Due weekend fa ero a Milano per il terzo appuntamento del master che sto seguendo. L'argomento erano le digital pr e, più in generale, la promozione di contenuti legati alle pellicole in uscita in sala e la loro relativa promozione. Come esempio concreto ci è stato presentato il trailer di questa pellicola che mi ha subito incuriosito. Così, tornato a casa, ho dedicato la mia domenica sera alla scoperta della storia che mi aveva così intrigato.
Film 1336: "La comune" (2016) di Thomas Vinterberg
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non dico che mi aspettassi una commedia, ma certamente qualcosa di un filo più leggero sì. Soprattutto perché l'inizio sembra tutto rose e fiori e divertimento, mentre basta che passi la prima mezzora per capire che in realtà i toni saranno tutt'altro che allegri.
Essendo questo "Kollektivet" il secondo film danese che vedo in tutta la mia vita dopo "Il pranzo di Babette", l'impressione che ho avuto - sulla base di così scarsi dati - è che in Danimarca abbiano un modo di affrontare le situazioni molto diverso dal mio. Qui si accetta tutto a testa bassa, come se fosse possibile sopportare qualsiasi prova attraverso la sola razionalità (non sarà, invece, così). In Italia una storia del genere si sarebbe risolta forse in rissa, sicuramente fra urla e schiamazzi.
La comune, come idea, mi inquieta. Tutto il giorno tutti i giorni con qualcuno, sempre in mezzo ad altre persone, le loro storie, le loro necessità e problemi. Trovo l'idea di per sé intrigante, ma nel concreto ingestibile per quanto mi riguarda. Ecco perché questa storia mi affascinava tanto, solleticando una curiosità da esperimento sociale. In realtà la comune è solo un pretesto, quasi un esperimento nostalgico, in ogni caso non il centro della vicenda che, invece, è rappresentato dalla relazione fra i due protagonisti Erik e Anna (Ulrich Thomsen, Trine Dyrholm). Francamente speravo che il racconto intraprendesse sentieri più inesplorati e interessanti - per quanto, come dicevo, anche le situazioni cui siamo certamente abituati (vedi tradimento e sua confessione, ecc...) qui sono trattate in maniera poco convenzionale - e sicuramente più legati alla vita di gruppo e alle dinamiche che si innescano in una situazione particolare come quella presentata qui. Da questo punto di vista, a mio avviso, il film spreca un po' il suo potenziale iniziale. Per certi versi mi ha ricordato un altro titolo che nasceva sul pretesto di un esperimento sociale, "L'onda", per quanto qui manchilo slancio di approfondire le dinamiche di gruppo e le conseguenze che le varie situazioni hanno su tutte le persone coinvolte.
Insomma, mi aspettavo un film diverso. Il poster italiano suggerisce un numero di protagonisti altissimo che in realtà non c'è e il trailer sfrutta il dinamismo dei primi 30 minuti per creare aspettative di un certo tipo che, dicevo, naufragano nel giro di qualche scena. Diciamo che di per sé la storia ha un certo appeal e gode di una protagonista femminile particolarmente magnetica per la quale non si fatica a provare simpatia ed empatia; in ogni caso il risultato finale si discosta molto dal mio modo di vedere e affrontare certe situazioni e tematiche, per cui ho un po' faticato a portare a termine la visione.
"La comune" è un film che incuriosisce ma, a mio avviso, fatica ad andare oltre le intriganti premesse iniziali.
Ps. Vincitore dell'Orso d'Argento per la Migliore attrice alla Berlinale 2016.
Cast: Ulrich Thomsen, Fares Fares, Trine Dyrholm, Julie Agnete Vang, Lars Ranthe, MagnusMillang, Martha Sofie, Wallstrøm Hansen, Anne Gry Henningsen, Sebastian Grønnegaard Milbrat.
Box Office: $3.64 milioni
Consigli: Vivere in una comune danese degli anni '70 è l'incipit della storia che il regista danese de "Il sospetto" e "Via dalla pazza folla" racconta qui. In realtà la sceneggiatura andrà a percorrere strade più tradizionalmente battute, scegliendo di coinvolgere la vita di gruppo solo superficialmente e preferendo, invece, focalizzarsi su quella famigliare e di coppia. Il risultato finale è un così così, i toni sono particolarmente drammatici da un certo punto in poi, la ricostruzione storica efficace. Non un film per ogni occasione, ma una storia che ha dalla sua il pregio di incuriosire con una tematica non troppo familiare.
Parola chiave: Eredità.
