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giovedì 28 ottobre 2021

Film 2049 - The Most Beautiful Boy in the World

Intro: Seconda pellicola recuperata grazie al cinema Galliera di cui, anche in questo caso, non avevo mai sentito parlare prima. Daje di documentario!

Film 2049: "The Most Beautiful Boy in the World" (2021) di Kristina Lindström, Kristian Petri
Visto: al cinema
Lingua: svedese, inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: storia triste dell'attore Björn Andrésen che, scelto nel ruolo di Tadzio nientemeno che da Luchino Visconti, vedrà la sua vita sconvolta - per non dire rovinata - dall'esperienza cinematografica che avrebbe di lì in avanti definito parte della sua esistenza: il film "Morte a Venezia".
Premesso che della pellicola del '71 sapessi poco e niente - vidi il film negli anni del liceo e ricordo che mi piacque moltissimo -, da questo "The Most Beautiful Boy in the World" mi aspettavo una sorta di dietro le quinte della realizzazione del film, quasi un'occhio indiscreto che andasse a sviscerare pregi e difetti di un'opera e una vicenda controverse. Insomma, mi ero immaginato un documentario più "investigativo", se vogliamo.
In realtà la fatica di Lindström e Petri, per quanto intrigante, si concentra solo inizialmente sulla produzione cinematografica, per poi indirizzare la narrazione unicamente su Andrésen, i suoi traumi e le complicate vicende personali. Il che non è necessariamente un male, ma rimane il fatto che il prodotto finale ha più a che fare con un biopic che un approfondimento socio-culturale sugli elementi che hanno portato alla creazione della pellicola ispirata al racconto di Thomas Mann.
"The Most Beautiful Boy in the World" non è facile da digerire. La fragilità estrema di Andrésen - sia fisica che mentale - mette lo spettatore di fronte a una serie di domande difficile e complesse che non lo abbandonano una volta terminata la visione. Quanto è lecito spingersi per ottenere ciò che si vuole, per di più in nome dell'arte? Quanti e quali sono gli elementi sacrificabili per mettere realizzare un capolavoro? Chi paga le conseguenze di azioni silenziose, ma senza scrupoli?
E' a queste domande che il film tenta di dar voce, stimolando una riflessione che parte, sì, dal soggetto protagonista del documentario (Andrésen), ma sconfina in quel territorio di compentenza di ogni singola coscienza.
Cast: Björn Andrésen, Riyoko Ikeda, Hajime Sawatari, Annike Andresen, Ann Lagerström, Luchino Visconti.
Box Office: $8,714
Vale o non vale: Pellicola dai toni tutt'altro che leggeri, "The Most Beautiful Boy in the World" pone di fronte a una serie di fatti complessi da decodificare e accettare con l'occhio moderno, anche se sono sicuro che meccanismi predatori del genere si verifichino tutt'oggi più di quanto non vogliamo immaginare.
Non si puà certo dire che si tratti di un documentario spensierato o che affronti tematiche perfette per una serata a casa sul divano, quindi nel momento in cui doveste scegliere di recuperare questo titolo, siate emotivamente preparati.
Premi: In concorso nella sezione documentari al Sundance Film Festival di quest'anno.
Parola chiave: Provino.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 22 marzo 2021

Film 1972 - Pieces of a Woman

Intro: Molto interessato a recuperre questa pellicola, ne ho approfittato non appena ho potuto e, soprattutto, non appena sono stato nel mood giusto. Perché diciamocelo... questo non è certo un film per tutte le occasioni.
Film 1972: "Pieces of a Woman" (2020) di Kornél Mundruczó
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: ho una particolare fascinazione per Vanessa Kirby, ancora non so esattamente per quale motivo. Sarà che la sua interpretazione in "The Crown" mi aveva colpito, sarà che qualcosa di lei mi intriga, di fatto sono rimasto molto colpito dalla sua vittoria a Venezia come Miglior attrice, il che mi ha definitivamente spinto a vedere il film di Mundruczó. E devo dire che non ho sbaglio.
In "Pieces of a Woman" - da non confondere con "Promising Young Woman" - Kirby è una protagonista straordinaria e la sua intensa interpretazione è semplicemente magnifica e anche se il tono fortemente drammatico del film "appesantisce" un po' l'idea d'insieme di tutto il progetto, non si può negare che Kirby ne esca indiscussa vincitrice. Insieme a lei uno Shia LaBeouf che sembra un po' replicare il se stesso degli ultimi tempi e una Ellen Burstyn in grandissima forma, qui negli intensi panni di una donna forte e prevaricatrice, per non dire spesso manipolatrice.
In generale, comunque, questo film si può suddividere in due grandi momenti: il pre e post parto. (Spoiler!) Martha (Kirby) dà alla luce, con non poche complicazioni, la sua bambina in casa insieme al compagno (LaBeouf) e un'ostetrica (Parker) e non appena le difficoltà sembrano essersi risolte, la neonata muore. Da questo momento in poi la storia analizzerà la lenta agonia della coppia - in cui spesso si intrometterà la madre di Martha (Burstyn) - che faticherà a rimettere insieme i pezzi di un'unione che pare non avere più senso. Nel mezzo ci sono il processo contro l'ostetrica, tradimenti, pressioni sociali e la necessità di trovare il proprio modo per scendere a patti con la trategia.
In questo, in particolare, la pellicola di Mundruczó riesce con intelligenza a rappresentare la difficoltà, il disorientamento e il senso di vuoto che accompagna i vari personaggi e, in particolare, Martha. Ognuno dei protagonisti ha il suo modo di affrontare la tragedia e tutti dovranno trovare il compromesso tra ciò che vorrebbero/di cui hanno bisogno e quello che gli altri si aspettano da loro. Da questo punto di vista, in particolare, la sceneggiatura di Kata Wéber è molto interessante e a mio avviso ben sviluppata. E, mi sento di aggiungere, a livello visivo la prima parte della storia è raccontata con una potenza narrativa pazzesca che ipnotizza lo spettatore. La tensione è palpabile e non si può distogliere lo sguardo.
Insomma, personalmente ho gradito "Pieces of a Woman", un dramma ben costruito che, anche se non si avventura in percorsi narrativamente innovativi, riesce comunque a consegnare una storia ben descritta e dettagliata e a fare un uso egregio del suo cast, con particolare riferimento alla bravissima Kirby. Che, in un mondo perfetto, meriterebbe un Oscar (insieme a Carey Mulligan), ma nella realtà si dovrà accontentare della sua nomination.
Cast: Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Molly Parker, Sarah Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie, Jimmie Fails, Ellen Burstyn.
Box Office: /
Vale o non vale: Dramma ben fatto e recitato alla perfezione, "Pieces of a Woman" è un titolo che piacerà a chi apprezza le pellicole drammatiche non urlate, quelle che si prendono il tempo necessario per affrontare a dovere la componente emotiva della storia. In questo caso, poi, la scena di apertura è semplicemente un tour de force emotivo. Vedere per credere.
Il cast è perfetto e, devo dire, lo scontro famigliare/generazionale tra Vanessa Kirby e Ellen Burstyn in questa storia aggiunge quel qualcosa in più al risultato finale che rende il tutto ancora più interessante da seguire. Poi, sia chiaro, non è un film per tutti.
Premi: Vanessa Kirby, candidata a Oscar, Golden Globe e BAFTA come Miglior attrice protagonista, ha vinto la Coppa Volpi come Miglior attrice a Venezia 77.
Parola chiave: Apple.

