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mercoledì 27 novembre 2024

Film 2324 - Martha

Intro: Netflix fa partire per caso il trailer di questo documentario e decido all'istante di volerlo vedere. Così metto in pausa la mia frenesia horror per un attimo e mi concedo un titolo diverso...

Film 2324: "Martha" (2024) di R. J. Cutler
Visto: dal computer
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: della storia di Martha Stewart sapevo davvero pochissimo, eppure ho sempre avuto chiarissimo chi fosse. Forse i tre elementi chiave che avrei utilizzato per descriverla erano:
- esperta di tutto ciò che riguarda cucina e casa;
- amica di Snoop Dogg;
- ex detenuta per evasione fiscale.
Per quanto immaginassi ci fosse altro da dire sulla Stewart, non immaginavo che fosse così tanto. Da servizi di catering di lusso a magazine, da presentatrice tv a icona di stile, questo documentario copre sufficientemente a fondo aspetti della vita di un personaggio pubblico di cui, però, si tende a dimenticare certi traguardi raggiunti nel tempo, offuscati da più recenti ricordi di sfortunate disavventure.
L'approfondimento sul processo è certamente interessante, anche se per me la parte più affascinante è rappresentata dallo scoprire Martha Stewart non solo come personaggio, ma come persona. C'è praticamente solo lei in questo film - il che è anche l'aspetto negativo di questa operazione, a tratti un po' monotona - e le è permesso di raccontarsi liberamente, anche prendendosi certe libertà e dimostrando un certo candore che onestamente non mi sarei aspettato. Il film poi non le fà certo sconti nel rappresentarla come una sorta di Miranda Priestly in carne e ossa, ma in fondo e nonostante tutto ci si trova sempre a tifare per lei.
Un documentario interessante per il soggetto della sua analisi. Ribadisco, avrei gradito un po' di varietà nelle interviste, ma la Stewart è comunque talmente magnetica da saper tenere banco benissimo anche da sola.
Cast: Martha Stewart, Andrew Stewart, Alexis Stewart, Snoop Dogg.
Box Office: /
Vale o non vale: Interessante documentario sulla vita di una personalità che ha certamente influenzato l'America moderna. Per chi fosse interessato, "Martha" è sicuramente un buon film.
Premi: /
Parola chiave: Perfection.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

martedì 2 luglio 2024

Film 2287 - Bill Cunningham New York

Intro: Non avevo mai sentito parlare di questo documentario e mi è stato proposto di vederlo una sera che ero particolarmente stanco e avevo bisogno di qualcosa di interessante, ma non troppo impegnativo.

Film 2287: "Bill Cunningham New York" (2010) di Richard Press
Visto: dalla tv
Lingua: inglese
Compagnia: Michael
In sintesi: pellicola interessante (e molto veloce, oslo 84 minuti), "Bill Cunningham New York" è un documentario che a il suo dovere nel portare alla luce il soggetto su cui si focalizza, Bill Cunningham.
Fotografo di cui non avevo mai sentito parlare, è stato particolarmente piacevole scoprirne la storia e l'influenza che ha avuto sul mondo della moda, particolarmente a stelle e strisce.
Cunningham è un personaggio interessante e, certamente, uomo d'altri tempi. Ogni tanto fa bene ricordarsi come funzionassero le cose e come, di conseguenza, vivessero le persone in una realtà meno continuamente interconnessa.
Cast: Bill Cunningham, Carmen Dell'Orefice, Anna Wintour, Iris Apfel, Kim Hastreiter, Michael Bloomberg, Catherine Deneuve, Anna Piaggi, Michael Kors.
Box Office: $2,210,382
Vale o non vale: Certamente non per tutti i palati, ma per chi apprezza il fashion, la fotografia e/o i documentari, sicuramente una visione stimolante.
Premi: /
Parola chiave: Fashion.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 5 maggio 2022

Film 2105 - White Hot: The Rise & Fall of Abercrombie & Fitch

Intro: Mi apparso un giorno tra i trailer consigliati da Netflix e devo ammettere che mi ha incuriosito. Così l'ho recuperato una sera di un paio di settimane fa.

Film 2105: "White Hot: The Rise & Fall of Abercrombie & Fitch" (2022) di Alison Klayman
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Ciarán
In sintesi: da un certo punto di vista un documentario molto glam e certamente incentrato sul lato scandalistico della vicenda - e forse meno sull'impatto umano di quanto mi sarei aspettato - anche se tutto sommato "White Hot: The Rise & Fall of Abercrombie & Fitch" è stata una visione interessante.
Conoscendo Abercrombie & Fitch solo di fama, non avevo idea dell'impatto che avesse avuto nella società e cultura americane, per cui non mi aspettavo ci fossero state ricadute così pesanti. C'è anche da dire che, considerata l'immagine che il brand ha costruito per se stesso nel corso degli anni, non sorprende ci siano state accuse di discriminazione e razzismo nel corso degli anni.
Detto ciò, questo documentario è sicuramente in grado di intrattenere, anche se a tratti pare quasi una campagna riabilitativa messa in piedi dal brand per ripulirsi la coscienza.
Cast: Mike Jeffries, Benjamin O'Keefe, Bobby Blanski, Carla Barrientos, Anthony Ocampo, Kelly Blumberg, Kjerstin Gruys, Moe Tkacik, Jose Sanchez, Cindy Smith-Maglione, Charles Martin.
Box Office: /
Vale o non vale: Interessante quanto basta da lasciarsi guardare, anche se a tratti pare ricreare un'aura glam attorno all'immagine di quel brand che starebbe cercando di mettere spalle al muro.
Premi: /
Parola chiave: Razzismo.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 31 marzo 2022

Film 2099 - Downfall: The Case Against Boeing

Intro: Tornato dal cinema dopo la visione di "The Batman", avevo ancora voglia (e tempo) di vedere qualcosa. Così mi sono ricordato di questo documentario Netflix che avevo salvato nella mia lista dei preferiti.

Film 2099: "Downfall: The Case Against Boeing" (2022) di Rory Kennedy
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: interessante e scioccante, "Downfall: The Case Against Boeing" è un documentario ben fatto che racconta la tragedia dei due disastri aerei che hanno coinvolto la compagnia Boeing e il loro modello 737 MAX.
Perfettamente spiegato e ricco di dettagli esaustivi che aiutano lo spettatore a comprendere l'accaduto, questo documentario riesce nel suo intento di mettere in luce l'accaduto rispetto a questa tragedia, equilibrando perfettamente gli aspetti tecnici, le testimonianze dei parenti delle vittime e una ricostruzione dei fatti tanto dettagliata quanto sconcertante. Un ottimo documentario.
Cast: Chesley Sullenberger, Donald Trump, Ted Cruz, Lester Holt, Peter Jennings, Richard Blumenthal.
Box Office: /
Vale o non vale: Per chiunque abbia paura di volare, decisamente un film da evitare di vedere, anche se in termini di qualità e competenza del lavoro svolto "Downfall: The Case Against Boeing" è un ottimo documentario, pur su una vicenda spaventosa.
Premi: /
Parola chiave: MCAS.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 29 novembre 2021

Film 2060 - Britney vs Spears

Intro: Quale miglior momento per parlare di questa pellicola se non ora che la nostra beniamina è finalmente libera?

