo Schwarzenegger (qui assente ma ricreato in digitale) fatica un po' a entrare nella trama, non riuscendo troppo a lasciarsi coinvolgere da una storia che, spiegata così così, finisce per rimanere una piatta narrazione di eslosioni e sparatorie, anche se assolutamente d'effetto. E' così, infatti, che ho preso questo film, come un titolo puramente commerciale che vale la visione nell'ottica di uno svago di disimpegno.
In questo sicuramente la regia frenetica di McG è funzionale e devo dire che non pochi passaggi mi hanno ricordato le collaudate scene d'azione dei suoi precedenti "Charlie's Angels", in particolare la scena sul ponte con l'aereo e le numerose acrobazie-misto-esplosioni che è quasi fotocopia di quella che si vede all'inizio di "Charlie's Angels - Più che mai".
Insomma, come si capisce, questo quarto episodio del franchise è distillato puro di blockbuster, un film che ha sapientemente scelto due protagonisti all'epoca sulla cresta dell'onda (Christian Bale con la saga di Batman e Sam Worthington lanciatissimo grazie a "Avatar"), ha giustamente evocato sensazioni nostalgiche e ha ribattezzato tutta al saga regalandosi un'iniezione di effetti speciali costati qualcosa come 200 milioni di dollari. E' tutto nel quadro sensazionalistico della produzione americana megalomane e ci sta, anche se forse la storia poteva essere curata un pelo di più. Tutto sommato comunque un risultato accettabile.
Film 2020 - The Terminator
Film 2024 - Terminator 2: Judgment Day
Film 876 - Terminator Salvation
Film 1461 - Terminator Genisys
Box Office: $371,353,001
Consigli: Probabilmente chi ama la saga originale un po' avrà storto il naso, pur sapendo di non poter mancare all'appuntamento con l'episodio numero 4 di "Terminator". Io credo sia un film che si può vedere in ogni momento in cui si cerchi un po' d'azione misto svago totale. Chiaro che conoscere il pregresso aiuterebbe, ma anche partendo direttamente da qui si può serenamente seguire tutta la vicenda capendo ciò che c'è da capire e rassegnandosi all'idea che fosse impossibile spiegare tutti gli avvenimenti precedenti in una trama che ha comunque abbastanza cose da raccontare. Cast ricco (Christian Bale, Sam Worthington, Bryce Dallas Howard, Anton Yelchin, Moon Bloodgood, Helena Bonham Carter, Common, Jane Alexander), scene adrenaliniche da videoclip e un quinto episodio pronto per uscire nelle sale il 9 luglio: "Terminator Genisys". E torna Arnold Schwarzenegger protagonista. Per chi vuole, c'è ancora tempo per recuperare.
Parola chiave: Cuore.
Ti è piaciuto? ACQUISTALO QUI
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 876: "Terminator Salvation" (2009) di McG
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Mi approccio a questo film con un grande 'boh' di partenza perché è il primo della saga di "Terminator" che vedo e per forza di cose fatico ad incasellarlo nel suo contesto narrativo globale.
Di per sé il risultato finale non mi è sembrato malvagio, anche se dalle critiche negative che ho letto mi pare di aver appreso che questo titolo collide un po' con i precedenti e il passaggio di più mani sulla sceneggiatura di certo non avrà aiutato. Però a livello commerciale il tutto funziona e "Terminator Salvation" è sicuramente un esempio di cosa neanche tanti anni fa si intendesse per reboot cinematografico: moltissima azione, effetti speciali costanti e un puntare tutto sulle sorprese narrative della trama.
Devo dire che chi, come me, di "Terminator" conosce solo Schwarzenegger (qui assente ma ricreato in digitale) fatica un po' a entrare nella trama, non riuscendo troppo a lasciarsi coinvolgere da una storia che, spiegata così così, finisce per rimanere una piatta narrazione di eslosioni e sparatorie, anche se assolutamente d'effetto. E' così, infatti, che ho preso questo film, come un titolo puramente commerciale che vale la visione nell'ottica di uno svago di disimpegno.
In questo sicuramente la regia frenetica di McG è funzionale e devo dire che non pochi passaggi mi hanno ricordato le collaudate scene d'azione dei suoi precedenti "Charlie's Angels", in particolare la scena sul ponte con l'aereo e le numerose acrobazie-misto-esplosioni che è quasi fotocopia di quella che si vede all'inizio di "Charlie's Angels - Più che mai".
Insomma, come si capisce, questo quarto episodio del franchise è distillato puro di blockbuster, un film che ha sapientemente scelto due protagonisti all'epoca sulla cresta dell'onda (Christian Bale con la saga di Batman e Sam Worthington lanciatissimo grazie a "Avatar"), ha giustamente evocato sensazioni nostalgiche e ha ribattezzato tutta al saga regalandosi un'iniezione di effetti speciali costati qualcosa come 200 milioni di dollari. E' tutto nel quadro sensazionalistico della produzione americana megalomane e ci sta, anche se forse la storia poteva essere curata un pelo di più. Tutto sommato comunque un risultato accettabile.
Film 2020 - The Terminator
Film 2024 - Terminator 2: Judgment Day
Film 876 - Terminator Salvation
Film 1461 - Terminator Genisys
Box Office: $371,353,001
Consigli: Probabilmente chi ama la saga originale un po' avrà storto il naso, pur sapendo di non poter mancare all'appuntamento con l'episodio numero 4 di "Terminator". Io credo sia un film che si può vedere in ogni momento in cui si cerchi un po' d'azione misto svago totale. Chiaro che conoscere il pregresso aiuterebbe, ma anche partendo direttamente da qui si può serenamente seguire tutta la vicenda capendo ciò che c'è da capire e rassegnandosi all'idea che fosse impossibile spiegare tutti gli avvenimenti precedenti in una trama che ha comunque abbastanza cose da raccontare. Cast ricco (Christian Bale, Sam Worthington, Bryce Dallas Howard, Anton Yelchin, Moon Bloodgood, Helena Bonham Carter, Common, Jane Alexander), scene adrenaliniche da videoclip e un quinto episodio pronto per uscire nelle sale il 9 luglio: "Terminator Genisys". E torna Arnold Schwarzenegger protagonista. Per chi vuole, c'è ancora tempo per recuperare.
Parola chiave: Cuore.
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mercoledì 11 febbraio 2015
Film 875 - Into the Woods
Molta, molta attesa per questa pellicola che segna il ritorno al musical di Meryl Streep...
Film 875: "Into the Woods" (2014) di Rob Marshall
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: inglese
Compagnia: Luigi
Pensieri: Francamente, al di là del fatto che a me piacciano i musical e che quindi abbia comunque apprezzato questo film, bisogna ammettere che è molto meno interessante rispetto a quello che mi aspettassi. Ed è un po' uno spreco.
Meryl Streep fa egregiamente il suo dovere attoriale cantando che è un piacere e, del resto, lo stesso si può dire di tutto il cast, eppure alla lunga la sensazione non è del tutto positiva, non è pienamente soddisfacente. Forse le canzoni per noi italiani, non essendo molto conosciute, perdono buona parte del loro fascino e probabilmente va aggiunto che la quasi totale mancanza di dialoghi parlati renderà la visione difficile (per non dire soporifera) ad alcuni; manca anche un titolo forte, un pezzo musicalmente orecchiabile e carismatico quanto basta a conquistare lo spettatore e la sua voglia di essere coinvolto in un numero musicale coi fiocchi. Anche se, da questo punto di vista, ci tengo a dire che la produzione si è spesa parecchio e il risultato è evidentemente molto curato e visivamente potente. Effetti speciali, ambientazioni suggestive, una fotografia perfetta e costumi sempre adatti (grazie alla mano esperta di Colleen Atwood) aiutanto questo film a elevarsi sopra la media, ovviamente meglio di quell'obrobrio di "Walking on Sunshine", ma anche stilisticamente più curato e preciso di "Mamma mia" - che nonostante il successone e l'apprezzabile tentativo di ricreare una certa frivolezza leggera come una canzone degli Abba, rimane in ogni caso stilisticamente molto acerbo, per non dire infantile.