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#HollywoodCiak
Bengi

sabato 21 novembre 2020

Film 1948 - Poetic Justice

Intro: Continuiamo a nuotare nelle acque del passato con un film di cui non avevo mai sentito parlare. Grazie iMDB!
Film 1948: "Poetic Justice" (1993) di John Singleton
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: pensavo si trattasse più di un titolo simile a "Dangerous Minds" e, invece, "Poetic Justice" è tutto tranne che una storia su scuola, studenti o un'insegnante ispirata.
Janet Jackson è, infatti, una parrucchiera in lutto dopo che ha assistito all'omicidio del fidanzato. Dopo un lunghissimo periodo di vedovanza dal quale parrebbe non riuscire ad uscire, nel giro (letterale) di due giorni troverà in Tupac ragione sufficiente per abbandonare la tristezza e ricominciare a vivere. Come darle torto, del resto.
"Poetic Justice" si presenta con un suo linguaggio interno molto particolare, non esattamente qualcosa a cui sono abituato, per cui ho faticato a dare un senso all'operazione nel suo complesso. Certi elementi da commedia o da storia romantica sono presenti, poi però vengono inseriti contesti socio-economici non approfonditi e un background di vissuto personale che viene dimenticato nel momento in cui incomincia il viaggio dei quattro protagonisti. Per citare un unico esempio: la figlia di Lucky (Tupac) è componente accessorio del personaggio del padre, sappiamo che c'è all'inizio del film, poi nessuno la cita più fino al termine del racconto, momento in cui riappare per assistere ad un bacio infarcito di moltissima passione (lingua) tra il padre e una perfetta sconosciuta che la bambina non ha mai visto prima... L'ho trovata una scelta narrativa quantomeno bizzarra.
Insomma, per quanto mi sia goduto la presenza di una giovane Regina King quale party girl del ghetto con unghie smaltate lunghe un chilometro (che verrà picchiata dal fidanzato mentre Lucky non ci pensa nemmeno un secondo ad intervenire perché non sono affari suoi), non posso dire che questa pellicola mi abbia lasciato nemmeno lontanamente soddisfatto. Tupac è un piacere da guardare e c'è qualcosa nella giovane Jackson che lascia affascinanti, ma il film nel complesso non consegna al pubblico una storia degna delle aspettative. Quello che fa e che, invece, bisogna riconoscerle, è l'aver raccontato una storia d'amore (in termini hollywoodiani, per quanto indipendenti) mettendo al centro del racconto solo personaggi afroamericani. Che negli anni '90 non era certo scontato.
Cast: Janet Jackson, Tupac Shakur, Tyra Ferrell, Regina King, Joe Torry, Tyra Ferrell, Rose Weaver, Billy Zane, Lori Petty, Clifton Collins Jr..
Box Office: $27 milioni
Vale o non vale: Tupac è una sorpresa (ma quelle unghie sporche che schifo!) e Janet se la cava. La storia non è davvero niente di che e anzi perfino troppo implausibile, ma le poesie fanno il loro dovere. Unico momento cult: la carrellata di "fuck you" più lunga che abbia mai visto!
Premi: Candidato all'Oscar e al Golden Globe per la Miglior canzone originale ("Again" cantata da Janet Jackson). Il film ha ricevuto anche 2 nomination ai Razzie, vincendo quello per Peggior star emergente (Jackson, candidata anche come Peggior attrice).
Parola chiave: Posta.
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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 8 ottobre 2020