Film 2060: "Britney vs Spears" (2021) di Erin Lee Carr
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: non ho visto "Framing Britney Spears" quindi non posso fare un paragone con questo prodotto Nextlix che, tutto sommato, fa il suo dovere in termini di minuziosa vivisezione di uno dei casi più clamorosi della storia del pop contemporaneo: la conservatorship di Britney Spears.
Durata 13 anni - successivamente al breakdown emotivo della cantante fino a qualche settimana fa, precisamente il 12 novembre 2021 - la sentenza del giudice Judge Reva Goetz ha previsto la tutela e disposizione del patrimonio della Spears sotto le cure del padre Jamie, teoricamente al fine di perseguire il bene ultimo della popstar che, dopo anni parecchio complicati, sembrava non riuscisse ad uscire dalla spirale negativa in cui si era ritrovata. Come biasimarla, del resto, dal momento che gli occhi del mondo erano puntati su di lei 24 ore su 24?
In quest'ottica il documentario "Britney vs Spears" si pone come obiettivo quello di mettere sotto l'occhio dello spettatore le prove di abusi e maltrattamenti che si sarebbero verificati negli anni, episodi clamorosi che la stessa Spears ha recentemente esposto durante una testimonianza in tribunale dopo anni di negazioni pubbliche e sui profili social. Per chi fosse interessato, consiglio di ascoltare la testimonianza perché è qualcosa di a dir poco scioccante.
In ogni caso la pellicola di Erin Lee Carr si aggiunge a quella lista di articoli, riflessioni, testimonianze e, addirituttra, movimenti sociali che hanno reso questa conservatorship tanto clamorosa quanto scandalosa. Non è che "Britney vs Spears" aggiunga niente di più di quanto non si sapesse già prima, però rimane certamente a testimonianza evidente di un episodio tristissimo della storia del pop (e giudiziaria) americana. Di buono c'è che, fortunatamente, questa triste storia ha avuto quantomeno una fine (almeno per Britney, che è famosa e ha dei fan che si sono mossi e mobilitati per lei): Britney è libera, andiamo in pace.
Cast: Britney Spears, Jamie Spears, Erin Lee Carr, Jenny Eliscu, Felicia Culotta, Adnan Ghalib, Rosie O'Donnell, Simon Cowell, Kevin Federline.
Box Office: /
Vale o non vale: Parole come conservatorship e #freebritney sono diventate ultimamente di utilizzo comune a dare risalto mediatico a una vicenda che, non fosse accaduta a Britney Spears, non avrebbe avuto la stessa copertura mediatica. Se foste interessati alla vicenda e a capire meglio cosa parebbe sia successo dietro le quinte, "Britney vs Spears" è certamente un titolo da non perdere.
Premi: /
Parola chiave: Conservatorship.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 30 ottobre 2021

Film 2050 - Jodorowsky's Dune

Intro: Terza (e ultima) pellicola al Galliera. Neanche a dirlo, non ne avevo mai sentito parlare...

Film 2050: "Jodorowsky's Dune" (2013) di Frank Pavich
Visto: al cinema
Lingua: svedese, inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: devo ammettere non avessi una gran voglia di vedere questo film, forse non ero del tutto convinto. Ma Marta, la mia manager, continuava a ripetermi che fosse un documentario fantastico, così mi sono lasciato convincere. E, in effetti, non posso dire di non aver gradito l'opera di Frank Pavich, specialmente grazie ad un Alejandro Jodorowsky particolarmente in forma (che repeterà la parola "person" almeno 25 volte durante i 90 minuti di durata... La cosa mi ha fatto molto ridere).
Da una parte Jodorowsky ricorda un po' un Benigni messicano, così pieno di vita e amore per ciò che fa, la sua arte; dall'altro non si può fare a meno di pensare che non sia un filino fuori di testa. In senso buono, ci mancherebbe. Anche perché ci deve essere del genio nel riuscire a mettere insieme una squadra di talenti come riuscì a fare lui: Salvador Dalí, Orson Welles, Gloria Swanson, David Carradine, Mick Jagger, Udo Kier, Amanda Lear, Pink Floyd e Magma tutti pronti a mettersi in gioco per una delle pellicole più ambiziose mai realizzate. E quando dico 'mai realizzate' si intenda letteralmente.
Già, perché del "Dune" di Jodorowsky oggi rimane solo un ricordo, la speranza di riuscire a realizzare un prodotto all'avanguardia e spettacolare che, però, non trovò mai tutti i fondi sufficienti alla realizzazione vera e propria. E da quello che ci mostra questo documentario, è un vero peccato.
Rimangono testimonianze concrete nella forma di libri, fotografie, interviste, fumetti e, naturalmente, questo film, il che aumenta il valore della creatura di Pavich. Che, va detto, è un piacere da vedere.
Cast: Alejandro Jodorowsky, Michel Seydoux, H. R. Giger, Chris Foss, Nicolas Winding Refn, Amanda Lear, Richard Stanley, Brontis Jodorowsky, Mike Oldfield, Magma.
Box Office: $647,280
Vale o non vale: Se siete fan dell'opera di Frank Herbert, "Dune", allora non potete perdervi questo documentario. Specialmente se intendete recuperare (o lo avete già fatto) l'attesissimo primo capitolo cinematografico di Villeneuve o, addirittura, il film dell'84 diretto nientemeno che da David Lynch.
Premi: In competizione a Cannes 2013 per la Golden Camera.
Parola chiave: Person.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 28 ottobre 2021

Film 2049 - The Most Beautiful Boy in the World

Intro: Seconda pellicola recuperata grazie al cinema Galliera di cui, anche in questo caso, non avevo mai sentito parlare prima. Daje di documentario!

Film 2049: "The Most Beautiful Boy in the World" (2021) di Kristina Lindström, Kristian Petri
Visto: al cinema
Lingua: svedese, inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: storia triste dell'attore Björn Andrésen che, scelto nel ruolo di Tadzio nientemeno che da Luchino Visconti, vedrà la sua vita sconvolta - per non dire rovinata - dall'esperienza cinematografica che avrebbe di lì in avanti definito parte della sua esistenza: il film "Morte a Venezia".
Premesso che della pellicola del '71 sapessi poco e niente - vidi il film negli anni del liceo e ricordo che mi piacque moltissimo -, da questo "The Most Beautiful Boy in the World" mi aspettavo una sorta di dietro le quinte della realizzazione del film, quasi un'occhio indiscreto che andasse a sviscerare pregi e difetti di un'opera e una vicenda controverse. Insomma, mi ero immaginato un documentario più "investigativo", se vogliamo.
In realtà la fatica di Lindström e Petri, per quanto intrigante, si concentra solo inizialmente sulla produzione cinematografica, per poi indirizzare la narrazione unicamente su Andrésen, i suoi traumi e le complicate vicende personali. Il che non è necessariamente un male, ma rimane il fatto che il prodotto finale ha più a che fare con un biopic che un approfondimento socio-culturale sugli elementi che hanno portato alla creazione della pellicola ispirata al racconto di Thomas Mann.
"The Most Beautiful Boy in the World" non è facile da digerire. La fragilità estrema di Andrésen - sia fisica che mentale - mette lo spettatore di fronte a una serie di domande difficile e complesse che non lo abbandonano una volta terminata la visione. Quanto è lecito spingersi per ottenere ciò che si vuole, per di più in nome dell'arte? Quanti e quali sono gli elementi sacrificabili per mettere realizzare un capolavoro? Chi paga le conseguenze di azioni silenziose, ma senza scrupoli?
E' a queste domande che il film tenta di dar voce, stimolando una riflessione che parte, sì, dal soggetto protagonista del documentario (Andrésen), ma sconfina in quel territorio di compentenza di ogni singola coscienza.
Cast: Björn Andrésen, Riyoko Ikeda, Hajime Sawatari, Annike Andresen, Ann Lagerström, Luchino Visconti.
Box Office: $8,714
Vale o non vale: Pellicola dai toni tutt'altro che leggeri, "The Most Beautiful Boy in the World" pone di fronte a una serie di fatti complessi da decodificare e accettare con l'occhio moderno, anche se sono sicuro che meccanismi predatori del genere si verifichino tutt'oggi più di quanto non vogliamo immaginare.
Non si puà certo dire che si tratti di un documentario spensierato o che affronti tematiche perfette per una serata a casa sul divano, quindi nel momento in cui doveste scegliere di recuperare questo titolo, siate emotivamente preparati.
Premi: In concorso nella sezione documentari al Sundance Film Festival di quest'anno.
Parola chiave: Provino.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 22 maggio 2021

Film 2005 - Operation Varsity Blues: The College Admissions Scandal

Intro: Di nuovo una richiesta cinematografica di Ferdia, anche se questa volta devo ammettere che avrei recuperato il film su Netflix in ogni caso.

