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martedì 12 aprile 2016

Film 1114 - Pan - Viaggio sull'isola che non c'è

Ero curioso di vederlo, ma al cinema me lo ero perso. Così appena ho potuto l'ho recuperato.
Film 1114: "Pan - Viaggio sull'isola che non c'è" (2015) di Joe Wright
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Sono sempre stato fan di Joe Wright e i suoi film li ho visti praticamente tutti e mi spiace dire che, questa volta, il risultato è un po' insipido.
Premesso che la storia di Peter Pan non mi ha mai particolarmente entusiasmato, questa ulteriore revisitazione non aggiunge granché a quanto fino ad ora il grande schermo ci aveva già regalato. Tutti gli escamotage portati in aiuto dalla trama non sono sufficienti a rinnovare, di fatto, la storia che risulta alla fine una sorta di copia sbiadita rispetto all'intramontabile classico Disney o una versione pompata di effetti speciali del già più magico "Hook" di Spielberg.
Il finale francamente non mi ha convinto e l'ho trovato una sorta di viaggio sul pianeta Krypton; gli assurdi costumi di Giglio Tigrato (Rooney Mara) sono più strani che belli e il personaggio di Uncino (Garrett Hedlund) in versione amica mi ha soddisfatto poco, soprattutto perché il nemico Barbanera (Hugh Jackman) non mi ha convinto per niente.
Insomma, al di là della polemica relativa alla scelta di un cast in prevalenza bianco - principalmente è stato molto attaccato l'ingaggio della Mara per interpretare Giglio Tigrato che è, in realtà, un'indiana d'America -, il punto è che "Pan" non è un film riuscito, quanto più un insieme di meraviglie visive che perdono molta della loro magia una volta condensate nel risultato finale. Un po' un peccato: il potenziale c'era.
Ps. Candidato a 2 Razzie Awards per le peggiori attrici (Rooney Mara e Amanda Seyfried).
Cast: Hugh Jackman, Garrett Hedlund, Rooney Mara, Levi Miller, Adeel Akhtar, Nonso Anozie, Amanda Seyfried, Kathy Burke, Cara Delevingne.
Box Office: $128.4 milioni
Consigli: Gigantesco flop al botteghino mondiale (il film è costato 150 milioni di dollari), questo "Pan - Viaggio sull'isola che non c'è" non è certamente uno dei titoli più rappresentativi della filmografia di Joe Wright che ha diretto molto di meglio. Questo tentativo fantasy misto effetti speciali moderni misto stravaganze da "mettiamoci qualche elemento non convenzionale e vediamo come va" è un esperimento non del tutto riuscito. Certo non è così malvagio da non andare bene per una serata all'insegna del puro intrattenimento, eppure il risultato finale non è soddisfacente. Vedere per credere.
Parola chiave: Pixo.

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#HollywoodCiak
Bengi

martedì 3 marzo 2015

Film 885 - Unbroken

L'esordio bomba al botteghino, il nome della regista, il fatto che sia tratto da una storia vera... Troppi elementi intriganti!

