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martedì 24 agosto 2021

Film 1814 - Phantom Thread

Intro: Finita la parentesi soleggiata di Mendoza, torno in pullman verso Cordoba e decido di recuperare una pellicola che mi aveva intrigato anni prima, ma non ero riuscito a recuperare.

Film 1814: "Phantom Thread" (2017) di Paul Thomas Anderson
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: dopo "Magnolia" e "The Master" recupero un altro titolo della filmografia dell'eclettico Paul Thomas Anderson, la seconda in collaborazione con il grandissimo Daniel Day-Lewis, qui nei panni dello stilista (un po' dnnato) Reynolds Woodcock.
Il film di per sé non mi ha rapito, ma per tanti versi "Phantom Thread" ha fascino da vendere. Molteplici gli aspetti che colpiscono immediatamente lo spettatore, tra cui sicuramente i costumi, le musiche, la regia e, inevitabilmente, la magnetica interpretazione di Day-Lewis. La trama, complessa ed emotivamente carica, non mancherà di stupire lo spettatore con una serie di passaggi che personalmente ho trovato inaspettati. E potenzialmente velenosi...
Cast: Daniel Day-Lewis, Lesley Manville, Vicky Krieps, Gina McKee.
Box Office: $47.8 milioni
Vale o non vale: Daniel Day-Lewis e Paul Thomas Anderson sono una certezza di qualità del cinema contemporaneo, per cui gli appassionati dovrebbero gradire. Non un film per tutti o per una serata spensierata, ma sicuramente un ottimo titolo drammatico dal grandissimo impatto visivo.
Premi: Candidato a 6 Oscar (Miglior film, regia, attore protagonista Day-Lewis, attrice non protagonista Manville, colonna sonora), ha per i Migliori costumi. Vittoria nella stessa categoria anche ai BAFTA (su 4 nomination totali, le altre per attore protagonista, attrice non protagonista e colonna sonora) e 2 candidature ai Golden Globes per Day-Lewis e la colonna sonora. Candidato al David di Donatello come Miglior film straniero.
Parola chiave: Funghi.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 29 dicembre 2016

Film 1267 - The Neon Demon

In concorso a Cannes 2016, una regia rinomata, una giovane protagonista che ancora non riesco ad inquadrare per un film che sembrava inquietantemente interessante.

Film 1267: "The Neon Demon" (2016) di Nicolas Winding Refn
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: C'è un po' di Lynch, un po' di glamour, un po' di critica e un po' di splatter, per un risultato finale che francamente disattende in pieno le aspettative. Lento per tutta la sua durata, pretenzioso in certi passaggi, carico di un'attesa interminabile e feroce in una conclusione insensata e finto-scandalosa, "The Neon Demon" sembra un film che non ha idea di cosa voglia essere, oscillando tra note thriller, sbandamenti del peggior horror casereccio e un curatissimo senso estetico che sfocia nel nulla assoluto.
Considerando che questo è il mio primo film di Nicolas Winding Refn e che ero veramente impaziente di vederlo, ammetto che la delusione non è stata poca. Nonostante l'iniziale torpore e sceso a patti con i tempi dilatati, mi ero incuriosito all'inizio, credendo che la vacuità rappresentata e criticata fosse lo strumento per ridicolizzare un mondo che, appunto, del nessun talento se non quello naturale fa il suo mantra. 
Ciò che Refn vuole mettere alla berlina è chiaro: basta essere belle - o meglio particolari - e giovani e il gioco è fatto: sfilare e vivere in un mondo di specchi che riflettono la propria stessa immagine in attesa del momento in cui l'età prenderà il sopravvento. Fino a quando quello stesso mondo che ti ha osannato non deciderà di lasciarti da parte.
Jessee (Elle Fanning) non avrà questa possibilità. Il suo personaggio, moderna rivisitazione della "più bella del reame", finisce letteralmente cannibalizzato da quegli stessi meccanismi che gli hanno permesso di emergere e risplendere sopra tutti gli altri. E anche se risulta evidente che la storia raccontata qui vuole togliere quel velo che coprirebbe lo spietato mondo della moda (ma è poi ancora da togliere?), rimane il fatto che la critica di Refn, in questa veste, risulta un po' ridicola, certamente non efficace. E per quanto mostruoso ed efferato possa essere l'atto finale, non si può che ridere di Gigi (Bella Heathcote) e del suo voltastomaco da senso di colpa, per non parlare di ciò che farà Sarah (Abbey Lee). La Moda che fagocita i suoi stessi idoli: non c'era bisogno di essere così didascalici.
Inoltre, e qui chiudo, mi trovo sempre in difficoltà di fronte a storie che presentano la sensazionale caratteristica di qualcuno. E' evidente che parte del gioco sia anche accettare, da parte del pubblico, l'applicazione assolutistica ad un concetto soggettivo quando la storia lo richiede. Per cui il o la più belli, forti, eleganti, affascinanti, ecc lo sono sullo schermo nel momento in cui lo spettatore sospende il giudizio personale e decide di procedere con il racconto senza questionare. Nel caso specifico, non voglio certo mettere in dubbio la bellezza della Fanning, ma personalmente fatico ad immaginarmela come una sorta di angelica e mistica condensazione di bellezza e destabilizzante femminilità: non è conturbante, non è magnetica. E' una bella ragazza, una discreta attrice a cui, forse, non avrei affidato questo ruolo.
In definitiva, quindi, a parte una bella fotografia e un trucco miracoloso, oltre che una stupenda colonna sonora cui Sia ha regalato la stupenda "Waving Goodbye" per i titoli di coda - che meritava certamente una candidatura ai Golden Globes - questo "The Neon Demon" mi è sembrato un titolo debole, particolarmente vuoto, privo di originalità oltre la superficie e, tutto sommato, uno spreco di tempo.
Cast: Elle Fanning, Karl Glusman, Jena Malone, Bella Heathcote, Abbey Lee, Christina Hendricks, Keanu Reeves, Alessandro Nivola.
Box Office: $3.4 milioni
Consigli: Francamente una pellicola deludente, anche se esteticamente ineccepibile. Bellissimi campi lunghi, costumi e trucco curati, musiche davvero azzeccate, ma narrativamente è richiesto uno sforzo d'attesa che nel finale non assicura una soddisfazione rilevante. Ci sono scene discutibili (leggi necrofilia) e un colpo di scena finale che non manca di inquietare, ma in tutta onestà è un film ampiamente evitabile (oltre che superficialmente sconvolgente).
Parola chiave: Bellezza.

