Molto, molto interessato a questa pellicola sia per il cast che per la storia apparentemente intrigantissima.
Film 713: "Transcendence" (2014) di Wally Pfister
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Luigi
Pensieri: Al momento ritengo sia il flop più clamoroso di questo 2014.
100 milioni di dollari di budget, un cast stellare, premesse invitantissime e, comunque, un protagonista capace di solito di sbancare i botteghini perfino con il quarto, ennesimo capitolo de "Pirati dei Caraibi". Ma qui niente magia.
Premessa: la trama. Già di per sé la storia, che non è facile facile subito, finisce per accartocciarsi spesso su se stessa lasciando lo spettatore un po' perplesso. L'incipit - che propongo da Wiki - è questo: "Il dottor Will Caster, il più importante ricercatore nel campo dell'intelligenza artificiale che lavora per creare una macchina che combini l'intelligenza collettiva di tutto quello che è conosciuto con l'intera gamma delle emozioni umane, viene assassinato da terroristi anti-tecnologici. La moglie Evelyn ne carica il cervello in un computer, in modo che Will possa in qualche modo rivivere, comunicare e portare avanti le sue ricerche grazie alla connessione alla rete internet, con cui può raggiungere ogni computer della Terra."
Svolgimento: sulla carta sembrerebbe tutto una figata pazzesca. La resa, invece, è molto meno emozionante. Sì, mi sono addormentato al cinema, lo ammetto. 5 minutini al massimo, ma considerando che sono feroce assimilatore delle peggio commedie o dei peggio film in circolazione, direi che la cosa è alquanto esplicativa.
Questo "Transcendence" non solo spesso non è chiarissimo, né intuitivo, ma è proprio noioso. Per troppo tempo non succede nulla, ovvero ciò che poteva essere riassunto in pochissimi minuti è, invece, protratto per buona parte della storia. Evelyn ha perso Will e si rifugia nel nuovo mondo che lui letteralmente costruisce per lei ora che è eterea presenza cibernetica. E questo è cristallino. Quello che non si capisce è perché la trama ce lo racconti per mezzora. A dire il vero, un'altra cosa che non si capisce è perché lei ci metta così tanto a realizzare che il nuovo pc-Will finirà col controllarla, sorvegliarla e segregarla essendo lampante conseguenza che una personalità intelligentissima, con a disposizione la rete web tutta e praticamente risorse illiminate, finirà per voler assoggettare chiunque al suo volere. Ci sono arrivato io, ci può arrivare anche Evelyn che è una scienziata accreditata. Insomma, le discrepanze su larga scala non mancano.
Manca, invece, un aspetto che avrei voluto trovare in questa storia fantascientifica, ovvero le possibili implicazioni sociali di una scoperta di tale portata. Nel film si sviluppa solamente l'aspetto legato all'uomo/coscenza che sfrutta le nuove potenzialità del suo upload nella rete solo come veicolo per rimanere assieme alla moglie che ama e vuole consolare e poi proteggere. Le innovazioni che gli sposini mettono in atto - e che la trama tratta in maniera marginale - sarebbero molto più interessanti di tutta la faida tra pc-Will e anti-tecnologici. E questa è un'occasione sprecata.
Diciamo che, un po' sulla falsariga di "Her", anche questo esperimento cinematografico finisce per sconfinare nell'ipotesi - nemmeno troppo remota - di un computer con la coscienza ma, dove il primo riesce a contestualizzare e rendere verosimili personaggi, trama e conclusione, qui ci si concentra e sull'amore tra la coppia, e sulla questione della mortalità e immortalità umana e, ancora (questo sì che sarebbe davvero interessante!), sull'etica della scienza. Una mole macrotematica di questo genere sfugge al controllo dello sceneggiatore e finisce in un marasma di spunti (e noia) che fallisce nel centrare il suo obiettivo.
Conclusione: scienza, etica e futuro sarebbero temi interessantissimi sui quali modellare una trama. Qui, purtroppo, si sprecano soldi e cast per un risultato francamente insoddisfacente, molto concentrato sulla resa in immagini (molti effetti speciali) e sul clamore che, di base, suscita l'incipit della trama (upload di un cervello umano alias coscienza su un computer). Deludente.