Quello che rimane di "Into the Woods", quindi, è un piano tecnico praticamente ineccepibile, l'idea geniale di mixare insieme le favole dei fratelli Grimm "Cenerentola", "Cappuccetto Rosso" e "Raperonzolo" - insieme a "Jack e la pianta di fagioli" - e, naturalmente, il musical vincitore di 5 Tony Awards scritto da Stephen Sondheim che porta lo stesso titolo. Tutti e tre questi elementi, combinati al cast delle grandi occasioni (Meryl Streep, Emily Blunt, James Corden, Anna Kendrick, Chris Pine, Tracey Ullman, Christine Baranski, Johnny Depp, Lucy Punch, Lilla Crawford, Billy Magnussen, Mackenzie Mauzy, Tammy Blanchard), consegnano allo spettatore l'aspettativa (o l'illusione) di un grande spettacolo, quasi un probabile nuovo cult dopo i fasti colorati e ipnotici di "Moulin Rouge!", che però di fatto non si realizza. Perché questo film è fatto bene e ha tutte le carte in regola per ottenere un buon successo commerciale - non eclatante -, eppure non crea i presupposti per un sincero coinvolgimento dello spettatore, che seguirà sì le numerose vicende dei protagnoisti, senza mai però rimanere folgorato da ciò che sta vedendo. E' strano perché parliamo di un film che di magia ne tratta parecchio, eppure fallisce nell'intento di trasferire un po' di quella magia dichiarata e mostrata sullo schermo su di sé e la sua storia.
Ps. Forse qui l'aspetto narrativamente più interessante è quello che esplora cosa succeda dopo il lieto fine, dopo che il desiderio è stato esaudito. Cenerentola ha il suo principe, ma andrà bene? E il principe chi è veramente? Cappuccetto Rosso ha capito che non deve fidarsi di chiunque, ma poi come procederà la sua storia? E Jack, così disubbidiente e strano, come affronterà le conseguenze delle sue scorribande nel mondo dei giganti? Tutti questi interrogativi sono sviluppati in maniera certamente originale dalla trama e sono forse il vero punto di forza di questa pellicola che prende in esame e smonta lentamente i tipi narrativi delle fiabe elencati da Propp, per raggiungere ad un finale che è una via di mezzo tra un happy ending e come potrebbero andare realmente le cose nella vita vera (leggi morte, fine dell'amore, emancipazione dai luoghi comuni).
Box Office: $171.7 milioni
Consigli: In Italia programmato per il 2 aprile (suppongo in vista della Pasqua) nonostante di fatto non ci sia molto da tradurre e soprattutto si adattasse meglio all'aspettativa commerciale di un pubblico natalizio, questo "Into the Woods" non so quanto successo di pubblico potrà avere da noi. Dipenderà probabilmente anche dall'esito degli Oscar 2015 in cui il film ha ottenuto 3 nomination (Meryl Streep Miglior atrice non protagonista, Migliori costumi e Miglior scenografia), però rimane il fatto che il musical di Broadway da cui è tratto non è poi così popolare qui, né a dire il vero lo sono in maniera eclatante i musical in generale.
Al di là del mio personale scetticismo, posso dire che, ovvio, questa pellicola va vista soprattutto per il curioso cross-over di personaggi noti delle fiabe e per il corposo cast che vede in prima linea la Streep in grande, grandissima forma. Oserei dire che ogni nuovo film con lei dovrebbe comunque avere una possibilità, ma per coloro i quali questo diktat non abbia alcun valore, meglio considerare "Into the Woods" come uno dei pochi esperimenti recenti del genere cantato e che forse un musical ogni tanto varia la dieta cinematografica rendendola più piacevolmente eterogenea. Io mi aspettavo di più, però la vena piacevolmente dark, gli ottimi effetti speciali e la peculiarità estetica di questo prodotto cinematografico lo rendono sicuramente degno di almeno una visione.
Parola chiave: Maledizione.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 875: "Into the Woods" (2014) di Rob Marshall
Visto: dal computer di Luigi
Lingua: inglese
Compagnia: Luigi
Pensieri: Francamente, al di là del fatto che a me piacciano i musical e che quindi abbia comunque apprezzato questo film, bisogna ammettere che è molto meno interessante rispetto a quello che mi aspettassi. Ed è un po' uno spreco.
Meryl Streep fa egregiamente il suo dovere attoriale cantando che è un piacere e, del resto, lo stesso si può dire di tutto il cast, eppure alla lunga la sensazione non è del tutto positiva, non è pienamente soddisfacente. Forse le canzoni per noi italiani, non essendo molto conosciute, perdono buona parte del loro fascino e probabilmente va aggiunto che la quasi totale mancanza di dialoghi parlati renderà la visione difficile (per non dire soporifera) ad alcuni; manca anche un titolo forte, un pezzo musicalmente orecchiabile e carismatico quanto basta a conquistare lo spettatore e la sua voglia di essere coinvolto in un numero musicale coi fiocchi. Anche se, da questo punto di vista, ci tengo a dire che la produzione si è spesa parecchio e il risultato è evidentemente molto curato e visivamente potente. Effetti speciali, ambientazioni suggestive, una fotografia perfetta e costumi sempre adatti (grazie alla mano esperta di Colleen Atwood) aiutanto questo film a elevarsi sopra la media, ovviamente meglio di quell'obrobrio di "Walking on Sunshine", ma anche stilisticamente più curato e preciso di "Mamma mia" - che nonostante il successone e l'apprezzabile tentativo di ricreare una certa frivolezza leggera come una canzone degli Abba, rimane in ogni caso stilisticamente molto acerbo, per non dire infantile.
Quello che rimane di "Into the Woods", quindi, è un piano tecnico praticamente ineccepibile, l'idea geniale di mixare insieme le favole dei fratelli Grimm "Cenerentola", "Cappuccetto Rosso" e "Raperonzolo" - insieme a "Jack e la pianta di fagioli" - e, naturalmente, il musical vincitore di 5 Tony Awards scritto da Stephen Sondheim che porta lo stesso titolo. Tutti e tre questi elementi, combinati al cast delle grandi occasioni (Meryl Streep, Emily Blunt, James Corden, Anna Kendrick, Chris Pine, Tracey Ullman, Christine Baranski, Johnny Depp, Lucy Punch, Lilla Crawford, Billy Magnussen, Mackenzie Mauzy, Tammy Blanchard), consegnano allo spettatore l'aspettativa (o l'illusione) di un grande spettacolo, quasi un probabile nuovo cult dopo i fasti colorati e ipnotici di "Moulin Rouge!", che però di fatto non si realizza. Perché questo film è fatto bene e ha tutte le carte in regola per ottenere un buon successo commerciale - non eclatante -, eppure non crea i presupposti per un sincero coinvolgimento dello spettatore, che seguirà sì le numerose vicende dei protagnoisti, senza mai però rimanere folgorato da ciò che sta vedendo. E' strano perché parliamo di un film che di magia ne tratta parecchio, eppure fallisce nell'intento di trasferire un po' di quella magia dichiarata e mostrata sullo schermo su di sé e la sua storia.