Se ti interessa/ti è piaciuto
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
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mercoledì 5 aprile 2017
Film 1336 - La comune
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sabato 30 gennaio 2016
Film 1061 - Il pranzo di Babette
Finiti (per il momento) i film in lizza agli Oscar 2016, torno alla mia lista con l'approccio tradizionale: quello in ordine cronologico. In questo mese di gennaio ho spaziato in avanti e indietro per concedermi commenti a caldo infischiandomene plesemente della successione temporale in cui ho visto le varie pellicole, il che mi ha permesso di farmi un'idea d'insieme dei vari nominati, una cosa abbastanza insolita per me che di solito recupero tutto all'ultimo secondo.
Precedentemente, però - e ancora nel 2015 -, avevo comprato una valanga di nuovi dvd dei quali, di alcuni, ho già recuperato la visione. Questo è uno di quelli, visto per la prima volta nientemento che 6 anni fa...
Film 1061: "Il pranzo di Babette" (1987) di Gabriel Axel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, francese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Uno dei miei cult personali, una pellicola che, anche rivista la seconda volta, è riuscita a conquistarmi per delicatezza e sentimento.
Ambientato in uno sperduto paesino della Danimarca del 19esimo secolo, il film racconta la storia di Babette, rinomata cuoca parigina che fugge in danimarca a causa dei tumulti della Comune. Costretta a chiedere asilo alle due sorelle Martine e Philippa a cui sconvolgerà la vita, il culmine sarà proprio la cena del titolo in onore del defunto padre delle sorelle, fondatore e pastore di un ordine religioso protestante, che chiamerà a raccolta i cultori del credo davanti a una tavola imbandita e a piatti degni del Café Anglais (da cui si scoprirà provenire proprio Babette). Considerando il rigore e la semplicità professati dal culto, la cena si prospetta più come una prova del demonio da superare che un momento di festa in ricordo del defunto. Perché, allora, accettare lasciando che sia la domestica a preparare una cena in stile francese? Dopo tanti anni a servizio a casa delle due donne, Babette riceverà la notizia di aver vinto alla lotteria francese una somma che la renderebbe ricca e, invece di abbandonare le donne e l'impiego e tornare in Francia, decide di sdebitarsi con le persone che l'hanno accolta e salvata tanti anni prima proponendosi di provvedere, appunto, al cibo per la commemorazione.
Dopo anni di gelo spirituale (e climatico), il cibo magnificamente preparato dalla cuoca saprà scaldare i cuori dei credenti, ormai meno uniti di un tempo - avendo perso il loro leader da anni -, litigiosi e spesso in disaccordo. Nonostante il proposito comune di non interessarsi alla cena così da non rischiare di cadere nelle tentazioni infernali, di fatto ritroveranno l'armonia e la piacevolezza di stare insieme durante la cena stessa, rinvigoriti e riscaldati da gioie della vita che non si concedevano chissà da quanto tempo. La vera identità di Babette verrà scoperta e, all'affermazione delle sorelle «Adesso sarai povera per tutta la vita», Babette rispondera: «Un artista non è mai povero». Capolavoro.
Film 13 - Il pranzo di Babette
Cast: Stephane Audran, Birgitte Federspiel, Bodil Kjer, Jarl Kulle, Jean-Philippe Lafon, Vibeke Hastrup, Bibi Andersson, Ghita Nørby.
Box Office: $4.4 milioni
Consigli: Gioiellino del cinema nordeuropeo, "Babettes gæstebud" è un titolo delicato e raffinato, un esempio di come si possa fare grande cinema senza strafare. Stéphane Audran è una grandissima protagonista, in grado di valorizzare un personaggio e tutta la storia in maniera semplice, eppure indimenticabile. E' una pellicola che consiglio caldamente, pur rendendomi conto che non sia esattamente un film che possa piacere a tutti. E' spesso lento e l'ideologia religiosa ha molto spazio, ma la ricompensa della cena è un bottino non solo per chi vi partecipa, ma anche per lo spettatore. Vedere per credere.
Parola chiave: 10,000 franchi.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Precedentemente, però - e ancora nel 2015 -, avevo comprato una valanga di nuovi dvd dei quali, di alcuni, ho già recuperato la visione. Questo è uno di quelli, visto per la prima volta nientemento che 6 anni fa...
Film 1061: "Il pranzo di Babette" (1987) di Gabriel Axel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, francese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Uno dei miei cult personali, una pellicola che, anche rivista la seconda volta, è riuscita a conquistarmi per delicatezza e sentimento.