F
ilm 2005: "Operation Varsity Blues: The College Admissions Scandal" (2021) di Chris Smith
Visto: dall'iMac
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: non sono un grande fan dei documentari che mixano spezzoni con immagini di repertorio ad altri recitati da attori - specialmente perché di solito si tratta di attori non particolarmente conosciuti, il che di solito si traduce in una recitazione non esattamente da Oscar - per cui sono rimasto un po' deluso quando ho capito che questo "Operation Varsity Blues: The College Admissions Scandal" (mamma mia che titolo tremendo) si basava principalmente sulla messa in scena degli eventi originali da parte di un cast capitanato da Matthew Modine nei panni di Rick Singer.
Va detto che il risultato finale non è male ed è sicuramente di intrattenimento e riesco a capire il motivo per cui la scelta di ricreare gli accadimenti sia stata qui quasi necessaria, considerato che lo scandalo delle ammissioni ai college americani tramite mazzette pagate da genitori abbienti si è verificato appena due anni fa, per cui le immagini di repertorio a disposizione devono essere piuttosto limitate.
Detto ciò, non riesco a capire il senso di un documentario ibrido, specialmente perché la possibilità di ricreare la storia attraverso un'opera di fiction era un'opzione tutt'altro che impensabile e non credo che l'oggettività dei fatti ne avrebbe risentito.
In general, comunque, penso che "Operation Varsity Blues: The College Admissions Scandal" sia un titolo sufficientemente intrigante, non tanto per il documentario in sé - che non è niente di straordinario - quanto per la storia che racconta e i giochi di potere che mette in luce. Come al solito sono i ricchi a farla da padrone e anche se non c'era davvero bisogno di ribadirlo perché ci credessimo, è sicuramente cosa buona e giusta ricordarcelo tramite fatti, dati e cifre.
Cast: Matthew Modine, Roger Rignack, Jillian Peterson, Josh Stamberg, Courtney Rackley, Wallace Langham; Robert Fisher, Lori Loughlin, Mossimo Giannulli, Olivia Giannulli, Jane Buckingham, Felicity Huffman.
Box Office: /
Vale o non vale: Interessante per la storia che tratta, anche se il film di per sé sa meno di documentario e più di opera di fiction.
Premi: /
Parola chiave: Side door.

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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 12 febbraio 2021

Film 1952 - The Social Dilemma

Intro: Facciamo un salto in avanti di 152 film e torniamo al presente. O quantomeno all'anno scorso.
Ho colto l'occasione della cifra tonda della precedente recensione per lasciare per un po' indietro la vecchia lista di film - ancora corposa, ma comunque ampiamente sfoltita - per far progredire un po' i titoli più recenti che, da quando sono qui a Dublino, sono certamente influenzati da una serie di circostanze peculiari, capitanate dall'esperienza universitaria e la pandemia. Il che ha necessariamente visto un incremento delle mie visioni di pellicole presenti su Netflix o sulla mia memoria esterna e che da tempo avevo intenzione di recuperare, ma non ero mai riuscito a farlo. 

Proprio per evidenziare questa combo di circostanze particolari, ho pensato di inizare da un titolo che rappresenta appieno questo mio momento irlandese: un film Netflix che ho visto per il corso di Understanding Social Media e che ho usato come pretesto per argomentare la mia tesi rispetto a come la nostra esperienza in internet e sui social sia influenzata dagli algoritmi per il mio saggio di fine semestre. Di cui riporto un estratto. 
  
Film 1952: "The Social Dilemma" (2020) di Jeff Orlowski
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi
Building the Reality
Recently released on Netflix’s streaming platform, “The Social Dilemma” (Orlowski, 2020) is a documentary which aims to alert the audience on the numerous threats caused nowadays by social media.
According to the movie, human society is on the verge of a cliff, as algorithms are shaping reality and our perception of it, changing our habits one little step at a time while most of us are not even aware that behind Google, Facebook or Twitter there are artificial learning machines able to influence the way we experience the internet, and therefore our everyday life (Nguyen, 2020).
But is the society really doomed, as Netflix’s documentary so strongly suggests?


To understand what algorithms do, first it is necessary to assess what they are.
Different interpretations of algorithmic technology have been offered by scholars, all of whom agree that an algorithm is a process (or a series of steps) performed by a computer that achieves a desired outcome through the analysis of data. Consequently, automation can be defined as “a device or system that accomplishes (partially or fully) a function that was previously, or conceivably could be, carried out (partially or fully) by a human operator (Parasuraman, Sheridan and Wickens, 2000, p. 287)“.
Algorithms present several key-characteristics:
- They are actants, as they “are not alive, but [they] act with agency in the world (Tufekci, 2015, p. 207)”;
- They are “neither neutral nor objective (Diakopoulos, 2019, p. 18)” and extremely literal in the way they act (Luca, Kleinberg and Mullainathan, 2016);
- They are built to learn how to make new decisions while evaluating data (Diakopoulos, 2019);
- They can predict people’s future behaviours with great precision by creating behavioural patterns (based on data harvested by social media platforms);
- They are black boxes (Gillespie, 2016, p. 53): their code “is changed routinely (almost every week) (Tufekci, 2015, p. 206)” and it is unclear how it functions;
- They filter or select “what information is considered most relevant to us (Gillespie, 2014, p. 167)” based on the data collected. By doing so, they act as gatekeepers of the online information flow.
All these characteristics have direct consequences on how the internet and social media are presented to and perceived by users, and each one of them results in a slightly different experience of the web and its tools.

The internet is not the same for everyone.
Different people get different results when searching on Google, even if the query is the same. When posting on Facebook, most of your friends will be able to see what you shared, but that does not mean that it will be displayed to them all. While scrolling down your Instagram feed, it will prioritise pictures and videos from some of the accounts you follow, but not all of them. The reason behind this selection of contents is, of course, algorithms which have “apparent power, agential capacity and control (Neyland, 2015, p. 119)“ over our internet experience and, to a certain extent, our lives.


As mentioned before, algorithms make decisions based on the analysed data, which is provided by the platforms that employ them. They are built to consider what YouTube channels get most of our attention, which of our friends we tend to reward with more likes, to whom we chat the most on Messenger, what hashtags we use, what Facebook pages we follow, how much time we spend on someone’s Instagram account, what we search on Google, and so on.

Algorithms are “meaningless machines until paired with databases on which to function (Gillespie, 2014, p. 169)“, therefore, as Matzner explains, they are “very much data-driven (2019, p. 125)”. Social media platforms collect all the available information about what people do online in the form of data and metadata - which has generated concerns about users’ privacy protection - so that algorithms can read and translate it into something useful for the platform itself: a behavioural pattern.
By profiling users, the algorithm is able to differentiate each user’s online experience by shaping it around the information stored about them. In this sense, “the computer not only calculates or represents ‘reality’ but generates it (Totaro and Ninno, 2015, p. 147)“.
Content, news, search results and the overall social media experience will be different for everyone as certain content will be prioritized, while some will be overlooked in order to increase the users’ engagement and keep them on the platform longer.
This happens because companies’ main goal is to expose users to ads: the more the users will stay on the platform or website, the more ads they will encounter, the more likely they will click on them. These ads are designed to “target particular users who are likely to buy specific products (Tufekci, 2017, p. 136)“ and they are highly effective because they are tailored around the collected data and metadata. The success of tailored ads is vital to explain how platforms support themselves, as companies like Google and Facebook base their business models on algorithms and their ability to target users with the perfect - therefore most effective - advertisement.
This cycle has no end: the more people who engage with and participate on the platforms, the more successful, popular and powerful they become and, by doing so, the more advertising companies will be inclined to display their ads on those platforms and pay good money for it.


