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martedì 28 aprile 2020

Film 1698 - Mortal Engines

Intro: Di passaggio a Hamilton per andare a trovare una coppia di amici prima di ritornare in Italia per le feste 2018, ho trovato il tempo di fare una capatina al cinema per farmi un'idea sull'ultimo titolo della cinematografia mainstream neozelandese.
Film 1698: "Mortal Engines" (2018) di Christian Rivers
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: Donna
In sintesi: avendo precedentemente spiato le recensioni sul film, ammetto che fossi abbastanza preparato. Devo dire che questo "Mortal Engines", pur visivamente d'impatto, fatica non poco dal punto di vista della sceneggiatura, il che mi ha colpito considerando che è stata scritta dagli stessi che ci hanno regalato "Il Signore degli Anelli", "King Kong" e "Lo Hobbit". C'è poco approfondimento dei personaggi, nonché un approfondimento sociale (che sarebbe stato anche molto interessante), e una certa dose di frettolosità, il tutto combinato alla necessità di orientare il prodotto finale alla spettacolarità, il che ha portato a un generale deragliamento verso una minor qualità d'insieme.
Ribadisco, rimango perplesso più che altro dal fatto che il punto debole del tutto sia la trasposizione della storia - tratta dal romanzo omonimo (in italiano "Macchine mortali") di Philip Reeve - immaginandomi che quello sarebbe stato il porto sicuro di tutta la produzione. Poi rimane il fatto che si tratti di una pellicola inoffensiva e di certo non pessima, ma nemmeno all'altezza delle aspettative generali. Insomma, un viaggio un po' inconcludente.
Cast: Hera Hilmar, Robert Sheehan, Hugo Weaving, Jihae, Ronan Raftery, Leila George, Patrick Malahide, Stephen Lang.
Box Office: $83.7 milioni
Vale o non vale: Budget mastodontico tra i 100 e i 150 milioni di dollari ed effetti speciali a gogo non salvano l'ultima fatica (narrativa) di Peter Jackson, che non riesce a sprigionare il magico interesse dei suoi lavori precedenti. La colpa non è certo della sua assenza dietro la macchina da presa, la verità è che questa pellicola manca di un generale appeal commerciale (non c'è nessuna vera e propria star riconoscibile se si esclude Hugo Weaving, comunque più conosciuto nel continente oceanico) oltre che di una storia confezionata a dovere. Il risultato finale non è terribile, ma nemmeno da considerarsi sufficiente. Si lascia guardare, ma non ricordare.
Premi: /
Parola chiave: U.S.A.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 29 maggio 2013

Film 554 - Città temporanee

Kinodromo (assemblea aperta di operatori del settore audiovisivo, volto a promuovere il cinema indipendente) ha organizzato e organizza al cinema Europa di via Pietralata una serie di incontri cinematografici tra cui quello di ieri sera per presentare il lavoro di ZimmerFrei, un "collettivo di origine bolognese, che da anni opera nel campo dell’arte e non solo. Formatosi nel 1999, produce opere di vario formato: ambienti sonori, installazioni video, performance, spettacoli multimediali, collaborando con gallerie d’arte, teatri, festival di videoarte e luoghi ibridi e recentemente sempre più in avvicinamento verso il mezzo cinematografico".
L'interesse mio e di Marco era legato al tema della serata che avrebbe toccato l'argomento urbano, focalizzando l'interesse su tre diversissime realtà cittanine: Milano, Copenhagen e Budapest.


