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martedì 12 gennaio 2016

Film 1076 - Il ponte delle spie

Doveva essere la serata della seconda visione di "Star Wars", mentre la sala piena ci ha costretto a ripiegare su quest'altro titolo.
Film 1076: "Il ponte delle spie" (2015) di Steven Spielberg
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Poe
Pensieri: Scelta di ripiego, eppure ottima scelta. Un po' inaspettatamente "Il ponte delle spie" mi ha convinto e mi è molto piaciuto. Interessante, ben argomentato e narrato, con un buon cast e la regia del sempreverde Spielberg, questa pellicola centra il suo obiettivo e racconta - senza esagerare troppo con i fronzoli all'americana - una delle tante storie riguardo alla Guerra Fredda. E, bisogna dirlo, che la storia l'abbiano scritta i Coen si capisce e si apprezza.
La trama parla di James B. Donovan (Tom Hanks), un avvocato newyorkese che, incaricato dalla CIA, deve negoziare il rilascio di Francis Gary Powers (Austin Stowell), pilota il cui aereo spia U-2 è stato abbattuto in Unione Sovietica, e scambiarlo con la spia filocomunista catturata a New York di nome Rudolf Abel (Mark Rylance). Oltre a lui l'avvocato cercherà di riportare a casa anche lo studente di economia Frederic Pryor (Will Rogers), arrestato per spionaggio dalla Volkspolizei, la polizia della Germania Democratica.
Incastrato tra sovietici e tedeschi in piena erezione del muro, il povero Donovan dovrà, con le sue sole forze, gestire il rilascio dei prigionieri senza giovare di consulenze esterne e, soprattutto, dopo aver rappresentato legalmente la spia comunista Abel di fronte al tribunale americano. Diviso tra due (e poi tre) fuochi, dovrà saper gestire diplomaticamente una situazione tanto tesa quanto drammatica, cercando di portare a casa un risultato, ottenere lo scambio anche dello studente, che alla CIA non sta a cuore.
L'atmosfera cupa, l'ambientazione gelida e la rappresentazione spietata di un'epoca che ha segnato la storia recente, sono tutti elementi che concorrono al buon risultato finale del film. Che Spielberg sia un gran narratore lo sappiamo, ma al contempo sappiamo che non sempre porta a casa un film degno di nota - dite quel che volete, ma "War Horse" è un brutto film -. Qui la macchina è ben oliata e funziona bene, anche grazie alla solida interpretazione di Hanks, capace da solo di tirare le redini di tutta la storia. Qui è affiancato da uno stropicciatissimo Rylance (forse candidato all'Oscar) che giova di tutti gli assurdi personaggi fino ad ora portati sullo schermo dai Coen e gioca benissimo le sue carte, rimanendo ampiamente impresso nella mente del pubblico.
Dunque un buon film, compatto e tecnicamente eccellente, che racconta una bella e interessante storia di cui altrimenti in molti non sarebbero venuti a conoscenza. Il personaggio di Donovan, per quanto romanzato, porta un messaggio positivo non solo di professionalità e dedizione, ma anche di speranza e umanità. Ho apprezzato.
Ps. Candidato a 1 Golden Globe (Miglior attore non protagonista) e 9 BAFTA (tra cui Miglior film, regia, sceneggiatura e attore non protagonista).
Cast: Tom Hanks, Mark Rylance, Scott Shepherd, Amy Ryan, Alan Alda, Austin Stowell, Billy Magnussen, Eve Hewson, Dakin Matthews.
Box Office: $151.9 milioni
Consigli: Buon cast, tecnicamente ineccepibile, storia interessante, il tutto per un film che funziona senza strafare. Hanks in parte, i Coen distillano una dose di loro inconfondibile stile pur non travalicando l'interesse storico della vicenda e, di fatto, si passano 141 minuti di tesa suspense che non mancheranno di lasciare soddisfatto lo spettatore. Il risultato finale è riuscito e, forse, merita più considerazione di quanta non ne abbia ottenuta fino ad ora. Vedremo con gli Oscar.
Parola chiave: Ponte di Glienicke.

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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 29 novembre 2013

Film 624 - Il gattopardo

Cineforum dell'incidentato capitolo X: appuntamento con la storia.