Film 885: "Unbroken" (2014) di Angelina Jolie
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Alcune precisazioni in prima battuta: il film mi è piaciuto, la regia mi è sembrata in linea con il prodotto finale, la storia è troppo pesante. Queste, a caldo, le prime impressioni.
In generale buon cast, le scelte mi sono sembrate tutte appropriate, giuste per i ruoli per niente facili da interpretare, in particolare i due veri protagonisti di tutta la vicenda, Jack O'Connell e Takamasa Ishihara: praticamente mi erano entrambi sconosciuti, ma di certo hanno saputo come lasciare il segno. Inutile dire, poi, che parte del merito va a una storia vera che ha a dir poco dell'incredibile.
Quest'ultima è, man mano che si sviluppa il racconto, una sorta di gioco al rincaro, dove il prezzo della sopravvivenza e
della salvezza diventa così alto che penso chiunque si sarebbe arreso all'evidenza di una morte inevitabile, per non dire auspicabile. E, invece, l'ex campione olimpico Louis Zamperini supera ogni prova che il destino gli impone, in un costante faccia a faccia con la violenza e la crudeltà della guerra e del mondo.
Curiosamente anche in questa pellicola il tema dell'alterità ricopre uno spazio importante, considerato che Zamperini e il suo compagno Phil/Domhnall Gleeson, dopo un ammaraggio in mezzo all'oceano (e agli squali) e 47 giorni passati su una scialuppa di salvataggio - alla "Vita di Pi", ma molto meno onirico -, vengono recuperati dai giapponesi (nemici degli americani durante la Seconda Guerra Mondiale) e finiscono nei loro campi per i prigionieri di guerra. L'incontro/scontro sarà durissimo, un pungo nello stomaco veramente molto letterale, una specie di campo di concentramento nipponico dove il crudele Mutsuhiro Watanabe prenderà fin da subito in antipatia Zamparelli, tanto da vessarlo continuamente per i motivi più disparati. Insomma, un confronto culturale che passa per il rifiuto dell'altro e la sua mortificazione, il vincitore che tiene sotto scacco il vinto, seppure quest'ultimo non farà altro che tenere testa al suo carceriere.
Va sottolineato che la successione di sfighe - perché sfighe sono - che il povero protagonista dovrà affrontare sarà una violenza visiva ed emotiva anche per lo spettatore che, come Zamperini, è costretto ad un crescendo di eventi sciagurati che nella guerra, l'ammaraggio, gli squali e i quasi 50 giorni di scialuppa in mezzo al nulla, vedranno solo un incipit ancora all'acqua di rose. Ciò che viene dopo sarà molto, molto più duro.
Onore al merito, dunque, e soprattutto onore alla persona che questa storia l'ha vissuta giorno dopo giorno, supplizio dopo supplizio. Fino a dove può spingersi la volontà umana? Fino a quanto la forza del singolo individuo gli può bastare come fede incrollabile per attaccarsi alla vita? Zamperini in questo diventerà maestro, esempio impressionante di quanto si possa resistere, nonostante tutto. Il suo animo testardo certamente influisce, ma non si può pensare che il tutto sia stato
semplicemente vissuto come sfida.
Quindi è chiaro che la figura umana - anzi le figure - qui rappresentata è il valore aggiunto di una storia che, altrimenti, sarebbe il semplice elenco di una serie di sfortunati eventi in fila uno dietro l'altro. Nei due personaggi chiave della vicenda sta lo specchio di due società agli antipodi e in guerra tra loro, incarnate in corpi pensanti che riflettono nelle proprie azioni le convinzioni che la vita e il Paese di appartenenza ha loro lasciato in eredità. Il rapporto tra i due è un micromondo speculare a quello gigantesco in cui, al di fuori del campo, infuria la guerra.
Ma, come sappiamo, anche la guerra finirà e perfino Zamperini incontrerà il suo lieto fine, sancito per noi da qualche video originale prima dei titoli di coda che ci svelerà brevemente cosa è successo alle figure chiave della vicenda: curiosamente Louis Zamperini muore proprio nel 2014, anno di uscita del film che proprio di lui tratta.
Insomma, in definitiva mi sento di dire che "Unbroken" è stato un viaggio difficile e spesso complesso da gestire, ma sicuramente ne è valsa la pena. Angelina Jolie ha fatto un buon lavoro, meno scontato di quanto mi sarei aspettato. Sorpresa.
Ps. 3 candidature agli Oscar 2015: Miglior fotografia (francamente molto bella), montaggio sonoro e missaggio sonoro.
Box Office: $161.1 milioni
Consigli: Di certo non una pellicola leggera, va vista consci che il viaggio che racconta questa storia è tanto violento e straziante quanto commovente e non risparmierà nulla allo spettatore. E', dunque, una scelta non per tutti, non per tutte le occasioni. Se si è preparati e predisposti può essere un buon titolo da tenere in considerazione, la prova tangibile che Angelina Jolie sia effettivamente capace anche a dirigere. Lo consiglio soprattutto per lo spunto inedito (i campi di reclusione per prigionieri di guerra in Giappone), un episodio della storia umana che certamente merita lo spazio di un racconto approfondito. Scuote e fa male "Unbroken", eppure alla fine non ti penti di averlo visto.
Parola chiave: Trave di legno.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 29 ottobre 2012

Film 472 - On the Road

Nuovo film regalato dalla 3. E questa volta ero anche piuttosto interessato alla visione.