Film 1930 - Now, Voyager

Intro: Mesi e mesi che cercavo di recuperare questa pellicola (sia in termini di dove trovarla che di quando guardarla), l'altra sera mi sono finalmente concesso il piacere del classico in bianco e nero!
Film 1930: "Now, Voyager" (1942) di Irving Rapper
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: il dettaglio che mi ha attratto e convinto a vedere questa pellicola è legato alla metamorfosi del personaggio della Davis, Charlotte Vale, che da brutto anatroccolo si trasforma in meraviglioso cigno. Su questo nessun fraintendimento, la storia segue effettivamente la trasformazione della sua protagonista, ma la cosa che mi ha sorpreso è che il tutto avviene nel giro della prima mezz'ora di film o forse addirittura meno. Di cosa andrà parlare, quindi, "Now, Voyager"?
Beh, diciamocelo subito: tutto mi sarei immaginato tranne che il finale raccontato qui. Non perché sia qualcosa di straordinariamente innovativo, ma perché propone un discogliersi dei nodi narrativi centrali alla storia in una maniera tutt'altro che semplice - di solito il criterio più usato ad Hollywood - andando, per così dire, a complicare la storia all'infinito. Ma procediamo con calma. (attenzione allo spoiler)
Charlotte Vale è una depressa, repressa e maledettamente insicura ragazza single (nel film non smettono mai di dire "spinster", zitella, ma diciamo che erano altri tempi) che vive infelice sotto la tirannia di una madre che l'ha concepita in età avanza e, soprattutto, non l'hai mai voluta e non ne fa mistero. Lo scopo di Charlotte è, di fatto, quello di farle da badante.
Sull'orlo di una crisi di nervi, la ragazza si fa ricoverare in quella che oggi chiameremmo rehab, e inizia la terapia con lo psichiatra della struttura che la aiuta a trovare un equilibro e la sprona a vivere una vita più aperta e, soprattutto, che non contempli l'ingratitudine della madre. Per questo motivo la ragazza si allontana da casa per 6 mesi e vi fa ritorno completamente cambiata: l'aspetto e l'attitudine sono l'esatto opposto a prima e, soprattutto, è stata coinvolta in un amore impossibile con Jerry (Paul Henreid) che, sposato e con figlie, non può che limitarsi a rimanere un flirt passeggero.
Ed è a questo punto che pensavo di avere la sceneggiatura in pugno, immaginandomi già che Jerry avrebbe nuovamente fatto capolino a un certo punto della storia per rivelarsi nuovamente single o recentemente vedovo, il tutto per la coronazione di un sogno d'amore della sfortunata zitella che, dopo anni di soprusi e violenze psicologiche, può finalmente trovare la serenità che merita tra le braccia dell'amato. E invece no, perché niente di tutto questo accade e, sopratutto, il racconto si complica e non poco. Sarò breve (ribadisco, spoiler): Charlotte torna a casa, la madre muore dopo una litigata con lei, la ragazza sente di dover tornare in rehab per riprendersi (nel frattempo ha ereditato la fortuna della famiglia), appena tornata alla clinica conosce Tina, una ragazzina in cui si identifica per insicurezza, paure e rifiuto da parte della madre, cosicché ne diventa amica, quasi madre e figlia, e, naturalmente, la non poco antipatica ragazzina risulterà essere proprio la figlia di quel Jerry che no, non è per niente single o vedovo, ma ringrazia Charlotte per il suo aiuto con la figlia concedendole di continuare di fatto a farle da madre mentre loro due, pur innamorati, faranno come se Tina fosse loro figlia e nella sua crescita e prosperità vedranno il coronamento di un amore ormai platonico. Fine, sipario, pausa di riflessione, respiro profondo, via.
Cioè, dopo tutto l'investimento emotivo per Charlotte - per cui non si può evitare di fare il tifo dal primo secondo che è in scena (vedere per credere) - sono rimasto francamente un po' confuso dalle complicazioni narrative che il finale mette in scena e le riserva, un'ulteriore punizione direzionata a un personaggio vessato per metà della storia e che, al di là del riscatto con la madre e sociale in generale, meritava a mio avviso una storia d'amore che, se proprio doveva esserci, almeno prescindesse da questo pastrocchio buonista.
Non vorrei essere frainteso: capisco perfettamente che a) stiamo parlando di un film degli anni '40 e che b) il messaggio di indipendenza racchiuso nel personaggio di Charlotte sia assolutamente una conquista apprezzabile ancora oggi, ma mi sento di dire che se lo fosse stata del tutto, la donna avrebbe trovato la felicità nella riscoperta di sé, nella ritrovata libertà - anche di scelta - e non sarebbe servita da strumento per la realizzazione della felicità del soggetto (non principale) maschile che vive, attraverso di lei, la soddisfazione di vedere la figlia prosperare sotto l'amore di una donna che per lui sacrifica affetto, tempo e risorse in nome di un sentimento che non troverà mai vera soddisfazione.
Ecco, devo dire che nonostante abbia apprezzato il film in generale - sicuramente mi ha lasciato con spunti su cui riflettere - non posso comunque nascondere la delusione nei confronti di un arco narrativo della protagonista che sembra promettere bene e, invece, finisce per veicolare una serie di messaggi almeno in parte ingiusti; poi, per carità, mi arrendo al fatto che parliamo di un prodotto all'alba dei suoi 80 anni, motivo per cui si rende necessaria una certa mediazione.
Per cui, per concludere, dico che "Now, Voyager" è stato tutto tranne quello che mi aspettavo eccetto che per un fatto: ero sicuro sarei rimasto rapito dalla performance di Bette Davis e così è stato. Una stella irraggiungibile.
Cast: Bette Davis, Paul Henreid, Claude Rains, Gladys Cooper, Bonita Granville, John Loder, Ilka Chase, Janis Wilson.
Box Office: $4,177,000
Vale o non vale: La perfoarmance di Bette Davis da sola vale tutto il film che no, non è un capolavoro, ma le regala tutto lo spazio per dimostrare le sue inarrivabili capacità d'attrice. Per il resto la storia d'amore verte più su toni di inaspettata virtù e rassegnata platonicità, per cui meglio consolarsi contemplando il meraviglioso guardaroba di Charlotte e dando credito all'attitudine positiva che questa pellicola conferisce nei confronti del percorso terapeutico intrapreso con uno specialista (che qui non è mai strizzacervelli!). Insomma, scesi a patti con il contesto di produzione e realizzazione del film, "Now, Voyager" può rivelarsi un interessante intrattenimento per una serata diversa.
Premi: Vincitore dell'Oscar per la Migliore colonna sonora e candidato per la Miglior attrice protagonista (Davis) e non protagonista (Cooper).
Parola chiave: Crociera.

