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venerdì 5 febbraio 2021

Film 1797 - Junior

Intro: Nel pieno del mio momento nostalgia per la carriera di attore di Arnold Schwarzenegger, non avevo dubbi su quale dovesse essere la mia prossima scelta cinematografica...

Film 1797: "Junior" (1994) di Ivan Reitman
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: trovo questo film una genialata e il solo ftto che Schwarzenegger si sia buttato a capofitto in un progetto come questo gli vale tutta la mia stima.
A quasi 30 anni dall'uscita nei cinema, "Junior" rimane un esperimento cinematografico credo senza precedenti (e/o successori), una storia assurda che, pur evitando di dare certe scomode risposte, tratta comunque con tatto un argomento delicato oggi come allora: l'idea di un uomo che partorisce.
Premesso che si tratti di una commedia che esplora per assurdo questa possibilità, trovo in ogni caso lodevole che si sia cercato di mettere in moto il discorso rispettoa all'idea di genitorialità non conforme ai canoni standard e, di nuovo, che una star come Schwarzenegger - che ha basato tutta la sua carriera su machismo e mascolinità - abbia deciso di mettersi in gioco (e en travesti) in un ruolo come questo. Non so quanti altri attori di serie A degli anni novanta avrebbero accettato la parte.
Detto ciò, "Junior" rimane un prodotto simpatico, anche se certo non eccezionale, che funziona nell'ottica di uno svago senza troppe pretese. A meno che non vogliate approfondire il discorso del parto maschile... Ma questa è un'altra storia.
Cast: Arnold Schwarzenegger, Danny DeVito, Emma Thompson, Frank Langella, Pamela Reed, Aida Turturro, Christopher Meloni.
Box Office: $108.4 milioni
Vale o non vale: Chi avrebbe mai pensato che il due volte premio Oscar Emma Thompson si sarebbe ritrovata a recitare in un film con Arnold Schwarzenegger? Credo ci avrebbero scommesso in pochi.
Se siete curiosi di vedere (o rivedere) come funziona sul grande schermo questa strana coppia, "Junior" è sicuramente un appuntamento con il passato che non potete perdervi: non un capolavoro, ma sufficiente ad intrattenervi per quasi due ore senza farvi rimpiangere di aver scelto di vederlo. Senza contare che l'idea alla base della storia è molto intrigante.
Premi: Candidato all'Oscar per la Miglior canzone originale ("Look What Love Has Done") e a 3 Golden Globes per Migliori attori protagonisti musical o commedia (Schwarzenegger e Thompson) e Miglior canzone.
Parola chiave: Studio clinico.
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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 25 ottobre 2020