Additionally, by analysing and processing the huge amount of data harvested by social media, algorithms are able to predict the future. Or, to be more precise, they can guess with great precision how people will behave or react in response to what they see, read and/or hear on the internet to a degree where even emotions can be part of the prediction.
These predictions are then sold to business customers interested in human futures, what Shoshana Zuboff calls a new type of marketplace or ergonomic logic, which lead to informational andsurveillance capitalism(Age of Surveillance Capitalism, 2019).
Yet, errors and mistakes may occur. This happens because algorithms are very literal in the way they follow the step-by-step process to the extent that they do “exactly what it’s told and ignores every other consideration (Luca, Kleinberg and Mullainathan, 2016)“, as they are unable to detect any implied subcontext that may exist.
The strictness by which algorithms follow just what they are told is used by platforms and companies to promote the idea that what people are using is essentially an objective and neutral technology. As Gillespie straightforwardly explains:

“[...] this is a way to deflect responsibility: “Google’s spiritual deferral to ‘algorithmic neutrality’ betrays the company’s growing unease with being the world’s most important information gatekeeper. Its founders prefer to treat technology as an autonomous and fully objective force rather than spending sleepless nights worrying about inherent biases in how their systems [...] operate.” (2014)

Promoting algorithms as a super partes entity detached from possible biases or inequities shields companies from consequences caused by their technology’s actions or outcomes and, at the same time, extend the idea of impartiality to companies themselves. Once companies are perceived as fair and neutral, it is more difficult to make them accountable for their errors and mistakes.
It is suggested that our experience of the internet overseen by algorithms is bias-free, but in practice, platforms and websites are subject to a form of content restriction that goes beyond the technology itself. Facebook, Twitter, YouTube, all of them will remove contents that involve profanity, child abuse, “threats of violence, copyright or trademark violations, impersonation of others, revelations of others’ private information, or spam (Gillespie, 2011)“. As algorithms work on what they are told to do, they follow the set of rules decided by companies: “algorithms are created by people and reflect [...] biases of their designers (Berlatsky, 2018)”. This disrupts the idea of neutrality from the very beginning. Naturally, the employment of policies and guidelines by each company attempts to prevent or at least minimise biases and the occurrence of wrongdoings by users in order to provide for a safe and hospitable online environment as possible:

“Our Community Guidelines are designed to ensure that our community stays protected. They set out what's allowed and not allowed on YouTube, and apply to all types of content on our platform, including videos, comments, links and thumbnails.” (YouTube Community Guidelines and policies, no date) 

And yet, as Tufekci concludes, Community Guidelines have “significantly different impacts depending on the community involved (2017, p. 143)“.

When the algorithms are wrong.
Algorithms are not infallible, thus neither are platforms. More so, algorithms’ outcomes may differ from what they were originally intended to be.
Common missteps that may occur are the removal of content erroneously considered inappropriate, issues with the trending topic list of a social media (Porter, 2020), websites that become “choked with low-quality “click-bait” articles (Luca, Kleinberg and Mullainathan, 2016)“. Reasons behind these missteps may vary. Some may be connected to the Community Guidelines:

“Community policing means that the company acts only if and when something is reported to it and mostly ignores violations that have not been flagged by members of the community.” (Tufekci, 2017, p. 143)

This means that a platform like Facebook - which counts over 2 billion subscribers - mostly relies on users’ flagging posts, rather than proactively checking everything that has been posted on their platform. While feedback from subscribers is a powerful tool, it may lead to a wrongful use of the tool itself: what happens when a person or an organization become the target of unfair attacks by other users? Is the algorithm able to detect it or will it simply allow the misconduct to happen? Tufekci reveals that users like social movements or the LGBTQ community are usual targets of this misconduct (2017).

Other missteps may be connected to the trending section of the platforms. In September 2020 Twitter released a statement3 to explain the company’s decision to change how their algorithm picks the trending list. This happened after the question “Why is this trending?” was tweeted more than half a million times during the previous twelve months (Cortés, 2020), expressing users confusion in regards to the various and sometimes random topics trending on the platform. The problem has been so persistent that it led many to believe that the representation of “reality” as seen through the lens of Twitter’s trending topics could distort, and thus compromise, the national debate ahead of the November 2020 U.S. presidential elections (Ingram, 2020).
Twitter’s Trending Topics are now “decided by a combination of algorithms and human curation, and [...] trending descriptions [are] entirely human-curated (Porter, 2020)”. Also, algorithms are deployed to prevent spam or abusive tweets from being displayed on the trending section.


Similarly, Facebook faced a wave of backlash because of its trending topic section, but to a different outcome. How the platform picked its trending list was questioned for years, many criticising its tendency to help boost fake news.
Examples ranged from a conspiracy theory revolving the September 11 terrorist attack (Ohlheiser, 2016), to the untrue report of Fox News anchor Megyn Kelly being fired (Alba, 2017), to the story of an alleged Muslim terrorist attack that had momentum in Slovakia (Frenkel, Casey and Mozur, 2018) while Facebook was “testing a feature that separates users’ posts from content from professional news sites (Ong, 2018)”.
The rise of fake news on the platform’s trending list has been linked to Facebook’s decision to promote automation over human employees to filter its news-gathering operations:

“While employees are still involved in the process of vetting and pinning popular topics to Facebook’s sidebar, the process became far more hands-off in late August, both to increase its scale and to answer accusations of bias from human editors.” (Robertson, 2016)

After years of criticism and struggle connected to “the reliability of any news being distributed through its platform (Kastrenakes, 2018)”, in mid-2018 the company decided to definitively remove the trending list.
Many other platforms and companies like Instagram (Smith, 2020), Google (Cadwalladr, 2016), Amazon (Johnson and Pidd, 2009) and Netflix (Breznican, 2020) faced algorithm-related criticism; music streaming service Spotify has been accused of making “people into more conservative listeners, a process aided by its algorithms, which steer you towards music similar to your most frequent listening. (Hann, 2019)”

[...]

Are we really doomed? Not just bad algorithms.
Although our digital experience is greatly influenced by the algorithmic logic, what this technology is capable of is not just used to trick or spy on users, as it is often deployed for practical and useful outcomes in human activities.
As previously mentioned, social media platforms can be instrumental in enhancing users’ participation to the public sphere, something so relevant that internet access is now starting to be considered not just as a luxury good, but as a basic human right (Bode, 2019).
On the practical side, the algorithmic technology has been employed in different fields and with different new functions; examples may be the creation of a system that exploit “social media to automatically produce local news (Schwartz, Naaman and Teodoro, 2015, p. 407)”, the use of an automated writing technology to write earning reports (Diakopoulos, 2019), or the employment of “pattern recognition algorithms [that] are meant to detect suspicious or abnormal events (Matzner, 2019, p. 134)” when used with smart CCTV cameras. Though useful tools to perform each of these activities, algorithms still require human supervision to properly perform their task.
So, to answer the initial question: is society doomed as “The Social Dilemma” is urging us to believe?


Although it is undeniable that social media and its algorithms influence the way we perceive reality and how the public discourse is built, I believe the movie overdramatization of the events may be misleading. Interviewees often refer to social media’s strong effects on users, who are depicted as powerless and defenceless over the invincible persuasive force of the technology in a kind of communication “too powerful to give room for the recipients to process the information received otherwise (Wogu ​et al.,​ 2020, p. 323)”. Television has been described the same way.
What is important to remember is that the human employment of the technology is not a passive process: as the Uses and Gratifications theory asserts, people’s use of a medium is connected to the possible gratification of specific needs, therefore being active agents over the media they choose to consume.
This alone may not be enough in terms of facing the numerous challenges connected to the increasingly powerful influence hold by digital technologies, yet it looks like a good place to start. 