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Bengi

sabato 3 ottobre 2020

Film 1926 - For Keeps

Intro: In treno verso casa, con la prospettiva di 5 ore di viaggio, mi è sembrato giusto termi compagnia con un filmetto facie facile che da tempo volevo recuperare.
Film 1926: "For Keeps" (1988) di John G. Avildsen
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: sono un fan delle pellicole anni '80 che parlano di teenagers e le loro difficoltà nell'affrontare l'approccio all'età adulta, per cui ho sicuramente un debole per Molly Ringwald e la sua filmografia d'esordio ("Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare", Breakfast Club", "Bella in rosa"). Mi sono interessato a questo film quando ho scoperto che la protagonista fosse proprio lei e che, da quanto potevo dedurre, si parlasse di tematiche di una certa complessità, come gravidanza e ripercussioni sul futuro.
Devo dire che "For Keeps" non si tira certo indietro quando è il momento di mettere in scena le difficoltà della coppia Darcy - Stan dal momento in cui si scopre che la ragazzina è incinta e che i progetti di successi scolastici a venire saranno decisamente da mettere in stand-by. Pur concesso questo, la rappresentazione delle dinamiche di una coppia di minorenni che decide di tenere il figlio di una gravidinza inattesa e sposarsi per andare a vivere in una topaia (che magicamente diventerà piccola reggia) dopo che i genitori li avranno di fatto ripudiati, presenta una dose non indifferente di edulcorazione e semplicismo su cui, a mio avviso, è bene non soprassedere con troppa leggerezza. Non contenta, la storia affronta anche questioni delicate come la depressione post partum, per poi ricorrere a un escamotage frettoloso nel momento in cui la sceneggiatura ha bisogno di procedere oltre e accompagnarci verso l'happy ending.
Insomma, nonostante le buone intenzioni è pur vero che ci troviamo di fronte ad una pellicola romantica il cui scopo finale è quello di rassicurare lo spettatore - probabilmente teenager - e garantire quella dose di felicità e serenità ai protagonisti che assicuri un finale soddisfacente dopo tutta la dose di complicazioni derivate dal presupposto iniziale.
Credo che "For Keeps" regali a tratti una visione plausibile di come sarebbe la vita di due teenagers alle prese con un bebè, ma è pur vero che per il benestare dell'operazione commerciale, la storia è stata farcita di semplificazioni e una certa qual dose di superficialità che ha tratti mi ha infastidito (il personaggio della madre di Darcy è terribile). Decisamente non un capolavoro, ma in definitiva passabile.
Cast: Molly Ringwald, Randall Batinkoff, Kenneth Mars, Miriam Flynn, Conchata Ferrell, Sharon Brown.
Box Office: $17.5 milioni
Vale o non vale: I fan della Ringwald non possono esimersi dal recuperare uno dei tanti prodotti mainstream adolescenziali della popolare attrice anni '80 (oggi la troviamo in "Riverdale"). Per tutti gli altri, magari fa di quel particolare decennio, può essere un passatempo sensato, pur consapevoli che si tratta di una storia per nulla spensierata.
Premi: /
Parola chiave: Gravidanza.

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Bengi

lunedì 28 settembre 2020

Film 1924 - Last Christmas

Intro: Di nuovo con Andrea, ma questa volta a Torino, ci siamo concessi un film natalizio che risulta, sì, fuori contesto, ma che entrambi volevamo recuperare d un po'. Ne abbiamo approfittato.
Film 1924: "Last Christmas" (2019) di Paul Feig
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Andrea
In sintesi: è difficile esprimere in parole il disappunto per la banalità di questa pellicola, principalmente a causa di una sceneggiatura superficiale, poco ispirata e farcita di cliché che mancano di far sorridere e un colpo di scena finale che fa cadere le braccia.
Nonostante le apparenti buone premesse di "Last Christmas", infatti, ci si rende presto conto che il piglio della storia non è giocoso quanto il trailer vorrebbe far credere, senza contare che non ho trovato efficace la presenza di Emilia Clarke nel ruolo da protagonista - un'attrice che, forse, abbiamo sopravvalutto troppo presto troppo in fretta?
Va detto che l'operazione commerciale di per sé non ha nulla da recriminarsi, ci sono i presupposti da commedia romantica, ci sono tutti gli step narrativi del caso, gli elementi (teoricamente) divertenti in contrapposizione a tematiche più serie a controbilanciare il tutto (malattia, immigrazione, degrado sociale), c'è perfino una strizzata d'occhio all'operazione-nostalgia che chiama in causa nientemeno che gli Wham! (a cui affida non solo il titolo del film, ma anche la colonna sonora ad hoc che, per l'occasione, sforna un singolo inedito del famosissimo duo anni '80 formato da George Michael e Andrew Ridgeley). Insomma, a ben vedere parrebbero esserci tutti gli elementi del caso a costruire un prodotto mainstream di grande successo, eppure il film non è stato il grande successo che poteva essere: perché?
La verità è che, come spesso succede, "Last Christmas" mette insieme tutti gli elementi sulla carta perfetti a decretare un successo commerciale, ma li incastra in una maniera poco felice, finendo per proporre al pubblico una storia trita che mixa frettolosamente una montagna di trame secondarie, per poi ad andare a sacrificare quella principale che, come si vedrà alla fine, metterà in scena la classica boiata strappalacrime che, per l'occasione, qui strizza l'occhio a prodotti come "Ghost", "La casa sul lago del tempo" o "Me Before You". Onestamente da una come Emma Thompson (qui anche sceneggiatrice) mi aspettavo molto, molto di più.
Cast: Emilia Clarke, Henry Golding, Michelle Yeoh, Emma Thompson, Boris Isakovic, Patti LuPone, Lydia Leonard.
Box Office: $121.6 milioni
Vale o non vale: "Last Christmas" tenta di sfruttare il contesto natalizio, la popolarità sconfinata di Emilia Clarke, la stella nascente di Henry Golding e la conseguente Asia-mania generata da "Crazy Rich Asians" per dare una nuova (ennesima) sferzata al prodotto generico della commedia romantica, nella speranza che l'aggancio musicale degli Wham! consenta di accaparrarsi anche un pubblico meno giovane e generare, così, l'ingente profitto di solito connesso a titoli come questo.
La realtà è che questa volta la formula magica non ha funzionato del tutto e se anche la Clarke ce la metta tutta e il fascino di Golding sia innegabile, il risultato finale è piatto e privo di brio, anche quando si scopre la realtà sulla coppia protagonista. Insomma, ci si poteva impegnare molto di più.
Premi: /
Parola chiave: Cuore.

