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martedì 6 dicembre 2022

Film 2150 - Triangle of Sadness

Intro: In vacanza tra Belgio e Olanda, la prima sera a Bruxelles ho deciso di regalarmi una capatina al cinema per recuperare il vincitore della Palma d'oro di quest'anno.


Film 2150: "Triangle of Sadness" (2022) di Ruben Östlund
Visto: al cinema
Lingua: inglese, svedese, tedesco, francese, greco, tagalog
Compagnia: nessuno
In sintesi: un film che è una scatola cinese, "Triangle of Sadness" comincia in un punto e finisce a uno totalmente opposto, in una serie di twist e sorprese difficilmente prevedibli.
In un mix tra "Titanic", "Below Deck", "Gosford Park" e/o "Downton Abbey", "Il signore delle mosche", "Lost" e persino "Old" di Shyamalan e la scena del vomito di "Piccola peste torna a far danni", questa pellicola ne ricorda tante altre, pur lasciando ben impresso il proprio marchio di fabbrica.
Tutto merito di una sceneggiatura sorprendentemente fuori dai canoni mainstream, nonché di un cast brillante inizialmente sorretto da un Harris Dickinson, sempre più lanciato, che poi passa il testimone a Woody Harrelson, che la fa da padrone nella parte centrale della storia, che a sua volta passa il testimone a una magnetica Dolly De Leon, che regala una performance indimenticabile, divertentissima e inaspettatamente vitale per il film. Probabilmente il suo è alla fine il ruolo che si ricorda di più (non a caso si parla di una possibile nomination all'Oscar per lei).
Per il resto il film è una vera e propria odissea raccontata in quasi 2 ore e mezza di durata. C'è il mondo della moda, quello degli influencer, i ricconi in crociera, serviti e servitori, una nave che cola a picco, un gruppo di sopravvissuti su una spiaggia deserta, la legge del più forte (o del più intelligente) e un finale shock che lascia lo spettatore con domande su cui interrogarsi. Il tutto farcito di uno humor che più nero non si può.
Sicuramente non un film facile e certamente non per tutti, ma "Triangle of Sadness" è una potentissima esperienza cinematografica che stupisce, fa riflettere e lascia decisamente un segno.
Cast: Harris Dickinson, Charlbi Dean, Dolly de Leon, Zlatko Burić, Henrik Dorsin, Vicki Berlin, Woody Harrelson.
Box Office: $15.4 milioni
Vale o non vale: Non un film per tutte le occasioni e sicuramente non per tutti i palati, la pellicola di Ruben Östlund è tante cose, tranne che un prodotto scontato. Di nicchia per certi versi, eppure mainstream per molti altri (a partire dal cast), "Triangle of Sadness" è divertente e deprimente, farcito di momenti indimenticabili e un paio di performance che da sole valgono la visione.
Premi: Vincitore della Palma d'oro a Cannes 2022 come Miglior film.
Parola chiave: Pretzel sticks.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

Artwork by MadMikeT

venerdì 29 novembre 2013

Film 624 - Il gattopardo

Cineforum dell'incidentato capitolo X: appuntamento con la storia.