Cast: Tristan Harris, Aza Raskin, Justin Rosenstein, Shoshana Zuboff, Jaron Lanier, Skyler Gisondo, Kara Hayward, Vincent Kartheiser, Anna Lembke.
Box Office: /
Vale o non vale: Il documentrio in sé è anche interessante, ma non ho trovato sempre efficace la scelta di optare per una parte di narrazione destinata ad un elemento di fiction di cui francamente non c'era bisogno e che va a caricare emotivamente una storia che sarebbe già sufficientemente apocalittica nelle sole parole degli intervistati.
In ogni caso un film sui cui riflettere e che fa riflettere.

Premi: /
Parola chiave: Algoritmi.

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Bengi

mercoledì 23 dicembre 2020

Film 1758 - Nothing Like a Dame

Intro: Appena ho scoperto questo l'esistenza di questo documentario ho capito che volevo recuperarlo. A tutti i costi.
Film 1758: "Nothing Like a Dame" (2018) di Roger Michell
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: documentario interessante sulla vita di quattro legendarie attrici inglesi che da sole hanno collezionato 3 Oscar, 7 Golden Globes, 5 Emmy, 16 BAFTA e 3 Tony Awards, per un mix di vita privata e dietro le quinte che i fan non potrnno non apprezzare.
Il film in sé forse non è tanto grandioso quanto ci si sarebbe potuti aspettare, in ogni caso le quattro protagoniste tengono banco con charme e un'innata energia che è onestamente un piacere da seguire. Le chiacchiere di queste quattro amiche - che sono anche quattro fantastiche attrici di cinema, tv e teatro - sono il regalo migliore per questa fine 2020. Credetemi.
Cast: Eileen Atkins, Judi Dench, Joan Plowright, Maggie Smith.
Box Office: /
Vale o non vale: Tanta tenerezza, ammirazione e rispetto per un gruppo di grandissime attrici che ripercorrono anni di amicizia e successi attraverso una chiacchierata. Un buon documentario che rende giustizia al suo soggetto o, per meglio dire, rimette al centro della conversazione il talento delle sue protagoniste. Da vedere.
Premi: /
Parola chiave: Ricordi.
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venerdì 23 ottobre 2020

Film 1939 - One Million Dubliners

Intro: Devo pensare a quale soggetto scegliere per il lavoro di fine semestre del corso di fotografia e, tra le varie ricerche che ho fatto su luoghi che parrebbero interessanti, sono incappato in questo documentario.
Film 1939: "One Million Dubliners" (2014) di Aoife Kelleher
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: documentario interessante in generale, anche se speravo che affrontasse più dettagliatamente l'argomento del cimitero in sé piuttosto che tutto l'universo che ci orbita attorno.
E' vero che il Glasnevin Cemetery è anche un'attrazione turistica considerato che moltissimi personaggi chiave della storia irlandese vi sono seppellini - Michael Collins è l'unico tra quelli mostrati che già conoscevo - e che annesso alla struttura si trova anche il museo dedicato, però mi auguravo che "One Million Dubliners" riflettesse più su aspetti architettonici e paesaggistici e si perdesse meno attorno a questioni marginali.
Poi, va detto, molti degli spunti presentati risultano anche interessanti - le attività del museo, le curiosità che racconta la guida, il progetto di riqualificazione e restauro del cimitero, la signora francese - però rimane come l'impressione che si vogliano fornire tanti spunti, ma non ci si prenda bene il tempo per approfondirli. Online mi è capitato di leggere una recensione di un utente che sottolinea proprio questa problematica, ovvero il dare spazio a troppi elementi invece di concentrarsi su due o tre tematiche centrali ed approfondirle. Condivido, anche perché la sensazione generale che rimane è che questo, più che un documentario, sia una sorta di lunga pubblicità per promuovere il cimitero e le sue attività.
Da non irlandese che sa poco sulla storia di questo paese l'ho trovato comunque interessante, anche se avrei preferito qualcosa di meno "promozionale". E, aggiungo, ho trovato la scelta del colpo di scena finale - sempre che così si possa definire una coincidenza tanto sfortunata - banale e un po' di cattivo gusto. Mi sento di dire che mi sarei potuto aspettare qualcosa di simile da una produzione americana, visto quanto ci hanno abituato alla spettacolarizzazione di ogni momento della vita, eppure qui ho trovato il finale come fuori posto e, per come raccontato, anche fuori contesto rispetto al genere documentaristico. Una semplice scheda informativa prima dei titoli di coda sarebbe stata perfettamente adeguata.
Cast: /
Box Office: /
Vale o non vale: Storia di un cimitero e del mondo che gli ruota intorno. E' interessante e presenta spunti che varrebbe la pena di approfondire meglio, cosa che purtroppo non succede. In ogni caso, doveste decidere di vederlo (qui il link gratuito), di sicuro non vi pentirete della visione. E' un film delicato e certamente inusuale.
Premi: /
Parola chiave: Caretakers.
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sabato 17 ottobre 2020

Film 1936 - Anaconda

Intro: La settimana scorsa volevo rilassarmi nel pomeriggio guardandomi un film boiata e ho scelto questo titolo. Dopo una mezzoretta mi sono addormentato...
Film 1936: "Anaconda" (1997) di Luis Llosa
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: ho scelto "Anaconda" perché sulla carta pareva la scelta giusta per un paio d'ore di sano divertimento spegni-cervello e sì, mi sono un po' ricreduto. Non che cercassi o mi aspettassi alcun capolavoro, però ammetto ricordassi qualcosa di un po' più spassoso e sofisticato (a livello di effetti speciali e tecnologia utilizzata, ovviamente), mentre terminare la visione dell'a malapena un'ora e mezza di durata ha richiesto una certa dose di forza di volontà.
Al di là del fatto che "Anaconda" sia un brutto film - anche esteticamente -, la totale mancanza di pathos e la banalità dei personaggi non fa altro che esasperare il terribile livello di esecuzione del cattivo di tutta la storia, il serpentone meccanico/computerizzato, indifendibile su tutta la linea. Senza contare le inesattezze biologiche che a questo punto mi sento di dire non fossero davvero un problema narrativo preso in considerazione qui.
Il risultato finale è fiacco e troppo spesso noioso, il personaggio di Jon Voight è troppo irritante per sopravvivere così a lungo e JLo... che dire, fa quello che può (anche truccandosi nel bel mezzo della giungla! Voglio dire quale regista di documentario naturalistico in previsione di una crociera sul Rio delle Amazzoni non dà priorità alla cosmesi ricordandosi di portare con sé un rossetto?!) e devo dire che quantomeno in questa occasione sia riuscita nell'evitare di far strabordare quella sua anima da ghetto queen del Bronx che solitamente risulta essere suo marchio di fabbrica indelebile. Onore al merito. Detto ciò: "Anaconda" sashay away.
Cast: Jennifer Lopez, Ice Cube, Jon Voight, Eric Stoltz, Jonathan Hyde, Owen Wilson, Kari Wuhrer, Vincent Castellanos, Danny Trejo.
Box Office: $136.8 milioni
Vale o non vale: Crociera amazzonica sulle tracce di popolazioni indigene introvabili finisce male nel momento in cui la mitologica anaconda gigante mangiauomini si affaccia all'orizzonte. JLo resiste e le ricorda chi è la vera regina della festa.
Mi prendo ufficialmente una pausa dai film con animali assassini.
Premi: 6 candidature ai Razzie Awards del 1998 - e sorprendentemente nessuna per Jenny from the Block! - per Peggior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista (Voight), coppia sullo schermo (Voight e l'anaconda) e star emergente (l'anaconda... ahahah). "Anaconda" ha perso tutto contro "L'uomo del giorno dopo" ("The Postman") di Kevin Costner.
Parola chiave: Documentario.