Film 1940 - The Trial of the Chicago 7

Intro: Pochissimo tempo fa c'è stato un attimo in cui questo film sembrava il nuovo miracolo della stagione. Ci ho messo un po' a realizzare che fosse disponibile su Netflix, ma appena ho ritrovato le direzioni per il pianeta terra l'ho recuperato.
Film 1940: "The Trial of the Chicago 7" (2020) di Aaron Sorkin
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: cos'è che rimane più impresso di tutto questo film? Facilissimo: Frank Langella nei panni del giudice più antipatico della storia (vera e del cinema).
Nonostante conosca pochissimo della filmografia di Langella - ma ricordo con immenso piacere la sua performance in "Frost/Nixon", c'è qualcosa di questo attore che trovo infinitamente magnetico e devo dire che anche in questa occasione si è distinto grazie ad una magistrale interpretazione. Va aggiunto che il suo personaggio sarebbe difficile da dimenticare a prescindere, ma Langella fa un lavoro egregio nel caratterizzare il giudice Julius Hoffman. Sul resto del film, un po' meno entusiasmo.
Premesso che "The Trial of the Chicago 7" mi sia piaciuto, visto e considerato l'hype mediatico e le eccellenti recensioni ricevute mi sarei aspettato qualcosa di più segnante e meno patinato. Ma andiamo con ordine.
1) Sceneggiatura e (seconda) regia di Aaron Sorkin. Il nostro sa scrivere, è evidente, ed è certamente molto apprezzato in patria e nell'industria cinematografica e televisiva: molteplici nomination e 1 Oscar per "The Social Network", 6 Emmy vinti per la serie tv cult (in America) "The West Wing", 2 Golden Globe, 1 BAFTA e altri premi a valanga. A parte questo, a Sorkin sono state dirette numerose critiche rispetto al film su Zuckerberg e certe libertà che l'autore si è preso per drammatizzare la storia. Pare che anche in questo caso ci siano state licenze narrative, ma il punto è che Sorkin scrive fiction, non documentari, per cui non mi sento di accodarmi alle lamentele rispetto a questo aspetto.
Quello che mi sento di dire, invece, è che "The Trial of the Chicago 7", come altri prodotti di Sorkin, soffre di una contrapposizione bene/male così evidente e netta che si fa fatica a non concepirla come fittizia: il giudice passivo-aggressivo (sul quale c'è addirittura una nota informativa pre-titoli di coda per amplificarne e legittimare ancora di più l'astio nei confronti del personaggio), il pubblico ministero che tutte le volte che sembra avere una crisi di coscienza viene sempre apostrofato da qualcuno che ne svela il motivo legale negativo implicito che parrebbe esserci sotto, il Procuratore Generale che all'inizio della storia dice esplicitamente che intende farla pagare a tutta una serie di soggetti che, alla fine, saranno i protagonisti del processo; e, dalla fazione ideologica opposta, credo che sia esemplare e sufficiente citare il surreale dialogo fra Abbie Hoffman e il pubblico ministero che, incontratisi casualmente per strada, si scambiano parole gentili con - e qui per me brividi - Hoffman che non perde occasione di sottolineare che non ce l'ha con l'avvocato dell'accusa e che, anzi, pensa che lui sia un brav'uomo. Forse neanche in "Crossroads" con Britney Spears c'era tanta bontà e compassione.
2) Il cast. C'è talmente tanta gente famosa in questo film che si fatica a contarla. E ovviamente non c'è nessuna figura femminile di rilievo. Mi rendo perfettamente conto che si tratti di una pellicola che è allo stesso tempo un fatto storico, ma un prodotto come "Mrs. America" - che affronta tematiche molto vicine al preambolo iniziale di questo film - ci dimostra velocemente quanto figure femminili chiave non mancassero nel periodo a cavallo tra anni '60 e '70 e fossero ampiamente attive nel forgiare il discorso politico attorno a loro.
Tornando a noi, al di là della marea di attori certamente bravissimi, due punti su cui mi vorrei soffermare: Eddie Redmayne che fa l'accento americano e le parrucche. Rispetto al primo non posso fare a meno di chiedermi perché, con la marea di attori americani disponibili, ne sia stato scelto un britannico per rappresentare Tom Hayden; per il secondo, dico solo che, volendo sorvolare sui vari look che stanno male letteralmente a tutti, nello specifico le parrucche utilizzate per questo film sono orrende e inspiegabilmente mal posizionate (l'attaccatura dei capelli di Mark Rylance parte... dall'orecchio sinistro?!).
3) L'elemento glam. Per essere una storia di lotta sociale e resistenza all'ingiustizia dei poteri forti, "The Trial of the Chicago 7" si sporca poco le mani. O meglio, lo fa, ma senza mai dimenticare di fare affidamento su una fotografia tanto pulita ed enfatizzata nel saturare i colori che sembra di stare in una produzione di Ryan Murphy. L'ho trovato troppo pulito e "perfettino", se mi si concede l'espressione.
Detto ciò, non posso dire di non essermi goduto la visione di questo titolo che, tutto sommato, ha il grande pregio di portare sul grande (?) schermo una storia che al giorno d'oggi avrebbe faticato a trovare un'audience così ampia; a mio avviso, comunque, è evidente che questo prodotto abbia dei limiti su cui forse molti hanno soprasseduto considerato il periodo cinematografico di magra che si sta rivelando essere questo 2020. Per non dire di totale disastro.
Per quanto mi riguarda, visto e considerato quanto mi appassionano le pellicole ambientate in tribunale, non ho potuto fare a meno di apprezzare il risultato finale generale, anche se forse 2 ore e 9 minuti sono un po' troppe. In ogni caso una storia che fa bene seguire e ascoltare, specialmente in questo momento storico in cui la più grande ingiustizia inflitta all'uomo moderno sembra essere il chiedergli di stare a casa per la salvaguardia della sua salute durante un'epidemia di scala mondiale.
Cast: Yahya Abdul-Mateen II, Sacha Baron Cohen, Daniel Flaherty, Joseph Gordon-Levitt, Michael Keaton, Frank Langella, John Carroll Lynch, Eddie Redmayne, Noah Robbins, Mark Rylance, Alex Sharp, Jeremy Strong, Kelvin Harrison Jr., Ben Shenkman, John Doman, Caitlin FitzGerald.
Box Office: $104,048 (ad oggi)
Vale o non vale: Per chi ha Netflix, voglio dire... perché no? E' sicuramente uno dei titoli del suo catalogo più sensato e di qualità e certamente una delle pochissime ultime uscite più interessanti.
In generale a mio avviso il film presenta delle criticità, però è pur vero che nel deserto cinematografico che è diventato questo 2020, "The Trial of the Chicago 7" si presenta come un'oasi di salvezza in cui trovare rifugio per un paio d'ore. Ristoratevi sereni.
Premi: /
Parola chiave: Resignations.
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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 1 febbraio 2017