Film 624: "Il gattopardo" (1963) di Luchino Visconti
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Marco
Pensieri: Sinceramente? Non ero del tutto convinto prima di vedere questo film. Lunghezza, tematiche e forse anche un po' di pregiudizzi nei confronti del cinema italiano d'apoca e d'eutore nei confronti del quale pare spesso ci debba essere un rispetto reverenziale a prescindere.
Invece? "Il gattopardo" è a tutti gli effetti un capolavoro. Stupendo.
Innanzitutto ho trovato la lunghezza assolutamente affrontabile - immagino perché di fatto la storia mi ha interessato fin dal principio - e tutti i passaggi effettivamente capaci di evocare degnamente la storia del nostro Paese, davvero accurati per messa in scena e resa. Costumi bellissimi, scenografia accuratissima e, grazie all'eccellente restauro, una fotografia tanto ben resa da sembrare contemporanea.
Burt Lancaster e Alain Delon mi hanno colpito, risultando idonei alla non facile parte che gli competeva (specialmente il primo), pur non condividendo la nazionalità dei due personaggi che interpretano, il principe Don Fabrizio Salina e suo nipote Tancredi Falconeri. Gli attori - rispettivamente americano e francese - sono riusciti a calarsi nei panni di una sicula nobiltà ormai in declino, ferma ad usanze e riverenze che male si sposano con gli accadimenti che il Paese sta conoscendo nella nuova forma del Regno d'Italia. E' proprio il principe Salina a spiegare l'atteggiamento siculo nei confronti di questo ennesimo cambiamento che la popolazione si appresta ad affrontare, parlando proprio di un atteggiamento gattopardesco: "[..] i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia, hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso. Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare se stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani." (da Wikipedia).
A sintetizzare al meglio il gattopardismo è la frase di Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
In questa cornice, già di per sé ricchissima, si inseriscono le vicende dei due già citati protagonisti, della famiglia Salina e della protagonista femminile Angelica, una Claudia Cardinale un po' gitana e a volte motivo di qualche risata a causa di una certa sua goffaggine (che non so se attribuire a lei o al suo personaggio).
Scene assolutamente cult quella della Messa cui partecipa tutta la famiglia Salina, completamente bianca in viso per via della polvere e, proprio per questo motivo, simili a statue immobili quasi a suggerire una parallelo con la staticità della loro condizione sociale in quel momento storico; e, inutile dirlo, quella del ballo: una sequenza lunghissima, ma di grandissimo impatto visivo, capace di affascinare ed ipnotizzare lo spettatore che segue il roteare beato dei ballerini, l'incresparsi delle gonne, la sudata fatica del principe e lo schiamazzo della gioventù femminile che quest'ultimo non risparmierà dal criticare (paragonandola ad un gruppo di scimmie).
Sono rimasto veramente colpito da questo film e dalla sua maestosa realizzazione, esempio vero - ma ormai maledettamente lontano - di come anche da noi si possano mettere in piedi dei veri colossal. La trama è lunga, sì, ma avvincente e interessante, capace di rendere sinceramente affascinante la decadenza di un ceto sociale che sopravvive come può (e non sempre con la dignità del caso). La figura del principe, traino di tutta la storia, è un esempio grandissimo di classe, arguzia e lucidità, oltre che di genuino affetto verso il nipote e, soprattutto, la sua terra d'origine.
"Il gattopardo" è un bellissimo film.
Consigli: Palma d'Oro a Cannes come Miglior film, una nomination all'Oscar per i costumi di Piero Tosi e una eco internazionale che dura ancora oggi. Una pellicola bellissima, complessa e perfettamente strutturata, in grado di ricreare il periodo storico della nascita del Regno d'Italia con una maestria che lascia a bocca aperta. Un vero e proprio classico del nostro cinema che, nella vita, bisogna davvero vedere almeno una volta.
Parola chiave: Aristocrazia.

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Bengi

lunedì 18 novembre 2013

Film 617 - Il discorso del re

Cineforum dell'incidentato capitolo III: regali comunicati.