Film 624: "Il gattopardo" (1963) di Luchino Visconti
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Marco
Pensieri: Sinceramente? Non ero del tutto convinto prima di vedere questo film. Lunghezza, tematiche e forse anche un po' di pregiudizzi nei confronti del cinema italiano d'apoca e d'eutore nei confronti del quale pare spesso ci debba essere un rispetto reverenziale a prescindere.
Invece? "Il gattopardo" è a tutti gli effetti un capolavoro. Stupendo.
Innanzitutto ho trovato la lunghezza assolutamente affrontabile - immagino perché di fatto la storia mi ha interessato fin dal principio - e tutti i passaggi effettivamente capaci di evocare degnamente la storia del nostro Paese, davvero accurati per messa in scena e resa. Costumi bellissimi, scenografia accuratissima e, grazie all'eccellente restauro, una fotografia tanto ben resa da sembrare contemporanea.
Burt Lancaster e Alain Delon mi hanno colpito, risultando idonei alla non facile parte che gli competeva (specialmente il primo), pur non condividendo la nazionalità dei due personaggi che interpretano, il principe Don Fabrizio Salina e suo nipote Tancredi Falconeri. Gli attori - rispettivamente americano e francese - sono riusciti a calarsi nei panni di una sicula nobiltà ormai in declino, ferma ad usanze e riverenze che male si sposano con gli accadimenti che il Paese sta conoscendo nella nuova forma del Regno d'Italia. E' proprio il principe Salina a spiegare l'atteggiamento siculo nei confronti di questo ennesimo cambiamento che la popolazione si appresta ad affrontare, parlando proprio di un atteggiamento gattopardesco: "[..] i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia, hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso. Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare se stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani." (da Wikipedia).
A sintetizzare al meglio il gattopardismo è la frase di Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
In questa cornice, già di per sé ricchissima, si inseriscono le vicende dei due già citati protagonisti, della famiglia Salina e della protagonista femminile Angelica, una Claudia Cardinale un po' gitana e a volte motivo di qualche risata a causa di una certa sua goffaggine (che non so se attribuire a lei o al suo personaggio).
Scene assolutamente cult quella della Messa cui partecipa tutta la famiglia Salina, completamente bianca in viso per via della polvere e, proprio per questo motivo, simili a statue immobili quasi a suggerire una parallelo con la staticità della loro condizione sociale in quel momento storico; e, inutile dirlo, quella del ballo: una sequenza lunghissima, ma di grandissimo impatto visivo, capace di affascinare ed ipnotizzare lo spettatore che segue il roteare beato dei ballerini, l'incresparsi delle gonne, la sudata fatica del principe e lo schiamazzo della gioventù femminile che quest'ultimo non risparmierà dal criticare (paragonandola ad un gruppo di scimmie).
Sono rimasto veramente colpito da questo film e dalla sua maestosa realizzazione, esempio vero - ma ormai maledettamente lontano - di come anche da noi si possano mettere in piedi dei veri colossal. La trama è lunga, sì, ma avvincente e interessante, capace di rendere sinceramente affascinante la decadenza di un ceto sociale che sopravvive come può (e non sempre con la dignità del caso). La figura del principe, traino di tutta la storia, è un esempio grandissimo di classe, arguzia e lucidità, oltre che di genuino affetto verso il nipote e, soprattutto, la sua terra d'origine.
"Il gattopardo" è un bellissimo film.
Consigli: Palma d'Oro a Cannes come Miglior film, una nomination all'Oscar per i costumi di Piero Tosi e una eco internazionale che dura ancora oggi. Una pellicola bellissima, complessa e perfettamente strutturata, in grado di ricreare il periodo storico della nascita del Regno d'Italia con una maestria che lascia a bocca aperta. Un vero e proprio classico del nostro cinema che, nella vita, bisogna davvero vedere almeno una volta.
Parola chiave: Aristocrazia.

Trailer

Bengi

lunedì 19 novembre 2012

Film 481 - Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)

In pausa la fase anni '80, si passa alla commedia italiana dei primi anni '70.