Film 472: "On the Road" (2012) di Walter Salles
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Erika
Pensieri: Definire "On the Road" come una pellicola on-the-road potrebbe sembrare semplicistico, ma in effetti una buona parte della storia si svolge per la strada. Ribalto la questione: magari un titolo meno scontato? Lo so, lo so, è tratto dal libro di Jack Kerouac che in inglese porta lo stesso nome, però forse ci si poteva ingegnare un attimino di più.
Tornando seri, il film di Walter Salles ("Central do Brasil", "I diari della motocicletta") non è male ed ha come suo grande pregio quello di presentare attori giusti per le parti che impersonano. Da questo discorso escludo per un attimo Kristen Stewart su cui, a breve, tornerò.
Garrett Hedlund ha una carica erotica piuttosto evidente e riesce nel non facile compito di magnetizzare lo sguardo dello spettatore su di sé, finendo - come richiesto dalla storia e dal personaggio di Dean Moriarty - per oscurare ogni altro attore presente in scena. Al contempo Sam Riley/Sal Paradise è perfetto come narratore nascosto, seguace dell'amico Dean e silenzioso osservatore di una vitalità tanto fuori dal comune e straordinaria, caotica. La coppia di amici - a cui si affiancheranno brevemente una miriade di altri personaggi sulla via - è davvero ben rappresentata a mio avviso dai due attori e finisce per risultare credibile quanto vera. Se posso osare un paragone, poi, per qualche attimo Garrett Hedlund mi ha ricordato il fascino decadente di Heath Ledger.
In tutto questo si inserisce una trama a tratti interessante, ma alla lunga non sempre convincente. L'idea di rappresentare persone che 'bruciano come candele' è affascinante e sulla carta è sicuramente una possibilità che, ben realizzata, al cinema paga sempre. Ma l'effetto boomerang è una variabile da tenere presente: se si parla, parla, parla di bruciare dentro, di aggrapparsi alla vita in maniera tanto disperata da afferrarla in modo troppo vigoroso, allora sarà richiesta una trasposizione tanto calda e vera anche sullo schermo. Che qui non sempre c'è.
Niente da dire su Hedlund che sorprende in un'interpretazione convincente e libera. Qualche riserva, invece, su colei che dovrebbe essere capace di muove l'ormone generale, di scatenare una sensualità intrinseca tanto naturale quanto incontrollabile. Il personaggio di Marylou - mi pare - dovrebbe bruciare quanto e più degli altri, dovrebbe essere tempio e richiamo di sesso e ambiguità. Per questo non ho trovato sempre funzionale affidare un ruolo così centrale per la storia a una ragazza che, a parte uno sguardo piuttosto intrigante, non riesce a rappresentare quel senso di scandalosa libertà che si vorrebbe riportare qui.
Kristen Stewart è certamente una scelta audace per un prodotto come questo, ma non direi priva di malizia. Lei che è Lady "Twilight", regina di pellicole milionarie come "Biancaneve e il cacciatore", non può essere una scelta casuale in un panorama di attrici ben più dotate e adatte al ruolo. Con questo non voglio dire che la Stewart sia totalmente incapace, ma di fatto non si può credere che dietro alla scelta di affidarle il ruolo di Marylou non ci sia (anche) un ragionamento commerciale. Senza voler sollevare polemiche o facili critiche, direi che la definizione migliore sia 'acerba'.
Fatta questa premessa, devo aggiungere che, se per la maggior parte delle scene che le competono il risultato non è pessimo, ci sono due momenti che mi hanno fortemente imbarazzato durante la visione del film. Il primo è il suo ballo 'scatenato' a tempo di jazz, che è tanto vero e sciolto quanto quello di una colonna di marmo. Il secondo, invece, riguarda la topica scena di sesso a tre assieme ai due protagonisti maschili: la Stewart è ingessata, incapace di ricreare quella complicità intima e spregiudicata che la situazione richiederebbe.
Detto ciò, c'è anche da dire che le sue scene sono molte di meno di quelle che mi aspettassi. In realtà una miriade di ruoli secondari/cameo dipingono un quadro di viaggio all'avventura che è tanto bello a vedersi quanto fine a sé stesso. Incontriamo Viggo Mortensen, Amy Adams, Kirsten Dunst, Steve Buscemi, Elisabeth Moss, Tom Sturridge, Terrence Howard, Alice Braga e ognuno di loro ha un ruolo molto differente da quello degli altri per poter rendere variegato il racconto, ma si finisce per non inquadrare bene nessuno veramente, perchè la bidimensionalità dovuta al poco tempo cui ogni loro personaggio è dedicato, finisce per impoverire il senso della loro apparizione. Ed è un peccato.
Tutto questo per dire che sì, "On the Road" mette in scena tutti i punti principali di una pellicola che si voglia definire di strada e all'avventura, ma con il grave errore di autodefinirsi ogni momento che uno dei personaggi parla. Sarà perchè in scena è presente il narratore (e scrittore) del racconto, ma trovo che ogni film che senta la necessità di esplicitare a parole tutte le sensazioni e i sentimenti che vorrebbe suscitare nel pubblico, finisca sempre per pubblicizzare qualcosa che poi non riesce a trasmettere veramente. C'è molto parlare di libertà, ardore e passione, vita vera vissuta alla giornata, di ribellione e incoscienza. Eppure nessuna di queste 'voci' arriva in maniera genuina; niente di tutto questo riesce veramente ad essere trasmesso attraverso trama e recitazione. Sono tutti elementi nell'aria, ma non perchè "On the Road" li riesca a trasmettere in quanto prodotto capace di 'bruciare' quanto le vite dei personaggi per cui tanto si spendono parole.
Direi che di fatto il film in sé non è male, ma manca di un'anima capace di suscitare davvero le emozioni di cui parla la storia.
Consigli: Un film che presenta tanti tòpoi della letteratura (libertà, amicizia, ricerca della propria strada, amore, avventura, ...) ma che difetta di un certo realismo. Essendo molto esplicito nel raccontare quello che vuole trasmettere, "On the Road" finisce per risultare un elenco di ciò che è una vita/avventura sulla strada senza davvero regalarci la sensazione di aver partecipato al cammino dei suoi protagonisti. Si potrebbe dire che preconfeziona sensazioni. Ma non è malvagio e, anzi, oltre a presentare bellissimi scenari, ci regala anche la bella interpretazione di Hedlund. Godibile.
Parola chiave: Romanzo.