Ambientato in uno sperduto paesino della Danimarca del 19esimo secolo, il film racconta la storia di Babette, rinomata cuoca parigina che fugge in danimarca a causa dei tumulti della Comune. Costretta a chiedere asilo alle due sorelle Martine e Philippa a cui sconvolgerà la vita, il culmine sarà proprio la cena del titolo in onore del defunto padre delle sorelle, fondatore e pastore di un ordine religioso protestante, che chiamerà a raccolta i cultori del credo davanti a una tavola imbandita e a piatti degni del Café Anglais (da cui si scoprirà provenire proprio Babette). Considerando il rigore e la semplicità professati dal culto, la cena si prospetta più come una prova del demonio da superare che un momento di festa in ricordo del defunto. Perché, allora, accettare lasciando che sia la domestica a preparare una cena in stile francese? Dopo tanti anni a servizio a casa delle due donne, Babette riceverà la notizia di aver vinto alla lotteria francese una somma che la renderebbe ricca e, invece di abbandonare le donne e l'impiego e tornare in Francia, decide di sdebitarsi con le persone che l'hanno accolta e salvata tanti anni prima proponendosi di provvedere, appunto, al cibo per la commemorazione.
Dopo anni di gelo spirituale (e climatico), il cibo magnificamente preparato dalla cuoca saprà scaldare i cuori dei credenti, ormai meno uniti di un tempo - avendo perso il loro leader da anni -, litigiosi e spesso in disaccordo. Nonostante il proposito comune di non interessarsi alla cena così da non rischiare di cadere nelle tentazioni infernali, di fatto ritroveranno l'armonia e la piacevolezza di stare insieme durante la cena stessa, rinvigoriti e riscaldati da gioie della vita che non si concedevano chissà da quanto tempo. La vera identità di Babette verrà scoperta e, all'affermazione delle sorelle «Adesso sarai povera per tutta la vita», Babette rispondera: «Un artista non è mai povero». Capolavoro.
Film 13 - Il pranzo di Babette
Cast: Stephane Audran, Birgitte Federspiel, Bodil Kjer, Jarl Kulle, Jean-Philippe Lafon, Vibeke Hastrup, Bibi Andersson, Ghita Nørby.
Box Office: $4.4 milioni
Consigli: Gioiellino del cinema nordeuropeo, "Babettes gæstebud" è un titolo delicato e raffinato, un esempio di come si possa fare grande cinema senza strafare. Stéphane Audran è una grandissima protagonista, in grado di valorizzare un personaggio e tutta la storia in maniera semplice, eppure indimenticabile. E' una pellicola che consiglio caldamente, pur rendendomi conto che non sia esattamente un film che possa piacere a tutti. E' spesso lento e l'ideologia religiosa ha molto spazio, ma la ricompensa della cena è un bottino non solo per chi vi partecipa, ma anche per lo spettatore. Vedere per credere.
Parola chiave: 10,000 franchi.
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domenica 10 gennaio 2016
Film 1082 - The Danish Girl
I Golden Globe si terranno questa sera e volevo farmi un'idea su un altro candidato, un altro dei possibili vincitori. Tifo per te, Alicia!
Film 1082: "The Danish Girl" (2015) di Tom Hooper
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Tom Hooper ha vinto un Oscar per "Il discorso del re", poi ha portato al cinema il musical de "Les Misérables" e adesso torna in sala per raccontare la storia - qui più o meno romanzata - della prima persona transessuale documentata della storia, Lili Elbe. Un regista che non conosce confini di genere, in tutti i sensi.
Anche se si tratta di una storia non facile da raccontare, visto l'argomento delicato ed estremamente personale, il risultato finale è buono, di classe, anche se meno riuscito di quanto non mi sarei immaginato. Si tratta di un prodotto che vive essenzialmente dell'interpretazione dei suoi attori e della storia non convenzionale che racconta; l'approccio e certi aspetti dei dialoghi falliscono, invece, nel proporre al pubblico qualcosa di nuovo o innovativo. Se non fosse per Eddie Redmayne, la bellissima colonna sonora di Alexandre Desplat, la buona mano di Hooper e soprattutto Alicia Vikander, probabilmente il risultato finale non sarebbe stato altrettanto buono.