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venerdì 9 ottobre 2020

Film 1931 - The Kingmaker

Intro: L'altra sera stavo cercando qualcosa da vedere che si accompagnasse bene alla cena e, spulciando l'hard drive, ho ritrovato questo film che ho scaricato prima di partire. Era senza dubbio il titolo perfetto!
Film 1931: "The Kingmaker" (2019) di Lauren Greenfield
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: della Sig.ra Marcos conoscevo solo l'aneddoto sull'incredibile numero di scarpe, per cui è stato molto interessante approfondire l'argomento da un'agolazione più politica e umana.
La narrazione comincia con l'esposizione del punto di vista della protagonista - la vedova di Ferdinand Marcos, presidente (e di fatto diddatore) delle Filippine per poco più di vent'anni - e procede pian piano fornendo le prove di una corruzione e l'esercizio di un potere autoritario e violendo che finiscono per smontare inevitabilmente la visione quantomeno illusoria dei fatti che l'ex First Lady vorrebbe far passare. E non si può fare a meno di chiedersi se la donna, per dirla facile, ci sia o ci faccia. Perché è evidente che Imelda Marcos sia profondamente consapevole di ciò che le succede e le è successo intorno, per cui risulta difficile credere che il suo racconto basato sul concetto di amore per la nazione e il suo popolo si basi sulla percezione cosciente della realtà e non sia, invece, solamente una maniera per farsi scudo delle durissime critiche rvolte a lei e alla controversa figura del marito.
In un'ora e quaranta di documentario, infatti, la Greenfield ripercorre anni di storia delle Filippine e dei suoi potenti amministratori in un contesto che vede la corruzione e l'esercizio dell'autorità suprema quali elementi intrinsechi della gestione del paese, facendo leva su un'emotività della protagonista della storia che cozza profondamente con le scelte fatte e le decisioni prese.
Tra un mondo di sfarzo e lusso sfacciato che mette ancora più in evidenza il divario con la povertà dilagante della popolazione e l'inquietante assetto da regime totalitario che prende via via piede nell'amministrazione Marcos è di fatto impensabile ritenere innocente o anche solo estranea ai fatti una figura come quella della Marcos che, ad oggi, detiene ancora un enorme potere politico e mediatico a livello non solo nazionale. Senza contare che non mancano prove a sostegno di questa possibilità.
L'altro aspetto narrativo toccato da questa pellicola coinvolge, invece, la rinascita della dinastia Marcos, con la figura ora centrale del primogenito Bongbong alla ricerca di nuovo potere politico attraverso la candidatura a vicepresidente del paese. Non basterà la sconfitta a farlo desistere, tanto che verrà a galla un'alleanza con l'attuale presidente Duerte e risulterà rivelatrice nei confronti di un piano per la "rinascita" che si è messo in moto ormai molto tempo addietro.
Insomma, "The Kingmaker" comincia come una sorta di biografia della sua figura centrale Imelda Marcos e finisce per toccare tematiche che vanno molto oltre la semplice curiosità nei confronti dell'immagine glam e cosmopolita che ci si fermerebbe a considerare quando si pensa alla ex First Lady; il che, a mio avviso, costituisce la forza di questo documentario, una sorta di percorso quasi inaspettato che, invece, risulta essere il vero carburante di tutta la storia.
Cast: Imelda Marcos, Bongbong Marcos, Benigno Aquino III, Leni Robredo, Andres D. Bautista, Etta Rosales, Imee Marcos, Rodrigo Duterte, Corazon Aquino, Ferdinand Marcos.
Box Office: $148,653
Vale o non vale: Interessante e ben strutturato, questo film non si perde dietro reverenze e compliemti, ma si interessa di dare il più accuratamente possibile uno sguardo obiettivo rispetto ai vari elementi della sua storia (famiglia Marcos, strapotere e dittatura, appropriazione indebita di risorse dello stato, esilio, malcontento popolare, resurrezione politica e "perdono", corruzione, violenza, legge marziale). Il risultato è molto interessante e ben argomentato, anche se mi sento di dire che certi passaggi dei racconti degli attivisti (nonché vittime) avrebbero potuto essere gestiti meglio a livello narrativo. A parte questo, "The Kingmaker" è un solido documentario.
Premi: Il film è stato presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia 2019.
Parola chiave: Love.

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giovedì 3 settembre 2020

Film 1914 - Paris Is Burning

Intro: Da grandissimo fan di "RuPaul's Drag Race" interessato telespettatore di "Pose" non potevo esimermi dal recuperare questa pellicola (che potete recuperare gratuitamente qui).
Film 1914: "Paris Is Burning" (1990) di Jennie Livingston
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: mi sono avvicinato a "RuPaul's Drag Race" totalmente per caso e me ne sono innamorato: lo trovo geniale, spassoso e fortemente autoironico. Mi sono approcciato a "Drag Race" credendolo assolutamente innovativo e spregiudicato. Poi ho scoperto "Pose".
Là dove il programma di RuPaul mette in scena il suo sbrilluccicante spettacolo in chiave moderna, "Pose" regala allo spettatore un approccio più serio e storicamente accurato, fornendo un contesto alla subcultura della 'ballroom' con le sue categorie, le sue sfilate e i suoi trofei. Ma anche qui non si sono inventati niente.
Totalmente ignaro per anni dell'esistenza di questa realtà, ne ho pian piano approfondito la conoscenza grazie a questi show che l'hanno riportata a una grande popolarità, pur mancandomi una base più solida e realistica. E' qui che arriva "Paris Is Burning", coraggioso documentario di Jennie Livingston che, a fine anni '80, pone al centro del suo film la vita delle comunità afro e latinoamericane di omosessuali, transessuali e drag queen che partecipano ai 'balli' ('balls') divise per case ('houses'), ovvero le famiglie di appartenenza. Dove le famiglie naturali hanno fallito, sono proprio le case a fornire protezione e affiliazione a quei giovani che, altrimenti, non avrebbero un posto dove stare, né di che mangiare.
Nonostante l'immagine ludica e colorata che questo tipo di eventi mette in scena, è evidente fin da subito la difficoltà quotidiana affrontata dai protagonisti, affascinati da un mondo di ricchezza e stile (anche di vita) per loro inaccessibile e irraggiungibile. Parte di questa inaccessibilità si riversa nella ballroom stessa attraverso le categorie che definiscono le varie sfilate che i partecipanti affrontato davanti a una giuria per ottenere i premi messi in palio. La comunità celebra sé stessa e i propri membri attraverso quegli standard che di fatto li discriminano, rendendo ancora più evidente la disparità sociale e le ingiustizie all'epoca all'ordine del giorno. Non che oggi le cose siano largamente migliorate.
"Paris Is Burning" è quindi oggi più attuale che mai, sollevando molteplici problematiche tutt'ora rilevanti che la comunità LGBTQI+ è costretta ad affrontare, tra disparità, diffidenza e razzismo da un lato e lo sdoganamento mainstream della propria cultura grazie a quei programmi e quei personaggi che hanno col tempo ottenuto rilevanza e successo (il documentario Netflix "Disclosure", le varie drag queen di RuPaul come Bianca Del Rio, Violet Chachki, Alyssa Edwards, Shangela, Trixie Mattel, Kim Chi e i vari nomi affermati ad Hollywood come Mj Rodriguez, Indya Moore, Billy Porter, Dominique Jackson, Laverne Cox, le sorelle Wachowski, Ryan Murphy, Our Lady J, eccetera, eccetera, eccetera).
"Paris Is Burning" non è un film perfetto, però ha il grande pregio di essere estremamente diretto e franco con lo spettatore. In un momento come questo di grande visibilità e apprezzamento della scena culturale LGBTQI+, diventa più cruciale che mai rintracciare le origini di uno dei suoi fenomeni culturali più creativo e vitale e che, allo stesso tempo, affonda le proprie radici nella marginalizzazione e nel disagio, per ricordarci non solo quanta strada sia stata fatta, ma anche quanto ancora ci sia da lavorare in termini di uguaglianza e accettazione.
Cast: Dorian Corey, Pepper LaBeija, Venus Xtravaganza, Octavia St. Laurent, Willi Ninja, Angie Xtravaganza, Freddie Pendavis, Junior Labeija.
Box Office: $3,779,620
Vale o non vale: Un documentario interessante, pieno di vita e che non si tira indietro di fronte alle questioni spinose. Jennie Livingston riprende la scena newyorkese delle ballroom e ne regala un ritratto onesto e sensibile capace di spiegare efficacemente le regole e i costumi di questa subcultura a chi non abbia familiarità con l'argomento. Non si sbaglia a scegliere di vedere questa pellicola, si impara qualcosa e ci si confronta con tematiche complesse che fanno riflettere.
Premi: Il film ha vinto come Miglior documentario al Festival del cinema di Berlino del 1991.
Parola chiave: Ballroom.