Film 481: "Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)" (1970) di Ettore Scola
Visto: dal computer di Valentina
Lingua: italiano
Compagnia: Paola, Valentina
Pensieri: Primo film che vedo con interprete Monica Vitti, e, soprattutto, primo che vedo diretto da Ettore Scola, ho molto goduto della visione di questa pellicola che, internazionalmente, è conosciuta col titolo di "The Pizza Triangle".
Divertente e dal retrogusto amarognolo, è la storia di un triangolo amoroso che dei più sofferti non si può, tanto da culminare in follia e morte. Tutto, però, è trattato con toni leggeri e, al contempo, sempre camuffata sotto il tono sarcastico della battuta, vi è nascosta una satira sociale che non si fatica a cogliere in più di un passaggio (un esempio molto divertente è quello della sorella di Adelaide/Vitti, che la vuole a tutti i costi sposata e le fa la predica morale quando lei, in realtà, di mestiere fa la prostituta).
Il trio di attori è di prim'ordine: oltre alla Vitti anche Giancarlo Giannini nei panni di Nello e il protagonista Oreste, interpretato da Marcello Mastroianni che per questa pellicola vince la Palma d'oro al Festival di Cannes come miglior attore.
Tra l'altro, oltre alla critica sociale e un cast di tutto rispetto, la trama è anche piuttosto all'avanguardia: ad un certo punto il trio di amanti - entrambi gli uomini innamorati della Vitti - tentano un ménage à trois che è vero non andrà in porto, ma rimane comunque un argomento forte da mettere in tavola per il pubblico dell'epoca. Piacevole da guardare, fa anche pensare. Non c'è per niente male.
Consigli: 4 buoni motivi per vedere questa pellicola? Ettore Scola, Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Giancarlo Giannini.
Parola chiave: Processo.

Trailer

Ric

lunedì 30 agosto 2010

Film 132 - La dolce vita

Altro appuntamento con il cinema in piazza, altro momento felliniano imperdibile. E, sì, c'era chi questo film non lo aveva ancora visto (me compreso!).


Film 132: "La dolce vita" (1960) di Federico Fellini
Visto: in Piazza Maggiore a Bologna
Lingua: italiano
Compagnia: Claudia, Federica, Enrico
Pensieri: Evviva evviva, finalmente ho visto "La dolce vita"! Come per tutto ciò che attendi di vedere praticamente da sempre, le aspettative non possono che essere elevatissime.
In effetti quello che mi aspettavo da un film di questo calibro era sicuramente di farmi conquistare, di trovare quella scintilla che me ne facesse innamorare perdutamente. Nella realtà devo dire che alcuni fattori contro li ho avuti. Primo tra tutti il caldo che, in una proiezione pubblica in piazza a luglio c'è per forza. Poi l'attesa, perchè far cominciare a parlare Anita Ekberg alle 22.00 non è un'idea così geniale se si considerano i 170 minuti di durata di questa pellicola a cui vanno sommati i 30 del simpatico monologo dell'attrice (classe 1931, complimenti!). Arrivati ad una cert'ora, quindi, le sedie diventano simbolo tangibile di scomodità e si comincia con l'irritante giochino del pubblico che va verso casa. A mezzanotte non si è nemmeno a metà film, il che è tragico. Durante la trasmigrazione si perdono la metà delle scene e l'insofferenza, per chi rimane, è notevole.
In questa cornice non esattamente fortunata colloco un film non facile a cui, probabilmente, non ero totalmente preparato. Si sa, la prima visione è 'esplorativa', per cogliere l'insieme delle cose mi serviranno certamente appuntamenti più attenti e approfonditi. Mi è piaciuto? Sì. L'ho capito? Ni.
La classica scena rappresentativa del film, alla Fontana di Trevi è bellissima, ma dura meno del previsto. E' interessante, in realtà, perchè la Ekberg poco prima ha raccontato che l'acqua era gelata e Mastroianni sotto lo smoking portava le calosce da pescatore: ecco un dietro le quinte che oggi sarebbe considerato 'contenuto speciale' di un qualunque dvd. Ma rende molto più tangibile un mondo che, oggi, risulta davvero lontano.
Molto interessante (a tratti inquietante) la scena del finto miracolo, con i due bambini che dicono di aver visto la Madonna. La folla si scanna, sbraita e lotta per un pezzo di albero situato sul luogo dell'apparizione. Si finisce con l'immagine tristissima della natura umana, capace di abbassarsi a livello animale in un momento di allucinazione collettiva. Fellini critico sotto i più svariati aspetti (non c'è bisogno di dire quali, credo) mi ha molto colpito per la disinvoltura e naturalezza con cui riporta la scena (Wikipedia mi dice ispirata da un fatto vero), cruda e priva dell'umanità che si suppone dovrebbe avere un cristiano. Lascia un po' scossi.
Insomma, il film presenta mille spunti e va guardato con la consapevolezza che sarà un viaggio lungo e non sempre piacevole verso le numerose facce della «dolce vita» della Roma a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60.
Ps. Quattro nominations, un Oscar per i costumi di Piero Gherardi e la Palma d'Oro a Cannes.
Consigli: Se avete voglia di qualcosa di leggero, passate. Altrimenti immergetevi in uno dei più grandi successi del cinema italiano nel mondo. Non si può trascurare in quando pezzo portante della nostra storia, diventato simbolo di uno stile di vita che ancora oggi affascina e si rivorebbe indietro. Il bianco è nero è magia, basta lasciarsi trasportare...
Parola chiave: Paparazzi.