Film 554: "Città temporanee" (2007, 2011, 2012) di ZimmerFrei (Massimo Carozzi, Anna de Manincor, Anna Rispoli)
Visto: al cinema
Lingua: italiano, danese, ungherese
Compagnia: Marco
Pensieri: Raggruppo i tre cortometraggi sotto l'unico titolo "Città temporanee", dato che ha contraddistinto l'iniziativa di Kinodromo e in quanto figli di un progetto più ampio e solo parzialmente visionato ieri sera. Di fatto "Memoria Esterna", "The Hill" e "Temporary 8th" sono solo alcuni dei cortometraggi realizzati da ZimmerFrei nell'ambito di una ricerca sulle città e le diverse realtà sociali che le contraddistinguono.
Nel caso particolare dei tre esempi visionati al cinema Europa, devo dire che, nonostante l'interesse per gli argomenti potenzialmente approfonditi, ho trovato meno riuscito il primo ("Memoria Esterna") sulla città di Milano. 

Essendo quello temporalmente meno recente, l'impressione che lascia è di un lavoro sperimentale, meno organizzato nel distribuire contenuti che, a volte, sembrano gettati alla rinfusa. L'idea di presentare la città attraverso i brevi racconti - a volte incomprensibili a causa di un audio mal gestito - di chi la vive e l'ha vissuta era certamente un buon espediente che, però, subisce l'inesperienza inevitabile di un progetto ai suoi primi sviluppi. Da questo punto di vista, infatti, i successivi "The Hill" (Copenhagen) e "Temporary 8th" (Budapest) sono nettamente più riusciti e capaci di veicolare un messaggio di fondo strutturato e comprensibile. L'esempio di Milano mi è sembrato a tratti senza un filo conduttore.
Dove, teoricamente, il macroargomento è il capoluogo lombardo, cambia radicalmente per "The Hill", incentrato sugli aspetti sociali e ambientali che la costruzione di una collina artificiale ha influenzato nel quartiere popolare di Nørrebro. Essendo una città unicamente piana, gli abitanti di quella zona di Copenhagen si sono dovuti confrontare con un progetto ambientale che sentivano estraneo alla loro terra. Strutturato tutto attorno a questa collina (all'interno della quale è stato realizzato un palazzetto da basket), si percepisce perfettamente l'intento di descrivere le implicazioni che questo progetto ha portato con sé nell'intaccamento di un'immagine collettiva prima, e nell'accettazione e 'riabilitazione' dell'oggetto incriminato poi.
Le voci narranti, questa volta, aiutano il pubblico a farsi un'idea del perchè la realizzazione di un ammasso di terra simil-collina potesse essere così problematico da digerire per la popolazione locale, finendo per spiegare anche come quest'ultima è poi riuscita a fare propria la nuova struttura messa a disposizione dal comune. Il tutto per un risultato affascinante e antropologicamente stimolante per chi, come noi, ha una prospettiva delle cose evidentemente differente.
Alla conclusione con "Temporary 8th" la serata era già stata caricata di numeosi stimoli. Il fascino decadente di Budapest ha quindi un po' risentito di un nonstop di precedenti stimolazioni e visive e mentali non supportate da alcuna pausa, né approfondimento precedente o successivo alla visione. L'idea che le immagini parlino da sole è funzionale nell'ottica di un gruppo di studenti che devono far proprie le teorie approfondite con lo studio, piuttosto che ad una platea incuriosita da un progetto di cui conosce solo i titoli di alcuni lavori.
Strutturando così la visione, quindi, è stato per tre volte di fila necessario collocare sé stessi all'interno di un flusso narrativo incostante, dovendo praticare molteplici inferenze personali. In questo contesto il lavoro su Budapest mi è piaciuto meno rispetto a "The Hill", sia perché l'Europa dell'est esercita un fascino minore su di me, sia perché sono arrivato stanco alla terza visione. In una cornice urbana influenzata da povertà, degrato e richiami della guerra, ho trovato più umanamente faticosa da affrontare la capatina fra le rive del Danubio. L'ennesima rappresentazione della periferia, talvolta fatiscente, durante i 56' di "Temporary 8th" è certamente meglio approfondita rispetto ai due esempi precedenti, ma mi ha caricato di una malinconia che ho faticato a scrollarmi di dosso. In questo senso mi sembra che comunque si sia riusciti a centrare l'obiettivo del progetto, questa volta "dedicato all’Ottavo distretto di Budapest, quartiere popolare che ha beneficiato e subìto una grande ristrutturazione urbanistica, che però ha avuto un brusco arresto nel 2008 a causa della crisi economica internazionale". Ciò nonostante ho preferito il corto "The Hill".
Nel complesso le tre produzioni forniscono un'occhiata interessante su spazi urbani tra il familiare (Milano) e lo sconosciuto, concentrandosi su una visione evidentemente più affine agli autori del progetto, ovvero zone periferiche, soggetti ai margini della società o personaggi che hanno storie curiose da raccontare. Il mix eterogeneo di frammenti di vite rimane l'aspetto forse più interessante del tutto, che lascia un po' in secondo piano quello che, invece, mi aspettavo sarebbe stato il punto centrale: la città.
I tre puzzle composti dalle narrazioni di soggetti così diversi sono quasi impossibili da paragonare tra loro e spetta ad ognuno degli spettatori decidere cosa, nell'ottica personale, è risultato più significativo; rimane comunque innegabile che l'insieme di visioni proposte sia un prodotto interessante su cui concentrare la propria attenzione.
Ps. Qui il link alle opere audivisive di ZimmerFrei.