Ps. Forse qui l'aspetto narrativamente più interessante è quello che esplora cosa succeda dopo il lieto fine, dopo che il desiderio è stato esaudito. Cenerentola ha il suo principe, ma andrà bene? E il principe chi è veramente? Cappuccetto Rosso ha capito che non deve fidarsi di chiunque, ma poi come procederà la sua storia? E Jack, così disubbidiente e strano, come affronterà le conseguenze delle sue scorribande nel mondo dei giganti? Tutti questi interrogativi sono sviluppati in maniera certamente originale dalla trama e sono forse il vero punto di forza di questa pellicola che prende in esame e smonta lentamente i tipi narrativi delle fiabe elencati da Propp, per raggiungere ad un finale che è una via di mezzo tra un happy ending e come potrebbero andare realmente le cose nella vita vera (leggi morte, fine dell'amore, emancipazione dai luoghi comuni).
Box Office: $171.7 milioni
Consigli: In Italia programmato per il 2 aprile (suppongo in vista della Pasqua) nonostante di fatto non ci sia molto da tradurre e soprattutto si adattasse meglio all'aspettativa commerciale di un pubblico natalizio, questo "Into the Woods" non so quanto successo di pubblico potrà avere da noi. Dipenderà probabilmente anche dall'esito degli Oscar 2015 in cui il film ha ottenuto 3 nomination (Meryl Streep Miglior atrice non protagonista, Migliori costumi e Miglior scenografia), però rimane il fatto che il musical di Broadway da cui è tratto non è poi così popolare qui, né a dire il vero lo sono in maniera eclatante i musical in generale.
Al di là del mio personale scetticismo, posso dire che, ovvio, questa pellicola va vista soprattutto per il curioso cross-over di personaggi noti delle fiabe e per il corposo cast che vede in prima linea la Streep in grande, grandissima forma. Oserei dire che ogni nuovo film con lei dovrebbe comunque avere una possibilità, ma per coloro i quali questo diktat non abbia alcun valore, meglio considerare "Into the Woods" come uno dei pochi esperimenti recenti del genere cantato e che forse un musical ogni tanto varia la dieta cinematografica rendendola più piacevolmente eterogenea. Io mi aspettavo di più, però la vena piacevolmente dark, gli ottimi effetti speciali e la peculiarità estetica di questo prodotto cinematografico lo rendono sicuramente degno di almeno una visione.
Parola chiave: Maledizione.
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martedì 10 febbraio 2015
Film 874 - Toy Story 3 - La grande fuga
Forse era ora di recuperarlo...
Film 874: "Toy Story 3 - La grande fuga" (2010) di Lee Unkrich
Visto: dal computer di Rosita
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Rosita, Pierluca
Pensieri: In occasione degli Oscar del 2011 avevo iniziato questa pellicola senza però trovare il tempo per terminarla, finendo così per lasciare questo terzo episodio di uno dei film d'animazione più rivoluzionari di sempre incompiuto. Non so perché avessi perso l'entusiasmo, ma per guardare il secondo tempo proprio non mi sembrava di avere il tempo. Così sono passati 4 anni e di "Toy Story 3" più nessuna traccia.
All'inizio di questo 2015, invece, una cena con film è stata la scusa perfetta per recuperarlo e dargli la chance che sinceramente questo film meritava. Uno dei pochissimi titoli d'animazione candidato anche a Miglior film agli Oscar, questa pellicola è riuscita a portarsi a casa 2 statuette su 5 candidature (Miglior film d'animazione e Miglior canzone), riuscendo nella non facile impresa di tornare sul grande schermo a 11 anni dal secondo episodio del franchise e facendo letteralmente il botto. Grandissimo successo di critica e pubblico, una valanga di premi e un incasso mondiale che supera il miliardo di dollari, questo "Toy Story 3 - La grande fuga" è, di fatto uno dei titoli d'animazione che ha incassato di più nella storia del cinema (era primo, ma è stato sorpassato da "Frozen").
Devo dire che il successo ottenuto qui è assolutamente meritato, la storia è - come spesso ci ha abituato la Pixar - geniale, divertente, spassosa e assolutamente originale, in grado di raccogliere lo spirito dei precedenti due titoli riuscendo però a modernizzare il franchise facendogli fare un balzo di un decennio che non soffre di assurdità o boiata, ma anzi consegna alla nuova generazione dei più piccoli una nuova saga a cui affezionarsi.
Insomma, recuperato il giusto spirito, ho davvero visto volentieri questo terzo "Toy Story". Riaffacciarsi al mondo dei giocattoli vivi, rivedere Buzz e Woody, giocare un'altra volta con Mr. e Mrs. Potato e Rex e soprattutto godersi i numerosi siparietti comici di Ken e Barbie è stato un vero piacere, nonché un personale tuffo nel passato. Forse non lo avrei premiato per la Miglior canzone originale - va detto che quell'anno non c'era davvero nulla di particolarmente forte in competizione -, ma in generale questo film d'animazione è assolutamente un piacere da seguire, anche per gli occhi.
Ps. In Italia sono molti i nomi noti che hanno doppiato il film, a partire da Fabrizio Frizzi (che fin dal primo titolo è stato la voce di Woody) e Massimo Dapporto (Buzz Lightyear). Tra i più famosi Ilaria Stagni, Fabio De Luigi, Claudia Gerini, Gerry Scotti, Giorgio Faletti.
Box Office: $1.063 miliardi
Consigli: La saga di "Toy Story" è ormai un cult e questo terzo capitolo (a cui si aggiungerà un quarto nel 2017) è assolutamente degno dei suoi predecessori.
Ormai destinati al disuso, i giocattoli di Andy vengono portati presso un asilo nido dove saranno in grado di rifarsi una vita, ovvero ritrovare il loro scopo. Woody, inizialmente conservato da Andy, finirà per tentare di salvare i suoi amici dalla migrazione forzata verso l'asilo che, inizialmente, si rivelerà però una specie di paradiso dei giocattoli gestito da Lotso Grandi Abbracci, un vecchio orso rosa. Naturalmente le insidie sono dietro l'angolo, perché come è immaginabile la facciata idilliaca sarà presto sostituita con quella più reale e che causerà non pochi problemi al gruppo di giocattoli. Non mancheranno quindi le avventure e ancora una volta il gruppo dovrà rimanere unito per ritrovare i suoi punti di forza dopo tanta incertezza e sfiducia.
Come si capisce, quindi, un film per bambini che affronta numerose tematiche anche più adulte, come l'abbandono, il capire quale sia il proprio posto, ma anche l'importanza del riciclo (i giocattoli donati da Andy faranno felice un'altra bambina). Tutto sommato, però, "Toy Story 3 - La grande fuga" è anche la scelta perfetta per quegli adulti di oggi che tempo fa avevano apprezzato il primo film del '95 o per chi volesse scoprire un trilogia che è sicuramente tra le migliori che l'animazione in computer grafica abbia prodotto.
Parola chiave: Inceneritore.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 874: "Toy Story 3 - La grande fuga" (2010) di Lee Unkrich
Visto: dal computer di Rosita
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi, Rosita, Pierluca
Pensieri: In occasione degli Oscar del 2011 avevo iniziato questa pellicola senza però trovare il tempo per terminarla, finendo così per lasciare questo terzo episodio di uno dei film d'animazione più rivoluzionari di sempre incompiuto. Non so perché avessi perso l'entusiasmo, ma per guardare il secondo tempo proprio non mi sembrava di avere il tempo. Così sono passati 4 anni e di "Toy Story 3" più nessuna traccia.