Film 1293 - Captain Fantastic

Sicurissimo di vederlo in inglese, in realtà lo streaming è partito in inglese e mi sono dovuto adattare. Meglio di niente, no?

Film 1293: "Captain Fantastic" (2016) di Matt Ross
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Che la nomination all'Oscar di Viggo fosse nell'aria si sapeva da un po', così ho deciso di recuperare questo film appena ne ho avuto l'occasione. I pronostici si sono in fretta avverati e nonostante né Mortensen né la pellicola si porteranno a casa nulla dalla stagione dei premi che contano, rimane il buon risultato di un prodotto indipendente che è riuscito pian piano a farsi scoprire. Il successo della pellicola è certamente dovuto all'inusuale pretesto della storia: padre e ragazzi che vivono isolati dalla società, in mezzo al bosco, cacciano e si esercitano tutti insieme.
Al di là della premessa intrigante, però, la storia devo ammettere che non mi abbia particolarmente colpito; mi sono chiesto quale fosse lo scopo di raccontarla e a volte mi è sembrata eccessivamente provocatoria, quasi che il sopra le righe - per esempio
il luogo di dispersione delle ceneri - fosse più importante degli avvenimenti stessi. I quali, va detto, non sono moltissimi: alla morte della madre dei ragazzi la famiglia è costretta a tornare in città in occasione del funerale, il che significherà per alcuni il primo contatto con la civiltà e, per tutti, l'incontro-scontro con i nonni paterni, non esattamente entusiasti dello stile di vita della famiglia Cash.
Del resto è difficile non essere almeno in parte d'accordo con loro, in quanto il modo di crescere i giovani è quantomeno poco convenzionale. La figura paterna - l'unica che conosciamo -, nel corso della storia susciterà sensazioni contrastanti: da una parte ama i suoi figli e li tratta da pari, li ha educati a pensare con la propria testa e a poter sopravvivere in mezzo alle avversità; dall'altra è eccessivamente permissivo e fiducioso nelle capacità dei ragazzi a cui affida armi o fa scalare montagne. Da un certo punto di vista la cosa è anche affascinante, ma rimane il fatto che sia essenzialmente un atteggiamento sconsiderato. Non so in un contesto reale come potrebbe davvero evolversi un'ipotetica situazione del genere, di sicuro il comportamento del protagonista - che sarà anche una provocazione, ripeto - è praticato o perché è incosciente o perché i suoi figli sono autonomamente in grado, nonostante le diverse età, di capire cosa sia o non sia davvero rischioso per loro. In ogni caso non so se basti del semplice training quotidiano per rendere ragazzini di pochi anni degli abili maneggiatori di coltelli.
Storia a parte, il cast è necessariamente molto assortito e su tutti spicca proprio il capofamiglia Ben, un Viggo Mortensen in certe scene davvero molto intenso - come quando lo vediamo da solo nel pullman vuoto, una volta che i ragazzi sono affidati ai nonni - e che addirittura non si risparmia una scena di nudo a quasi 60 anni di età. Un ruolo con cui l'attore, troppo spesso considerato meno del suo valore, è riuscito a ricordare al pubblico quanto sia capace di mettersi in gioco e affrontare nuove e poliedriche sfide. E' soprattutto per lui se "Captain Fantastic" funziona, poiché è il collante di un caos strambo e a volte fastidioso che Mortensen assorbe tutto come una spugna e trasforma in qualcosa di reale e plausibile. Mica male...
Cast: Viggo Mortensen, George MacKay, Samantha Isler, Annalise Basso, Nicholas Hamilton, Shree Crooks, Charlie Shotwell, Frank Langella, Kathryn Hahn, Steve Zahn, Erin Moriarty, Missi Pyle.
Box Office: $10.2 milioni
Consigli: Anche gli integralisti hanno un cuore, ovvero percorso di formazione di una nuomerosa famiglia che vive tra i boschi ed è costretta a tornare in mezzo alla civiltà in seguito ad un evento drammatico.
Il presupposto è sicuramente intrigante e per quanto nello svolgimento vi siano collacate una serie di stramberie un po' esagerate, tutto sommato la pellicola può funzionare. Non è perfetta per qualsiasi occasione e, anzi, richiede una certa dose di concentrazione soprattutto all'inizio, quando si consumano i momenti più difficili. Mortensen è bravo ed è il centro di una storia altrimenti francamente solo stramba e un po' priva di scopo.
Parola chiave: Tegole.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 26 maggio 2014