Consigli: Particolare e personale approfondimento delle città e dei suoi abitanti nell'ottica di uno scardinamento delle consuete immagini-cartolina che potrebbero influenzare lo spettatore al momento dell'approccio ai tre documentari. L'approfondimento del legame tra le persone e il luogo in cui vivono è molto interessante, anche se questi tre esempi non possono essere che un punto di partenza per un vero approfondimento successivo del singolo.
Comunque, per una volta, qualcosa di diverso (che presenta contenuti) su cui riflettere.
Parola chiave: Periferia.

Trailer

Bengi

lunedì 12 settembre 2011

Film 296 - Appaloosa

Ne avevo letto e sentito parlare, ero curioso...


Film 296: "Appaloosa" (2008) di Ed Harris
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: "Appaloosa" è un bel western che non avrei mai pensato potesse appassionarmi. Il genere di per sé non mi appartiene e, in effetti, non subisco quasi mai il fascino dei duelli all'ultimo colpo di pistola. Ma apprezzo molto Ed Harris (qui anche regista) e non ho potuto non dare una possibilità a questa pellicola, una delle ultime in cui Renée Zellweger ha effettivamente azzeccato il ruolo.
Viggo Mortensen è il più affascinante tra i personaggi (com'è che è sempre così?) e il suo silenzioso ma fedele Everett Hitch è magnetico in maniera impressionante. Uno degli attori più dotati di questi tempi, sempre a cavallo di nuove sfide recitative, ma tenuto un pò in disparte dai grandi fasti celebrativi forse proprio per questa sua tendenza a sperimentare. Bravo, sempre una certezza.
Come si diceva, poi, azzeccata la Zellweger, doppia e sottile, vulnerabile e calcolatrice, sottomessa alla necessità di protezione che crede di poter trovare solo nel 'capo branco'. E' brava e rende ottimamente il personaggio per cui a tratti proviamo antipatia, a tratti compassione.
Harris, invece, è tutto d'un pezzo, una roccia granitica su cui puoi fare affidamento al 100%. E' un personaggio classico, ma sicuramente il nostro ha il physique du rôle e il personaggio di Virgil Cole ci piace proprio per la sua durezza semplice.
In tutto questo il cattivo di turno è Jeremy Irons in un ruolo che, lo ammetto, non mi ha particolarmente sconvolto.
Bene il duello finale, l'onore e la virilità sono al centro della contesa, l'amore e la vita al centro della storia. Il tutto è un bel mix, un film passato in sordina, ma che risulta piacevolmente riuscito. Nonostante sia un western.
Consigli: Se piace il genere meglio non perderselo! (in streaming e download si trova tranquillamente)
Parola chiave: Amicizia.

Trailer

Ric