Box Office: $65,100,529
Consigli: In grado di generare notevoli aspettative, questo blockbuster di fantascienza finisce, però, per concentrarsi sui soliti temi: amore, tradimento della fiducia, guerra testosteronica tra chi la pensa diversamente. Si poteva fare molto di più a livello di sceneggiatura e il disastroso flop al botteghino ne è certamente un riflesso inequivocabile. Ed è un peccato considerando che il cast è notevole: Johnny Depp, Rebecca Hall, Paul Bettany, Kate Mara, Cillian Murphy, Morgan Freeman.
Parola chiave: Trascendenza.
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Bengi
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mercoledì 14 maggio 2014
Film 713 - Transcendence
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domenica 28 aprile 2013
Film 540 - The Sessions - Gli incontri
Ancora qualche pellicola arretrata dalla cerimonia degli Oscar...
Film 540: "The Sessions - Gli incontri" (2012) di Ben Lewin
Visto: dal portatile
Lingua: italiano
Compagnia: Leoo
Pensieri: Per quanto questo film abbia il suo perchè e rappresenti una storia sia interessante che umanamente coinvolgente, non posso onestamente dire che mi abbia però catturato. L'ho visto volentieri ed ero comunque incuriosito dal poco di trama che conoscevo. Va aggiunto che Helen Hunt ha avuto un gran coraggio ad abbracciare questo progetto cinematografico. Al di là del personaggio che doveva interpretare (una certamente disinibita terapista sessuale), le numerosissime scene di nudo integrale non devono essere state così semplici da recitare. Va aggiunto alla considerazione, poi, che per anni la Hunt è stata sulla breccia della scena americana vincendo praticamente ogni tipo di riconoscimento (4 Emmy per la serie tv "Innamorati pazzi", 4 Golden Globes e 1 Oscar, solo per citare i più importanti) e passando buona parte della sua vita rappresentata come esempio di bravura senza eccessi e bellezza. Un ruolo come quello di Cheryl in "The Sessions" non deve essere stato facile da abbracciare considerando ciò che ha alle spalle. Una scelta che mi è sembrata onesta (c'è comunque un po' troppo nudo secondo me) e che la Hunt ha saputo portare sullo schermo con professionalità e buona resa del personaggio. Sono più titubante, invece, sulla scelta di darle la nomination agli Academy Awards come Miglior attrice non protagonista.
Credibile e maledettamente impressionante John Hawkes che, senza gridare o esagerare, ricrea il personaggio di Mark - basato sulla vera persona di Mark O'Brien, poeta - in maniera davvero convincente. Costretto all'immobilità e a passare la maggior parte delle sue giornate in un polmone d'acciaio a causa di complicazioni dopo aver contratto la poliomelite da bambino, Mark vorrà sperimentare i piaceri del sesso liberandosi dalle sue inibizioni causate e dalla sua condizione fisica e dalla religione. In tutto questo Padre Brendan/William H. Macy lo aiuterà facendogli da confessore, consigliere e amico, instaurando con Mark un rapporto basato sul dialogo aperto e franco influenzato, chiaramente, anche dagli aspetti religiosi. Il che è un connubio interessante se si pensa all'argomento sessuale discusso all'interno di una chiesa.
E, appunto, interessante mi sembra l'aggettivo più adatto a questa pellicola che, più che essere poeticamente illuminante, toccante o scioccante, pone al centro della storia una serie di tematiche scottanti come malattia, disabilità, pari opportunità, sessualità e credo religioso per analizzarle in un contesto quantomeno singolare. Il risultato è, quindi, quasi uno studio antropologico ispirato dalla realtà dei fatti.
L'impronta da film indipendente regala alla storia una certa libertà di azione e l'esplorazione umana è permessa ad alti livelli e certamente gli interrogativi morali sollevati sono trattati con cura e la giusta introspezione del caso. La sceneggiatura è ben scritta, anche se devo dire che mi ha abbastanza sorpreso vedere come negli anni '80 tutta la faccenda fosse trattata con così tanta disinvoltura.
Insomma, un prodotto cinematografico che vive di ottime interpretazioni e una storia che sa tenere desta l'attenzione del pubblico. Non è un capolavoro, ma aiuta a cogliere qualche sfumatura in più di un mondo che in molti sicuramente non conosciamo.
Ps. Doppia candidatura ai Golden Globes per entrambi i protagonisti della pellicola (anche se solo la Hunt porterà a casa anche quella per l'Oscar) e un incasso di $9,113,716 (1 milione per produrlo).