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#HollywoodCiak
Bengi

martedì 1 settembre 2015

Film 982 - Dior and I

Ero rimasto con la curiosità di vedere questa pellicola e, appena ho potuto, mi son tolto lo sfizio.

Film 982: "Dior and I" (2015) di Frédéric Tcheng
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese, francese
Compagnia: nessuno
Pensieri: I film sulla moda sono esperimenti sempre piuttosto difficili da portare a termine in maniera efficace a mio avviso e anche "Dior and I", pur essendo un documentario ben strutturato e interessante per l'argomento che tratta, subisce la stessa sorte.
Il mio terrore iniziale era che questa pellicola potesse essere troppo somigliante a "Valentino - L'ultimo imperatore", un documentario rovinato dall'insopportabile attitudine da prima donna dello stilista nostrano. Fortunatamente Raf Simons è completamente diverso - grazie a Dio - e anche se nemmeno lo stilista belga riesce ad affrontare le 'disavventure' della creazione di una collezione di moda senza farla sembrare un'operazione a cuore aperto, ha certamente il vantaggio del carattere nordico, più silenzioso e propositivo. Questo è un punto a suo favore e, più in generale, un punto a favore di tutta l'operazione. Ma non basta a rendere "Dior and I" un vero e proprio esperimento riuscito.
La prima cosa che ho trovato poco approfondita è assolutamente il perché della scelta di Simons. Io, che so poco e niente su Dior e ancora meno sulla stilista, mi sono chiesto perché lui, chi vi fosse prima al suo posto e - non ci sarebbe stato male - perché la maison francese avesse optato per una tale virata rispetto alla sua tradizione. La scelta di Simons, infatti, è anche nella pellicola presentata come insolita, principalmente per il suo minimalismo che lo aveva così fatto ben volere in casa Jil Sander.
In aggiunta, per quanto l'idea sia interessante, non mi ha del tutto soddisfatto l'escamotage di accostare la lettura dei pensieri di Christian Dior dalla sua autobiografia ("Dior by Dior") per dare un filo narrativo alla storia, principalmente per il fatto che i pensieri di Simons non sono altrettanto organizzati e l'accostamento casuale fa perdere di significato all'idea generale di per sé buona.
Per il resto, l'impressione che mi ha dato questo documentario è positiva. Diversamente dai prodotti simili cui mi sono accostato, "Dior and I" si prende tutto il tempo necessario per dare risalto al processo creativo che sta dietro alla collezione, qualcosa che il taglio rapido della televsione (vedi "Project Runway" & co.) o la disinformazione sull'argomento hanno trasformato in un progetto di facile e addirittura immediata realizzazione. La realtà è ben diversa e le fragilità, perplessità e ansia del fashion designer a riguardo sono ben raccontate, al pari dei lampi di genio (la siflata nella palazzina ricoperta di fiori è stupenda), il che concorre a ridare un'immagine approfondita della persona, oltre che del personaggio. Anche perché, diciamocelo, la maggior parte del pubblico non ha idea di chi sia Raf Simons.
Alla fine dei 90 minuti di pellicola sappiamo un po' di più sia sulla maison francese che sulla persona che ne cura la collezione femminile, su cosa voglia dire realizzare da 0 un collezione di alta moda o una sfilata, come si riesca a reinventare un'idea vecchia di 50 anni o come praticamente qualsiasi cosa possa ispirare il lavoro di chi di moda si occupa di mestiere. Rimane un tema intrigante a 360° e, pur con dei limiti, Frédéric Tcheng ne ha esplorato buona parte dei confini evitando di rimanere in superficie, dove tutto è glam ed eccitante e dove, francamente, possiamo accedere anche noi comuni mortali (al pari di Marion Cotillard, Isabelle Huppert, Jennifer Lawrence, Marc Jacobs o Sharon Stone, tutti seduti in prima fila alla sfilata). Ecco, "Dior and I" riesce a regalarci uno scorcio su un modo inaccessibile ed elegantissimo di cui solitamente vediamo solo un'immagine riflessa e ben controllata. Cosa ci sia sotto, in parte, lo possiamo vedere qui.
Ps. La prima del film si è tenuta al Tribeca Film Festival 2014.
Film 103 - Valentino - L'ultimo imperatore
Film 164 - The September Issue
Box Office: $1,028,953
Consigli: Le due gigantesche parole chiave di questa pellicola sono 'documentario' e 'moda'. Che piaccia l'una, l'altra o entrambe, il risultato sarà sempre lo stesso: "Dior and I" piacerà. Per gli altri, che magari non fanno del 'fashion addicted' la loro bibbia, potrebbe essere meno paradisiaco approcciarsi a questo lavoro, che rimane pur sempre interessante a prescindere dal tema specifico scelto dal regista. Un film sulla moda più riuscito di molti altri e, anche solo per questo, una motivazione in più per vederlo.
Parola chiave: Christian Dior.

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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 4 giugno 2015

Film 929 - House of Versace

Un personaggio iconico, una casa di moda e la biografia di una famiglia italiana tra le più conosciute al mondo.