Film 617: "Il discorso del re" (2010) di Tom Hooper
Visto: dalla tv dei miei
Lingua: italiano
Compagnia: madre
Pensieri: Da tempo ero interessato a rivederlo, ma non si presentava mai l'occasione giusta. E' una pellicola lunga, non certo spensierata e in certe parti anche lenta, quindi era necessario fossi nella giusta disposizione d'animo. Il forzato riposo ha concretizzato l'occasione.
Visto questa volta in italiano, "Il discorso del re" perde solamente quel fascino dell'accento inglese, ma ammetto che per il resto mantiene intatto il suo forte potere narrativo. Temevo che il doppiaggio sminuisse il grande lavoro di Colin Firth nei panni del balbuziente Re Giorgio VI, ma così non è stato (chiaro, non è la stessa cosa).
Il triangolo di attori protagonisti è veramente capace e piacevolissimo da guardare interagire, con una Bonham Carter di vero e proprio supporto al marito che ama e aiuta e Geoffrey Rush capace di tenere testa ad un inizialmente restio futuro Re riuscendo finalmente ad aiutarlo a sciogliersi. Insieme a Firth formano un terzetto perfetto che è un piacere seguire.
Il film mi è nuovamente piaciuto, catturandomi per questa seconda volta grazie, fondamentalmente, all'interessante modo di presentare la vicenda, evitando pomposità o riverenze storiche e, al contrario, raccontato la storia di un monarca in maniera più simile a quella di un cittadino qualunque. Nel mondo di Lionel Logue, infatti, siamo tutti considerati sullo stesso livello.
Trovo abbastanza meritati i 4 Oscar vinti (film, sceneggiatura, attore protagonista e regia, anche se sinceramente penso il lavoro di Darren Aronofsky per "Il cigno nero" avrebbe meritato di più la statuetta alla regia rispetto a Tom Hooper qui) e, in generale, il grande successo che la pellicola ha riscosso, ottimo esempio per ricordare che anche i film etichettati come 'impegnati' possono in effetti piacere sia alla critica che al pubblico. Basta fare un buon lavoro.
Ps. $414,211,549 di incasso mondiale a fronte di una spesa di 15 milioni.
Film 214 - Il discorso del re
Consigli: Buon esempio di pellicola sulla monarchia, interessante e bello da seguire, perfettamente calibrato a livello narrativo e dolcemente accompagnato dalle musiche del bravissimo Alexandre Desplat. Cast ottimo.
Parola chiave: Wallis Simpson.

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Bengi

lunedì 14 novembre 2011

Film 327 - Un tè con Mussolini

Film del martedì tra tè e cenni storici.


Film 327: "Un tè con Mussolini" (1999) di Franco Zeffirelli
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: italiano
Compagnia: Marco C., Andrea Puffo, Andrea, Diego
Pensieri: Arzille vecchiette anglofone risiedono a Firenze frequentando i giri migliori e godendosi il piacere della vita italiana. Sconvolge l'idillio la guerra.
Mussolini creduto eroe ed innovatore da una parte, dall'altra la vita sconvolta del popolo e, in questo particolare caso, delle signore inglesi che diventano, di fatto, nemiche della Patria.
Cuore della vicenda le storie di queste magnifiche signore (Maggie Smith, Judi Dench, Joan Plowright, Cher, Lily Tomlin) che, tra un'inamicizia e un ricredersi, una passione e un affetto e, soprattutto, l'amore per un bambino, attraversano gli orrori della guerra a modo loro. Come dirà in battuta finale Lady Hester Random/Maggie Smith, neanche la guerra e i tedeschi riusciranno a farle soccombere.
Un bel battaglione di star per Zeffirelli che amministra il tutto con un certo piglio da esportazione. Grandi nomi, ovviamente, richiamo pubblico, ma c'è da dire che la produzione investe in costumi ed effetti speciali come difficilmente si vede fare per una produzione italiana. Lo sforzo è premiato: i 12 milioni di dollari che richiede la pellicola, solo in America vengono ampiamente ripagati con un'ulteriore guadagno di 2 milioni rispetto all'investimento per produrlo. Non male per un film di guerra con protagoniste donne di una certa età.
"Un tè con Mussolini" mi è piaciuto, stupito soprattutto dalla ricostruzione della guerra con bombe e carri armati a rendere il tutto molto realistico. Inutile dire che il gruppo di attrici è il valore aggiunto, anche se devo dire che nessuno dei loro personaggi mi ha veramente conquistato. Non lo rivedrei, ma l'ho visto con piacere.
Consigli: Per chi ama il cinema storico o quando il cinema italiano incontra un badget tale da rendere degna di visione la rappresentazione della storia.
Parola chiave: Luca.

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Ric

giovedì 25 agosto 2011

Film 291 - The Conspirator

Quando sono entrato in sala non sapevo nemmeno di chi fosse la regia...