A tratti ho avuto l'impressione che si trattasse, più che di un film, di una sorta di soggetto per la tv di ottima qualità, sì, eppure non totalmente conforme al grande schermo. I costumi sono stupendi al pari della fotografia e delle scenografie, la Danimarca sembra una terra da scoprire, eppure talvolta i toni mancano di toccare corde più profonde, di approfondire situazioni. Avrei gradito maggiormente seguire le dinamiche del matrimonio fra i due protagonisti dal momento in cui Einar capisce di essere Lili e lo accetta e la vede come unica possibile soluzione per essere veramente sé stessa; mi sarebbe piaciuto seguire con più attenzione lo sviluppo e le conseguenze di questa situazione su Gerda, talvolta fin troppo comprensiva o progressista. In generale, quindi, quello che mi aspettavo dalla ragazza danese era, appunto, che si parlasse più di lei nel suo intimo che di lei nel suo apparire sociale. Si tratta di uno dei cambiamenti più radicali che una persona possa affrontare e questa donna, quasi cent'anni fa, è stata tra le prime (se non la prima) a trovare il coraggio di affrontare questo percorso: forse valeva la pena di approfondire maggiormente l'aspetto psicologico (anche di coppia) e un po' meno quello mondano.
Ciò detto, quello che rimane ben impresso del film, a parte un'innata delicatezza, è il calore che può derivare dal vero amore, dalla vera amicizia, e la certezza che accettare qualcosa di nuovo o sconosciuto dipenda solamente dalla volontà di ognuno di noi. La domanda che mi pongo tutte le volte che mi trovo di fronte ad una di queste situazioni-limite, in cui è richiesta l'espressione di un'opinione, un sentimento o anche semplicemente un'azione concreta è sempre la stessa: io cosa avrei fatto? Come mi sarei comportato se mi fossi trovato nei loro panni?
Certamente presentata così la storia di Lili e Gerda sembra un'idilliaca parabola dell'accettarsi vicendevolmente, ma a parte essere ben consci che tutto si costruisca col tempo, è evidente che non sia facile essere i primi a determinare un percorso "fuori dal comune" quanto non sia facile essere i primi a doversi confrontare con esso. In questo Redmayne e Vikander sono molto bravi a renderlo visibile ed evidente sullo schermo, anche se forse la parte della moglie può essere stata più difficile da interpretare, mancando degli "accessori di scena" che hanno permesso a Einar di diventare Lili.
Tutto sommato, comunque, "The Danish Girl" è un film - anche se meno potente dei precedenti - che con stile e classe ci trasporta all'interno di una storia che, romanzata quanto si voglia, ha il grande pregio di portare all'attenzione di molti la questione del riassegnamento sessuale, della comunità transgender, delle problematiche legate all'accettazione di sé e, soprattutto, di chi non ci corrisponde. Una storia sulla scoperta di se stessi, sull'amore profondo e, inutile nasconderlo, sulle difficoltà. Non un capolavoro, ma bello da vedere.
Ps. Al momento il film ha collezionato 3 candidature ai Golden Globes (Miglior attore protagonista, attrice protagonista e colonna sonora) e 5 ai BAFTA.
Cast: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Matthias Schoenaerts, Ben Whishaw, Sebastian Koch, Amber Heard, Emerald Fennell, Adrian Schiller.
Box Office: $8.2 milioni ad oggi
Consigli: Non certo un titolo da tutti i giorni, "The Danish Girl" è un film delicato e di classe che certamente saprà colpire lo sguardo dello spettatore. Il risultato finale è buono, anche se meno riuscito di quanto non ci si aspetterebbe da un prodotto del genere, talvolta intaccato da un'ingenuità di fondo che porta a trattare frettolosamente certi aspetti che si potevano approfondire meglio. In ogni caso, per ogni amante della stagione dei premi anglofoni, assolutamente un titolo imperdibile, tra i favoriti assoluti nelle categorie attoriali (anche se difficilmente Redmayne farà il bis). Inoltre una pellicola interessante per chiunque si interessi di tematiche LGBT, diritti delle persone e, molto lontano da questi argomenti, chi apprezzi i film storici o le biografie. Da vedere rigorosamente in lingua originale (la Vikander, che è svedese, ha un accento british invidiabile).
Parola chiave: Pittura.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi
Film 1082: "The Danish Girl" (2015) di Tom Hooper
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Tom Hooper ha vinto un Oscar per "Il discorso del re", poi ha portato al cinema il musical de "Les Misérables" e adesso torna in sala per raccontare la storia - qui più o meno romanzata - della prima persona transessuale documentata della storia, Lili Elbe. Un regista che non conosce confini di genere, in tutti i sensi.
Anche se si tratta di una storia non facile da raccontare, visto l'argomento delicato ed estremamente personale, il risultato finale è buono, di classe, anche se meno riuscito di quanto non mi sarei immaginato. Si tratta di un prodotto che vive essenzialmente dell'interpretazione dei suoi attori e della storia non convenzionale che racconta; l'approccio e certi aspetti dei dialoghi falliscono, invece, nel proporre al pubblico qualcosa di nuovo o innovativo. Se non fosse per Eddie Redmayne, la bellissima colonna sonora di Alexandre Desplat, la buona mano di Hooper e soprattutto Alicia Vikander, probabilmente il risultato finale non sarebbe stato altrettanto buono.