Film 929: "House of Versace" (2013) di Sara Sugarman
Visto: dal portatile di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: A prescindere dalla veridicità di questa storia, "House of Versace" è una delle cose più trash e brutte che abbia mai visto. Ricolmo di cliché e banalità, situazioni irreali e tentativi malriusciti di rappresentare l'Italia, questo prodotto televisivo di Lifetime (che non ha nemmeno una pagina su Wikipedia, e questo la dice già lunga) è pacchiano e volgare, nel senso che presenta la vicenda in maniera sciocca e superficiale, calcando la mano sulle vicende drammatiche che hanno coinvolto la famiglia Versace, sdoganando un'associazione glam tra cocaina e mondo della moda, lanciando al pubblico una versione di Donatella Versace che è tanto sciocca quanto inverosimile.
Non fosse che non ci si aspetta altro da un prodotto del genere, il cui presupposto scadente e trash è plausibilmente il principlae appeal, verrebe da dire che "House of Versace" merita lo stesso oblio mediatico che Wikipedia gli ha riservato fra le sue pagine; ciononostante, noi impavidi ammiratori dello scadente ci siamo ugualmente imbarcanti in questa bizzarra versione della vita di eccessi e successi della casa di moda Versace e in particolare della sua seconda paladina, Donatella Versace.
Da anni col volto martoriato, alle soglie dell'anoressia, con rumors di droga che rincorrono quelli del fallimento prima e ora quelli della rinascita: questo film per la tv parla principalmente di questo, ma lo fa disinteressandosi completamente all'approccio veritiero/verosimile in favore di una narrazione patinata e bidimensionale che privilegia la sfilata di moda e le serate in discoteca, l'aspetto mistico della connessione fra omicidio di Gianni e svenimento di Donatella e le sue sfuriate da ragazza del ghetto di Reggio Calabria. Ora, al di là del fatto che non mi posso certo definire un esperto biografo della Sig.ra Versace, rimango piuttosto scettico di fronte ad una sua versione imprenditoriale così spiccata e creativa da richiederle l'uso della cocaina per massimizzare la produzione o quando la dipingono come la madre perfetta la cui unica priorità è la felicità della figlia o, ancora, quando me la rappresentano come l'amazzone del sesso sfrenato con il marito Paul Beck. Poi per carità, rimango aperto alle smentite.
In aggiunta a questo circo di follia modaiola e disastri da bancarotta, inserisco anche la piacevole parentesi di zia Lucia, classica signora di mezza età italiana ricoperta di botox e dallo sguardo talmente tirato da risultare felino. Non so nemmeno se nella realtà la signora esista, ma mi ha divertito vedere come gli americani se ne infischino piacevolmente di ogni cosa e piazzino parti e attori a casaccio a formare quella che diventa una rappresentazione culturale non solo stereotipata, ma anche inverosimile e ridicola. Non dico che zia Lucia debba necessariamente essere sovrappeso, vestire di nero e passare la giornata ai fornelli, però certamente non avrei scelto Raquel Welch per impersonare un'italiana calabrese che si riunisce alla famiglia come aiuto domestico e supporto psicologico...
Insomma, "House of Versace" è un disastro sotto molteplici fronti e nonostante di solito il trash non mi dispiaccia, questa produzione non mi ha nemmeno particolarmente divertito. Sì, Gina Gershon ha qualcosa che ricorda la Versace e certamente l'iconica immagine di Donatella favorisce la rappresentazione per somiglianza, anche se si fatica a capire se sia la Gershon con le sua capacità a colmare il gap tra il personaggio e la persona o se non sia il "personaggio Donatella" a rendere plausibile l'interpretazione fatta dalla Gershon. Direi che si rimandano vicendevolmente (ma la vesione in inglese fa giustizia all'attrice).
In definitiva, un brutto prodotto televisivo, banale e piatto.
Box Office: /
Consigli: La famiglia Versace si è ampiamente spesa contro il quadro dipinto da questa produzione americana. Non fatico a capirne i motivi e, al di là degli eccessi e fallimenti raccontati, credo che la cosa contro cui opporsi con più veemenza dovrebbe essere la rappresentazione incolore, sciocca e incapace di esaltare il talento di colei che si prende in causa. Credo che nessuno vorrebbe mai essere il soggetto di un prodotto biografico che risulti piatto e mediocre, cosa che qui si verifica. Ed è certamente questo il punto debole di tutta l'operazione, buona giusto per intrattenere lo spettatore medio per 85 minuti scarsi tra banalità e pseudo giochi di potere, intrighi familiare che colmano in un buonismo scontato e una rappresentazione dei valori della vita che può avere forse un 15enne. "House of Versace" è un titolo debole, un prodotto di consumo che gioca con il fascino di personaggi potenti e conosciuti, per di più condendo il tutto con accenni fashion e una (pre)supposta creatività geniale. E' come guardare un ipotetico lungometraggio di "Beautiful", non fosse che stiamo parlando di persone in carne e ossa e una storia che qui si spaccia come vera. Insomma, da evitare.
Parola chiave: Prêt-à-porter.

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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 16 aprile 2014

Film 696 - Yves Saint Laurent

Il cinema 3 sponsorizza e noi andiamo. Biopic con macrotemi come genialità, creatività, amore e alta moda: interessante, no?

