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mercoledì 29 maggio 2013

Film 554 - Città temporanee

Kinodromo (assemblea aperta di operatori del settore audiovisivo, volto a promuovere il cinema indipendente) ha organizzato e organizza al cinema Europa di via Pietralata una serie di incontri cinematografici tra cui quello di ieri sera per presentare il lavoro di ZimmerFrei, un "collettivo di origine bolognese, che da anni opera nel campo dell’arte e non solo. Formatosi nel 1999, produce opere di vario formato: ambienti sonori, installazioni video, performance, spettacoli multimediali, collaborando con gallerie d’arte, teatri, festival di videoarte e luoghi ibridi e recentemente sempre più in avvicinamento verso il mezzo cinematografico".
L'interesse mio e di Marco era legato al tema della serata che avrebbe toccato l'argomento urbano, focalizzando l'interesse su tre diversissime realtà cittanine: Milano, Copenhagen e Budapest.


Film 554: "Città temporanee" (2007, 2011, 2012) di ZimmerFrei (Massimo Carozzi, Anna de Manincor, Anna Rispoli)
Visto: al cinema
Lingua: italiano, danese, ungherese
Compagnia: Marco
Pensieri: Raggruppo i tre cortometraggi sotto l'unico titolo "Città temporanee", dato che ha contraddistinto l'iniziativa di Kinodromo e in quanto figli di un progetto più ampio e solo parzialmente visionato ieri sera. Di fatto "Memoria Esterna", "The Hill" e "Temporary 8th" sono solo alcuni dei cortometraggi realizzati da ZimmerFrei nell'ambito di una ricerca sulle città e le diverse realtà sociali che le contraddistinguono.
Nel caso particolare dei tre esempi visionati al cinema Europa, devo dire che, nonostante l'interesse per gli argomenti potenzialmente approfonditi, ho trovato meno riuscito il primo ("Memoria Esterna") sulla città di Milano. 

Essendo quello temporalmente meno recente, l'impressione che lascia è di un lavoro sperimentale, meno organizzato nel distribuire contenuti che, a volte, sembrano gettati alla rinfusa. L'idea di presentare la città attraverso i brevi racconti - a volte incomprensibili a causa di un audio mal gestito - di chi la vive e l'ha vissuta era certamente un buon espediente che, però, subisce l'inesperienza inevitabile di un progetto ai suoi primi sviluppi. Da questo punto di vista, infatti, i successivi "The Hill" (Copenhagen) e "Temporary 8th" (Budapest) sono nettamente più riusciti e capaci di veicolare un messaggio di fondo strutturato e comprensibile. L'esempio di Milano mi è sembrato a tratti senza un filo conduttore.
Dove, teoricamente, il macroargomento è il capoluogo lombardo, cambia radicalmente per "The Hill", incentrato sugli aspetti sociali e ambientali che la costruzione di una collina artificiale ha influenzato nel quartiere popolare di Nørrebro. Essendo una città unicamente piana, gli abitanti di quella zona di Copenhagen si sono dovuti confrontare con un progetto ambientale che sentivano estraneo alla loro terra. Strutturato tutto attorno a questa collina (all'interno della quale è stato realizzato un palazzetto da basket), si percepisce perfettamente l'intento di descrivere le implicazioni che questo progetto ha portato con sé nell'intaccamento di un'immagine collettiva prima, e nell'accettazione e 'riabilitazione' dell'oggetto incriminato poi.
Le voci narranti, questa volta, aiutano il pubblico a farsi un'idea del perchè la realizzazione di un ammasso di terra simil-collina potesse essere così problematico da digerire per la popolazione locale, finendo per spiegare anche come quest'ultima è poi riuscita a fare propria la nuova struttura messa a disposizione dal comune. Il tutto per un risultato affascinante e antropologicamente stimolante per chi, come noi, ha una prospettiva delle cose evidentemente differente.
Alla conclusione con "Temporary 8th" la serata era già stata caricata di numeosi stimoli. Il fascino decadente di Budapest ha quindi un po' risentito di un nonstop di precedenti stimolazioni e visive e mentali non supportate da alcuna pausa, né approfondimento precedente o successivo alla visione. L'idea che le immagini parlino da sole è funzionale nell'ottica di un gruppo di studenti che devono far proprie le teorie approfondite con lo studio, piuttosto che ad una platea incuriosita da un progetto di cui conosce solo i titoli di alcuni lavori.
Strutturando così la visione, quindi, è stato per tre volte di fila necessario collocare sé stessi all'interno di un flusso narrativo incostante, dovendo praticare molteplici inferenze personali. In questo contesto il lavoro su Budapest mi è piaciuto meno rispetto a "The Hill", sia perché l'Europa dell'est esercita un fascino minore su di me, sia perché sono arrivato stanco alla terza visione. In una cornice urbana influenzata da povertà, degrato e richiami della guerra, ho trovato più umanamente faticosa da affrontare la capatina fra le rive del Danubio. L'ennesima rappresentazione della periferia, talvolta fatiscente, durante i 56' di "Temporary 8th" è certamente meglio approfondita rispetto ai due esempi precedenti, ma mi ha caricato di una malinconia che ho faticato a scrollarmi di dosso. In questo senso mi sembra che comunque si sia riusciti a centrare l'obiettivo del progetto, questa volta "dedicato all’Ottavo distretto di Budapest, quartiere popolare che ha beneficiato e subìto una grande ristrutturazione urbanistica, che però ha avuto un brusco arresto nel 2008 a causa della crisi economica internazionale". Ciò nonostante ho preferito il corto "The Hill".
Nel complesso le tre produzioni forniscono un'occhiata interessante su spazi urbani tra il familiare (Milano) e lo sconosciuto, concentrandosi su una visione evidentemente più affine agli autori del progetto, ovvero zone periferiche, soggetti ai margini della società o personaggi che hanno storie curiose da raccontare. Il mix eterogeneo di frammenti di vite rimane l'aspetto forse più interessante del tutto, che lascia un po' in secondo piano quello che, invece, mi aspettavo sarebbe stato il punto centrale: la città.
I tre puzzle composti dalle narrazioni di soggetti così diversi sono quasi impossibili da paragonare tra loro e spetta ad ognuno degli spettatori decidere cosa, nell'ottica personale, è risultato più significativo; rimane comunque innegabile che l'insieme di visioni proposte sia un prodotto interessante su cui concentrare la propria attenzione.
Ps. Qui il link alle opere audivisive di ZimmerFrei.