A tratti ho avuto l'impressione che si trattasse, più che di un film, di una sorta di soggetto per la tv di ottima qualità, sì, eppure non totalmente conforme al grande schermo. I costumi sono stupendi al pari della fotografia e delle scenografie, la Danimarca sembra una terra da scoprire, eppure talvolta i toni mancano di toccare corde più profonde, di approfondire situazioni. Avrei gradito maggiormente seguire le dinamiche del matrimonio fra i due protagonisti dal momento in cui Einar capisce di essere Lili e lo accetta e la vede come unica possibile soluzione per essere veramente sé stessa; mi sarebbe piaciuto seguire con più attenzione lo sviluppo e le conseguenze di questa situazione su Gerda, talvolta fin troppo comprensiva o progressista. In generale, quindi, quello che mi aspettavo dalla ragazza danese era, appunto, che si parlasse più di lei nel suo intimo che di lei nel suo apparire sociale. Si tratta di uno dei cambiamenti più radicali che una persona possa affrontare e questa donna, quasi cent'anni fa, è stata tra le prime (se non la prima) a trovare il coraggio di affrontare questo percorso: forse valeva la pena di approfondire maggiormente l'aspetto psicologico (anche di coppia) e un po' meno quello mondano.
Ciò detto, quello che rimane ben impresso del film, a parte un'innata delicatezza, è il calore che può derivare dal vero amore, dalla vera amicizia, e la certezza che accettare qualcosa di nuovo o sconosciuto dipenda solamente dalla volontà di ognuno di noi. La domanda che mi pongo tutte le volte che mi trovo di fronte ad una di queste situazioni-limite, in cui è richiesta l'espressione di un'opinione, un sentimento o anche semplicemente un'azione concreta è sempre la stessa: io cosa avrei fatto? Come mi sarei comportato se mi fossi trovato nei loro panni?
Certamente presentata così la storia di Lili e Gerda sembra un'idilliaca parabola dell'accettarsi vicendevolmente, ma a parte essere ben consci che tutto si costruisca col tempo, è evidente che non sia facile essere i primi a determinare un percorso "fuori dal comune" quanto non sia facile essere i primi a doversi confrontare con esso. In questo Redmayne e Vikander sono molto bravi a renderlo visibile ed evidente sullo schermo, anche se forse la parte della moglie può essere stata più difficile da interpretare, mancando degli "accessori di scena" che hanno permesso a Einar di diventare Lili.
Tutto sommato, comunque, "The Danish Girl" è un film - anche se meno potente dei precedenti - che con stile e classe ci trasporta all'interno di una storia che, romanzata quanto si voglia, ha il grande pregio di portare all'attenzione di molti la questione del riassegnamento sessuale, della comunità transgender, delle problematiche legate all'accettazione di sé e, soprattutto, di chi non ci corrisponde. Una storia sulla scoperta di se stessi, sull'amore profondo e, inutile nasconderlo, sulle difficoltà. Non un capolavoro, ma bello da vedere.
Ps. Al momento il film ha collezionato 3 candidature ai Golden Globes (Miglior attore protagonista, attrice protagonista e colonna sonora) e 5 ai BAFTA.
Cast: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Matthias Schoenaerts, Ben Whishaw, Sebastian Koch, Amber Heard, Emerald Fennell, Adrian Schiller.
Box Office: $8.2 milioni ad oggi
Consigli: Non certo un titolo da tutti i giorni, "The Danish Girl" è un film delicato e di classe che certamente saprà colpire lo sguardo dello spettatore. Il risultato finale è buono, anche se meno riuscito di quanto non ci si aspetterebbe da un prodotto del genere, talvolta intaccato da un'ingenuità di fondo che porta a trattare frettolosamente certi aspetti che si potevano approfondire meglio. In ogni caso, per ogni amante della stagione dei premi anglofoni, assolutamente un titolo imperdibile, tra i favoriti assoluti nelle categorie attoriali (anche se difficilmente Redmayne farà il bis). Inoltre una pellicola interessante per chiunque si interessi di tematiche LGBT, diritti delle persone e, molto lontano da questi argomenti, chi apprezzi i film storici o le biografie. Da vedere rigorosamente in lingua originale (la Vikander, che è svedese, ha un accento british invidiabile).
Parola chiave: Pittura.