Film 696: "Yves Saint Laurent" (2014) di Jalil Lespert
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Erika, Luigi
Pensieri: Vita e opere del fashion designer Yves Saint Laurent (Pierre Niney), fin da giovanissimo pupillo della moda francese e in breve tempo stilista di fama mondiale. La casa di moda che porterà il suo nome, fondata con l'aiuto di Pierre Bergé (Guillaume Gallienne), darà a Saint Laurent prestigio e l'opportunità di esprimersi liberamente creando collezioni iconiche, adorate e copiate.
Anche se l'aspetto stilistico è trattato all'interno del film, non è però posto l'accento sulla creatività o la vita della maison, bensì ci si interessa fin da subito al privato dello stilista partendo dal quadro famigliare poi per spostare l'attenzione sulla storia d'amore con Bergé. Quest'ultima caratterizzerà quasi la totalità della trama della pellicola.
Non si può certo dire che questo film sia brutto e, anzi, la realizzazione è molto precisa, i costumi bellissimi (molti originali, prestati dalla Fondation Pierre Bergé - Yves Saint Laurent) e la recitazione molto convincente; avrei però preferito - come spesso mi trovo a pensare relativamente a biopic incentrati su personaggi famosi per la loro creatività - che l'attenzione posta al processo di realizzazione dei capi, delle collezioni, la nascita delle idee e la genesi di un mito nel suo campo avrebbero dovuto essere trattati come elementi centrali e non solo di contorno. Nondimeno, una contestualizzazione storica che fosse più che giusto accennata o suggerita avrebbe aiutato a capire i cambiamenti di stile e le scelte ccoraggiose dello stilista durante la sua carriera.
Insomma, per quanto possa capire il senso e il valore di portare sul grande schermo una storia d'amore omosessuale così lunga e duratura - seppure, concedetemelo, molto libera -, avrei voluto vedere approfondito più il lato professionale che quello privato/sentimentale. Sia perché di storie d'amore il cinema è pieno (e sì, questa sarà anche quella privata del Sig. Saint Laurent, ma è pur sempre qualcosa che posso esperire o capire anche io, mentre il processo che sta dietro la creazione di capi d'alta moda è tutta un'altra storia), sia perché mi pare, e non è la prima volta, che la storia d'amore (gay) è presentata come qualcosa di non ordinario, pur essendo trattata così. Io non conosco la realtà dei fatti e mi attengo esattamente a ciò che "Yves Saint Laurent" racconta, ma il messaggio che passa è (anche) che una storia omosessuale consiste di relazioni aperte, promiscuità e trasgressione. Siccome, parlando di un pubblico vasto, si è forzati a generalizzare, bisognerebbe ricordarsi che non tutti sono in grado di scindere ciò che una storia racconta dal messagio che vuole far passare (o anche semplicemente ricordarsi che un solo caso non è rappresentativo per il tutto). Chiaro che questa non è una diretta critica al film, ma rimane un pensiero che non riesco reprimere quando ripenso a ciò che ho visto in questa pellicola.
In generale, quindi, "Yves Saint Laurent" è un prodotto tecnicamente inattaccabile, con un preciso lavoro di ricostruzione spaziale e temporale che passa per automobili, capi d'abbigliamento, acconciature, arredamento, accessori, ecc che arricchisce visivamente il film. Per quanto riguarda la trama, invece, il punto focale è la relazione Saint Laurent-Bergé che finirà per mettere in ombra questioni forse più interessanti legate alla maison e, in generale, al processo creativo dello stilista. Il risultato finale è un buon prodotto commerciale - anche piuttosto esportabile - che però a mio avviso non rende piena giustizia alla figura del grande stilista scomparso nel 2008.
Box Office: $23,292,860
Consigli: Se si è interessati di moda, si è fan della maison Saint Laurent o si è affascinati dalle storie d'amore coinvolgenti e a tratti burrascose, questo è un titolo commerciale in grado di soddisfare le aspettative. Meno riuscito per quanto riguarda il saper intavolare la connessione tra storia, persona/personaggio ed estro creativo. Il film è liberamentre tratto dal libro omonimo scritta da Laurence Benaïm.
Parola chiave: Moda.

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Bengi

mercoledì 10 luglio 2013

Film 565 - Mannequin

Mi è tornata pretotentemente voglia di anni '80...

Film 565: "Mannequin" (1987) di Michael Gottlieb
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Con un incipit random-nonsense certamente originale (siamo nell'Egitto dei Faraoni...), "Mannequin" propone una magica favoletta giocosa e assurda, divertente e romantica da vero cult nel suo genere.
Premesso che non sapessi assolutamente nulla su questo film, ho apprezzato tantissimo la scoperta di Kim Cattrall ("Sex and the City") nel ruolo di protagonista - già porca - in panni succinti e disinibiti. Della serie: un destino segnato.
Tra le sode cosce da manichino di Kim, il protagonista Andrew McCarthy ("St. Elmo's Fire", "Bella in rosa") conoscerà le gioie dell'amore e il successo sul lavoro, diventato notturno vetrinista ispirato in grado di richiamare schiamazzanti e ammiranti folle di curiosi e appassionati di moda di fronte alle sue creazioni presso i grandi magazzini 'Prince & Company'. L'ambientazione da Harrods londinese o Rinascente milanese è anche piuttosto suggestiva, con spazi ampissimi e corridoi infiniti, nonché quello che oggi potremmo definire un reliquiario (o santuario) della cultura anni '80. Gli appassionati gradiranno.
Il mix di ingredienti di questo "Mannequin", insomma, funziona e intrattiene e, devo dire, ha anche una certa vena frizzante che da ritmo e fa sorvolare sulla spesso superficiale scelta narrativa. E' chiaro fin dall'inizio che si sia di fronte ad un prodotto leggero e di ampio consumo e, giustamente, si punta sul rendere tutto coloratissimo, glam (per l'epoca), sexy e spassoso. In questo senso gli ingredienti ci sono tutti.
La trama è semplice e, come si diceva, in molti punti affidata a scelte inusuali che spiazzano nel panorama ormai standardizzato del mondo cinematografico. Anche se è vero che di fatto l'incipit tra le Piramidi non ha alcun senso, l'ho trovato comunque inaspettato e significativo di un minimo sforzo di specializzazione rispetto alle altre commedie o comunque prodotti dello stesso periodo.
Insomma, mi sono goduto alla grande la visione di questa pellicola che mi ha fatto riassaporare con gusto le ambientazioni trash-chic di quegli anni e mi ha fatto scoprire una giovane Kim Cattrall di cui ignoravo in toto esordi e filmografia.
Ps. Il film si guadagnò le nomination agli Oscar, Golden Globes e Grammy per la Miglior canzone "Nothing's Gonna Stop Us Now" scritta da Albert Hammond e Diane Warren e fu un grande successo al botteghino: 6 milioni di dollari spesi per produrlo e $42,721,196 di incasso mondiale.
Film 565 - Mannequin
Film 2300 - Mannequin

Consigli: Assolutamente da recuperare per una serata in compagnia! Senza pretese, spensierato e spassoso è l'ideale da seguire con qualcuno accanto. Colonna sonora ad hoc e un retrogusto vintage che non deluderà i fan degli anni '80.
Parola chiave: Smaltimento rifiuti.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 26 settembre 2011

Film 305 - I Love Shopping

Primo dei (ben!) 3 film di Ferragosto. Disimpegno a volontà!