Consigli: Particolare e personale approfondimento delle città e dei suoi abitanti nell'ottica di uno scardinamento delle consuete immagini-cartolina che potrebbero influenzare lo spettatore al momento dell'approccio ai tre documentari. L'approfondimento del legame tra le persone e il luogo in cui vivono è molto interessante, anche se questi tre esempi non possono essere che un punto di partenza per un vero approfondimento successivo del singolo.
Comunque, per una volta, qualcosa di diverso (che presenta contenuti) su cui riflettere.
Parola chiave: Periferia.

Trailer

Bengi

martedì 5 luglio 2011

Film 274 - Mr. Beaver

Incertezza su questa pellicola che, mi spiace dirlo, non presentava certo una storia troppo allettante... Ma la 'sponsorizzazione' della 3 sicuramente mi ha convinto a fare una capatina al cinema.


Film 274: "Mr. Beaver" (2011) di Jodie Foster
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Michele
Pensieri: Non si può dire che questo film non abbia una storia originale. Uomo di successo con famigliola teoricamente felice cade in depressione e, per riprendersi, finisce per farsi auto-terapia grazie all'aiuto di un pupazzo/marionetta a forma di castoro. ("The Beaver", appunto).
Questa pellicola, per toni e colori umidicci, mi ha ricordato molto il "The Weather Man" (o "L'uomo delle previsioni" che dir si voglia) di Gore Verbinski. Qui, però, la trama si dimostra più risoluta e meno soggetta agli eventi della vita, quindi decisamente meno fatalista. Ma la sensazione di una connessione tra i due film mi è rimasta per tutta la visione.
Non posso dire che rivedrei "Mr. Beaver", ma non posso nemmeno giurare che non mi sia piaciuto. E' un insieme strano di elementi, un'onda infinita di alti e passi, a seconda dell'umore del suo protagonista Walter Black/Mel Gibson. Tra dramma e battute, famiglia e rimpianti, riscatto e viaggio di formazione, il percorso che verrà narrato allo spettatore attinge un po' ovunque per ricreare un mix di sensazioni che, alla fine, rimane un po' indefinito. Non è facile da classificare questo film, poiché non è di facile e disimpegnato consumo, ma non è nemmeno un drammone esistenziale che pone etici interrogativi per i 91 minuti di durata. Forse, nel panorama cinematografico odierno, risulta un attimino azzardato come investimento. Il richiamo della classe attoriale conta soprattutto sul duo Mel Gibson+Jodie Foster (qui alla sua seconda regia), ma il primo è decaduto ormai da tempo, la seconda sbaglia, forse, a voler a tutti i costi dimostrare ancora qualcosa. Non perchè non sia capace, sia chiaro, ma forse un progetto così outsider equivale un po' a darsi la zappa sui piedi e in pochi avrebbero potuto farcela. Il tono dimesso, poi, di tutta l'operazione commerciale non ha aiutato.
Non ho gradito troppo, poi, la voce fuori campo dello stesso Walter Black che auto-narra la sua stessa storia. Tra questa, la sua originale e quella del castoro, tre voci allo stesso personaggio mi sono parse un po' troppe.
Interessanti, comunque, i due giovani comprimari che si 'oppongono' alla coppia di veterani: Anton Yelchin ("Star Trek", "Terminator Salvation") e la recentemente candidata all'Oscar Jennifer Lawrence ("Un gelido inverno", "X-Men: L' inizio "). Giovani e carini, rinfrescano la storia e tengono bene le redini della narrazione quando è il loro turno.