Film 719 - Grace di Monaco

Benedetto sia il cinema a 3€.

Film 719: "Grace di Monaco" (2014) di Olivier Dahan
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Apre Cannes 2014 e riceve recensioni tiepidissime, in America non ha ancora una data d'uscita, gli incassi fino ad oggi non sono incoraggianti. Insomma, questo "Grace of Monaco" fatica a farsi strada.
Il film di per sé non è malvagio e si segue tranquillamente, anche se in effetti fatica a creare momenti di vera empatia con la protagonista Grace Kelly/Nicole Kidman, sofferente sotto la campana di vetro principesca, racchiusa in un regno che per lei è ormai anche prigione. Il matrimonio vacilla, la guerra con la Francia incombe, i monegaschi non la sentono "propria". In questa cornice di subbuglio la storia dell'ex attrice diventata principessa si snoda in maniera troppo piatta e patinata, attentissima ai fasti e al glamour, ma meno efficace quando si tratta di un vero coinvolgimento emotivo che vada oltre la superficie inevitabile. Buona la scelta dei primissimi piani - specialmente sugli occhi - della protagonista, richiamo hitchcockiano d'effetto, indebolito solo dal botox della Kidman.
In generale, comunque, nonostante i molti tentativi di rendere particolarmente veritiera e documentata la storia - "attrice premio Oscar" verrà ripetuto almeno una decina di volte - la sensazione è sempre quella che sia tutta una fiction. Anche se sulla carta gli elementi in comune tra le due attrici parebbero numerosi, di fatto vedere la Kidman nei panni della Kelly non torna tanto quanto ci si sarebbe aspettati; per non parlare di Tim Roth che non non assomiglia a Ranieri neanche per errore. Evidentemente le somiglianze stanno nell'attitudine e nella trasposizione inevitabile che si fa pensando alle due protagoniste di questa pellicola.
In generale, quindi, "Grace di Monaco" riesce nel ricreare atmosfere passate e, perfino, uno sfondo politico abbastanza cosciente e comprensibile, ma rimane un biopic abbastanza piatto o, perlmomeno, privo di un'impronta personale o caratterizzante. La Kidman, una volta certezza, oggi ha perso un po' del suo smalto e fatica a ritrovare una dimensione cinematografica che vada oltre i vecchi fasti di un tempo. Questo film, nella sua troppo fredda e maschilista mise-en-scène, ne è eloquente esempio.
Box Office: $2,484,242
Consigli: Per certi aspetti è un prodotto interessante, per quanto la sua anima commerciale tradisca una certa propensione all'eclatante piuttosto che per la verità dei fatti. Eppure la storia avrebbe il suo fascino e meriterebbe il racconto. Manca, però, una personalizzazione e umanizzazione dei personaggi, una tridimensionalità che fornisca spessore anche alal storia. La Kidman è sempre più algida, ma la sua interpretazione sembra sincera. Si può certamente vedere senza indugi, ma non ci si aspetti il capolavoro o la magia (creata dai media) della storia vera.
Parola chiave: Charles de Gaulle.

