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martedì 24 agosto 2021

Film 1814 - Phantom Thread

Intro: Finita la parentesi soleggiata di Mendoza, torno in pullman verso Cordoba e decido di recuperare una pellicola che mi aveva intrigato anni prima, ma non ero riuscito a recuperare.

Film 1814: "Phantom Thread" (2017) di Paul Thomas Anderson
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: dopo "Magnolia" e "The Master" recupero un altro titolo della filmografia dell'eclettico Paul Thomas Anderson, la seconda in collaborazione con il grandissimo Daniel Day-Lewis, qui nei panni dello stilista (un po' dnnato) Reynolds Woodcock.
Il film di per sé non mi ha rapito, ma per tanti versi "Phantom Thread" ha fascino da vendere. Molteplici gli aspetti che colpiscono immediatamente lo spettatore, tra cui sicuramente i costumi, le musiche, la regia e, inevitabilmente, la magnetica interpretazione di Day-Lewis. La trama, complessa ed emotivamente carica, non mancherà di stupire lo spettatore con una serie di passaggi che personalmente ho trovato inaspettati. E potenzialmente velenosi...
Cast: Daniel Day-Lewis, Lesley Manville, Vicky Krieps, Gina McKee.
Box Office: $47.8 milioni
Vale o non vale: Daniel Day-Lewis e Paul Thomas Anderson sono una certezza di qualità del cinema contemporaneo, per cui gli appassionati dovrebbero gradire. Non un film per tutti o per una serata spensierata, ma sicuramente un ottimo titolo drammatico dal grandissimo impatto visivo.
Premi: Candidato a 6 Oscar (Miglior film, regia, attore protagonista Day-Lewis, attrice non protagonista Manville, colonna sonora), ha per i Migliori costumi. Vittoria nella stessa categoria anche ai BAFTA (su 4 nomination totali, le altre per attore protagonista, attrice non protagonista e colonna sonora) e 2 candidature ai Golden Globes per Day-Lewis e la colonna sonora. Candidato al David di Donatello come Miglior film straniero.
Parola chiave: Funghi.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 8 luglio 2021

Film 2027 - Cruella

Intro: Estremamente curioso di vedere questo film e, onestamente, molto molto scettico.

Film 2027
: "Cruella" (2021) di Craig Gillespie
Visto: dall'iMac
Lingua: inglese
Compagnia: Keith
In sintesi: ma diciamocelo pure, questo "Cruella" poteva essere un disastro totale e - per quanto non un capolavoro - riesce in ogni caso a portare a casa un risultato soddisfacente.
Questo principalmente per due motivi: 1. Emma Stone, che riabbraccia il suo spirito meno "impegnato" e riprende una parte di carriera da troppo tempo lasciata in pausa e di cui è esempio meraviglioso il sempre divertente "Easy A"; 2. il fatto che Estella Miller/Cruella de Vil sia un personaggio con una personalità, aspirazioni, sogni e talento e non solo una futura antagonista cui qualcosa è andato storto nella vita (leggi "Maleficent").
Questi due elementi combinati insieme sono la combinazione portante del film che, anche solo così, funziona. Lo stile glam rock alla Vivienne Westwood ci sta alla perfezione e dona al prodotto un carattere inusuale per un titolo Disney; Emma Thompson è sempre spettacolare, anche se il suo ruolo non mi ha fatto sempre impazzire in questo caso (troppo facile fare il paragone con Miranda Priestly...) e non posso fare a meno di domandarmi se dovremo sorbrci un origin story pure sulla sua nuova cattiva Baroness von Hellman, visto che anche lei in quanto a mancanza di scrupoli non scherza...
Due, invece, gli elementi della pellicola che non mi sono piaciuti: l'ingiustificato bipolarismo di Estella/Cruella (che, a seconda che indossi la parrucca o meno, è "buona" o "satanica") e l'accento british della Stone, a mio avviso un bel po' forzato.
Detto questo, "Cruella" poteva essere tante cose - tra cui maggiormente un disastro - e, sorprendentemente, al contrario funziona. E ha pure il suo perché.
Cast: Emma Stone, Emma Thompson, Joel Fry, Paul Walter Hauser, Emily Beecham, Kirby Howell-Baptiste, Mark Strong, John McCrea, Kayvan Novak.
Box Office: $205.5 milioni (ad oggi)
Vale o non vale: Divertente e - per un prodotto della Disney - persino irriverente (c'è addirittura un personaggio gay, scandalo!), questo film è una perfetta distrazione estiva, nonché spesso un piacere per gli occhi grazie ai bei costumi di Jenny Beavan (la stessa di "Mad Max"). Per non parlare del fatto che Emma Stone fa un egregio lavoro ed è un piacere vederla scontrarsi con Emma Thompson. Insomma, se non lo avete già fatto dedicate un paio d'ore della vostra calda estate a questa piacevole distrazione. Il sequel, ovviamente, è già in cantiere.
Premi: Candidato al Golden Globe per la miglior attrice protagonista (Emma Stone) commedia o musical. 2 nomination ai BAFTA per i costumi e il trucco.
Parola chiave: Necklace.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 4 giugno 2015