Tutto sommato posso dire che l'insieme sia sufficiente, ma non totalmente incisivo. Manca qualcosa, ma non chiedetemi cosa. Ci sto ancora pensando...
Consigli: Attenzione al 'blue mood' di tutto il film, è contagioso.
Parola chiave: Depressione.

Trailer

Ric

martedì 15 febbraio 2011

Film 218 - The Green Hornet

Disimpegno nel weekend, ora di pranzo.


Film 218: "The Green Hornet" (2011) di Michel Gondry
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Mai avrei pensato di vedere Seth Rogen nei panni di un supereroe. Per quanto 'il calabrone verde' non rappresenti l'estetica classica di eroe contemporaneo. Britt Reid/Rogen è grasso e senza poteri, eccentrico e svogliato, privo di cultura o attitudine lavorativa. Ovviamente il suo personale percorso di formazione in questa pellicola lo porterà a migliorarsi e a capire che, in fondo, qualcosa della sua vita può essere fatto. Ma le stranezze di questo film non sono finite.
Nel ruolo della spalla senza nome Kato/Jay Chou, ovviamente il personaggio più simpatico e riuscito, meno sbruffone e più concreto, capace di tenere testa a orde di criminali con la sola forza dei suoi muscoli. Se Reid è il calabrone, Kato potrebbe essere la mosca a dimensioni.
Poi Cameron Diaz in un ruolo talmente striminzito che, ci avessero anche messo un cartonato, non ci saremmo accorti della differenza. E', scusate l'ovvietà, la bellona bionda intelligente che, grazie al suo acume, predige il futuro ai due protagonisti, mettendoli in guardia o, sempre involontariamente perchè lei non conosce le identità segrete dei suoi superiori, suggerendo cosa fare come mosse successive. Un ruolo decisamente poco impegnato e impegnativo.
Infine ritroviamo, a un anno dall'Oscar come non protagonista nel film di Tarantino, Christoph Waltz, resuscitato al cinema Hollywoodiano come Gesù dopo i tre giorni. Chi ne aveva più sentito parlare? In effetti la pausa di due anni dal mondo del cinema poteva essere una mossa strategica per un attore austriaco che si vede lanciato nell'olimpo dei 'best actors' così improvvisamente. Peccato, però, che abbia scelto questa pellicola. E', sì, campione di incassi al botteghino USA (niente di straordinario, per carità: ad oggi siamo a $92.4 milioni e un 10° posto in classifica che, arrivati a domenica 20 febbraio, lo vedrà sbalzare fuori quasi sicuramente dalla top ten del box office americano), ma non è rappresentativa di alcunché. Mossa, a mio avviso, sbagliata.
Insomma, il film non è male, ma non è così elettrizzante come avrebbe potuto essere. Buoni attori, la regia del premio Oscar Michel Gondry (ma anche lui che cosa ci fa in questo progetto?! Voleva rendersi più commerciale? O svendersi al commerciale? Non capisco...), un personaggio meno convenzionale di altri supereroi (ma Iron Man era già un antieroe...) e... E, purtroppo, poco altro. Avanti il prossimo (magari il nuovo Spider Man?).
Consigli: Un film innocuo, piacevole. Ma non spendete dei soldi per vederlo, per carità!
Parola chiave: I cattivi sono i buoni.