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venerdì 21 agosto 2020

Film 1911 - Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin

Intro: Si continua con la visione al Galliera dei film per la prossima stagione: questa volta ho scelto io.
Film 1911: "Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin" (2019) di Werner Herzog
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Marta, Mattia
In sintesi: il trailer mi aveva catturato per due motivi fondamentali: il film parla della Patagonia, in ordine temporale la parte finale dei miei 2 anni e mezzo di viaggio (ho vissuto 3 mesi ad Ushuaia, la città più a sud del mondo), e, a sorpresa, del popolo indigeno argentino dei Selk'nam, di cui mi sono tatuato sulla caviglia la figura di un indigeno vestito secondo i costumi locali.
Nonostante non sapessi nulla di Bruce Chatwin e della sua opera, è chiaro che questo documentario mi abbia attirato dal primo istante, incuriosendomi non poco rispetto alla storia di un viaggio, una vita e un'amicizia di cui mi pareva ci fosse molto su cui parlare.
La realtà è che "Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin" è un prodotto che se la canta e se la suona da solo, con Herzog - qui anche cantilenante narratore - che pensa più che altro a mettere in scena le fasi dell'amicizia che lo ha stretto a Chatwin in una glorificazione totale che, anche se affonda le sue considerazioni in fatti concreti, finisce inevitabilmente per risultare di parte e a tratti noiosa. Perché Chatwin era un grande scrittore, un uomo affascinato dalle molteplici sfaccettature dell'esistenza umana, eppure Herzog perde troppo tempo a rintracciare un percorso iniziale che rimane spesso vago e difficilmente comprensibile a chi non conosca già l'oggetto dell'analisi, finendo per lasciare lo spettatore medio ancora più confuso e stordito. Insomma, c'è troppa carne al fuoco e anche se la pellicola dura nemmeno un'ora e mezza, la sensazione che si ha a fine visione è quella di aver assistito ad uno spettacolo eterno che si è protratto per tappe eterogenee (Galles, Australia, Cile, Argentina, Africa) e difficili da interconnettere.
Sicuramente la forza di questo film sta nel dare visibilità a un personaggio degno di nota, ma il problema a mio avviso è che le buone intenzioni si perdono nel mix caotico di auto-citazioni, simbolismi, rimandi dati per scontato e un senso generale di mancanza di un baricentro di una storia che propone diverse angolature per l'analisi del suo oggetto di studio, ma fatica a decidere quale sia il suo leitmotiv: è il viaggio in Patagonia? E' l'opera artistic di Chatwin? E' l'amicizia con Herzog? E' l'interesse mistico? E' l'ultimo periodo di vita dell'autore, segnato dalla malattia dell'HIV? Non si capisce. E la divisione in 8 capitoli (troppi!) non aiuta a dare un senso di unità, nonostante l'evidente omaggio/rimando alla struttura di un'opera letteraria.
Insomma, per quanto abbia apprezzato il rivedere sullo schermo parti del mio viaggio (Australia, Argentina, Cile) e abbia fatto la conoscenza di un autore prima di allora a me sconosciuto, non posso dire che "Nomad" mi abbia aiutato a delineare un'opinione precisa e ben strutturata sulla figura di Bruce Chatwin. Forse meglio leggere il suo libro "In Patagonia" per cominciare a farsi una propria idea.
Cast: Werner Herzog, Bruce Chatwin, Karin Eberhard, Nicholas Shakespeare, Elizabeth Chatwin.
Box Office: /
Vale o non vale: Sicuramente gli amanti del cinema di Herzog e gli estimatori di Chatwin apprezzeranno, anche se credo che chi non conosca nessuno dei due autori faticherà a farsi un'idea concreta sullo scrittore. "Nomad" è più che altro un documentario di sensazioni e misticismo che approfondisce poco i temi centrali dell'opera del suo oggetto di studio e si concentra molto sull'idea di ripercorrere parti del viaggio di Chatwin e nel rendere omaggio a un'amicizia. In questo senso credo che, appunto, la pellicola sia più che altro un atto d'amore e, per questo, perda un po' di vista quell'oggettività necessaria a far da sfondo ad un progetto di questo tipo. Non fa certo male vederlo, ma non è un film per tutti.
Premi: /
Parola chiave: Songlines.

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lunedì 17 agosto 2020

Film 1908 - Disclosure: Trans Lives on Screen

Intro: Incuriosito dalla pubblicità spalmata su tutto Netflix, ho deciso di utilizzare un caldo pomeriggio di luglio per recuperare questo documentario.
Film 1908: "Disclosure: Trans Lives on Screen" (2020) di Sam Feder
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: un prodotto sicuramente interessante e narrativamente accattivante che getta luce su un mondo di cui si sa ancora poco (e di cui so ancora poco, devo ammettere), "Disclosure: Trans Lives on Screen" ha il pregio di presentare le storie di tantissimi attori e attrici e addetti ai lavori del mondo del cinema e di prestare loro una vetrina potenzialmente gigantesca per parlare delle loro esperienze e del loro vissuto. Sicuramente questo aspetto del documentario di Sam Feder è il cuore del progetto - lo si capisce da quanto spazio sia regalato ai racconti personali - che, però, a mio avviso manca di un approfondimento più mirato e che rimanga meno sulla superficie. Detto in parole povere, "Disclosure: Trans Lives on Screen" è accattivante perché patinato, presenta tantissime star transessuali come Laverne Cox, Mj Rodriguez, Angelica Ross o Chaz Bono e cita tantissimi esempi diretti tratti dal mondo hollywoodiano ma, appunto, rimane spesso incastrato in questa cornice che strizza un po' l'occhio al glam e, nonostante si spenda tantissimo per dire l'esatto opposto, finisce forse per veicolare proprio quel messaggio invece da evitare, ovvero che abbracciare la causa trans sia la nuova "fase" della comunità LGBTQI+.
In ogni caso vedere "Disclosure" male sicuramente non fa, soprattutto come punto di vista iniziale o aggiuntivo sulla questione. Poi, per approfondire, sicuramente c'è altro.
Cast: Laverne Cox, Susan Stryker, Alexandra Billings, Jamie Clayton, Chaz Bono, Alexandra Grey, Yance Ford, Trace Lysette, Jazzmun, Mj Rodriguez, Angelica Ross, Jen Richards, Elliot Fletcher, Brian Michael Smith, Sandra Caldwell, Candis Cayne, Jessica Crockett, Zackary Drucker, Lilly Wachowski, Ser Anzoategui, Michael D. Cohen, Zeke Smith, Leo Sheng.
Box Office: /
Vale o non vale: L'intento è nobile, e la realizzazione buona; tutto sommato "Disclosure: Trans Lives on Screen" fa del suo meglio per dare visibilità alla causa trans, anche se si sarebbe potuto approfondire un po' meglio la questione lasciando un po' più da parte il richiamo hollywoodiano. Comunque un documentario interessante.
Premi: /
Parola chiave: Culturale.