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Bengi

martedì 12 maggio 2020

Film 1704 - Searching

Intro: Continua l'offerta dell'aereo.
Film 1704: "Searching" (2018) di Aneesh Chaganty
Visto: dalla tv dell'aereo
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: non sapevo cosa aspettarmi da questa pellicola, però devo dire che me la sono proprio goduta. Un buon mistery thriller ai tempi dei social, "Searching" riesce sufficientemente ad intrattenere e confondere lo spettatore quanto basta per lasciarlo interessato fino alla fine del racconto. Meno scontato di quanto non ci si sarebbe aspettato. Bene anche John Cho come protagonista, un attore troppo spesso sottovalutato o lasciato a margine in quelle produzioni ad alto budget che preferiscono protagonisti occidentali; per lui la conferma - ce ne fosse stato bisogno - che è perfettamente in grado di portare una pellicola interamente sulle sue spalle.
Film 1704 - Searching
Film 2181 - Searching
Film 2180 - Missing
Cast: John Cho, Debra Messing, Michelle La, Joseph Lee.
Box Office: $75.5 milioni
Vale o non vale: Pur non trattandosi di un capolavoro, "Searching" funziona e riesce nell'intento di presentarsi come valida alternativa a basso budget - con cast prevalentemente asiatico, tutto ambientato sui social - alle grandi produzioni thriller (o quasi horror) cui ci hanno abituato. La storia è buona, il cast è in parte e l'atmosfera è quella giusta. Si può vedere.
Premi: /
Parola chiave: Social networks.

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Bengi

martedì 20 ottobre 2015

Film 1019 - Dove eravamo rimasti

Curiosi, molto curiosi!

Film 1019: "Dove eravamo rimasti" (2015) di Jonathan Demme
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Lu, Erika
Pensieri: Francamente le scelte del cast non mi hanno fatto impazzire, ricalcando quello strano mix forzatamente eterogeneo che già Demme aveva proposto in "Rachel sta per sposarsi", comunque il risultato finale non è male, anzi meglio di quanto mi aspettassi.
Si sa, con Meryl non si sbaglia mai, per cui si può già dire senza timori che lei da sola valga la pellicola; in ogni caso "Ricki and the Flash" - ultima fatica di penna della mia ex amatissima Diablo Cody - è stato una sorpresa in positivo. Dopo deludenti sceneggiature poco incisive, la Cody non si imbarca certo in una svolta, ma il personaggio di Ricky è sufficientemente sfaccettato e approfondito, anche grazie alla performance della Streep, capace per l'ennesima volta di trasformarsi in qualcosa di totalmente estraneo a tutto ciò che le era capitato di interpretare fino ad ora.
I personaggi di contorno sono meno interessanti e fin troppo scontati, ma il vortice Ricky riesce nella non semplice impresa di mantenere per tutta la storia quella sensazione di 'chissà cosa si inventerà adesso per risultare ancora più imbarazzante' che fa bene ad una storia convenzionale e già vista come abbiamo qui. E se alla fine "Dove eravamo rimasti" lascia un ricordo positivo è solo grazie a questo.
Kevin Kline c'è, ma fa tappezzeria; alla vera figlia di Meryl, Mamie Gummer, fanno fare la pazza andata giù di testa dopo un matrimonio finito: l'unica cosa che ricordiamo bene di lei è quanto non si lavi i capelli per un bel po' e quanto, mi spiace dirlo, il destino le sia stato avverso (e non parlo del suo personaggio). L'idea del rapporto madre-figlia sullo schermo che si rispecchia anche nella realtà delle attrici che lo interpretano non è certamente nuovo - Laura Dern e Diane Ladd sono un esempio - anche se sono sicuro che qui un pizzico di originalità ci sia grazie al personaggio protagonista, rock dentro con misto follia annesso.
Nel complesso, pur non cavalcando più la magica onda dei tempi di "Juno", la storia funziona e fa il suo dovere intrattenendo uno spettatore che - grazie a Dio! - non è tediato da brutte canzoni e, anzi, si gode uno spettacolo ad ondate più o meno rock che piace ed ammalia grazie allo charme, al magnetismo e alle uniche, meravigliose doti della grande Meryl Streep. Importa meno del solito che il contorno sia praticamente una minestra riscaldata, perché quando c'è lei è raro che il risultato finale non lasci sufficientemente soddisfatti.
Ps. Il momento musicale finale mi ha un po' snervato, ma capisco che sia per un mio (dis)gusto personale.
Cast: Meryl Streep, Kevin Kline, Mamie Gummer, Audra McDonald, Sebastian Stan, Ben Platt, Rick Springfield, Nick Westrate, Hailey Gates.
Box Office: $38.5 milioni
Consigli: La filmografia della Streep andrebbe approfondita e aggiornata di continuo, seguendo passo passo ogni suo nuovo lavoro e andando a riscoprire i vecchi titoli. Quest'ultimo è un po' dramma e un po' commedia, un po' introspezione su se stessi, un po' a livello familiare, il tutto condito a tempo di rock, pantaloni in pelle ed improbabili acconciature. "Dove eravamo rimasti" è un film che si può vedere, non tedia e non lascia insoddisfatti, pur non essendo un capolavoro. Forse Meryl otterrà l'ennesima nomination ai Golden Globes (agli Oscar mi sembra eccessivo, ma pensavo lo stesso di "Into the Woods" e alla fine l'ha avuta...) e lei rimane l'unico vero motivo per seguire questa storia, ma sono sicuro che anche approcciandosi senza intenzioni venerativo-reverenziali nei confronti dell'attrice, si possa godere di questa pellicola abbastanza da non pentirsi di aver scelto di vederla.
Parola chiave: Matrimoino.