Film 929 - House of Versace

Un personaggio iconico, una casa di moda e la biografia di una famiglia italiana tra le più conosciute al mondo.

Film 929: "House of Versace" (2013) di Sara Sugarman
Visto: dal portatile di Luigi
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: A prescindere dalla veridicità di questa storia, "House of Versace" è una delle cose più trash e brutte che abbia mai visto. Ricolmo di cliché e banalità, situazioni irreali e tentativi malriusciti di rappresentare l'Italia, questo prodotto televisivo di Lifetime (che non ha nemmeno una pagina su Wikipedia, e questo la dice già lunga) è pacchiano e volgare, nel senso che presenta la vicenda in maniera sciocca e superficiale, calcando la mano sulle vicende drammatiche che hanno coinvolto la famiglia Versace, sdoganando un'associazione glam tra cocaina e mondo della moda, lanciando al pubblico una versione di Donatella Versace che è tanto sciocca quanto inverosimile.
Non fosse che non ci si aspetta altro da un prodotto del genere, il cui presupposto scadente e trash è plausibilmente il principlae appeal, verrebe da dire che "House of Versace" merita lo stesso oblio mediatico che Wikipedia gli ha riservato fra le sue pagine; ciononostante, noi impavidi ammiratori dello scadente ci siamo ugualmente imbarcanti in questa bizzarra versione della vita di eccessi e successi della casa di moda Versace e in particolare della sua seconda paladina, Donatella Versace.
Da anni col volto martoriato, alle soglie dell'anoressia, con rumors di droga che rincorrono quelli del fallimento prima e ora quelli della rinascita: questo film per la tv parla principalmente di questo, ma lo fa disinteressandosi completamente all'approccio veritiero/verosimile in favore di una narrazione patinata e bidimensionale che privilegia la sfilata di moda e le serate in discoteca, l'aspetto mistico della connessione fra omicidio di Gianni e svenimento di Donatella e le sue sfuriate da ragazza del ghetto di Reggio Calabria. Ora, al di là del fatto che non mi posso certo definire un esperto biografo della Sig.ra Versace, rimango piuttosto scettico di fronte ad una sua versione imprenditoriale così spiccata e creativa da richiederle l'uso della cocaina per massimizzare la produzione o quando la dipingono come la madre perfetta la cui unica priorità è la felicità della figlia o, ancora, quando me la rappresentano come l'amazzone del sesso sfrenato con il marito Paul Beck. Poi per carità, rimango aperto alle smentite.
In aggiunta a questo circo di follia modaiola e disastri da bancarotta, inserisco anche la piacevole parentesi di zia Lucia, classica signora di mezza età italiana ricoperta di botox e dallo sguardo talmente tirato da risultare felino. Non so nemmeno se nella realtà la signora esista, ma mi ha divertito vedere come gli americani se ne infischino piacevolmente di ogni cosa e piazzino parti e attori a casaccio a formare quella che diventa una rappresentazione culturale non solo stereotipata, ma anche inverosimile e ridicola. Non dico che zia Lucia debba necessariamente essere sovrappeso, vestire di nero e passare la giornata ai fornelli, però certamente non avrei scelto Raquel Welch per impersonare un'italiana calabrese che si riunisce alla famiglia come aiuto domestico e supporto psicologico...
Insomma, "House of Versace" è un disastro sotto molteplici fronti e nonostante di solito il trash non mi dispiaccia, questa produzione non mi ha nemmeno particolarmente divertito. Sì, Gina Gershon ha qualcosa che ricorda la Versace e certamente l'iconica immagine di Donatella favorisce la rappresentazione per somiglianza, anche se si fatica a capire se sia la Gershon con le sua capacità a colmare il gap tra il personaggio e la persona o se non sia il "personaggio Donatella" a rendere plausibile l'interpretazione fatta dalla Gershon. Direi che si rimandano vicendevolmente (ma la vesione in inglese fa giustizia all'attrice).
In definitiva, un brutto prodotto televisivo, banale e piatto.
Box Office: /
Consigli: La famiglia Versace si è ampiamente spesa contro il quadro dipinto da questa produzione americana. Non fatico a capirne i motivi e, al di là degli eccessi e fallimenti raccontati, credo che la cosa contro cui opporsi con più veemenza dovrebbe essere la rappresentazione incolore, sciocca e incapace di esaltare il talento di colei che si prende in causa. Credo che nessuno vorrebbe mai essere il soggetto di un prodotto biografico che risulti piatto e mediocre, cosa che qui si verifica. Ed è certamente questo il punto debole di tutta l'operazione, buona giusto per intrattenere lo spettatore medio per 85 minuti scarsi tra banalità e pseudo giochi di potere, intrighi familiare che colmano in un buonismo scontato e una rappresentazione dei valori della vita che può avere forse un 15enne. "House of Versace" è un titolo debole, un prodotto di consumo che gioca con il fascino di personaggi potenti e conosciuti, per di più condendo il tutto con accenni fashion e una (pre)supposta creatività geniale. E' come guardare un ipotetico lungometraggio di "Beautiful", non fosse che stiamo parlando di persone in carne e ossa e una storia che qui si spaccia come vera. Insomma, da evitare.
Parola chiave: Prêt-à-porter.