Trailer

BB

sabato 21 maggio 2011

Film 259 - TRON: Legacy

Un film che non si poteva non vedere! Ottimo per la serata del martedì cinema+insalata!


Film 259: "TRON: Legacy" (2010) di Joseph Kosinski
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Alice, Andrea Puffo, Titti
Pensieri: Mia grande pecca è quella di non aver guardato il primo capitolo della saga ("Tron" del 1982) per introdurmi a questo secondo capitolo (di 28 anni posteriore). Non avendo idea di cosa parlassero questi due film, ho giusto vagamente reperito qualche informazione per non giungere totalmente 'vergine' al capitolo "Legacy".
L'idea del videogico che intrappola all'interno della realtà virtuale (rete) il suo creatore è interessante e dimostra un'occhio visionario. Peccato che le trovate geniali terminino praticamente qui.
Perché questo secondo episodio - se non consideriamo la cornice della vicenda che si svolge nella realtà contemporanea - si può suddividere in tre parti, nessuna di queste particolarmente originale: ingresso nel mondo virtuale + sfida in moto, bar e tradimento di Castor, raggiungimento della via d'uscita.
Nonostante la spettacolarità sbalorditiva delle immagini proposte (nel destino della saga non ricevere - clamorosamente - alcuna nomination all'Oscar per gli effetti speciali), un film non può basarsi solamente sull'immagine patinato-glam-futurista che gli è stata costruita intorno.
La sceneggiatura è scarsa e prova nel tentativo di vivere di rendita (etichettando come 'di culto' la saga, non si può fare a meno di alimentare una certa aspettativa molto 'cool' che oggi va di moda per rilanciare progetti - magari - all'epoca risultati stantii). Ma se guardare Jeff Bridges con il lifting digitale a confronto con l'originale è davvero divertente, non può essere solo questo l'effetto a sorpresa o motivo trainante per pensare di riproporre al pubblico un prodotto.
Tecnicamente la pellicola è perfetta (effetti speciali, fotografia, sonoro e costumi da 10 e lode, colonna sonora dei Daft Punk superlativa), manca un cuore pulsante che la distacchi da una mera operazione commerciale.
Volendo analizzare semplicemente quest'ultimo aspetto, tra l'altro, si noterà che, a posteriori, il revival di "Tron" non è stato così redditizio. $170,000,000 di spesa e un incasso di $400,062,763, che, per un film pubblicizzato e sponsorizzato come questo, sono effettivamente pochini, non lo portano nemmeno tra i primi 100 film più visti della storia del cinema (superato, tra gli altri, da pellicole come "Alvin Superstar 2", "Pretty Woman", "Twister", "Una notte al museo" o "New Moon"...).
Insomma, se visivamente è un film che vale la pena vedere, a livello di contenuti siamo carenti. Bene, comunque, i protagonisti da Jeff Bridges ("Il grande Lebowski", "Il Grinta") a Olivia Wilde ("The Next Three Days"), Michael Sheen ("Frost/Nixon - Il duello", "The Queen - La regina"), Bruce Boxleitner (già nell'originale "Tron") e il protagonista Garrett Hedlund ("Four Brothers", "Country Strong"). Non segnalato il cameo di Cillian Murphy.
In definitiva lo rivedrei, ma mi aspettavo decisamente molto di più.
Consigli: Innovativo per gli effetti speciali come lo fu "Guerre stellari" nel 1977, non può essere perso dagli amanti del genere fantasy che gradiscono immagini decisamente spettacolari. Nel complesso carino, da vedere in compagnia, avvolti dal dolby surround per non perdersi niente di effetti sonori e - soprattutto - della colonna sonora perfetta dei Daft Punk.
Parola chiave: Rete.