Consigli: Non è certo la pellicola migliore per uno svago a cervello spento. L'argomento non è dei più distesi ed è meglio arrivare un attimo predisposti alla visione. Buone le interpretazioni e storia capace di aprire un varco su una serie di tematiche (sesso, religione, malattia) legandole insieme con eleganza, intelligenza e un pizzico di malizia. A tratti anche divertente.
Parola chiave: Sesso.
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#HollywoodCiak
Bengi

Visto: dal portatile
Lingua: italiano
Compagnia: Leoo
Pensieri: Per quanto questo film abbia il suo perchè e rappresenti una storia sia interessante che umanamente coinvolgente, non posso onestamente dire che mi abbia però catturato. L'ho visto volentieri ed ero comunque incuriosito dal poco di trama che conoscevo. Va aggiunto che Helen Hunt ha avuto un gran coraggio ad abbracciare questo progetto cinematografico. Al di là del personaggio che doveva interpretare (una certamente disinibita terapista sessuale), le numerosissime scene di nudo integrale non devono essere state così semplici da recitare. Va aggiunto alla considerazione, poi, che per anni la Hunt è stata sulla breccia della scena americana vincendo praticamente ogni tipo di riconoscimento (4 Emmy per la serie tv "Innamorati pazzi", 4 Golden Globes e 1 Oscar, solo per citare i più importanti) e passando buona parte della sua vita rappresentata come esempio di bravura senza eccessi e bellezza. Un ruolo come quello di Cheryl in "The Sessions" non deve essere stato facile da abbracciare considerando ciò che ha alle spalle. Una scelta che mi è sembrata onesta (c'è comunque un po' troppo nudo secondo me) e che la Hunt ha saputo portare sullo schermo con professionalità e buona resa del personaggio. Sono più titubante, invece, sulla scelta di darle la nomination agli Academy Awards come Miglior attrice non protagonista.
Credibile e maledettamente impressionante John Hawkes che, senza gridare o esagerare, ricrea il personaggio di Mark - basato sulla vera persona di Mark O'Brien, poeta - in maniera davvero convincente. Costretto all'immobilità e a passare la maggior parte delle sue giornate in un polmone d'acciaio a causa di complicazioni dopo aver contratto la poliomelite da bambino, Mark vorrà sperimentare i piaceri del sesso liberandosi dalle sue inibizioni causate e dalla sua condizione fisica e dalla religione. In tutto questo Padre Brendan/William H. Macy lo aiuterà facendogli da confessore, consigliere e amico, instaurando con Mark un rapporto basato sul dialogo aperto e franco influenzato, chiaramente, anche dagli aspetti religiosi. Il che è un connubio interessante se si pensa all'argomento sessuale discusso all'interno di una chiesa.
E, appunto, interessante mi sembra l'aggettivo più adatto a questa pellicola che, più che essere poeticamente illuminante, toccante o scioccante, pone al centro della storia una serie di tematiche scottanti come malattia, disabilità, pari opportunità, sessualità e credo religioso per analizzarle in un contesto quantomeno singolare. Il risultato è, quindi, quasi uno studio antropologico ispirato dalla realtà dei fatti.
L'impronta da film indipendente regala alla storia una certa libertà di azione e l'esplorazione umana è permessa ad alti livelli e certamente gli interrogativi morali sollevati sono trattati con cura e la giusta introspezione del caso. La sceneggiatura è ben scritta, anche se devo dire che mi ha abbastanza sorpreso vedere come negli anni '80 tutta la faccenda fosse trattata con così tanta disinvoltura.
Insomma, un prodotto cinematografico che vive di ottime interpretazioni e una storia che sa tenere desta l'attenzione del pubblico. Non è un capolavoro, ma aiuta a cogliere qualche sfumatura in più di un mondo che in molti sicuramente non conosciamo.
Ps. Doppia candidatura ai Golden Globes per entrambi i protagonisti della pellicola (anche se solo la Hunt porterà a casa anche quella per l'Oscar) e un incasso di $9,113,716 (1 milione per produrlo).
Consigli: Non è certo la pellicola migliore per uno svago a cervello spento. L'argomento non è dei più distesi ed è meglio arrivare un attimo predisposti alla visione. Buone le interpretazioni e storia capace di aprire un varco su una serie di tematiche (sesso, religione, malattia) legandole insieme con eleganza, intelligenza e un pizzico di malizia. A tratti anche divertente.