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#HollywoodCiak
Bengi

martedì 18 settembre 2012

Film 450 - Young Adult

Film da cui ero incuriosito per svariati motivi...


Film 450: "Young Adult" (2011) di Jason Reitman
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Dal regista e dalla sceneggiatrice di "Juno" - rispettivamente Jason Reitman e Diablo Cody - una nuova collaborazione cinematografica che, questa volta, ha come protagonista Charlize Theron. L'attrice, assente dalle scene dal "The Road" del 2009, dall'anno scorso è tornata prepotentemente a farsi notare e qui (nominata ai Golden Globe come migliore attrice comica) e per i clamorosi successi commerciali di "Biancaneve e il cacciatore" e "Prometheus".
Anche se devo ammettere che questa pellicola non mi ha entusiasmato quanto il bellissimo "Juno", devo dire che la performance della Theron è davvero azzeccata. Stropicciata e allucinata, costantemente depressa e in cerca di attenzione, delusa da un futuro che si aspettava le avrebbe steso un tappeto rosso sotto i piedi, Mavis Gary è interpretata dall'attrice in maniera molto realistica e credibile e certamente vale la pena di seguire questa pellicola anche solo per questo motivo.
La trama in sé non è sempre brillante e, anzi, a volte ho trovato che ecceda un po' troppo in bizzarrie così volutamente esasperate da risultare fastidiose. Anche la conclusione finale con il dialogo tra Mavis e la sorella dell'amico Matt/Patton Oswalt non mi è piaciuta. Al di là della sfrontata cattiveria di Mavis, mi pare che produca l'effetto inverso rispetto alla parabola di cui si è narrato fino a quel momento: dopo il confronto devastante con la realtà che la circonda, Mavis sembrerebbe aver capito che a) è inutile attaccarsi al passato perchè il presente non si presenta nelle forme in cui si vuole e b) è inutile credersi migliori degli altri solo perchè si è riusciti ad andarsene dal paesello. Nonostante, appunto, il film si spenda a raccontare questo percorso di formazione, proprio nel finale la situazione si ribalta riportando Mavis al suo percorso di idee originali: lei è migliore degli altri perché è più bella, è riuscita a realizzare qualcosa e, soprattutto, se n'è andata nella grande città. Questo tipo di conclusione mi ha sinceramente deluso.
Un espediente carino, invece, e funzionale a raccontare i pensieri di Mavis in maniera più chiara che solamente attraverso le sue azioni è quello di legare gli avvenimenti che le capitano al racconto del libro che sta scrivendo. E' un'idea semplice, ma, per come è realizzata, è un'eccellente modo di accompagnare i pensieri della protagonista.
Insomma, tutto sommato direi che questo prodotto vale principalmente per l'interpretazione dei suoi attori, ma comunque nel complesso direi che "Young Adult" l'ho visto volentieri.
Consigli: Vale principalmente per la sua attrice principale. Assolutamente da evitare se si è depressi o alcolizzati... Non aiuta.
Parola chiave: Buddy Slade.

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BB

martedì 3 gennaio 2012

Film 352 - La kryptonite nella borsa

Avevo saltato la recensione di questo film, recupero ora!


Film 352: "La kryptonite nella borsa" (2011) di Ivan Cotroneo
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Andrea Puffo
Pensieri: A mio avviso questo è il film italiano della stagione (di quelli che ho visto, si intende). Più conforme allo standard nostrano, più locale e riconducibile ad una nostra identità, è una pellicola che sorprende per la satira mai volgare e il modo delicato di trattare certi temi. Con ciò non voglio dire che apprezzo di più questo genere di film ("This Must Be the Place" ci da speranza), ma ammetto che la sorpresa nello scoprire la pellicola di Cotroneo è stata grande: un bel racconto.
Certo, la realtà è che i confini di "La kryptonite nella borsa" rimangono forzatamente nostrani, legati non solo ad una località all'estero difficilmente comprensibile, ma inchiodati in un tempo del racconto che è ormai piuttosto distante (sono gli anni '70). Ma lasciamoci trasportare...
Valeria Golino è Rosaria, madre di Peppino e moglie di Antonio/Luca Zingaretti che, scoprirà, la tradisce. Nonostante il bene per il figlio, finirà per ammalarsi di depressione, tanto da lasciare i due uomini di casa abbandonati a loro stessi. Il percorso a due non sarà facile, ma più difficile sarà quello di Rosaria, forse primo membro della sua intera famiglia ad andare in analisi da uno psicologo. Pagare qualcuno per ascoltarti è follia, pare, ma lei non lascerà il suo cammino. Parallelamente il figlio faticherà a scuola, preso in giro e di mira dagli altri e sarà costretto a rifugiarsi nella sua fantasia, oltre che nel mondo dei più grandi (gli zii hippie Salvatore/Libero De Rienzo e Titina/Cristiana Capotondi). E, grazie alla sua immaginazione, farà rivivere il cugino svitato Gennaro/Vincenzo Nemolato - che si credeva Superman -, eleggendolo suo personale consigliere di vita. Grazie a lui Peppino si sentirà meno solo e riuscirà a guardare avanti.
E' il percorso di formazione di un bambino decisamente solo, sbattuto da una parte all'altra (anche ai raduni hippie), maltrattato (a scuola) o usato (dall'amica di Rosaria, che se lo porta in spiaggia per rimorchiare). Il suo buon carattere lo farà sopravvivere a tutta una serie di avventure che lo renderanno più forte, per non dire più grande.
Consigli: Con anche effetti speciali piuttosto inusuali in una pellicola come questa, tra scenari bellissimi e un'intrigante atmosfera, una pellicola italiana ben recitata, anche divertente e che rimane impressa. Da vedere.
Parola chiave: Procida.