Film 305: "I Love Shopping" (2009) di P.J. Hogan
Visto: dalla tv di Jessica
Lingua: italiano
Compagnia: Marco, Jessica
Pensieri: Sempliciotto e di dubbio gusto, questo "Confessions of a Shopaholic" (titolo originale) poteva intrattenerci giusto nella pigrizia di Ferragosto. Comprendo perfettamente l’appeal commerciale che poteva presentare questo prodotto - molto vicino a “Sex & the city” - ma, in tutta sincerità, il risultato è mediocre.
Le situazioni comiche sono mal gestite e di una semplicità quasi infantile. Il gioco degli equivoci - che in questo genere dovrebbe farla da padrone - è di una bassezza disarmante. Nemmeno il grande sogno della protagonista è trattato con l’attenzione dovuta: scrivere per una rivista di moda come movimento portante di tutte le azioni della sua protagonista è un ‘must’ che in questa pellicola pare essere seguito solo all’inizio (per dare l’input) e alla fine (al momento del rifiuto). La parabola di Becky pare più condotta dal caos che dalle sue scelte effettive.
E, così pare, anche per il film stesso, più un generico casino cinematografico (anche i generi si mischiano: comedy, romance, chick flick) che un prodotto lineare e ben confezionato.
La protagonista è brava e adatta (Isla Fisher), ma i personaggi sono talmente superficiali da risultare assolutamente intercambiabile chiunque decida di interpretarli.
Consigli: Insomma, così così. Da vedere se si amano i film patinati su moda, accessori e riviste capeggiate da stronze sui tacchi.
Parola chiave:Saldi.

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Ric

martedì 10 maggio 2011

Film 253 - Sex and the City 2

Ancora?! Basta...

Film 253: "Sex and the City 2" (2010) di Michael Patrick King
Visto: dal computer di Alice
Lingua: italiano, inglese
Compagnia: Marco, Alice
Pensieri: Eh, lo so, ancora una volta un film di "Sex and the City"... E nemmeno il più bello dei due...
Questa volta, però, la visione di quello che potremmo definire il 'secondo tempo' è stata in inglese e mi ha offerto una dimensione più 'internazionale' della pellicola, con le vocine stridule delle sue protagoniste a ricordarmi quanto - in certi casi - il doppiaggio faccia la differenza.
Comunque, per quanto questa pellicola possa essere totalmente in disaccordo con lo spirito della serie tv, da fan, non posso dire di disprezzarla con tutto me stesso. Per quanto vorrei, a volte ricado nella necessità di riabbracciare quell'atmosfera che tanto mi era piaciuta del tv show, senza però dovermi riguardare tutte e 6 le stagioni. Credo che, per molti, il compromesso sia questo.
Aggiungo che il Razzie alle peggiori attrici protagoniste (tutte e 4 le nostre eroine, qui in trasferta nel deserto) è decisamente immeritato. Recentemente ho visto recitazioni ben peggiori...
Lascio le due precedenti recensioni per non aggiungere commenti superflui.
Film 122 - Sex and the City
Film 221 - Sex and the City
Film 405 - Sex and the City
Film 1072 - Sex and the City
Film 2161 - Sex and the City Film 121 - Sex and the City 2
Film 205 - Sex and the City 2
Film 253 - Sex and the City 2
Film 406 - Sex and the City 2
Film 1377 - Sex and the City 2
Consigli: La visione in inglese è piuttosto divertente. Non sottovalutatela!
Parola chiave: Vacanze a scrocco.

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#HollywoodCiak
Bengi

venerdì 18 febbraio 2011

Film 221 - Sex and the City

Curioso che questo sia il film n°221 e che, la precedente volta che l'ho visto, fosse il n°122...


Film 221: "Sex and the City" (2008) di Michael Patrick King
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Massimo
Pensieri: E per l'ennesima volta torno su "Sex and the City", inevitabilmente ammaliato dal suo potere nostalgico-modaiolo che, di tanto in tanto, mi riporta alla visione di questa pellicola (più bella del secondo, inutile, episodio).
Da aggiungere rispetto alla precedente riflessione su questo primo capitolo [link] c'è solo che, a forza di rivederlo, non è poi così male.
Il telefilm, si sa, è tutta un'altra storia, ma non è che questa trasposizione cinematografica sia così malvagia (soprattutto una volta visto il '2').
Momento sempre esilarante quello della cattiveria negli occhi di Charlotte una volta che Big ha lasciato Carrie all'altare. E' quasi da fermo immagine (e su facebook c'è addirittura il gruppo).
Non è "Il diavolo veste Prada", ma si lascia guardare.
Ps. Solo per me Carrie sta meglio mora?!
Film 122 - Sex and the City
Film 221 - Sex and the City
Film 405 - Sex and the City
Film 1072 - Sex and the City
Film 2161 - Sex and the City Film 121 - Sex and the City 2
Film 205 - Sex and the City 2
Film 253 - Sex and the City 2
Film 406 - Sex and the City 2
Film 1377 - Sex and the City 2
Consigli: Amici, pop corn e patatine, un divano e qualche chiacchiera. Meglio goderselo così.
Parola chiave: Portachiavi.

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Bengi

giovedì 20 gennaio 2011

Film 205 - Sex and the City 2

Il primo film del 2011 è perfettamente collegato all'ultimo film del 2010. C'entrano moda, stile, donne, amicizie, lavori e... New York!