Ric

giovedì 24 giugno 2010

Film 124 - Capitalism: A Love Story

'Scrivere di cinema - Premio Alberto Farassino, edizione 2010' - In concorso.

Finalmente torno un po' a uno dei miei generi preferiti: il documentario!


Film 124: "Capitalism: A Love Story" (2009) di Michael Moore
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: I documentari del sig. Moore ormai sono conosciuti in tutto il mondo da quando, dopo l'Oscar per "Bowling a Columbine", il regista vinse a Cannes la Palma d'Oro con il docu-film "Fahrenheit 9/11", il documentario che ha incassato di più nella storia del cinema (costato $6,000,000, ne ha incassati $220,078,393).
Da quel momento Moore è diventato simbolo di due diverse fazioni - opposte - da cui è venerato e odiato: pro e contro amministrazione Bush (e, più ampiamente, democratici vs repubblicani).
Anche se sembrerebbero gruppi decisamente diversi, non è sempre così scontato decidere di volta in volta da che parte stare quando si parla di un film del nostro regista. Per quanto certe evidenze siano innegabili, non si può non ammettere una certa posizione di parte, neanche celata, a volte troppo presente per non influenzare l'oggettività che, si suppone, il genere documentario dovrebbe avere.
Quindi non sempre si può parlare di docu-film, ma, bensì, di docu-fiction, prodotto figlio di immagini, sì, volte a spiegare, certificare, documentare, ma costruite per portare lo spettatore ad un'unica ottica comune: quella di chi ha pensato, costruito, montato la determinata sequenza di immagini.
Fatta la premessa, questo è un classico film in stile Moore, seguito di una serie già di per sé politicamente molto schierata, qui quasi spropositatamente. Molto più esagerato del solito nel promuovere le sue campagne, molto teatrale nell'imbastire le sue imprese, il Moore protagonista assoluto di questa pellicola, gioca ad alzare di molto il tono della voce, sperando in una reazione da parte di qualcuno.
I fatti esposti fanno spesso rabbrividire, ma in certi passaggi è talmente scontata e prevedibile la dose di buonismo propinata solo per il gusto di creare scalpore e indignazione, che l'effetto che ne deriva è quasi di fastidio. Di per sé non sarebbe un male, ma non può essere l'unica voce in un film che promette di spiegare come funziona il capitalismo nell'America di ieri e oggi (vedi trailer). Manca pluralità di voci e possibilità di farsi un'idea anche di quello che sta dall'altra parte, ossia della parte 'cattiva'.
Moore sta diventando sempre più narratore (e portavoce) di un filone documentario che prevede l'esposizione del fatto molto spesso da un unico punto di vista e questo non può essere considerato come mezzo di informazione fortemente oggettivo. I potenziali ci sono sempre, forse si è un po' persa di vista la ''missione educativa'' che sta dietro l'intenzione di svelare il complotto, smascherare il crimine o portare alla luce un particolare fatto. Peccato, ma comunque interessante l'argomento in sé.
Consigli: Se l'interesse è quello di sviscerare il capitalismo sotto ogni aspetto, questo non potrà che essere un tassello della vostra ricerca di sapere. Un tassello, appunto. Niente di più.
Parola chiave: Borsa.



Ric