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Ric

sabato 26 novembre 2011

Film 331 - Melancholia

Sabato sera di cinema impegnato con un film di cui si è tanto sentito parlare. Inevitabile la visione...


Film 331: "Melancholia" (2011) di Lars von Trier
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Gloria
Pensieri: L'ultimo film di Lars von Trier ha un cast insolitamente glam per lo standard del regista. Non cambia, però, l'impronta, il suo inconfondibile stile.
E' una strana pellicola, composta da una struttura narrativa divisa in tre parti (prologo, primo e secondo capitolo) di cui la prima è, a mio avviso, quella più interessante e sperimentale.
Giocando d'anticipo, il regista racconta - in maniera lentissima - nei primi cinque minuti quello che vedremo nelle successive due ore. Suggestive immagini in slow(slow)motion, colpiscono l'occhio dello spettatore e rimangono impresse, forse come manifesto più rappresentativo di un'opera non facile come questa.
Visivamente potente, se non visionario, perde parte del suo appeal - specialmente nella seconda parte - a causa della lenta narrazione. La depressione pre e post matrimoniale non è certo un argomento allegro, ma il malumore di Justine/Kirsten Dunst all'inizio non è solo non chiaro, ma quasi irritante. Il collegamento con la rigida figura materna e il superficiale rapporto con il padre (farfallone) offrono in corso d'opera una possibile spiegazione del rigetto viscerale del vincolo matrimoniale nella novella sposa.
Il pianeta Melancholia avanza e risulterà fatale simbolo di liberazione da depressione e angoscia, tanto che la più coraggiosa (come la luna influenza le maree, così pare che il pianeta influenzi Justine) risulterà proprio colei che fino a quel momento pareva la più vulnerabile. Arresa al suo destino, consapevole che non c'è via di scampo, la ragazza accetterà la (letterale) fine del mondo accompagnando gli altri per mano, con un'evidente inversione di ruoli rispetto alla prima parte della pellicola.
Al contrario, la coppia Gainsbourg-Sutherland finirà per passare dall'immagine solida e collaudata dell'inizio ad una scissione dei due individui con vigliacco gesto di dipartita da parte di lui. Particolare disprezzo per la figura del marito John/Sutherland, quindi, sarà inevitabile.
La bellezza intrinseca di "Melancholia" è la capacità che la pellicola ha di sviscerare il vero io delle persone. Alla resa dei conti i personaggi non potranno che rivelarsi per ciò che sono, seguendo la loro vera natura. Che sia l'influenza del pianeta o l'inarrestabile consapevolezza che tutto sta volgendo al termine, ognuno è costretto a confrontarsi con le proprie paure e le proprie domande, consapevole che il tempo a disposizione (per trovare le risposte) è decisamente breve. Il risultato sarà a tratti desolante, ma decisamente vero.
Ps. E' stato piacevole seguire la proiezione della pellicola in lingua originale, ma devo ammettere che la voce della Gainsbourg l'ho trovata spesso fastidiosa.
Pps. Il film ha vinto a Cannes 2011 il premio per la Miglior attrice Kirsten Dunst, che, dopo anni un po' appannati, torna in grande stile alla ribalta del cinema mondiale.
Consigli: Potente nelle immagini e fortissimo nel prologo, prosegue a ritmo lento. Non è una storia facile, ma può aiutare a porre interrogativi che, forse, normalmente non ci porremmo mai: io, se fossi al loro posto, cosa farei? Bella colonna sonora.
Parola chiave: Magic cave.

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Ric

mercoledì 14 settembre 2011

Film 298 - La signora mia zia

La prima volta era stato amore a prima vista. Di conseguenza volevo rivedere a tutti i costi questa pellicola!


Film 298: "La signora mia zia" (1958) di Morton DaCosta
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Andrea, Andrea Puffo
Pensieri: Dopo aver letto il libro da cui è tratto questo film all'inizio dell'estate, coinvolto nel vortice Mame, ho sentito il bisogno di comprare e rivedere il dvd. Male! Che delusione!
Se da un lato la protagonista Rosalind Russell è una forza della natura, come l'instancabile protagonista del romanzo, dall'altra l'adattamento cinematografico ha storpriato in toto metà del libro.
Quindi episodi mancanti, personaggi a cui viene dato uno spazio maggiore (Zio Beau) e un finale completamente cambiato che addolcisce e fa perdere il senso della storia originale (Agnes Gooch che rimane incinta di Brian O'Bannion dopo una notte brava terminata con matrimonio lampo e fuggiasca luna di miele, per esempio, o come il protagonista - nel libro - Patrick Dennis conosce la sua futura moglie Pegeen Ryan).
Insomma, la commedia in sé è spassosissima, peccato che con il libro c'entri solo a metà. E' stata una piccola delusione, specialmente perchè, con la prima visione di questa pellicola (Film 45 - La signora mia zia), ero rimasto affascinato dal fantastico personaggio di Zia Mame.
Consigli: Ok, dopo aver letto il libro è stata un pò una delusione. Però rimane sempre una divertente commedia anni '50 americana. Affascinante, di classe e spassosa! Da vedere.
Parola chiave: "Live, that's the message!"

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Ric

martedì 5 luglio 2011

Film 274 - Mr. Beaver

Incertezza su questa pellicola che, mi spiace dirlo, non presentava certo una storia troppo allettante... Ma la 'sponsorizzazione' della 3 sicuramente mi ha convinto a fare una capatina al cinema.