Ric

domenica 13 febbraio 2011

Film 217 - I ragazzi stanno bene

Continuiamo con le cene pre-Oscar. Il 27 febbraio si avvicina...


Film 217: "I ragazzi stanno bene" (2010) di Lisa Cholodenko
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: inglese
Compagnia: Marco, Diego, Andrea, Andrea Puffo, Gianpaolo
Pensieri: I colori forti di questa locandina mi hanno subito ricordato quelli di un altro film, "Sunshine Cleaning". Non so perchè, ma nonostante non abbai visto quest'ultimo, non riesco a togliermi dalla testa il collegamento. Le atmosfere, i paesaggi, invece, mi hanno ricordato il "Sideways" di Alexander Payne. Sarà la natura molto presente, la motocicletta, il sole caldo, il piacere del vino a tavola... Di fatto nella mia testa, durante la visione di questa pellicola, sono frullati vari collegamenti.
Non posso fare a meno di pensare, poi, che Annette Bening aspetti un Oscar da 20 anni, ma che, il destino, gliel'abbia sempre sottratto. E' stata eternamente seconda. Due volte battuta da Hilary Swank e una da Whoopi Goldberg, quest'anno, pare, debba perdere contro Natalie Portman. E, mi tocca dire, a giusta ragione.
Sì, perchè, a mio avviso, questo film non è niente di che. Carino, ma non il migliore dell'anno. Bravi gli interpreti (e non solo la Bening), ma ne ho in mente altri che, nella passata stagione, hanno fatto di meglio. Sarà che, dopo tanto decantare una cosa, le aspettative sono sempre troppo alte?
In effetti questo film ha il grande pregio di rappresentare una realtà che, per l'Italia, non solo è insolita, ma quantomeno futuristica (utopica è troppo?). Due lesbiche sposate con figli fatti in provetta è un'immagine familiare talmente lontana da ogni nostra idea di famiglia regolarmente ammessa, che non può non interessare l'aspetto sociologico e sociale che l'analisi di un nucleo così 'sperimentale' (sempre per noi che siamo retrogradi) può offrire!
La storia raccontata ha l'elemento di disturbo della quotidianità (i figli cercano il padre donatore di sperma), ma la piega che prende la narrazione non è sempre efficace. La liaison amorosa che nasce tra una delle due donne (Julianne Moore) e il padre biologico dei loro figli (Mark Ruffalo, anche lui candidato all'Oscar per questa pellicola) è uno scivolone sentimentale che lascia l'amaro in bocca per tutto il resto della visione. Qui la Bening dimostra le sue qualità di attrice sia nel momento della scoperta del tradimento che davanti alle scuse della moglie.
Per il resto questo "I ragazzi stanno bene" è un film del quotidiano, intimo e, sicuramente, di stampo indipendente. Nessun grande budget, né grandi incassi ($20,803,237 sul mercato USA). Arricchisce perchè pone il problema della normalità del diverso a chi potrebbe non essersi mai messo nei suoi panni. La sua forza sta sicuramente nel messaggio che propone e l'idea di assoluta banalità (non nel senso svilente, sia chiaro) che sta dietro ad una coppia dello stesso sesso. Di questi tempi non dovrebbe più essere necessario ribadirlo, ma, nel caso, è sempre meglio ricordarlo a chi ha una labile memoria.
Consigli: Sicuramente visto in inglese ha quella marcia in più. Ma i sottotitoli, si sa, distraggono...
Parola chiave: Origini.


Ric

lunedì 31 gennaio 2011

Film 211 - Hereafter

Anche qui, nessuna idea sulla trama. Ma tutti ne parlano e, soprattutto, non mi perdo un film di Clint neanche per sbaglio!