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Ric

domenica 24 gennaio 2010

Film 64 - Donne, regole... e tanti guai!

Lo sappiamo tutti che mi piace dare una speranza a qualsiasi film. Bene, martedì, dopo la mia prima giornata di lavoro come commesso-magazziniere (ah, che fatica!), ho deciso che un bel film avrebbe potuto risollevarmi! Anche se con 'bel' intendevo proprio che volevo fosse bello...


Film 64: "Donne, regole... e tanti guai!" (2007) di Garry Marshall
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Cosa hanno in comune "Pretty Woman", il prossimo "Valentine's Day" e "Se scappi ti sposo" a parte Julia Roberts? Il regista, Garry Marshall. Che, guarda caso, è regista anche di questa pellicola ambientata in Idaho. Siamo in una piccola cittadina, classico luogo dove tutti conoscono tutti. Georgia/Jane Fonda vive lì e, quando la storia comincia, sta aspettando l'arrivo di sua figlia Lilly/Felicity Huffman alias Lynette Scavo di "Desperate Housewives" che, a sua volta, sta portando il suo disastro di figlia Rachel/Lindsay Lohan da sua nonna.
Immagino che il film volesse portare ad esempio quello di un confronto generazionale tra donne in uno snodo particolarmente difficoltoso e sofferto della loro vita. Peccato che il risultato sia decisamente mediocre e che il film faccia un po' un buco nell'acqua. Se l'idea era quella di accostare vita vera e finzione, non ci siamo proprio. Anche perchè, se al Lohan sniffa anche gli acari della polvere, non vuol dire che sia la più indicata a fare una ragazzina viziata e selvaggia. Ovviamente, se è antipatica e troietta ci dev'essere qualcosa sotto, e quindi - zac! - il colpo di scena: molestata dal patrigno! Sarà vero oppure no?! Nessuno lo capisce fino alla fine del film, perchè la ragazza tende a ritrattare e la madre non è esattamente un asso di genitore con cui possa confrontarsi.
Ecco, il film è tutto qui, non ha guizzi né spessore, racconta solo in modo abbastanza superficiale la storia di diversi deragliamenti personali tenendo sempre bene in evidenza l'aspetto amoroso. Se Rachel ci prova anche con i 50enni (a proposito: Dermot Mulroney non sa recitare ed è piuttosto evidente. Volessero accorgersene anche gli addetti ai casting, per favore...) e con i giovani mormoni in attesa di matrimonio per la vita, rimane sempre e comunque nell'aria un qualcosa di morboso e torbido, l'idea di una ragazzina e un uomo adulto che se ne approfitta, anche se in realtà il film non mostra nulla.
Perfettamente inutile, comunque, il personaggio di Jane Fonda che, non fosse per il titolo originale ("Georgia rule", regola di Georgia; anche qui ringraziamo chi cambia i titoli per la programmazione in Italia) potrebbe benissimo anche non esserci. Sorprendentemente, invece, un passo falso e pure molto evidente, per Felicity Huffman, che con questo ruolo di madre incapace e alcolizzata non solo non ha aggiunto niente al suo curriculum, ma ha pure dovuto portare orribili parrucche stoppose e indossare tutite alla Simona Ventura che farebbero imbarazzare perfino una 20enne. Il fisico c'è, il viso un po' meno.
In definitiva? Assolutamente trascurabile.
Consigli: Evitate di guardarlo con vostra madre, potreste farvi venire la voglia di rispolverare vecchie faccende in sospeso...
Parola chiave: Regola di Georgia.



#HollywoodCiak
Bengi