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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 16 aprile 2014

Film 696 - Yves Saint Laurent

Il cinema 3 sponsorizza e noi andiamo. Biopic con macrotemi come genialità, creatività, amore e alta moda: interessante, no?

Film 696: "Yves Saint Laurent" (2014) di Jalil Lespert
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Erika, Luigi
Pensieri: Vita e opere del fashion designer Yves Saint Laurent (Pierre Niney), fin da giovanissimo pupillo della moda francese e in breve tempo stilista di fama mondiale. La casa di moda che porterà il suo nome, fondata con l'aiuto di Pierre Bergé (Guillaume Gallienne), darà a Saint Laurent prestigio e l'opportunità di esprimersi liberamente creando collezioni iconiche, adorate e copiate.
Anche se l'aspetto stilistico è trattato all'interno del film, non è però posto l'accento sulla creatività o la vita della maison, bensì ci si interessa fin da subito al privato dello stilista partendo dal quadro famigliare poi per spostare l'attenzione sulla storia d'amore con Bergé. Quest'ultima caratterizzerà quasi la totalità della trama della pellicola.
Non si può certo dire che questo film sia brutto e, anzi, la realizzazione è molto precisa, i costumi bellissimi (molti originali, prestati dalla Fondation Pierre Bergé - Yves Saint Laurent) e la recitazione molto convincente; avrei però preferito - come spesso mi trovo a pensare relativamente a biopic incentrati su personaggi famosi per la loro creatività - che l'attenzione posta al processo di realizzazione dei capi, delle collezioni, la nascita delle idee e la genesi di un mito nel suo campo avrebbero dovuto essere trattati come elementi centrali e non solo di contorno. Nondimeno, una contestualizzazione storica che fosse più che giusto accennata o suggerita avrebbe aiutato a capire i cambiamenti di stile e le scelte ccoraggiose dello stilista durante la sua carriera.
Insomma, per quanto possa capire il senso e il valore di portare sul grande schermo una storia d'amore omosessuale così lunga e duratura - seppure, concedetemelo, molto libera -, avrei voluto vedere approfondito più il lato professionale che quello privato/sentimentale. Sia perché di storie d'amore il cinema è pieno (e sì, questa sarà anche quella privata del Sig. Saint Laurent, ma è pur sempre qualcosa che posso esperire o capire anche io, mentre il processo che sta dietro la creazione di capi d'alta moda è tutta un'altra storia), sia perché mi pare, e non è la prima volta, che la storia d'amore (gay) è presentata come qualcosa di non ordinario, pur essendo trattata così. Io non conosco la realtà dei fatti e mi attengo esattamente a ciò che "Yves Saint Laurent" racconta, ma il messaggio che passa è (anche) che una storia omosessuale consiste di relazioni aperte, promiscuità e trasgressione. Siccome, parlando di un pubblico vasto, si è forzati a generalizzare, bisognerebbe ricordarsi che non tutti sono in grado di scindere ciò che una storia racconta dal messagio che vuole far passare (o anche semplicemente ricordarsi che un solo caso non è rappresentativo per il tutto). Chiaro che questa non è una diretta critica al film, ma rimane un pensiero che non riesco reprimere quando ripenso a ciò che ho visto in questa pellicola.
In generale, quindi, "Yves Saint Laurent" è un prodotto tecnicamente inattaccabile, con un preciso lavoro di ricostruzione spaziale e temporale che passa per automobili, capi d'abbigliamento, acconciature, arredamento, accessori, ecc che arricchisce visivamente il film. Per quanto riguarda la trama, invece, il punto focale è la relazione Saint Laurent-Bergé che finirà per mettere in ombra questioni forse più interessanti legate alla maison e, in generale, al processo creativo dello stilista. Il risultato finale è un buon prodotto commerciale - anche piuttosto esportabile - che però a mio avviso non rende piena giustizia alla figura del grande stilista scomparso nel 2008.
Box Office: $23,292,860
Consigli: Se si è interessati di moda, si è fan della maison Saint Laurent o si è affascinati dalle storie d'amore coinvolgenti e a tratti burrascose, questo è un titolo commerciale in grado di soddisfare le aspettative. Meno riuscito per quanto riguarda il saper intavolare la connessione tra storia, persona/personaggio ed estro creativo. Il film è liberamentre tratto dal libro omonimo scritta da Laurence Benaïm.
Parola chiave: Moda.