Film 211: "Hereafter" (2010) di Clint Eastwood
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Nicolò
Pensieri: "Hereafter" è un film di Clint diverso da tutti i film di Clint che ho visto finora.
Oltre al tema trattato, tra il religioso e il paranormale, la sensazione è più quella di un film commerciale (blockbuster) che di un lavoro d'autore. Dopo capolavori come "Mystic River", "Million Dollar Baby", "Changeling" e "Gran Torino", questa pellicola sembra meno ispirata, forse perchè le tematiche non sono semplici e una buona parte del pubblico parte sicuramente scettica (io).
Tutto sommato, comunque, non è un brutto film. Come non è un film facile. Scene subito di grande impatto emotivo (tsnumami) raccontate senza spettacolarizzazione dei sentimenti o ricerca della lacrimuccia facile. Parte tutto da lì, comunque, la narrazione di questo film. Più di una storia incrociata (tre principali) che, da quell'evento catastrofico, finiranno per incontrarsi verso la fine della storia. Nel mezzo addii e nuovi incontri (la scena di cucina 'ad occhi chiusi' con Bryce Dallas Howard - figlia del più famoso Ron - e Matt Damon è davvero molto sensuale) e qualche incontro con l'aldilà.
Non è il miglior film del grande Clint, in effetti, la mano sembra meno ispirata, ma non posso dire che lo abbia visto malvolentieri. La regia è sempre di alto livello, gli attori bravi (Cécile De France in primis) e la storia, in ogni caso, non lascia indifferenti. Tanti spunti, tante domande e la ricerca di risposte che, nel film, ovviamente non sono date. La versione di questa pellicola è la storia stessa che racconta, non c'è volontà di spingere in una direzione, ma di narrare semplicemente gli avvenimenti seguendo la piega che lo sceneggiatore Peter Morgan ("La regina", "Frost/Nixon - Il duello", "L'altra donna del re", "L'ultimo re di Scozia") ha voluto dare alla vicenda.
Bella la fotografia (di Tom Stern, nominato all'Oscar per "Changeling") nei momenti più 'cupi' e ben realizzato lo tsunami (nomination all'Oscar per gli effetti speciali; qui siamo tornati ai tempi di Stanley Kubrick e "2001: Odissea nello spazio"...), colonna sonora realizzata dallo stesso Eastwood (che, inoltre, ha prodotto il film insieme allo sceneggiatore e a Spielberg). Meno buono l'incasso di $32,741,596 a fronte di una spesa stimata a 50 milioni.
Consigli: Per gli amanti del Clint Eastwood regista questo film va assolutamente visto. Per un uomo della sua età (80 anni) c'è una visione straordinariamente lucida della realtà e di ciò che si vuole raccontare, evitando banalità e luoghi comuni. Un punto di vista in più, magari diverso dal nostro, non può che solleticare lo spettatore. Eastwood, in questi ultimi anni, di punti di vista ne ha dati parecchi... Da non sottovalutare.
Parola chiave: Libro.


Ric

domenica 30 gennaio 2011

Film 210 - Kill Me Please

Cinema a scatola chiusa. Nessuna idea sulla trama, neanche un vago spunto o indizio. A parte un titolo decisamente esplicito...


Film 210: "Kill Me Please" (2010) di Olias Barco
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Fabrizio
Pensieri: Questo film mi ha un po' spiazzato. All'inizio, non sapendo nulla della trama, mi sono fatto guidare dalle immagini. Poi, immaginato un percorso che avrebbe potuto seguire e sviluppare, ho atteso di capire dove in effetti si sarebbe andati a parare. Infine, amara sorpresa, la deviazione comico-grottesca con humor nero che mi ha lasciato abbastanza senza parole.
Da includere in questo mio pensiero, per dovere di cronaca, un ritorno in ufficio dopo quasi due settimane di assenza (e una vacanza alle Canarie nel mezzo), l'ambiente già di per sé non sempre allegro, l'argomento a sorpresa del film dopo una giornata stancante.
Le condizioni di visione, in effetti, non erano tra le più favorevoli. Il risultato, comunque, è stata una visione negativa. Sarà che non ero preparato ad un umorismo così nero o che, forse, speravo in un taglio più documentaristico - visto l'interessante argomento dell'eutanasia, la morte assistita in cliniche private, la possibilità e la necessità, a volte, di scegliere per sé stessi anche come andarsene - piuttosto che la virata da dark comedy, di fatto questa pellicola non mi ha soddisfatto.
Forse, ora, presa coscienza della natura di questo "Kill Me Please", rivedendolo ne avrei una visione differente, meno negativa. Il film è scritto bene, analizza lucidamente un argomento non facile e crea un vortice paradossale che, al di fuori del contesto, ha della genialità. Mi ha ricordato a tratti il "Ladykillers" dei Coen e "Idioti" di Lars von Trier. Spiazzante.
Ps. Il film ha vinto il Marc'Aurelio d'Oro della Giuria per il miglior film al Festival Internazionale del Film di Roma del 2010.
Consigli: Meglio essere preparati quantomeno sull'argomento del film. La conclusione, seppure pervasa da humor, non sarà facile da digerire.
Parola chiave: La Marsigliese.