Film 205: "Sex and the City 2" (2010) di Michael Patrick King
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Serena
Pensieri: Ormai specializzato con Serenza nelle visioni di film altamente fashion, non si può certo dire che con questo film abbiamo portato la tradizione ad un livello superiore.
"Sex and the City" non è più "Sex and the City" da un bel po', ma almeno il primo film dopo la seconda visione si salvava... Questo secondo capitolo, guardato per la seconda volta, non migliora la sua bassa posizione. Non fa ridere, non racconta nulla di nuovo, non aggiunge nulla alla storia dei personaggi, non regala 'sogni' di moda degni di essere definiti tali. Il tutto, purtroppo, si riduce a un semplice 'carino', che non basta a giustificare l'uscita di un sequel della durata, tra l'altro, di ben 146 minuti!
Inoltre, purtroppo, Sarah Jessica Parker ormai è semplicemente la brutta copia di sé stessa. Il suo personaggio è diventato la sua vita e, nel film, imita sé stessa mentre interpreta il personaggio. Non le riesce più tanto bene la magia, spalmata su più di due ore di pellicola.
Sarà che Carrie ci ha un po' stufato con le sue mille paturnie mentali, sarà che Samantha è talmente arrapata che risulta ridicola o che Charlotte ha voluto la bicicletta, ma a metà strada ha capito che pedalare è faticoso, comunque di fatto non c'è più quello scintillio (che tra l'altro Carrie cerca anche nel suo matrimonio, il che non è un buon segno...) di una volta.
Pare sia in cantiere un episodio numero 3. Staremo a vedere cosa NON succederà questa volta...
Film 122 - Sex and the City
Film 221 - Sex and the City
Film 405 - Sex and the City
Film 1072 - Sex and the City
Film 2161 - Sex and the City Film 121 - Sex and the City 2
Film 205 - Sex and the City 2
Film 253 - Sex and the City 2
Film 406 - Sex and the City 2
Film 1377 - Sex and the City 2
Consigli: Un film innoquo, perfetto per una serata senza alcuna pretesa in compagnia o da soli. Di fatto il tutto è piuttosto indifferente.
Parola chiave: Rapporti di coppia.

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Bengi

domenica 9 gennaio 2011

Film 204 - Il diavolo veste Prada

Ultimo film del 2010, perfettamente in linea con quello che è stato il primo del 2011.


Film 204: "Il diavolo veste Prada" (2006) di David Frankel
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Non è che Meryl Streep sia un'attrice principalmente commerciale. Non recita in film facili, non vive una mondanità sfrenata, non dice stupidaggini in giro per interviste, non è bellissima. Chi la conosce e l'ammira lo fa perchè è notoriamente bravissima, garanzia di interpretazioni grandiose e, di conseguenza, di film quatomeno decenti (grazie a lei).
Un film come "Il diavolo veste Prada", invece, è classicamente commerciale. Tratto da un libro (vendutissimo), ripropone la storia - molto vera - di un'arpia della moda (Anna Wintour) e della sua assistente cambiando solo nomi e cognomi dei personaggi. Il film, per rendersi universalmente appetibile, si accaparra una giovane attrice che già la sa lunga (Anne Hathaway, qualche anno dopo nominata all'Oscar); una spalla di classe capace di reggere ogni ruolo - visto con la Streep anche in "Julie & Julia", film ispiratore di questo blog - rendendolo credibile (Stanley Tucci); un affascinante attore di serie B, Simon Backer, poi promosso alla serie A ("The mentalist") anche grazie alla popolarità di questo film; un'esordiente bella e capace (Emily Blunt), in un ruolo tanto divertente da strappare più consensi di quello della protagonista - e anche qui la carriera s'invola-.
A rendere il tutto magnifico, ovviamente, è la presenza di Meryl che, con la sua interpretazione di Miranda Priestly, regala al mondo del cinema uno dei suoi migliori personaggi cult. Miranda/Meryl è il film.
Tutto questo non può che portare a consensi della critica (un Golden Globe alla Streep, più la nomination all'Oscar a lei e ai costumi di Patricia Field, la stessa di "Sex & the City") e ad un incasso di botteghino col botto ($ $324,432,962) che, per una non commerciale, è decisamente un grande risultato.
Non c'è da stupirsene, in effetti. Il film è ben realizzato, i tempi comici sono giusti, gli attori bravi, capaci ognuno di dare quel tocco personale a chi stanno interpretando. Anche se manca la malignità pura presente nel libro (il finale è diverso, come la rottura tra Andrea e Miranda) la pellicola rimane spassosa, godibile, piacevole già alla prima visione. Il guardaroba acceca (ma con classe, non come nei recenti film con Sarah Jessica Parker), le musiche scelte sono perfette (Madonna fece aspettare l'uscita del singolo "Jump" per attendere che il film, dove la canzone accompagnava alcune scene, arrivasse nelle sale) e il tutto, alla fine, risulta davvero ben riuscito.
Ad arricchire il tutto una serie di camei-omaggio (alla moda) che rendono il 'gioco' ancora più divertente: Valentino (Garavani) che impersona sé stesso, Gisele Bündchen e qualche nome famoso citato tra una battuta e l'altra (Dolce & Gabbana, Demarchelier, ...).
Tra gli attori 'già visti', il fidanzato di Andrea (Adrian Grenier, visto in "Entourage") e Rebecca Mader (la Charlotte Lewis di "Lost").
Insomma, davvero un classico dei film su fashione stile, divertente e non banale, che illumina, talvolta, punti di vista inaspettati (la spiegazione di Miranda sul colore ceruleo la dice lunga), apripista di una serie ormai sconfinata di produzioni ("I love shopping", "Sex & the city" 1 & 2, "Ugly Betty", "Lipstick Jungle", ...) che vedono la moda quale compagna d'avventura delle vicende proposte.
Consigli: Preparatevi ad amarla! Dopo Miranda Priestly nessun capo redattore di una rivista sarà mai altrettando crudele e ben riuscito.
Parola chiave: Parigi.