All'inizio di questo 2015, invece, una cena con film è stata la scusa perfetta per recuperarlo e dargli la chance che sinceramente questo film meritava. Uno dei pochissimi titoli d'animazione candidato anche a Miglior film agli Oscar, questa pellicola è riuscita a portarsi a casa 2 statuette su 5 candidature (Miglior film d'animazione e Miglior canzone), riuscendo nella non facile impresa di tornare sul grande schermo a 11 anni dal secondo episodio del franchise e facendo letteralmente il botto. Grandissimo successo di critica e pubblico, una valanga di premi e un incasso mondiale che supera il miliardo di dollari, questo "Toy Story 3 - La grande fuga" è, di fatto uno dei titoli d'animazione che ha incassato di più nella storia del cinema (era primo, ma è stato sorpassato da "Frozen").
Devo dire che il successo ottenuto qui è assolutamente meritato, la storia è - come spesso ci ha abituato la Pixar - geniale, divertente, spassosa e assolutamente originale, in grado di raccogliere lo spirito dei precedenti due titoli riuscendo però a modernizzare il franchise facendogli fare un balzo di un decennio che non soffre di assurdità o boiata, ma anzi consegna alla nuova generazione dei più piccoli una nuova saga a cui affezionarsi.
Insomma, recuperato il giusto spirito, ho davvero visto volentieri questo terzo "Toy Story". Riaffacciarsi al mondo dei giocattoli vivi, rivedere Buzz e Woody, giocare un'altra volta con Mr. e Mrs. Potato e Rex e soprattutto godersi i numerosi siparietti comici di Ken e Barbie è stato un vero piacere, nonché un personale tuffo nel passato. Forse non lo avrei premiato per la Miglior canzone originale - va detto che quell'anno non c'era davvero nulla di particolarmente forte in competizione -, ma in generale questo film d'animazione è assolutamente un piacere da seguire, anche per gli occhi.
Ps. In Italia sono molti i nomi noti che hanno doppiato il film, a partire da Fabrizio Frizzi (che fin dal primo titolo è stato la voce di Woody) e Massimo Dapporto (Buzz Lightyear). Tra i più famosi Ilaria Stagni, Fabio De Luigi, Claudia Gerini, Gerry Scotti, Giorgio Faletti.
Box Office: $1.063 miliardi
Consigli: La saga di "Toy Story" è ormai un cult e questo terzo capitolo (a cui si aggiungerà un quarto nel 2017) è assolutamente degno dei suoi predecessori.
Ormai destinati al disuso, i giocattoli di Andy vengono portati presso un asilo nido dove saranno in grado di rifarsi una vita, ovvero ritrovare il loro scopo. Woody, inizialmente conservato da Andy, finirà per tentare di salvare i suoi amici dalla migrazione forzata verso l'asilo che, inizialmente, si rivelerà però una specie di paradiso dei giocattoli gestito da Lotso Grandi Abbracci, un vecchio orso rosa. Naturalmente le insidie sono dietro l'angolo, perché come è immaginabile la facciata idilliaca sarà presto sostituita con quella più reale e che causerà non pochi problemi al gruppo di giocattoli. Non mancheranno quindi le avventure e ancora una volta il gruppo dovrà rimanere unito per ritrovare i suoi punti di forza dopo tanta incertezza e sfiducia.
Come si capisce, quindi, un film per bambini che affronta numerose tematiche anche più adulte, come l'abbandono, il capire quale sia il proprio posto, ma anche l'importanza del riciclo (i giocattoli donati da Andy faranno felice un'altra bambina). Tutto sommato, però, "Toy Story 3 - La grande fuga" è anche la scelta perfetta per quegli adulti di oggi che tempo fa avevano apprezzato il primo film del '95 o per chi volesse scoprire un trilogia che è sicuramente tra le migliori che l'animazione in computer grafica abbia prodotto.
Parola chiave: Inceneritore.
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venerdì 6 febbraio 2015
Film 873 - Seven
Era davvero ora di rivedere questo film, sia perché ormai titolo di culto, sia perché averlo visto una sola volta mi sembrava davvero troppo poco.
Film 873: "Seven" (1995) di David Fincher
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Stra-cult del genere thriller psicologico con annesso serial killer senza scrupoli, "Seven" o "Se7en" è senza dubbi uno dei migliori titoli in filmografia di chiunque coinvolto nel progetto. Certo David Fincher, Morgan Freeman, Brad Pitt e Kevin Spacey ci hanno abituato a pellicole di un certo livello spalmate regolarmente nella loro lunga lista di successi commerciali e non, cosa che non si può propriamente dire di Gwyneth Paltrow. Fortunata ad esserci dunque!
Cast a parte, che è davvero perfetto, rimane comunque la spettacolare storia di questi omicidi perfettamente concepiti per sorprendere e colpire i protagonisti, ma soprattutto gli spettatori, sconcertati e impauriti di fronte a tanta atroce violenza, eppure affascinati. L'idea di un sacrificio umano per ogni peccato capitale è, infatti, raccapricciante eppure affascinante; non si può fare a meno di domandarsi man mano che la storia procede cosa l'assassino seriale sarà in grado di mettere in scena per simboleggiare il successivo peccato mortale.
E allora via, giù nel vortice buio e malato di John Doe cercando di capirne motivazioni e intenzioni, valutando ogni possibile nuovo scenario e, soprattutto, cercando di battere sul tempo una ferocia inaudita che pare non poter essere fermata. I detective Somerset e Mills, due persone agli antipodi, dovranno imparare a conoscersi e rispettarsi per riuscire a portare avanti un'indagine che, per il primo, sarà l'ultima della sua carriera prima della pensione, mentre per il secondo sarà di fatto una condanna a morte.
Non risparmia niente a nessuno questa storia, "Seven" è un film crudo già a partire dai titoli di testa - identici a quelli del recente "American Horror Story" - e che procede fermo su un cammino che non accennerà a cambiare direzione nemmeno nello sconcertante finale. Ricordiamoci che 20 anni fa l'happy ending aveva ancora un valore specifico nell'immaginario cinematografico e anche se questo genere di pellicola a tinte horror di certo non lo ha mai garantito, una specie di patto con lo spettatore veniva stipulato al momento del finale, riservando una qualche forma di chiusura del 'cerchio dell'orrore' che metteva fine alla sequenza di eventi straordinari prolungatisi per tutta la storia, facendo raggiungere una sorta di equilibrio pacificatore. Qui, invece, non è così. La follia di John Doe (documentarsi sul significato che questo nome comune ha nella cultura americano-anglosassone) è implacabile, segue un piano e più questo riesce a svilupparsi più ci si rende conto di quanto sadico e fuori di testa sia quest'uomo. Per Kevin Spacey davvero un ruolo memorabile, potenziato all'epoca da un effetto a sorpresa ricercato: il suo nome, infatti, non compariva né nei titoli di testa, né sulle locandine promozionali, così da evitare che una parte del pubblico si aspettasse di vederlo prima o poi comparire.
Insomma, rivedere "Seven" è stata un'ottima scelta, mi ha aiutato a rispolverare la memoria e rinfrescare certi particolari che nel tempo si erano sbiaditi. Freeman e Pitt sono una strana coppia che sullo schermo funziona alla grande, la storia è geniale e disturbante, il finale indimenticabile, fotografia e scenografie perfettamente funzionali a creare nello spettatore quell'inquietudine, quel marcio salmastro che richiedeva una moderna discesa agli inferi come questa. Insomma, tutto perfetto, tutto quasi da subito cult. E, naturalmente, il publico l'ha vista lunga (33 milioni di dollari per produrlo e più di 300 d'incasso) a differenza di un'Academy che ha considerato questo titolo solo con una nomination per il Miglior montaggio (almeno ai BAFTA anno avuto il coraggio di riconoscere una candidatura per la Miglior sceneggiatura originale).