Film 291: "The Conspirator" (2010) di Robert Redford
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Michele
Pensieri: Pellicola stranamente ignorata dal grande pubblico nonostante i numerosi richiami (regia di Robert Redford, attori famosi, tematica americana piuttosto sentita), rimane per me una delle sorprese piacevoli del 2011.
Ben girato e ottimamente interpretato, è uno di quei film storici delicati, piacevoli da guardare e interessanti. La storia stessa lo è già di per sé e si può riassumere nella domanda: chi ha ucciso il presidente (americano) Lincoln?
La trama sviluppa la questione seguendo attentamente il filo reale della storia, in particolare gli eventi che coinvolgono Mary Surratt/Robin Wright, prima donna a venire condannata a morte negli Stati Uniti. Gli indizi contro di lei non sono così schiaccianti e, anzi, l'impressione che ne ricava il suo avvocato Frederick Aiken/James McAvoy (e il pubblico stesso) e che si sia più che altro alla ricerca di un capro espiatorio.
Il risultato della sentenza - già inevitabilmente conosciuto - arriva comunque come un pugno allo stomaco nel momento esatto in cui una speranza pareva poterci essere.
Tensione, quindi, il ritmo regge bene e accompagna costante il film; gli attori - tutti decisamente famosi:oltre ai già citati, Kevin Kline, Tom Wilkinson, Evan Rachel Wood, Justin Long ("Palle al balzo - Dodgeball", "Die hard - Vivere o morire"), Alexis Bledel ("Una mamma per amica"), Jonathan Groff ("Glee"), Johnny Simmons ("Scott Pilgrim vs. the World", "Il corpo di Jennifer") e Danny Huston ("The Aviator", "X-Men le origini - Wolverine") - regalano buonissime performance; la ricostruzione scenica è meticolosa, bella la fotografia e pulita la regia.
L'impressione che rimane è quella di aver visto quasi un film intimista, garbato (per via dei toni pacati della Wright, qui davvero bravissima!) e mai gridato, narrato con consapevolezza e capacità. Bello e forte, non banale e sorprendente per quanto appassioni. Lo rivedrei anche subito.
Consigli: Dimenticate di sapere già come andrà a finire, lasciate cha sia la narrazione a condurvi e non rimarrete delusi!
Parola chiave: Attentato.

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Ric

mercoledì 13 ottobre 2010

Film 149 - Barry Lyndon

Comprato il dvd qualche anno fa, non avevo ancora avuto l'ispirazione giusta per guardare il film di un regista davvero importante. Ci volevano tempo e testa. Qualche settimana fa, finalmente, è stato il momento giusto.


Film 149: "Barry Lyndon" (1975) di Stanley Kubrick
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Devo ammettere due cose. La prima è che mi sono interessato al film solo qualche anno fa, quando la Canonero vinse il suo terzo Oscar per "Maria Antonietta" della Coppola e, ringraziando, citò Kubrick e questo film, suo primo Oscar per i costumi. Milena Canonero è italiana di Torino, spazia dal cinema nazionale a quello internazionale, impegnato o meno. Non potevo non documentarmi meglio su di lei.
La seconda cosa riguarda il protagonista di questo film, Ryan O'Neal: non è per niente un attore che apprezzo. Sarà che prima di questa pellicola non lo avevo visto recitare da nessun'altra parte e che le uniche informazioni su di lui le avevo dai giornali durante il tristissimo momento che ha preceduto la morte di Farrah Fawcett, sta di fatto che partivo prevenuto.
In realtà, tutto sommato, non posso dire che Ryan O'Neal, all'epoca 34enne, stoni nel quadro d'insieme che questa storia vuole riportare. Continuo a non apprezarlo, ma si è reso meno detestabile ai miei occhi. Interpreta sicuramente un ruolo complesso, quello del sig. Redmond Barry, paesanotto con aspirazioni di ricchezza e potere. Il percorso di vita del suo personaggio richiede una certa maturità, nonché una capacità recitativa che vada oltre il sorrisetto beffardo giovanile. Non l'ho trovato sempre eccellente, ma comunque decisamente bravo. Considerando quanto fossi prevenuto, è stata una piccola sorpresa.
Spostandoci al film, invece, devo ammettere che presenta una ricostruzione piuttosto dettagliata dell'epoca, molto curata nei dettagli: i già citati costumi, le scenografie (altro Oscar) e le atmosfere (per renderle ancora più realistiche, Kubrick utilizzò solo la luce naturale o quella delle candele, senza mai ricorrere ad illuminazione artificiale!) sono davvero ben resi. Mi è piaciuta molto anche l'idea di far accompagnare la storia da un narratore onniscente, voce fuori campo che sottolineerà i momenti salienti della vita dell'irlandese Barry.
Unico neo di questa pelicola, a mio avviso, è la lunghezza: 184minuti non sono sempre facilissimi da digerire...
Curiosità: ma solo io ho scambiato Marisa Berenson, la protagonista femminile del film, per una giovane Jennifer Beals (quella di "Flashdance" e "The L Word", per intenderci)?!
Consigli: Assicuratevi di avere molto tempo libero, prima di avventurarvi nella visione di questo film!
Parola chiave: Regalo di compleanno.