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Bengi

venerdì 27 aprile 2012

Film 397 - Frost/Nixon - Il duello

Un film che mi era molto piaciuto e avevo voglia di rivedere.


Film 397: "Frost/Nixon - Il duello" (2008) di Ron Howard
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non sono particolarmente fan di Ron Howard, ma credo che questa pellicola sia un suo buon prodotto capace di raccontare in maniera attenta e puntuale la vicenda che sta dietro l'intervista avvenuta veramente all'ex presidente americano Nixon (Frank Langella) da parte del presentatore britannico David Frost (Michael Sheen). Intervista che, sulla carta, pareva sicuramente un campo minato e, in effetti, si rivelerà quasi controproducente all'inizio. Quasi.
In un crescendo di patos, grazie all'efficace incalzare di Frost - che, all'inizio, rimane soggiogato dalla figura presidenziale - si riuscirà finalmente ad ottenere da Nixon quell'ammissione di intenti che fino ad allora era riuscito a fuggire.
Meticolosa la ricostruzione dei fatti, ma non mi aspettavo niente di diverso essendo la sceneggiatura del Sig. Peter Morgan, già sceneggiatore della pellicola "La regina" (alias "The Queen"), qui alla sua seconda nomination all'Oscar. Vengono descritti particolarmente bene, a mio avviso, tutte quelle manie e fobie che caratterizzano l'ex presidente, da quelle fisiche come il sudore che gioca brutti scherzi davanti alle telecamere, a quegli ambigui comportamenti che all'inizio sembrano mettere in ginocchio anche Frost. E' appassionante, poi, vedere come ha ben costruito il suo personaggio Langella (qui alla sua prima nomination per l'Academy Award), davvero un ottimo lavoro.
Mi è meno comprensibile l'episodio della chiamata nottura che Nixon fa a Frost, ma, prendendo per buono che sia avvenuta anche nella realtà, immagino che possa essere una specie di apertura da parte del presidente nei confronti del suo interlocutore, quasi un flusso inconsapevole della sua coscienza (Nixon il giorno dopo dice di non ricordare nulla, nemmeno di aver chiamato il presentatore, ma che fosse un po' brillo si capisce già durante il dialogo tra i due) che sfonda quel muro eretto ai tempi del Watergate e che solo con l'ultimo episodio dell'intervista si riuscirà finalmente ad abbattere. Parafrasando: se lo fa il presidente, allora non è illegale perchè lui è al di sopra del giusto o dello sbagliato.
Shoccante, chiaramente, sarà quest'ammissione e spazzerà via in un solo colpo tutto il lavoro fino a quel momento fatto dall'ex presidente per tentare una riabilitazione del suo nome.
Ho davvero apprezzato questo 'duello', per riprendere il titolo, tra due personaggi che, paradossalmente, non hanno alcunché in comune. Interessante, anche, il lavoro di preparazione all'intervista con i tre aiutanti di Frost James Reston, Jr. (Sam Rockwell), Bob Zelnick (Oliver Platt) e John Birt (Matthew Macfadyen).
Tra gli altri attori che compaiono ci sono Rebecca Hall ("Vicky Cristina Barcelona", "The Town") e Kevin Bacon ("X-Men: L' inizio", "Footloose").
Ps. In totale 5 nomination all'Oscar (tra cui film e regia), ma solo $27,426,335 di incasso mondiale (25milioni solo per produrlo).
Consigli: Bel film dalla trama interessante. Esiste anche il dramma teatrale (che porta lo stesso titolo) scritto dallo stesso Morgan che qui cura la sceneggiatura. E' ottimo, per chi fosse interessato, a completare il quadro della vicenda Watergate.
Parola chiave: Scuse.

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Ric

mercoledì 25 maggio 2011

Film 263 - Wall Street: il denaro non dorme mai

Avendo visto l'originale, non potevo lasciarmi scappare - 24 anni dopo - il secondo capitolo.