Ric

venerdì 5 novembre 2010

Film 164 - The September Issue

Weekend milanese per lo shopping sfrenato insieme all'amica autoctona: comprata neanche una sciarpa, ma imparato a dirigere una rivista di moda!


Film 164: "The September Issue" (2009) di R.J. Cutler
Visto: dalla tv di Serena
Lingua: inglese
Compagnia: Serena
Pensieri: Deluso dai retroscena semplicemente amorosi (e furiosi) del Valentino di "Valentino - L'ultimo imperatore", mi sono approcciato con diffidenza a questo documentario tutto americano sulla preparazione di quella che viene definita la bibbia della moda: il numero di settembre di Vogue. Per riflesso, ovviamente, una scusa (o una trovata geniale?) per intrufolarsi nella routine quotidiana di uno dei personaggi più controversi della moda mondiale: Anna Wintour.
Chi sia questa signora dal caschetto sempre perfetto lo sanno in molti. Forse altrettanti sanno che è anche la diretta ispiratrice del personaggio, non proprio 'role model', di Miranda Priestly (Meryl Streep) ne "Il diavolo veste Prada". In pochi, invece, conoscono la 'vera' Anna, quella che, da sola, è riuscita a mantenere stabile il potere di una rivista commerciale per oltre 20 anni.
Qui, a mio avviso, la ghiotta occasione di umanizzare un personaggio molto criticato, pubblicamente sbeffeggiato in un libro prima e in un film poi (il già citato 'diavolo'), portando l'occhio dello spettatore più vicino di quanto non possa fare un articolo di gossip. E, per quanto la Wintour non si possa considerare persona affabile o coinvolgente, non si rimane con la sensazione che sia totalmente una stronza. Come dice la tagline del film di prossima uscita (11 novembre) "The Social Network": you don't get to 500 million friends without making a few enemies (adattando: non puoi fare il direttore di Vogue senza prendere decisioni a volte impopolari).
L'aspetto più piacevole di questo film risulta sicuramente quel 'dietro le quinte' che un documentario come questo riesce ad offrire. Per chi è interessato a questo mondo non può che essere un tassello fondamentale per respirare quell'aria di eccitazione-tensione che sta dietro la preparazione di una grande rivista. E', inoltre, un ottimo prodotto filmico in sé, che dosa saggiamente interviste e momenti vissuti, portando alla luce un insieme di meccanismi che, altrimenti, lo spettatore non avrebbe mai avuto modo di venire a conoscere.
La mia impressione è stata totalmente positiva.
Ps. Cameo dell'attrice Sienna Miller: è suo il volto della copertina del famoso numero di settembre del titolo.
Consigli: Per gli appassionati di moda e di riviste che ne trattano. Ma anche per chi ama godersi un documentario ben realizzato.
Parola chiave: Soldi.




Ric

sabato 12 giugno 2010

Film 121 - Sex and the City 2

Dopo una lunghissima attesa, tantissimi scatti rubati dal set, poster improponibili con occhiali da sole tamarrissimi e certi rumors su comparsate eccellenti, finalmente al cinema il secondo capitolo delle 'ragazze'!