Ric

martedì 14 dicembre 2010

Film 196 - Charlie viene prima di tuo marito

Sbucato dal nulla...


Film 196: "Charlie viene prima di tuo marito" (2007) di Mark Helfrich
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Della serie: d'impatto.
L'altra sera leggo le news su IMDb e mi imbatto in una foto di Dane Cook (chi? Già, chi è?) e un flash mi illumina la mente: perchè l'ho già sentito nominare? Innescato il meccanismo curioso, leggo la sua scheda e scopro un film lasciato nel dimenticatoio delle opere talmente inutili da venire completamente rimosse: "Charlie viene prima di tuo marito" (sarà il titolo per un film?!).
Talmente rimosso, tra l'altro, che non ricordavo nemmeno la trama. Ho lasciato passare qualche giorno per vedere se qualcosa riaffiorava, ma nulla. Unica immagine riportata in superficie, quella dei due protagonisti (Cook e Jessica Alba) che, nella scena finale, si baciano in Antartide (o dovunque siano) rimanendo incollati con le lingue. Di classe.
Dopo aver rispolverato i ricordi grazie all'aiuto del trailer, spero vorrete perdonarmi se non spenderò altre parole a riguardo di questa pellicola, tanto insignificante da venire completamente rimossa dalla mia mente. Complimenti alla produzione.
Consigli: Di certo vederlo non farà male: è talmente privo di un qualunque appeal o spunto interessante da riuscire ad auto-cancellarsi dalla mente dello spettatore nel giro di qualche ora. Di sicuro non occuperà preziosa memoria che si potrà destinare a pensieri più interessanti.
Parola chiave: Sesso.




Ric

venerdì 5 novembre 2010

Film 165 - Un matrimonio all'inglese

Cena del lunedì: insalata, vino, compagnia, una commedia inglese e tanto divertimento!


Film 165: "Un matrimonio all'inglese" (2008) di Stephan Elliott
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: italiano
Compagnia: Andrea, Andrea Puffo, Marco, Diego, Titti
Pensieri: Dopo aver scritto questa recensione e averla pubblicata, la rete ha deciso di farmi il bellissimo scherzetto di non pubblicare e, peggio ancora, non salvare tutto quanto era stato scritto. Non vogliatemene se non ho la minima intenzione di ricominciare daccapo. Ricopierò nuovamente quanto scritto a penna nei miei appunti e sarò un pelo più sbrigativo. Non perchè il film non valga lo sforzo di produrre una buona recensione, ma perchè, oltre alla frustrazione, manca pochissimo al primo compleanno del blog (9 novembre) e bisogna proprio che io mi metta in pari! Quindi ricomincio...
Dialoghi ben scritti, ritmi comici davvero benriusciti, attori in stato di grazia.
Un mix davver odivertente e ben confezionato che propone una commedia tagliente 'very british' e sicuramente policamente non tanto corretta.
Famiglia benestante (inglese) decaduta ritrova il figliol prodigo - unico maschio - con consorte (americana) nuova di zecca al seguito e si ritrova ad affrontare l'uragano che ne consegue.
Niente di più classico nella trama, nulla di più originale la sua messa in scena: dialoghi intelligenti e ben scritti, situazioni estremizzate per far divertire il pubblico (il can can, la cagna, il quadro di Picasso, il maggiordomo impertinente,...) supportate da un cast deliziosamente perfetto per la parte (ovviamente non si sta parlando di Ben Barnes, tanto insignificante quanto incapace a recitare): la sempre bravissima e camaleontica Kristin Scott Thomas, il deliziosamente sottotono Colin Firth e, sorpresa!, una bravissima Jessica Biel in gran forma.
Consigli: Un prodotto di grande valore sicuramente da recuperare. Questa pellicola non ha avuto un gran successo al botteghino, ma vale certamente la pena di godersi i 97 minuti di divertente commedia che propone!
Parola chiave: Dinamiche famigliari.




Ric