Film 263: "Wall Street: il denaro non dorme mai" (2010) di Oliver Stone
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Questo film l'ho visto, possiamo dire, in tre parti. La prima - che non mi ha convinto - mi ha fatto lasciare la pellicola a qualche minuto dall'inizio. Poi, con più calma e predisposizione, qualche tempo dopo ho deciso di ricominciare da capo la visione - che mi ha preso molto di più - della prima parte della pellicola, per poi terminare, qualche giorno dopo, con la seconda e ultima parte.
Questo "Wall Street", come del resto il primo, ha il non trascurabile difetto di non poter essere totalmente accessibile a tutti. Vive del fascino di un periodo storico andato (quello del primo film) e cede il passo ai tempi contemporanei fino a perdere l'anima essenziale del prodotto stesso (Gordon Gekko che ammette di avere sentimenti e un cuore è una scena talmente tanto fuori contesto da risultare oltremodo fastidiosa). Dialoghi complessi, una struttura narrativa intricata e un costante rimando all'originale dell'87 lo rendono poco più che sufficiente.
Stone è sempre un regista di serie A, i suoi protagonisti (Michael Douglas, Shia LaBeouf, Carey Mulligan, Frank Langella, Josh Brolin, Eli Wallach) decisamente capaci e adatti al ruolo, la fotografia molto bella, ma il tutto non convince appieno. Cosa manca?
Per quanto mi riguarda, ho sofferto molto la mia totale estraneità al mondo della borsa, il che ha comportato uno sforzo in più per la comprensione della trama. Il conflitto padre-figlia è lasciato alla superficialità di un sentimento comodo comodo a piazzare il film anche in un contesto più umano. Manca, però, una vera motivazione che faccia dire 'ottima idea aver rispolverato questo classico'. Il tutto puzza sempre di operazione commerciale fine a sé stessa. Gekko/Douglas ha perso smalto, Shia LaBeouf è eternamente bambino, Carey Mulligan vagamente acerba. Il trio non convince e perde decisamente il confronto contro l'originale Douglas-Charlie Sheen (qui anche in un cameo)-Daryl Hannah.
In definitiva la pellicola può essere vista come seguito all'originale, ma faticherà a piacere a chi non si intende di borsa, non ama il genere, non ha visto il primo capitolo.
Consigli: Meglio vedere prima "Wall Street" per inquadrare meglio il personaggio di Gekko e come Stone ha inquadrato anche questo film.
Parola chiave: Soldi.

Trailer

Ric

sabato 25 settembre 2010

Film 139 - The Box

Grazie ad Enrico che ce l'aveva caldamente consigliato, in una sera d'estate, ci siamo 'goduti' la visione di questo film dalla trama sicuramente intrigante...


Film 139: "The Box" (2009) di Richard Kelly
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Diego, Andrea Puffo
Pensieri: Richard Kelly ha la frustrante capacità di raccontare il nulla più assoluto e di venire pure acclamato per averlo fatto. "Donnie Darko"? Bah. "Southland Tales"? Chi l'ha visto? Questo "The Box"? Orrendo. Un nonsense pasticciato e pretenzioso, privo della più vaga logica, noioso inverosimilmente. Unico pezzo salvabile? La premessa, interessante, di cosa succederebbe se, per un milione di dollari, si premesse un bottone consapevoli che qualcuno - sconosciuto - nel mondo morirà. Peccato a fare questa proposta sia un uomo dal volto per metà deturpato, con mascella bene in vista...
Non fosse che si perde metà del tempo a fissare la parte di viso mancante di Frank Langella, si noterebbe da subito il tedio di questo film senza capacità di apportare nulla di nuovo al thriller fantascientifico. C'è l'astronauta (James Marsden) che prepara il tutore definitivo alla moglie storpia (Cameron Diaz), i primi accadimenti strani, il sangue dal naso, i posseduti, le vasche d'acqua, dialoghi assurdi ("Dannazione eterna!"), costumi orrendi (ma la Diaz quelle due spalle enormi le ha sempre avute?!) e una conclusione da far rabbrividire per la banalità.
"The Box", la scatola, sarebbe un esperimento (degli alieni). Decisamente fallito.
Consigli: Evitare tutta la filmografia di Kelly. Meno male che c'è poco...
Parola chiave: Bottone.



Ric