Film 274: "Mr. Beaver" (2011) di Jodie Foster
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Michele
Pensieri: Non si può dire che questo film non abbia una storia originale. Uomo di successo con famigliola teoricamente felice cade in depressione e, per riprendersi, finisce per farsi auto-terapia grazie all'aiuto di un pupazzo/marionetta a forma di castoro. ("The Beaver", appunto).
Questa pellicola, per toni e colori umidicci, mi ha ricordato molto il "The Weather Man" (o "L'uomo delle previsioni" che dir si voglia) di Gore Verbinski. Qui, però, la trama si dimostra più risoluta e meno soggetta agli eventi della vita, quindi decisamente meno fatalista. Ma la sensazione di una connessione tra i due film mi è rimasta per tutta la visione.
Non posso dire che rivedrei "Mr. Beaver", ma non posso nemmeno giurare che non mi sia piaciuto. E' un insieme strano di elementi, un'onda infinita di alti e passi, a seconda dell'umore del suo protagonista Walter Black/Mel Gibson. Tra dramma e battute, famiglia e rimpianti, riscatto e viaggio di formazione, il percorso che verrà narrato allo spettatore attinge un po' ovunque per ricreare un mix di sensazioni che, alla fine, rimane un po' indefinito. Non è facile da classificare questo film, poiché non è di facile e disimpegnato consumo, ma non è nemmeno un drammone esistenziale che pone etici interrogativi per i 91 minuti di durata. Forse, nel panorama cinematografico odierno, risulta un attimino azzardato come investimento. Il richiamo della classe attoriale conta soprattutto sul duo Mel Gibson+Jodie Foster (qui alla sua seconda regia), ma il primo è decaduto ormai da tempo, la seconda sbaglia, forse, a voler a tutti i costi dimostrare ancora qualcosa. Non perchè non sia capace, sia chiaro, ma forse un progetto così outsider equivale un po' a darsi la zappa sui piedi e in pochi avrebbero potuto farcela. Il tono dimesso, poi, di tutta l'operazione commerciale non ha aiutato.
Non ho gradito troppo, poi, la voce fuori campo dello stesso Walter Black che auto-narra la sua stessa storia. Tra questa, la sua originale e quella del castoro, tre voci allo stesso personaggio mi sono parse un po' troppe.
Interessanti, comunque, i due giovani comprimari che si 'oppongono' alla coppia di veterani: Anton Yelchin ("Star Trek", "Terminator Salvation") e la recentemente candidata all'Oscar Jennifer Lawrence ("Un gelido inverno", "X-Men: L' inizio "). Giovani e carini, rinfrescano la storia e tengono bene le redini della narrazione quando è il loro turno.
Tutto sommato posso dire che l'insieme sia sufficiente, ma non totalmente incisivo. Manca qualcosa, ma non chiedetemi cosa. Ci sto ancora pensando...
Consigli: Attenzione al 'blue mood' di tutto il film, è contagioso.
Parola chiave: Depressione.

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Ric

mercoledì 8 settembre 2010

Film 133 - Revolutionary Road

Tornato alla mia più tradizionale vocazione americana, scelgo un film che volevo vedere da un po' per una serie di motivi. Primo fra tutti? Kate Winslet.


Film 133: "Revolutionary Road" (2008) di Sam Mendes
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non sempre l'amore basta a salvare la vita di coppia dalle insidie della vita quotidiana. Banale, direte voi.
Un po', ma è il fulcro e la ragion d'essere del film del Sig. Mendes, ex Mr. Winslet (sono separati da poco), che riprende il racconto dallo stesso titolo dello scrittore Richard Yates e ne confeziona una pellicola molto curata e raffinata in cui la celeberrima coppia del "Titanic" tenta il bis maturo per dimostrare che la loro barca in effetti non è ancora affondata. Niente di più vero, tra l'altro, confermato anche da i due Golden Globes vinti dalla Winslet nell'edizione 2009 - quindi per la stagione cinematografica 2008 - di cui uno proprio per questo film (ma l'Oscar è arrivato per "The Reader") e dai recenti successi al botteghino di DiCaprio, prima con "Shutter Island" di Scorsere e adesso con "Inception" di Nolan.
Insieme i due belli (ma è la Winslet quella che la spunta in bellezza, questa volta) formano una coppia di attori degni di nota e spessore, capaci di rendere con estremo realismo la drammaticità che un racconto come questo richiede. Ottimo anche il contorno attoriale, con Kathy Bates (vi dice niente? Già, "Titanic" anche lei!) e il nominato all'Oscar, per questo ruolo, Michael Shannon qui in versione pazzoide.
Qual è, quindi, il deficit principale del film? E la causa del suo successo molto sotto le aspettative? Beh, come sempre accade, dopo 11 anni le cose non sono più le stesse, i fans hanno guardato oltre e chi urlava e scalpitava per il DiCaprio adolescente, ora forse è meno interssato a vederlo collocato in un sobborgo residenziale anni '50 che si deprime per il lavoro poco soddisfacente e la gabbia in cui si è auto rinchiuso. Insomma, il confronto con un colosso (per quanto discutibile) come il "Titanic" (11 Oscar e, fino a quest'anno, record assoluto di incassi di tutta la storia del cinema) risulta difficile perfino agli attori stessi che lo interpretarono nel lontano '97. Le storie sono imparagonabili, i temi e i toni pure. Ma, nonostante questo, si è puntato buona parte della campagna promozionale sulla 'reunion' dei due attori che, a suo tempo, furono capaci di creare una magia che ad oggi è difficile ricreare.
Valorizzare la pellicola per altri motivi sarebbe stato probabilmente mossa meno commerciale, ma più interessante. Meno gossip da red carpet e più prestigio a recitazione e storia avrebbe sicuramente giovato.
Il film è bello, difficile, toccante in certi punti. Non è IL capolavoro di Mendes (pare che sia ''American Beauty''), ma dimostra di saper dirigere bene i suoi attori, cosa non da poco. Sottovalutarlo per la scelta di averlo pubblicizzato come dopo-Titanic sarebbe un errore. Ps. Bellissimi fotografia e costumi. 3 nominations agli Oscar 2009: attore non protagonista, costumi e scenografia.
Consigli: Una bella sfida, non sempre totalmente riuscita, ma avvincente e interessante. Drammatico e non semplicissimo da digerire, soprattutto ai nostri giorni in cui siamo abituati ad un certo livello di emancipazione oltre che ad assecondare i nostri desideri costi quel che costi.
Parola chiave: Aborto.


Ric