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venerdì 5 giugno 2020

Film 1714 - Matangi/Maya/M.I.A.

Intro: Non appena ho scoperto dell'esistenza di questo biopic, ho subito deciso che avrei dovuto vederlo; ho aspettato a farlo con Edo, anche lui un fan accanito dell'artista al centro di questa storia.
Film 1714: "Matangi/Maya/M.I.A." (2018) di Steve Loveridge
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese, tamil
Compagnia: Edo
In sintesi: diciamoci la verità, chiunque abbia ideato il titolo di questo documentario sulla cantante inglese di origini singalesi M.I.A. (al secolo Mathangi "Maya" Arulpragasam) non ha fatto un grande favore al marketing e alla promozione di questo film. Poi, chiaro, una volta identificati i tre nomi per i quali è possibile riconoscere la rapper - facendoli conseguentemente corrispondere a conseguenti fasi della sua vita - diventa tutto un attimo più chiaro. Rimane il fatto che chi non fosse familiare con la storia della protagonista rimanga inevitabilmente tagliato fuori o quantomeno perplesso. Non dico che sia necessariamente una regola portare tutto alle semplificazione in nome di una maggiore spendibilità comunicativa, però mi sembra un peccato che sia così complesso anche solo identificare il film sui motori di ricerca (perfino su iMDB si fatica a trovarlo).
Ciò detto, "Matangi/Maya/M.I.A." è un'interessante immersione nel mondo della cantante che mi pare renda giustizia non solo all'artista, ma anche alla persona e alle sue idee. Da fan, posso dire di aver trovato abbastanza coinvolgente il risultato finale, sufficientemente specifico per quanto riguarda la genesi dell'artista, della sua visione del mondo e, naturalmente, delle sue canzoni. Per chi non conoscesse M.I.A. - o la conoscesse anche solo per quella scemenza di "incidente" al Super Bowl XLVI con Madonna e Nicki Minaj - può essere una buona occasione per recuperare un po' di contesto relativamente ad un'artista interessante e impegnata (passatemi il termine) e molto meno scontata di tante altre figure osannate di questi tempi.
Ps. Piccola curiosità, il film è stato passato anche al Biografilm Festival di Bologna nel 2018.
Cast: M.I.A.
Box Office: /
Vale o non vale: Interessante e sufficientemente approfondito, anche se non perfetto (a partire dal titolo), "Matangi/Maya/M.I.A." vive della grande forza del suo "oggetto di studio", la rapper inglese M.I.A., un'artisti contemporanea sicuramente da seguire. Nel documentario non solo approfondimenti sulla vita personale, le origini, i successi (anche una nomination all'Oscar per il film "Slumdog Millionaire"), ma anche la genesi di alcune delle sue canzoni più famose ("Born Free", "Paper Planes", "Bad Girls" and "Borders"). I fan apprezzeranno e non poco. Per tutti gli altri, uno spunto di approfondimento in più, che non fa mai male.
Premi: /
Parola chiave: Refugee.

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lunedì 6 aprile 2020

Film 1866 - Alla mia piccola Sama

Intro: Tornato in Italia, tornato a casa, tornato al mio amato Cinema Galliera. Durante uno dei miei turni, la proposta era questa e ho deciso, un po' inconsapevolmente, di entrare in sala e vedermi la proiezione. E, ci tengo a dirlo, il cinema era al completo.
Film 1866: "Alla mia piccola Sama" (2019) di Waad Al-Kateab, Edward Watts
Visto: al cinema
Lingua: italiano, arabo
Compagnia: Mirco
In sintesi: no, non ero pronto per questo film, questa storia, queste scene. Dire che "For Sama" sia un pugno nello stomaco è dire poco, francamente, e non penso si possa essere davvero preparati alla potenza di quanto mostrato, tra bombardamenti, perdite, sacrifici, eroismo, sogni infranti, voglia di non mollare; tutto questo insieme crea un quadro leggermente spostato rispetto al piano politico di quanto ci si aspetterebbe, ma non per questo meno credibile o realistico. Al contrario.
La vita di Waad e Hamza è costantemente ripresa per raccontare a chi la battaglia di Aleppo o la guerra in Siria non le conosce o non riesce a immaginare come la vivano le persone, fornendo allo spettatore la prospettiva di chi non solo è costretto a fare i conti con lo scontro quotidiano, ma anche di chi dà una mano, chi è impegnato in prima linea, chi mette a repentaglio la propria vita non solo per un ideale, ma per il bene delle altre persone, per la speranza che un giorno Aleppo e tutto il resto del Paese possano vedere la fine del conflitto e riacquisire una normalità, una stabilità.
"Alla mia piccola Sama" è la versione italiana del film doppiata da una Jasmine Trinca efficace, ma a volte troppo "costruita". Non poche volte si riscontra nel doppiaggio italiano quasi una forzatura di toni, una drammatizzazione più da fiction che da documentario che, devo ammettere, a tratti mi ha infastidito. Ne capisco l'origine, ma penso falsi il tono con cui questo prodotto si presenta, altrimenti, a chi guarda. Non serve nemmeno confrontare la versione doppiata con quella originale, l'audio in sottofondo dà già da solo le prove necessarie per farsi un'idea di quanto, talvolta, si sia calcato un po' con l'emotività per quanto riguarda il prodotto in italiano.
In ogni caso questo non intacca la potenza alla base della pellicola, una forza vera e innegabile che rimane con lo spettatore anche a visione terminata. Se ne esce spezzati, emotivamente provati da un viaggio che, pur sapendo sarebbe stato complesso, non ci si poteva aspettare sarebbe stato così impegnativo e logorante. Sfido chiunque a non trattenere il fiato, terrorizzato, nella scena del parto in ospedale.
Insomma, un film che non posso definire bellissimo solo perché mette in scena senza filtri una marea di atrocità e di dolore - anche se controbilanciato da una positività e una voglia di andare avanti, di vivere -, ma sicuramente un film che centra assolutamente il suo obiettivo e lascia con non poche questioni su cui riflettere. In un momento come questo, separati dagli affetti, incerti sul futuro, le nostre granitiche certezze minate alla base, "For Sama" è una pellicola che ci ricorda che per milioni di persone questa non è un'eventualità remota che sfortunatamente si è verificata, ma la quotidianità. Consapevoli di ciò che abbiamo e a cui abbiamo - momentaneamente - dovuto rinunciare, mi sembra sensato dare una chance alla storia di 
Waad e ascoltare cosa abbia da dire. Noi altri, poi, torneremo alla nostra routine quotidiane quando la guerra, invece, non cesserà di esistere durante o dopo il coronavirus. 
Cast: Waad Al-Kateab, Hamza Al-Kateab, Sama Al-Kateab. 
Box Office: $1.3 milioni
Vale o non vale: Da vedere. Da vedere e da ascoltare attentamente, ma preparati "al peggio", perché "For Sama" non risparmia nulla a chi guarda, sbatte in faccia l'orrore, la violenza, il dolore e la morte al pari delle gioie, delle soddisfazioni, della felicità. Del resto, per alcuni, la vita è questa ed è giusto che il mondo se ne renda conto il più possibile senza filtri. Scegliete di vedere questo film, non ve ne pentirete, anche se ne uscirete inevitabilmente distrutti.
Premi: Candidato all'Oscar per il Miglior documentario; vincitore del BAFTA per il Miglior documentario su 4 nomination (Miglior debutto, film britannico dell'anno, film straniero). Vincitore de L'Œil d'or al Festival di Cannes 2019.
Parola chiave: Resistenza.

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