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domenica 22 agosto 2010
Film 129 - Brotherhood
Dopo mesi estivi di silenzio, torno davanti alla tastiera finalmente per scrivere qualcosa. L'estate non è ancora finita e, anche se pensavo avrei lasciato la voglia di scrivere al rinnovato fresco, mi ritrovo con una marea di film di cui parlare ed effettivamente una certa voglia di ritornare sul blog.
Bene, dunque, nonostante mi sia dedicato anima e corpo a non far nulla, qualche filmetto (e una serie tv - "Studio 60 on the Sunset Strip" - che consiglio caldamente. Una sola stagione, ma davvero interessante per capire la tv americana) c'è scappato. Poco cinema e molto dvd o streaming.
Ovviamente si riprende da dove avevo lasciato - parliamo di fine giugno/inizio luglio - per rispettare rigorosamente l'elenco del 'visto' che necessita decisamente di essere aggiornato! Tra l'altro questa è la prima recensione dalla nuova postazione casalinga, finalmente resa accettabile dopo lavori e rogne, quindi motivo in più per rimboccarsi le maniche e riprendere di buona lena!
Si riapre con qualcosa di forte, che sicuramente ha scosso chi ha deciso di vedere la pellicola in questione...

Film 129: "Brotherhood" (2009) di Nicolo Donato
Visto: al cinema [anteprima]
Lingua: italiano
Compagnia: Federica, Stefano, Dario, Enrico
Pensieri: No, non è esattamente come "I segreti di Brokeback Mountain" questo film. Non è così patinato, non è così sexy. Gli attori sono sconosciuti al pubblico italiano, hanno facce nordiche, alcune un po' inquietanti. Non a caso siamo in una gang neonazista danese, non proprio un ambiente pacifico e di intenti no profit.
Al dilà dell'inquietante quadro della gang, della violenza sull'altro e della presunzione del gruppo, comunque, rimane impresso nello spettatore sia l'insensata stupidaggine di chi inneggia a supremazie e violenze, sia la contrapposta delicatezza della storia d'amore che sboccia tra i due pupilli della gang.
Ovviamente non si può dire ad alta voce, il gruppo farebbe pagare cara la pelle ai due innamorati, ma è già un passo avanti la presa di coscienza del duo, contrapposta ad un silenzio assenso che in Brokeback è leggermente più fastidioso.
La trama di per sé è semplice, quanto detto finora riassume, seppure in breve, ciò che accade durante i 90 minuti di pellicola. Ovviamente c'è da mettere in conto insulti, malavita, sputi, un'ideologia spaventosa e quanto di più difficile si possa raccontare in una sola storia. Per questo lascia ben sperare che anche all'interno di un'estremità così radicale possa presentarsi l'eventualità di un amore tra due uomini. Non ci sarebbe niente di male, e lo sappiamo tutti, solo che ancora un po' sorprende il tema 'gay' e, per sdoganarlo, siamo nella fase in cui si punta a raccontare l'estremo o l'inimmaginabile. L'attenzione di chi guarda (intelligentemente) dovrebbe concentrarsi sull'approfondimento di una realtà sicuramente contemporanea e di difficile comprensione e non tanto sulla rarità sbalorditiva che potrebbe essere la storia omo tra due neonazisti.
Consigli: Interessante e giustamente premiato, è decisamente un titolo da tenere presente.
Parola chiave: Casa isolata.
Ric
Bene, dunque, nonostante mi sia dedicato anima e corpo a non far nulla, qualche filmetto (e una serie tv - "Studio 60 on the Sunset Strip" - che consiglio caldamente. Una sola stagione, ma davvero interessante per capire la tv americana) c'è scappato. Poco cinema e molto dvd o streaming.
Ovviamente si riprende da dove avevo lasciato - parliamo di fine giugno/inizio luglio - per rispettare rigorosamente l'elenco del 'visto' che necessita decisamente di essere aggiornato! Tra l'altro questa è la prima recensione dalla nuova postazione casalinga, finalmente resa accettabile dopo lavori e rogne, quindi motivo in più per rimboccarsi le maniche e riprendere di buona lena!
Si riapre con qualcosa di forte, che sicuramente ha scosso chi ha deciso di vedere la pellicola in questione...

Film 129: "Brotherhood" (2009) di Nicolo Donato
Visto: al cinema [anteprima]
Lingua: italiano
Compagnia: Federica, Stefano, Dario, Enrico
Pensieri: No, non è esattamente come "I segreti di Brokeback Mountain" questo film. Non è così patinato, non è così sexy. Gli attori sono sconosciuti al pubblico italiano, hanno facce nordiche, alcune un po' inquietanti. Non a caso siamo in una gang neonazista danese, non proprio un ambiente pacifico e di intenti no profit.