Film 1553 - Se7en
Box Office: $327.3 milioni
Consigli: Tanto crudo da sembrare un horror, eppure è più che altro un thriller. C'è un serial killer, ci sono numerose vittime (già, 7), ci sono due polizziotti di New York che indagano ognuno a proprio modo su quello che sta succedendo. Quattro anni prima che le labbra di Angelina Jolie sdoganassero sul grande schermo come indaga la scientifica su prove e modus operandi degli assassini ("Il collezionista di ossa") e 9 anni prima che le stesse labbra riprovassero a bissare il successo nuovamente aggrappandosi al profiling dei criminali ("Identità violate"), suo marito Brad Pitt grazie a questo film aveva già imparato l'arte del mettersi nella testa di qualcun'altro, sia metaforicamente parlando che... non proprio.
Consiglio vivamente la visione di questo piccolo capolavoro di Fincher, ennesimo esempio della capacità del regista di portare letteralmente in vita le sue storie, riuscendo a creare ogni volta da zero un mondo parallelo adatto ogni volta alla nuova storia che intende raccontarci. Questo, insieme a "Fight Club" è sicuramente il suo titolo più suggestivo e iconico, riuscito a 20 anni di distanza dalla sua uscita nelle sale a mettermi ancora un'ansia e una sensazione di irrequeitezza che neanche avessi ancora 8 anni. Bello, imperdibile.
Parola chiave: Scatola.
Trailer
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Bengi
Film 873: "Seven" (1995) di David Fincher
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Stra-cult del genere thriller psicologico con annesso serial killer senza scrupoli, "Seven" o "Se7en" è senza dubbi uno dei migliori titoli in filmografia di chiunque coinvolto nel progetto. Certo David Fincher, Morgan Freeman, Brad Pitt e Kevin Spacey ci hanno abituato a pellicole di un certo livello spalmate regolarmente nella loro lunga lista di successi commerciali e non, cosa che non si può propriamente dire di Gwyneth Paltrow. Fortunata ad esserci dunque!
Cast a parte, che è davvero perfetto, rimane comunque la spettacolare storia di questi omicidi perfettamente concepiti per sorprendere e colpire i protagonisti, ma soprattutto gli spettatori, sconcertati e impauriti di fronte a tanta atroce violenza, eppure affascinati. L'idea di un sacrificio umano per ogni peccato capitale è, infatti, raccapricciante eppure affascinante; non si può fare a meno di domandarsi man mano che la storia procede cosa l'assassino seriale sarà in grado di mettere in scena per simboleggiare il successivo peccato mortale.
E allora via, giù nel vortice buio e malato di John Doe cercando di capirne motivazioni e intenzioni, valutando ogni possibile nuovo scenario e, soprattutto, cercando di battere sul tempo una ferocia inaudita che pare non poter essere fermata. I detective Somerset e Mills, due persone agli antipodi, dovranno imparare a conoscersi e rispettarsi per riuscire a portare avanti un'indagine che, per il primo, sarà l'ultima della sua carriera prima della pensione, mentre per il secondo sarà di fatto una condanna a morte.
Non risparmia niente a nessuno questa storia, "Seven" è un film crudo già a partire dai titoli di testa - identici a quelli del recente "American Horror Story" - e che procede fermo su un cammino che non accennerà a cambiare direzione nemmeno nello sconcertante finale. Ricordiamoci che 20 anni fa l'happy ending aveva ancora un valore specifico nell'immaginario cinematografico e anche se questo genere di pellicola a tinte horror di certo non lo ha mai garantito, una specie di patto con lo spettatore veniva stipulato al momento del finale, riservando una qualche forma di chiusura del 'cerchio dell'orrore' che metteva fine alla sequenza di eventi straordinari prolungatisi per tutta la storia, facendo raggiungere una sorta di equilibrio pacificatore. Qui, invece, non è così. La follia di John Doe (documentarsi sul significato che questo nome comune ha nella cultura americano-anglosassone) è implacabile, segue un piano e più questo riesce a svilupparsi più ci si rende conto di quanto sadico e fuori di testa sia quest'uomo. Per Kevin Spacey davvero un ruolo memorabile, potenziato all'epoca da un effetto a sorpresa ricercato: il suo nome, infatti, non compariva né nei titoli di testa, né sulle locandine promozionali, così da evitare che una parte del pubblico si aspettasse di vederlo prima o poi comparire.
Insomma, rivedere "Seven" è stata un'ottima scelta, mi ha aiutato a rispolverare la memoria e rinfrescare certi particolari che nel tempo si erano sbiaditi. Freeman e Pitt sono una strana coppia che sullo schermo funziona alla grande, la storia è geniale e disturbante, il finale indimenticabile, fotografia e scenografie perfettamente funzionali a creare nello spettatore quell'inquietudine, quel marcio salmastro che richiedeva una moderna discesa agli inferi come questa. Insomma, tutto perfetto, tutto quasi da subito cult. E, naturalmente, il publico l'ha vista lunga (33 milioni di dollari per produrlo e più di 300 d'incasso) a differenza di un'Academy che ha considerato questo titolo solo con una nomination per il Miglior montaggio (almeno ai BAFTA anno avuto il coraggio di riconoscere una candidatura per la Miglior sceneggiatura originale).
Film 1553 - Se7en
Box Office: $327.3 milioni
Consigli: Tanto crudo da sembrare un horror, eppure è più che altro un thriller. C'è un serial killer, ci sono numerose vittime (già, 7), ci sono due polizziotti di New York che indagano ognuno a proprio modo su quello che sta succedendo. Quattro anni prima che le labbra di Angelina Jolie sdoganassero sul grande schermo come indaga la scientifica su prove e modus operandi degli assassini ("Il collezionista di ossa") e 9 anni prima che le stesse labbra riprovassero a bissare il successo nuovamente aggrappandosi al profiling dei criminali ("Identità violate"), suo marito Brad Pitt grazie a questo film aveva già imparato l'arte del mettersi nella testa di qualcun'altro, sia metaforicamente parlando che... non proprio.
Consiglio vivamente la visione di questo piccolo capolavoro di Fincher, ennesimo esempio della capacità del regista di portare letteralmente in vita le sue storie, riuscendo a creare ogni volta da zero un mondo parallelo adatto ogni volta alla nuova storia che intende raccontarci. Questo, insieme a "Fight Club" è sicuramente il suo titolo più suggestivo e iconico, riuscito a 20 anni di distanza dalla sua uscita nelle sale a mettermi ancora un'ansia e una sensazione di irrequeitezza che neanche avessi ancora 8 anni. Bello, imperdibile.
Parola chiave: Scatola.
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giovedì 5 febbraio 2015
Film 872 - Come ammazzare il capo 2
Ero curioso di vedere questo film per una serie di motivi, tra i quali che il primo episodio mi era piaciuto e, soprattutto, che questo secondo è stato un clamoroso flop.