Parola chiave: Sesso.
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#HollywoodCiak
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domenica 19 giugno 2011
Film 267 - Source Code
Si torna al cinema per una pellicola tra azione, avventura e fantasy!

Film 267: "Source Code" (2011) di Duncan Jones
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Michele
Pensieri: “Source Code” è un film commerciale che, alla resa dei conti, si è rivelato meno redditizio del previsto. Nonostante le buone premesse (regia giovane di Duncan Jones, figlio di David Bowie, il buon vecchio Jake Gyllenhaal in compagnia dell’anonima Michelle Monaghan e della quasi Oscar – nel 2010 – Vera Farmiga, una trama intricata ma interessante, effetti speciali ben resi) l’incasso U.S.A. è stato relativamente basso ($53.850.556) per un film di ampio consumo come questo.
Tralasciando ciò, comunque, posso dire che la pellicola sia decisamente carina. Ripetitiva nelle parti del ricordo in 8 minuti, ma del resto era inevitabile. Un po’ deludente la scoperta del 'cattivo' di turno, più che altro perché manca un po’ di pathos una volta riconosciuto il colpevole. Le ragioni, poi, del suo gesto non aggiungono nulla ai motivi 'epici' dei bad boys della filmografia americana.
Scivolone finale con piega mistico–etica che rovina leggermente il retrogusto thriller del film, ma tutto sommato spinge quantomeno a porsi degli interrogativi e perfora la barriera del paradosso fisico presentando uno sviluppo di trama che – troppo frettolosamente – introduce a un happy ending (necessario in un film come questo) alternativo su cui si potrebbe addirittura sviluppare un’altra pellicola.
Insomma, piena sufficienza per “Source Code”, forse più ‘mentale’ di quanto si sperasse di vedere, ma pur sempre di piacevole intrattenimento (nonostante le due attrici protagoniste – Monaghan e Farmiga – a me indigeste) con una punta di interrogativo etico che, all’uscita dalla sala, richiede allo spettatore persino di porsi qualche domanda.
Film 1286 - Source Code
Consigli: Dopo "Moon" Duncan Jones si cimenta col genere commerciale e non sbaglia. Meglio stargli dietro e non perderlo di vista!
Parola chiave: Tempo.
Trailer
Ric

Film 267: "Source Code" (2011) di Duncan Jones
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Michele
Pensieri: “Source Code” è un film commerciale che, alla resa dei conti, si è rivelato meno redditizio del previsto. Nonostante le buone premesse (regia giovane di Duncan Jones, figlio di David Bowie, il buon vecchio Jake Gyllenhaal in compagnia dell’anonima Michelle Monaghan e della quasi Oscar – nel 2010 – Vera Farmiga, una trama intricata ma interessante, effetti speciali ben resi) l’incasso U.S.A. è stato relativamente basso ($53.850.556) per un film di ampio consumo come questo.
Tralasciando ciò, comunque, posso dire che la pellicola sia decisamente carina. Ripetitiva nelle parti del ricordo in 8 minuti, ma del resto era inevitabile. Un po’ deludente la scoperta del 'cattivo' di turno, più che altro perché manca un po’ di pathos una volta riconosciuto il colpevole. Le ragioni, poi, del suo gesto non aggiungono nulla ai motivi 'epici' dei bad boys della filmografia americana.
Scivolone finale con piega mistico–etica che rovina leggermente il retrogusto thriller del film, ma tutto sommato spinge quantomeno a porsi degli interrogativi e perfora la barriera del paradosso fisico presentando uno sviluppo di trama che – troppo frettolosamente – introduce a un happy ending (necessario in un film come questo) alternativo su cui si potrebbe addirittura sviluppare un’altra pellicola.
Insomma, piena sufficienza per “Source Code”, forse più ‘mentale’ di quanto si sperasse di vedere, ma pur sempre di piacevole intrattenimento (nonostante le due attrici protagoniste – Monaghan e Farmiga – a me indigeste) con una punta di interrogativo etico che, all’uscita dalla sala, richiede allo spettatore persino di porsi qualche domanda.
Film 1286 - Source Code
Consigli: Dopo "Moon" Duncan Jones si cimenta col genere commerciale e non sbaglia. Meglio stargli dietro e non perderlo di vista!
Parola chiave: Tempo.
Trailer
Ric
Etichette:
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David Bowie,
Duncan Jones,
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Michelle Monaghan,
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