Al dilà dell'inquietante quadro della gang, della violenza sull'altro e della presunzione del gruppo, comunque, rimane impresso nello spettatore sia l'insensata stupidaggine di chi inneggia a supremazie e violenze, sia la contrapposta delicatezza della storia d'amore che sboccia tra i due pupilli della gang.
Ovviamente non si può dire ad alta voce, il gruppo farebbe pagare cara la pelle ai due innamorati, ma è già un passo avanti la presa di coscienza del duo, contrapposta ad un silenzio assenso che in Brokeback è leggermente più fastidioso.
La trama di per sé è semplice, quanto detto finora riassume, seppure in breve, ciò che accade durante i 90 minuti di pellicola. Ovviamente c'è da mettere in conto insulti, malavita, sputi, un'ideologia spaventosa e quanto di più difficile si possa raccontare in una sola storia. Per questo lascia ben sperare che anche all'interno di un'estremità così radicale possa presentarsi l'eventualità di un amore tra due uomini. Non ci sarebbe niente di male, e lo sappiamo tutti, solo che ancora un po' sorprende il tema 'gay' e, per sdoganarlo, siamo nella fase in cui si punta a raccontare l'estremo o l'inimmaginabile. L'attenzione di chi guarda (intelligentemente) dovrebbe concentrarsi sull'approfondimento di una realtà sicuramente contemporanea e di difficile comprensione e non tanto sulla rarità sbalorditiva che potrebbe essere la storia omo tra due neonazisti.
Consigli: Interessante e giustamente premiato, è decisamente un titolo da tenere presente.
Parola chiave: Casa isolata.
Ric
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sabato 21 novembre 2009
Film 13 - Il pranzo di Babette
Oggi pomeriggio ho deciso di finire quanto avevo cominciato ieri.

Film 13: "Il pranzo di Babette" (1987) di Gabriel Axel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, francese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Questo è sicuramente un film molto raffinato. Musica delicata, luci soffuse, natura selvaggia e una storia di vite riservate.
La prima cosa che ho pensato mentre guardavo il film all'inizio è l'austerità. Le due donne vivono in un villaggio talmente sperduto che stavo male solo a pensarci. Nessun lusso, niente famiglia (sono solo loro due, sorelle), vite dedicate semplicemente a seguire Dio e aiutare gli altri. Tutto questo grigio iniziale, però, esalta il calore della seconda parte, quella della cena del titolo. Nonostante il tono non sia mai oltre il sussurro, Babette con la sua cucina riscalda i cuori degli anziani ospiti che a forza di privarsi di qualsiasi cosa si sono dimenticati che non si può vivere di sole rinunce. Una cena da 10.000 franchi (siamo a fine '800) del resto metterebbe di buon umore chiunque. Sul finire del film, dunque, è tutto un "Dio ti benedica" e un'"alleluia", che i 12 ospiti si sono ripresi dal regime di 'austerity' cui erano ormai assuefatti. Babette, insomma, è il toccasana del villaggio e supera senza una piega la prova cui si era auto-sottoposta (i commensali, infatti, temevano che il cibo li avrebbe condotti al peccato, quindi per tutta la cena nessuno osa apprezzare il cibo per paura della dannazione... Ah, l'800!). A fine serata le due sorelle di cui Babette è domestica la ringraziano per il cibo e si complimentano, in un crescendo di commozione che culmina nella scoperta della vera identità di Babette: era chef in uno dei ristoranti più famosi e costosi di Parigi (e dove un pranzo per 12 costava, appunto, 10.000 franchi)! Le tre anime saranno legate per sempre. Nero, fine.
Sì, sì, sì, bello! Lento e dolce, mi ha ricordato un po' "Lezioni di piano" e un po' quel "Chocolat" di cui si potrebbe dire che è l'antenato. Ma, diversamente da quest'ultimo film, qui ho avuto meno voglia di mangiare. Devo ammettere che vedere la tartaruga viva che ansima morente in cucina, sapendo che finirà per diventare brodo, un po' mi ha guastato l'attesa del menù. Qui c'è poco di 'politically correct' se pensiamo dal punto di vista degli animali: arrivano tutti vivi con il solo scopo di essere uccisi in funzione della cena. Forse oggi certe cose non si potrebbero far più vedere.