Film 872: "Come ammazzare il capo 2" (2014) di Sean Anders
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Una premessa veloce: questo è il sequel di un film che in originale si intitola "Horrible Bosses" e a cui è bastato aggiungere un semplice '2' per esplicitarne il carattere consequenziale rispetto al tempo della prima pellicola. Se anche noi in Italia ci limitassimo a mantenere titolazioni facili e intuitive, non sarebbe stato necessario diversificare i nomi dei due episodi di questo franchise, il primo "Come ammazzare il capo... e vivere felici" e il secondo "Come ammazzare il capo 2". La scelta di troncare il secondo già di per sé esplicita quanto fosse idiota la scelta del primo titolo.
Ciò detto, la prima vera cosa di cui occuparsi relativamente a questo "Horrible Bosses 2" riguarda il clamoroso flop al botteghino mondiale. Per capirci meglio, parliamo di cifre. "Horrible Bosses", costato tra i 35 e i 37 milioni di dollari, nel 2011 incassò qualcosa come $209.6 milioni di dollari. Forti di questo inaspettato successo, i produttori hanno portato il budget di "Horrible Bosses 2" a 42 milioni di dollari, richiamato tutto il cast precedente, aggiunto qualche altra star per essere sicuri di fare il botto e, invece, si sono visti dimezzare gli incassi. Letteralmente (vedi sotto). Cos'è successo, nel frattempo?
Beh, innanzitutto nel 2011 l'unico titolo veramente imbattibile che ha opposto resistenza al primo titolo era "Transformers: Dark of the Moon", ancora primo in classifica in America alla sua seconda settimana. Altri titoli di successo c'erano, ma erano già almeno alla loro terza settimana in classifica, quindi meno 'agguerriti'. Quello che è successo a fine 2014, invece, è un po' diverso. Innanzitutto alla sua seconda settimana alla #1 c'era "Hunger Games: il canto della rivolta - Parte I" che è rimasto stabile in vetta dal 21 novembre all'11 dicembre. Poi contemporaneamente a questo "Horrible Bosses 2" usciva "I pinguini di Madagascar" che è finito alla #2, facendo scendere alla #3 uno dei successi più clamorosi della fine dell'anno, ovvero "Big Hero 6". Il nostro sequel, quindi, se l'è dovuta giocare con "Interstellar" di Nolan che, sebbene fosse ormai alla sua quarta settimana, gli ha lasciato la posizione #4 in classifica per meno di un milione di dollari. Insomma, francamente "Come ammazzare il capo 2" è stato o mal posizionato a livello di data d'uscita o eccessivamente sopravvalutato dai produttori.
Dopo questa attenta analisi del mercato cinematografico USA, passiamo - finalmente si dirà - al titolo in questione che, sinceramente, è sufficientemente divertente da risultare spassoso. Jason Bateman, Jason Sudeikis e Charlie Day sono un trio collaudato e bene, inanellano una gag dietro l'altra senza lasciare che si intrappongano tempi morti fatali per una commedia del genere. Ma poi, quale genere, per la precisione? Beh, ovviamente quella volgarissima, sessualmente esplicita e politicamente scorretta che strizza l'occhio ai giovani che vogliono solo divertirsi, ma chiamano all'appello anche il pubblico più adulto regalando un ruolo estremamente disinibito alla ormai 45enne Jennifer Aniston. Va detto che qui tutto il lavoro lo fa il cast (Bateman, Day, Sudeikis, Aniston, Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kevin Spacey, ma soprattutto un energico Chris Pine davvero efficace), in grado di sorreggere una trama altrimenti banalotta e molto caotica che, necessariamente, ricalca la formula dell'originale, senza però riuscire a riprodurne la peculiarità narrativa. Se, infatti, l'idea di far fuori i capi vessanti, irriconoscenti o ninfomani della prima trama era azzeccata, intrigante e maledettamente divertente, questa volta il tentativo di rapimento che diventa ricatto con la complicità stessa del rapito è meno centrato, diciamo.
Anche se tutto sommato non si può assolutamente dire che questo prodotto commerciale sia meno riuscito di altri che hanno avuto ben più successo, la sorte lo ha visto sfavorito, ma davvero la colpa non è del prodotto in sé, quanto forse più che altro delle tempistiche (d'uscita, che probabilmente avrebbero dovuto ricalcare l'onda estiva del primo film).
Quindi a parte essere tutti concordi sul fatto che "Come ammazzare il capo 2" è, come si suol dire, la classica commedia americana - odierna, aggiungo io - non lo si può bacchettare per altri motivi. Le trovate irriverenti ci sono, la giusta dose di follia pure, un piano che va in toto a rotoli è alla base di tutto, quindi questa pellicola ha tutte le carte in regola del caso per essere guardata senza pensieri facendosi qualche tranquilla risata, passando una piacevole serata.
Film 317 - Come ammazzare il capo... e vivere felici
Film 1649 - Horrible Bosses
Film 872 - Come ammazzare il capo 2
Film 1654 - Horrible Bosses 2
Box Office: $106.6 milioni
Consigli: "Come ammazzare il capo 2" è simpatico, anche se meno del primo. Comunque funziona e il trio di protagonisti riesce di nuovo a creare la giusta atmosfera di follia misto incosapevolezza che sta alla base del divertimento di questo franchise. Si aggiunge aBateman, Day e Sudeikis il Capitano Kirk alias Chris Pine, qui magnetica spalla capace di rubare spesso la scena ai protagonisti. Unica figura che ho trovato davvero inutile è Christoph Waltz in un ruolo che poteva rivestire chiunque per tanto che è insignificante. Comunque il risultato finale è conforme alle aspettative, chiassono, rissoso, caotico, sbroccato e confusionario quanto basta per ricordare il precedente film distaccandosene, però, leggermente. Insomma, se piacciono le commedie americane senza pretese, con un bel cast ricco di celebrità e una trama che rasenta spessissimo l'assurdo, beh, questo è certamente uno dei titoli della stagione a cui dare una chance (ma prima a "22 Jump Street"!).
Parola chiave: "Roar".
Trailer
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Bengi
Film 872: "Come ammazzare il capo 2" (2014) di Sean Anders
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Una premessa veloce: questo è il sequel di un film che in originale si intitola "Horrible Bosses" e a cui è bastato aggiungere un semplice '2' per esplicitarne il carattere consequenziale rispetto al tempo della prima pellicola. Se anche noi in Italia ci limitassimo a mantenere titolazioni facili e intuitive, non sarebbe stato necessario diversificare i nomi dei due episodi di questo franchise, il primo "Come ammazzare il capo... e vivere felici" e il secondo "Come ammazzare il capo 2". La scelta di troncare il secondo già di per sé esplicita quanto fosse idiota la scelta del primo titolo.
Ciò detto, la prima vera cosa di cui occuparsi relativamente a questo "Horrible Bosses 2" riguarda il clamoroso flop al botteghino mondiale. Per capirci meglio, parliamo di cifre. "Horrible Bosses", costato tra i 35 e i 37 milioni di dollari, nel 2011 incassò qualcosa come $209.6 milioni di dollari. Forti di questo inaspettato successo, i produttori hanno portato il budget di "Horrible Bosses 2" a 42 milioni di dollari, richiamato tutto il cast precedente, aggiunto qualche altra star per essere sicuri di fare il botto e, invece, si sono visti dimezzare gli incassi. Letteralmente (vedi sotto). Cos'è successo, nel frattempo?