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Bengi

lunedì 12 aprile 2010

Film 103 - Valentino - L'ultimo imperatore

'Scrivere di cinema - Premio Alberto Farassino, edizione 2010' - In concorso

Un altro documentario per la mia collezione, questa volta giunto tramite la mia amica milanese Serena, nonché fashion icon di Zola Predosa e dintorni...


Film 103: "Valentino - L'ultimo imperatore" (2008) di Matt Tyrnauer
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano, inglese
Compagnia: Serena
Pensieri: Lo stilista e fashion icon Valentino (Garavani) consacrato anche al cinematografo con ossequiosa riverenza di chiunque lo circondi.
Pazzesca escalation di follia da inchino ed immotivata prostrazione nonostante le evidenti bizzarrie cui lo stilista ha abituato il suo staff. Sicuramente mito della moda, classica sapienza dell'abbigliamento fashion e di gusto, scivola clamorosamente su egocentrismo ed esaltazione di sé medesimo con picchi da isteria pre-mestruo.
Sono rimasto senza parole per aver udito discorsi come 'devono prostrarsi ai miei piedi' e, francamente, la delusione di aver dovuto umanizzare un mito non ha giovato alla visione del film. Di per sé i documentari mi piacciono e questo pure, ma non mi è piaciuta la mancanza di creatività e arte che mi aspettavo da un reportage sulla Moda. Chi è Valentino lo stilista? Come funziona il suo lavoro? Cosa succede quando si trova davanti ad un foglio bianco, la matita in mano? A nessuna di queste domande è data risposta.
In questa pellicola di Matt Tyrnauer c'è soprattutto una cosa: un passepartout. Per cosa? La vita privata (leggere 'sentimentale') di un uomo che per decenni è stato sulla bocca di tutti mantenendo il massimo riserbo. Chi è dunque Valentino uomo? Purtroppo non chi mi aspettavo. E' un signore abbronzato, molto consapevole del suo potere e della sua influenza, capriccioso e isterico monopolizzatore dell'attenzione, e che richiede paziente collaborazione. L'idea finale, e qui sta la mia delusione, non è quella di un genio creativo al lavoro, ma di una capricciosa personalità abituata a vivere seguendo il diktat 'Valentino is above controll'.
A mio avviso, il problema principale è che qui si celebra l'uomo, ma non la sua arte o la sua storia. Può essere interessante anche l'aspetto umano (in un basso senso del termine, purtroppo), ma avrei davvero voluto vedere e conoscere più nel dettaglio la storia e i percorsi che hanno reso questa figura una delle più influenti voci della Moda mondiale.
Valentino ridotto a un capriccio. Ovviamente rosso.
Consigli: Da vedere per gli appassionati di Moda, chi studia o vuol capire il mestiere. L'ambiente è ben reso, la reverenzialità pare l'unica caratteristica da tenere in considerazione. Prendere nota.
Parola chiave: Haute couture.




Ric