Film 121: "Sex and the City 2" (2010) di Michael Patrick King
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Licia, Andrea, Stefano
Pensieri: Nessuno vuole fare una strage, signore e signori - sarebbe inutile sparare sulla croce rossa - prendiamolo per quello che è: il tripudio del nulla!
Per quanto mi faccia male vedere snaturato un prodotto tv così ben confezionato (e forse uno dei migliori di tutti i tempi), bisogna ammettere che "Sex and the City" ha decisamente perso smalto. Tempi e toni son cambiati, meno rapidità e spensieratezza, più drama e pensatezza distruggono una struttura che, dal '98 al 2004, ha caratterizzato uno dei tv show più seguiti e premiati della storia.
Fa male, quindi, rivedere Carrie e le sue tre amiche sb(r)occate avventurarsi per Abu Dhabi senza scopo o meta, semplicemente sfoggiando completi (per la maggior parte improponibili) di extra lusso che fanno di tutte quante delle attempate signore di lusso. Non che siano vecchie, in effetti, ma mostruosamente cambiate sì! L'unica sempre fedele a sé stessa, per modi, stile e decadenza (facciale) è Miranda/Cynthia Nixon, la sola a risultare sensata alla fine della fiera. Colpisce - per forza - Samantha, sempre energica, battagliera e fiera tanto a New York quanto in Marocco, qui tornata all'antico splendore (leggi sesso a gogo). Charlotte è sempre Charlotte, vive in un sogno, questa volta disturbato dall'interno causa figlie moleste che la fanno impazzire. Ma poi basta, la storia potrebbe anche finire qui, non fosse che mr Michael Patrick King (regista e sceneggiatore) deve dare a Carrie 146 minuti di pellicola per poter sproloquiare sul suo nuovissimo matrimonio con Mr Big, dei suoi dubbi, delle sue impressioni. Nella versione tv Carrie era, sì, molto spesso una rompi coglioni, ma sempre con una marcia in più. Qui, purtroppo, risulta inutilmente complessata, infinitamente noiosa e (mannaggia!) un'insoddisfatta cronica.
Avuto il Big che voleva, rivede Aidan - e già il fatto che lo avesse lasciato la dice lunga - e manda in crisi la fresca unione (appena due anni) per un bacetto inutile. Se nel precedente capitolo cinematografico era stato Big a dimostrare insicurezza su coppia e matrimonio (quanto si odiava quell'infinitamente tuo, nostro vostro e loro), questa volta è la Carrie ormai senza porro a evidenziare tendenze autodistruttive (ma va?!). Il tutto si risolverebbe in un batter d'occhio, non fosse la distanza tra i due sposini (e la necessità di giustificare il costo del biglietto).
Ma nemmeno questo da brio alla vicenda, non c'è mordente, non c'è vero interesse, se non il fantasma di un'avventura (il telefilm) conclusa da tempo ma che continua ad essere utilizzata per lucrare sull'amore di tanti fan. Per carità, l'appuntamento con questo tipo di pellicole si gradisce sempre, è quasi un evento mondano andare al cinema e vedersi attorniati da ragazzine truccate da prostitute che credono di aver azzeccato la mise fashion; però non ci si dovrebbe fermare solo a quello.
Se il film, come già del resto il primo, la tirasse meno per le lunghe e giocasse più sul concreto (ma il matrimonio tra Stanford e Anthony che ci sta a dire così, buttato lì?!), vivesse non solo in funzione degli abiti, ma anche di eventi interessanti e non si giocasse cartucce importanti come camei di star quali Liza Minnelli, Penélope Cruz e (aimè) Miley Cyrus senza alcuna coscienza e logica, ma solo con l'intento di legare nomi famosi alla promozione del film, allora forse avrebbe senso produrre una pellicola come questa e pensare perfino a un numero 3 (come del resto già si sta facendo). Purtroppo manca un vero motivo, una storia interessante o quantomeno un'idea di fondo che giustifichi addirittura una nuova pellicola. Cosa potrebbe succedere ancora? Carrie madre a 50 anni? Samantha regina dell'ospizio? Charlotte ai ferri corti con il marito? Il figlio di Miranda all'università? E poi cosa, uno spin-off sulla prole delle ragazze?
Sono d'accordo con l'idea che la vita non finisca a 40 anni e che sia più che giusto parlare anche nei film non solo dei o delle ventenni arrapati/e. Però c'è un limite a tutto, specialmente se non si sa che raccontare.
Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte rimangono icone dell'immaginario gay-fashion, rappresentanti di una parte enorme di persone che credono di potersi permettere azzardi di moda solo perchè Carrie ha deciso che il tulle viola nel deserto è un must. Si amano perchè hanno sdoganato il sesso in tv, hanno elevato alla potenza il femminismo e, soprattutto, spianato la strada alla produzione HBO che, in quanto a show televisivi ormai è garanzia di qualità ("True Blood" in primis). Però, forse, è ora di dire basta. Non perchè a noi non vada più di vedere "Sex and the City", ma perchè finchè il compromesso per 'assistere' alla vita delle nostre eroine è quello di vederle sciupate in due ore di banalità, allora preferiamo rivederci all'infinito il telefilm comodamente seduti a casa, crogiolandoci nel ricordo di quanto fosse fantastico girare per New York in compagnia delle ragazze.
Film 122 - Sex and the City
Film 221 - Sex and the City
Film 405 - Sex and the City
Film 1072 - Sex and the City
Film 2161 - Sex and the City Film 121 - Sex and the City 2
Film 205 - Sex and the City 2
Film 253 - Sex and the City 2
Film 406 - Sex and the City 2
Film 1377 - Sex and the City 2
Consigli: In compagnia, con gli amici, le amiche di sempre, i cocktails, morosi arrapati, micro-cani a forma di topo... portate chiunque! E' un evento e, agli eventi, non ci si va mai da soli!
Parola chiave: Bacio.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 12 aprile 2010

Film 103 - Valentino - L'ultimo imperatore

'Scrivere di cinema - Premio Alberto Farassino, edizione 2010' - In concorso

Un altro documentario per la mia collezione, questa volta giunto tramite la mia amica milanese Serena, nonché fashion icon di Zola Predosa e dintorni...


Film 103: "Valentino - L'ultimo imperatore" (2008) di Matt Tyrnauer
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, inglese
Compagnia: Serena
Pensieri: Lo stilista e fashion icon Valentino (Garavani) consacrato anche al cinematografo con ossequiosa riverenza di chiunque lo circondi.
Pazzesca escalation di follia da inchino ed immotivata prostrazione nonostante le evidenti bizzarrie cui lo stilista ha abituato il suo staff. Sicuramente mito della moda, classica sapienza dell'abbigliamento fashion e di gusto, scivola clamorosamente su egocentrismo ed esaltazione di sé medesimo con picchi da isteria pre-mestruo.
Sono rimasto senza parole per aver udito discorsi come 'devono prostrarsi ai miei piedi' e, francamente, la delusione di aver dovuto umanizzare un mito non ha giovato alla visione del film. Di per sé i documentari mi piacciono e questo pure, ma non mi è piaciuta la mancanza di creatività e arte che mi aspettavo da un reportage sulla Moda. Chi è Valentino lo stilista? Come funziona il suo lavoro? Cosa succede quando si trova davanti ad un foglio bianco, la matita in mano? A nessuna di queste domande è data risposta.
In questa pellicola di Matt Tyrnauer c'è soprattutto una cosa: un passepartout. Per cosa? La vita privata (leggere 'sentimentale') di un uomo che per decenni è stato sulla bocca di tutti mantenendo il massimo riserbo. Chi è dunque Valentino uomo? Purtroppo non chi mi aspettavo. E' un signore abbronzato, molto consapevole del suo potere e della sua influenza, capriccioso e isterico monopolizzatore dell'attenzione, e che richiede paziente collaborazione. L'idea finale, e qui sta la mia delusione, non è quella di un genio creativo al lavoro, ma di una capricciosa personalità abituata a vivere seguendo il diktat 'Valentino is above controll'.
A mio avviso, il problema principale è che qui si celebra l'uomo, ma non la sua arte o la sua storia. Può essere interessante anche l'aspetto umano (in un basso senso del termine, purtroppo), ma avrei davvero voluto vedere e conoscere più nel dettaglio la storia e i percorsi che hanno reso questa figura una delle più influenti voci della Moda mondiale.
Valentino ridotto a un capriccio. Ovviamente rosso.
Consigli: Da vedere per gli appassionati di Moda, chi studia o vuol capire il mestiere. L'ambiente è ben reso, la reverenzialità pare l'unica caratteristica da tenere in considerazione. Prendere nota.
Parola chiave: Haute couture.




Ric