Però, sicuramente, Babette mi ha trasmesso la voglia di vino, vino buono! In tavola viene servito Amontillado bianco ambra e Champagne Veuve Clicquot e tutti non possono fare a meno di gustare con piacere la bevanda che hanno nel bicchiere (si vede dalle espressioni del viso) mentre, chi può solo guardare, invidia l'abbondanza che ha davanti agli occhi!
Mi concedo un'unica critica. Non so se solo a me le doppiatrici delle sorelle sembrassero incapaci di pronunciare qualunque parola di francese senza sembrare due 'zdaure' bolognesi al primo approccio con la lingua, in ogni caso avrei scelto qualcuno di più abile con la pronuncia. Una delle due, tra l'altro, è doppiata dalla stessa che da la voce a Jessica Fletcher, "La Signora in giallo".
Il film ha vinto l'Oscar 1988 per il miglior film straniero (Danimarca).
Film 1061 - Il pranzo di Babette
Consigli: E' un film da guardare da soli, per gustarsi l'atmosfera intima senza distrazioni.
Parola chiave: Il decano
Ric

Film 13: "Il pranzo di Babette" (1987) di Gabriel Axel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, francese
Compagnia: nessuno
Pensieri: Questo è sicuramente un film molto raffinato. Musica delicata, luci soffuse, natura selvaggia e una storia di vite riservate.
La prima cosa che ho pensato mentre guardavo il film all'inizio è l'austerità. Le due donne vivono in un villaggio talmente sperduto che stavo male solo a pensarci. Nessun lusso, niente famiglia (sono solo loro due, sorelle), vite dedicate semplicemente a seguire Dio e aiutare gli altri. Tutto questo grigio iniziale, però, esalta il calore della seconda parte, quella della cena del titolo. Nonostante il tono non sia mai oltre il sussurro, Babette con la sua cucina riscalda i cuori degli anziani ospiti che a forza di privarsi di qualsiasi cosa si sono dimenticati che non si può vivere di sole rinunce. Una cena da 10.000 franchi (siamo a fine '800) del resto metterebbe di buon umore chiunque. Sul finire del film, dunque, è tutto un "Dio ti benedica" e un'"alleluia", che i 12 ospiti si sono ripresi dal regime di 'austerity' cui erano ormai assuefatti. Babette, insomma, è il toccasana del villaggio e supera senza una piega la prova cui si era auto-sottoposta (i commensali, infatti, temevano che il cibo li avrebbe condotti al peccato, quindi per tutta la cena nessuno osa apprezzare il cibo per paura della dannazione... Ah, l'800!). A fine serata le due sorelle di cui Babette è domestica la ringraziano per il cibo e si complimentano, in un crescendo di commozione che culmina nella scoperta della vera identità di Babette: era chef in uno dei ristoranti più famosi e costosi di Parigi (e dove un pranzo per 12 costava, appunto, 10.000 franchi)! Le tre anime saranno legate per sempre. Nero, fine.
Sì, sì, sì, bello! Lento e dolce, mi ha ricordato un po' "Lezioni di piano" e un po' quel "Chocolat" di cui si potrebbe dire che è l'antenato. Ma, diversamente da quest'ultimo film, qui ho avuto meno voglia di mangiare. Devo ammettere che vedere la tartaruga viva che ansima morente in cucina, sapendo che finirà per diventare brodo, un po' mi ha guastato l'attesa del menù. Qui c'è poco di 'politically correct' se pensiamo dal punto di vista degli animali: arrivano tutti vivi con il solo scopo di essere uccisi in funzione della cena. Forse oggi certe cose non si potrebbero far più vedere.
Però, sicuramente, Babette mi ha trasmesso la voglia di vino, vino buono! In tavola viene servito Amontillado bianco ambra e Champagne Veuve Clicquot e tutti non possono fare a meno di gustare con piacere la bevanda che hanno nel bicchiere (si vede dalle espressioni del viso) mentre, chi può solo guardare, invidia l'abbondanza che ha davanti agli occhi!
Mi concedo un'unica critica. Non so se solo a me le doppiatrici delle sorelle sembrassero incapaci di pronunciare qualunque parola di francese senza sembrare due 'zdaure' bolognesi al primo approccio con la lingua, in ogni caso avrei scelto qualcuno di più abile con la pronuncia. Una delle due, tra l'altro, è doppiata dalla stessa che da la voce a Jessica Fletcher, "La Signora in giallo".
Il film ha vinto l'Oscar 1988 per il miglior film straniero (Danimarca).
Film 1061 - Il pranzo di Babette
Consigli: E' un film da guardare da soli, per gustarsi l'atmosfera intima senza distrazioni.
Parola chiave: Il decano
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