Beh, innanzitutto nel 2011 l'unico titolo veramente imbattibile che ha opposto resistenza al primo titolo era "Transformers: Dark of the Moon", ancora primo in classifica in America alla sua seconda settimana. Altri titoli di successo c'erano, ma erano già almeno alla loro terza settimana in classifica, quindi meno 'agguerriti'. Quello che è successo a fine 2014, invece, è un po' diverso. Innanzitutto alla sua seconda settimana alla #1 c'era "Hunger Games: il canto della rivolta - Parte I" che è rimasto stabile in vetta dal 21 novembre all'11 dicembre. Poi contemporaneamente a questo "Horrible Bosses 2" usciva "I pinguini di Madagascar" che è finito alla #2, facendo scendere alla #3 uno dei successi più clamorosi della fine dell'anno, ovvero "Big Hero 6". Il nostro sequel, quindi, se l'è dovuta giocare con "Interstellar" di Nolan che, sebbene fosse ormai alla sua quarta settimana, gli ha lasciato la posizione #4 in classifica per meno di un milione di dollari. Insomma, francamente "Come ammazzare il capo 2" è stato o mal posizionato a livello di data d'uscita o eccessivamente sopravvalutato dai produttori.
Dopo questa attenta analisi del mercato cinematografico USA, passiamo - finalmente si dirà - al titolo in questione che, sinceramente, è sufficientemente divertente da risultare spassoso. Jason Bateman, Jason Sudeikis e Charlie Day sono un trio collaudato e bene, inanellano una gag dietro l'altra senza lasciare che si intrappongano tempi morti fatali per una commedia del genere. Ma poi, quale genere, per la precisione? Beh, ovviamente quella volgarissima, sessualmente esplicita e politicamente scorretta che strizza l'occhio ai giovani che vogliono solo divertirsi, ma chiamano all'appello anche il pubblico più adulto regalando un ruolo estremamente disinibito alla ormai 45enne Jennifer Aniston. Va detto che qui tutto il lavoro lo fa il cast (Bateman, Day, Sudeikis, Aniston, Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kevin Spacey, ma soprattutto un energico Chris Pine davvero efficace), in grado di sorreggere una trama altrimenti banalotta e molto caotica che, necessariamente, ricalca la formula dell'originale, senza però riuscire a riprodurne la peculiarità narrativa. Se, infatti, l'idea di far fuori i capi vessanti, irriconoscenti o ninfomani della prima trama era azzeccata, intrigante e maledettamente divertente, questa volta il tentativo di rapimento che diventa ricatto con la complicità stessa del rapito è meno centrato, diciamo.
Anche se tutto sommato non si può assolutamente dire che questo prodotto commerciale sia meno riuscito di altri che hanno avuto ben più successo, la sorte lo ha visto sfavorito, ma davvero la colpa non è del prodotto in sé, quanto forse più che altro delle tempistiche (d'uscita, che probabilmente avrebbero dovuto ricalcare l'onda estiva del primo film).
Quindi a parte essere tutti concordi sul fatto che "Come ammazzare il capo 2" è, come si suol dire, la classica commedia americana - odierna, aggiungo io - non lo si può bacchettare per altri motivi. Le trovate irriverenti ci sono, la giusta dose di follia pure, un piano che va in toto a rotoli è alla base di tutto, quindi questa pellicola ha tutte le carte in regola del caso per essere guardata senza pensieri facendosi qualche tranquilla risata, passando una piacevole serata.
Film 317 - Come ammazzare il capo... e vivere felici
Film 1649 - Horrible Bosses
Film 872 - Come ammazzare il capo 2
Film 1654 - Horrible Bosses 2
Box Office: $106.6 milioni
Consigli: "Come ammazzare il capo 2" è simpatico, anche se meno del primo. Comunque funziona e il trio di protagonisti riesce di nuovo a creare la giusta atmosfera di follia misto incosapevolezza che sta alla base del divertimento di questo franchise. Si aggiunge aBateman, Day e Sudeikis il Capitano Kirk alias Chris Pine, qui magnetica spalla capace di rubare spesso la scena ai protagonisti. Unica figura che ho trovato davvero inutile è Christoph Waltz in un ruolo che poteva rivestire chiunque per tanto che è insignificante. Comunque il risultato finale è conforme alle aspettative, chiassono, rissoso, caotico, sbroccato e confusionario quanto basta per ricordare il precedente film distaccandosene, però, leggermente. Insomma, se piacciono le commedie americane senza pretese, con un bel cast ricco di celebrità e una trama che rasenta spessissimo l'assurdo, beh, questo è certamente uno dei titoli della stagione a cui dare una chance (ma prima a "22 Jump Street"!).
Parola chiave: "Roar".
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Bengi
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mercoledì 4 febbraio 2015
Film 871 - The Imitation Game
Uno dei titoli candidati all'Oscar che ero più sinceramente curioso di vedere.
Film 871: "The Imitation Game" (2014) di Morten Tyldum
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: "The Imitation Game" sarà quest'anno quello è stato l'anno scorso "American Hustle", ovvero il grande escluso. Da cosa? Dai vincitori agli Oscar 2015.
I suoi concorrenti, infatti, sembrano essere più forti un po' su ogni fronte (soprattutto nelle categorie attoriali, dove apparentemente sono imbattibili sia Eddie Redmayne/Michael Keaton che Patricia Arquette) e anche la speranza di vedere questa pellicola trionfare come Miglior film pare ogettivamente improbabile ("Boyhood" e "Birdman" i più quotati).
Fatta questa premessa, devo dire che questo titolo storico-biografico su Alan Turing e la sua macchina in grado di codificare l'indecifrabile Enigma è stato molto interessante e il risultato finale mi è molto piaciuto.
Benedict Cumberbatch è uno di quegli attori bravi e riconosciuti universalmente che sembra sempre riscuotere il successo che merita, anche se nel concreto non è proprio così. Per l'attore, infatti, siamo alla prima nomination all'Oscar e a parte un Emmy vinto per "Sherlock" (per l'episodio "His Last Vow"), quanto a premi conseguiti siamo in una fase ancora acerba. E' plausibile pensare che, in un futuro, potrebbe vedersi riconoscere ben altri successi, ma per il momento non mi pare si possa pronosticare una vittoria. Un vero peccato perché la sua interpretazione del geniale matematico omosessuale è veramente buona, appassionata e appassionante, struggente nel finale.
E', quindi, molto per merito di Cumberbatch se il film funziona. Il suo personaggio, oltre a mettere in ombra gli altri soprattutto per motivi caratteriali, è un enigma da risolvere pari a quello che lui stesso si promette di districare. In una specie di parallelismo tra le molte ombre di Turing e l'incapacità di capire il meccanismo cifrato dietro Enigma, la trama ripercorre idee e tentativi, successi e illusioni, frustrazioni ed espisodi di un quotidiano fatto di guerra (Mondiale, seconda) e di molte idee (per far funzionare "Christopher", la macchina inventata dal matematico).
Al di là del fatto angosciante che si tratti di un episodio reale e che, naturalmente, lo spettatore non possa mai prescindere da una dimensione storica e concreta, rimane comunque costantemente presente l'aspetto intrigante di questo racconto, legato ad un personaggio sufficientemente fuori dal comune da piacere. Lo accompagnano un buon cast di comprimari (Matthew Goode, Rory Kinnear, Charles Dance, Mark Strong, Allen Leech) capitanati da una Keira Knightley in gran forma e giustamente candidata all'Oscar nel ruolo dell'amore di facciata di Turing, Joan Clarke.
Molti temi si intrecciano, e l'aspetto centrale di Enigma è solo uno dei tanti: la complicità tra i due futuri coniugi, l'omosessualità di Turing e la conseguente infelicità (a cui si aggiunge l'episodio di Christopher), la difficoltà dei rapporti umani e la diffidenza degli altri membri del gruppo, gli episodi di spionaggio e il durissimo momento in cui, di fronte alla soluzione di Enigma, diventa chiaro a tutti che per sconfiggere il nemico nazista sarà necessario conservare ancora per molto il segreto.