Ric

lunedì 8 febbraio 2010

Film 74 - Vincere

L'ho visto così, preso dalla voglia di buon cinema! Pazzia?


Film 74: "Vincere" (2009) di Marco Bellocchio
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Pare che in Italia, per farti apprezzare come attrice, la devi far vedere al cinema. Come che cosa?!
Allora, già le tette della Mezzogiorno le avevo viste a quella famosa finestra di fronte. Ora però esageriamo un po'... La passera mostrata all'allestimento di una mostra d'arte futurista?! E poi cosa, un po' di culo dal parrucchiere? Ma ti pare che sia funzionale alla storia far tirar su la gonna alla santa Mezzodì mentre, truccata da clown?!, Filippo Timi/Mussolini sta a farsi spiegare i quadri tra la folla?! Boh...
Cosa ci viene da pensare, poi? Che nessuno ricordi quel famoso discorso della donna oggetto in un Paese maschilista governato da una classe politica dalla zip facile? Micaela Ramazzotti, ora santissima lady Virzì, prima mostra la striscia di pelo in "Tutta la vita davanti" e poi si becca a) carriera cinematografica sfolgorante b) un marito ricco che spinge ed alimenta la già citata carriera c) il massificato perdono e conseguente cancellamento di reato da parte del pubblico (anche perchè la bella è incinta e non può essere mamma e zoccolona allo stesso tempo).
Ma poi ce ne sono anche altre, chiaro, che si sono immolate per la causa. Forse la primissima che mi viene in mente è la Bellucci, che - è proprio vero! - quando non parla regala prestigio ai suoi film ("Malèna"). Poi di recente la Chiatti in "Il caso dell'infedele Klara" e, non so, mille altre patatine di Rocco.
Non fraintendete, però, non sono certo il bigotto di turno e il moralismo mi appartiene poco. Dico solo che certe volte è fuori luogo. Non perchè la passera non sia bella in sé, ma perchè, diciamocelo, non ci sta a dire un cazzo.
Ora, sicuramente Bellocchio voleva fare un film sulla passione davvero carnale tra Mussolini e la Dalser, però secondo me non c'è riuscito. Ci sarà tutto il sesso che vuoi (e la miseria, trombano sempre!), ma a parte l'imbarazzo per gli accoppiamenti più psicotici della terra non c'è molto... La storia è sì importante, ma non esattamente centrale, perchè la Dalser viene presto messa da parte da Benito double-wife, e rimane sempre una certa confusione narrativa di fondo che scoraggia la comprensione storica (penso: se vuoi farlo vedere all'estero, dove la storia dell'Italia la sanno in 4, forse è meglio se rendi tutto comprensibile. Non dico che devi semplificare, ma almeno gli snodi centrali li dovrai spiegare eh...).
Io sono dell'idea che per un film storico l'intreccio narrativo spezzato non aiuti. I flashback confondono, specialmente quando non c'è nulla di fermamente rintracciabile nelle immagini. La Mezzodì non invecchia mai, mentre Timi alla fine viene sostituito da immagini di repertorio, quindi cambia completamente i connotati, ma nel film ce lo spacciano per identico.
E poi quelle scritte tipo giornale che ogni tanto sbucano fuori?! Ne vogliamo parlare??? Cos'è, post-futurismo cinematografico del giornalistico?
In definitiva non mi è piaciuto e ho trovato la recitazione un po' sopra le righe in certi punti (la Dalser che, agli 'arresti domiciliari' se ne esce con certe pretese da regina che fa solo venir da ridere...) oltre che Timi veramente strano: sembra tantissimo Sergio Castellitto, solo con due mani orrende! E poi la recitazione in dialetto è ridicola. Passo e chiudo.
Consigli: Strano. Da vedere forse, ma non da rivedere.
Parola chiave: Benito Albino.


Ric