E' chiaro, dunque, che "The Imitation Game" sia nel suo complesso un titolo difficile, nel senso che presenta verità complesse da digerire e gestire per lo spettatore. In questo sta il grande pregio della pellicola, che non si risparmia, non nasconde e non addolcisce la pillola, pur riuscendo a valorizzare e non denaturalizzare le azioni di un gruppo di persone che, diverse una dall'altra, hanno avuto il difficilissimo compito di impedire ad un nemico globale di terrorizzare ulteriormente l'Europa e i suoi abitanti. Si parla di un pezzo di storia doloroso e un film che ne tratta non può che rifletterne le implicazioni.
Eppure consiglio caldamente la visione di questo prodotto cinematografico nato "di nicchia" (14 milioni di dollari di budget) e riuscito a diventare vero e proprio fenomeno commerciale. "The Imitation Game" ripaga lo spettatore dell'attenzione che richiede regalando un risultato finale forte e compatto in cui spicca un protagonista che merita di essere ricordato e celebrato.
Box Office: $132.9 milioni
Consigli: Tratto dalla storia vera di Alan Turing, questo film racconta dettagliatamente le vicende del matematico che, negli anni della seconda Guerra Mondiale, fu messo a capo di una squadra di persone incaricate dal governo inglese di risolvere il codice criptato dietro alla macchina usata dai tedeschi per comunicare, chiamata Enigma. La soluzione, oltre a portare alla salvezza di milioni di vite, sarà anche la base di una delle scoperte scientifico-tecnologiche più importanti della storia moderna.
Anche solo per queste premesse che coinvolgono sia il genere biografico che quello thriller, bisognerebbe tenere in considerazione "The Imitation Game", ottimo esempio cinematografico di quale sia lo stato dell'arte del cinema britannico (che quest'anno ha 3 titoli, sugli 8 disponibili, in lizza per il Miglior film agli Oscar). E' chiaramente una storia che richiede attenzione e non si presta ad un intrattenimento spensierato adatto ad ogni momento. Eppure, più di altri titoli, questo è certamente tra quelli da vedere tra i migliori prodotti nella stagione scorsa.
Parola chiave: Computer.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 871: "The Imitation Game" (2014) di Morten Tyldum
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: "The Imitation Game" sarà quest'anno quello è stato l'anno scorso "American Hustle", ovvero il grande escluso. Da cosa? Dai vincitori agli Oscar 2015.
I suoi concorrenti, infatti, sembrano essere più forti un po' su ogni fronte (soprattutto nelle categorie attoriali, dove apparentemente sono imbattibili sia Eddie Redmayne/Michael Keaton che Patricia Arquette) e anche la speranza di vedere questa pellicola trionfare come Miglior film pare ogettivamente improbabile ("Boyhood" e "Birdman" i più quotati).
Fatta questa premessa, devo dire che questo titolo storico-biografico su Alan Turing e la sua macchina in grado di codificare l'indecifrabile Enigma è stato molto interessante e il risultato finale mi è molto piaciuto.
Benedict Cumberbatch è uno di quegli attori bravi e riconosciuti universalmente che sembra sempre riscuotere il successo che merita, anche se nel concreto non è proprio così. Per l'attore, infatti, siamo alla prima nomination all'Oscar e a parte un Emmy vinto per "Sherlock" (per l'episodio "His Last Vow"), quanto a premi conseguiti siamo in una fase ancora acerba. E' plausibile pensare che, in un futuro, potrebbe vedersi riconoscere ben altri successi, ma per il momento non mi pare si possa pronosticare una vittoria. Un vero peccato perché la sua interpretazione del geniale matematico omosessuale è veramente buona, appassionata e appassionante, struggente nel finale.
E', quindi, molto per merito di Cumberbatch se il film funziona. Il suo personaggio, oltre a mettere in ombra gli altri soprattutto per motivi caratteriali, è un enigma da risolvere pari a quello che lui stesso si promette di districare. In una specie di parallelismo tra le molte ombre di Turing e l'incapacità di capire il meccanismo cifrato dietro Enigma, la trama ripercorre idee e tentativi, successi e illusioni, frustrazioni ed espisodi di un quotidiano fatto di guerra (Mondiale, seconda) e di molte idee (per far funzionare "Christopher", la macchina inventata dal matematico).
Al di là del fatto angosciante che si tratti di un episodio reale e che, naturalmente, lo spettatore non possa mai prescindere da una dimensione storica e concreta, rimane comunque costantemente presente l'aspetto intrigante di questo racconto, legato ad un personaggio sufficientemente fuori dal comune da piacere. Lo accompagnano un buon cast di comprimari (Matthew Goode, Rory Kinnear, Charles Dance, Mark Strong, Allen Leech) capitanati da una Keira Knightley in gran forma e giustamente candidata all'Oscar nel ruolo dell'amore di facciata di Turing, Joan Clarke.
Molti temi si intrecciano, e l'aspetto centrale di Enigma è solo uno dei tanti: la complicità tra i due futuri coniugi, l'omosessualità di Turing e la conseguente infelicità (a cui si aggiunge l'episodio di Christopher), la difficoltà dei rapporti umani e la diffidenza degli altri membri del gruppo, gli episodi di spionaggio e il durissimo momento in cui, di fronte alla soluzione di Enigma, diventa chiaro a tutti che per sconfiggere il nemico nazista sarà necessario conservare ancora per molto il segreto.
E' chiaro, dunque, che "The Imitation Game" sia nel suo complesso un titolo difficile, nel senso che presenta verità complesse da digerire e gestire per lo spettatore. In questo sta il grande pregio della pellicola, che non si risparmia, non nasconde e non addolcisce la pillola, pur riuscendo a valorizzare e non denaturalizzare le azioni di un gruppo di persone che, diverse una dall'altra, hanno avuto il difficilissimo compito di impedire ad un nemico globale di terrorizzare ulteriormente l'Europa e i suoi abitanti. Si parla di un pezzo di storia doloroso e un film che ne tratta non può che rifletterne le implicazioni.
Eppure consiglio caldamente la visione di questo prodotto cinematografico nato "di nicchia" (14 milioni di dollari di budget) e riuscito a diventare vero e proprio fenomeno commerciale. "The Imitation Game" ripaga lo spettatore dell'attenzione che richiede regalando un risultato finale forte e compatto in cui spicca un protagonista che merita di essere ricordato e celebrato.
Box Office: $132.9 milioni
Consigli: Tratto dalla storia vera di Alan Turing, questo film racconta dettagliatamente le vicende del matematico che, negli anni della seconda Guerra Mondiale, fu messo a capo di una squadra di persone incaricate dal governo inglese di risolvere il codice criptato dietro alla macchina usata dai tedeschi per comunicare, chiamata Enigma. La soluzione, oltre a portare alla salvezza di milioni di vite, sarà anche la base di una delle scoperte scientifico-tecnologiche più importanti della storia moderna.
Anche solo per queste premesse che coinvolgono sia il genere biografico che quello thriller, bisognerebbe tenere in considerazione "The Imitation Game", ottimo esempio cinematografico di quale sia lo stato dell'arte del cinema britannico (che quest'anno ha 3 titoli, sugli 8 disponibili, in lizza per il Miglior film agli Oscar). E' chiaramente una storia che richiede attenzione e non si presta ad un intrattenimento spensierato adatto ad ogni momento. Eppure, più di altri titoli, questo è certamente tra quelli da vedere tra i migliori prodotti nella stagione scorsa.
Parola chiave: Computer.
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