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mercoledì 15 marzo 2023

Film 2170 - The Whale

Intro: Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo film, ma tutti parlavano in maniera entusiasta della performance del protagonista (e probabilmente un Oscar), per cui ho deciso di recuperarlo.

Film 2170: "The Whale" (2022) di Darren Aronofsky
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Ciarán
In sintesi: non sono necessariamente un fan dei film tratti da opere teatrali, né di quelle storie che vogliono raccontare a tutti i costi il dramma esistenziale di qualcuno. Da questo punto di vista, "The Whale" non si risparmia.
Il protagonista, Charlie (Brendan Fraser) è in fin di vita, recluso e obeso, depresso, sconfitto da un'esistenza che gli ha tolo l'amore della sua vita e lo ha privato, di conseguenza, della voglia di continuare a lottare. Si è rifugiato nel cibo e nel lavoro, che conduce da casa, isolato e nascosto da quegli sguardi altrui che lo metterebbero a disagio. La sua è una vita fatta di poche cose, a malapena riesce a muoversi autonomamente, e la sua unica consolazione parrebbe venire dal cibo e la compagnia dell'infermiera Liz (Hong Chau, vista di recente in "The Menu").
Chiaramente, viste le premesse e l'origine teatrale dell'opera, la storia si svolge interamente nell'appartamento di Charlie, un luogo a tratti naccessibile per il suo protagonista e che noi, come spettatori, scopriamo a poco a poco e man mano che il racconto procede fra racconti e ricordi di ciò che un tempo era la vita felice di Charlie. L'atmosfera cupa - l'appartamento è poco illuminato, dalla finestra vediamo che per la maggior parte del tempo piove - e, in generale, la consapevolezza della morte imminente del protagonista fanno sì che il film prenda una connotazione di pesantezza, un'irrequietudine che si percepisce per tutta la durata del racconto. Ad aggiungere ulteriore senso di malessere ci pensano i vari personaggi e la figlia (sadie Sink) di Charlie in primis.
A tratti ho avuto la sensazione che la storia cercasse volontariamente di infierire sul un protagonista già a terra, quasi un accanimento narrativo che alla lunga stanca e fa sentire impotenti. Mi rendo conto che probabilmente l'intento fosse proprio questo, che raccontare l'ultimo mmomento di riscatto di questo personaggio avesse senso nel momento in cui lo si mettesse di fronte a tutte quelle questioni in sospeso della sua vita che aveva lasciato per troppo tempo da parte, ma allo spettatore, che è unicamente testimone passivo di tutta la vicenda, è richiesto un enorme sforzo emotivo che non necessariamente viene ripagato nel finale.
Personalmente ho trovato "The Whale" - o, meglio, la storia da cui è tratto - un tantino fine a se stesso, un indulgere volontario in un mare di dolore, dialoghi violenti e momenti di disagio soffocante, il tutto per un risultato finale che mi ha lasciato un po' perplesso. Cosa mi sono portato dietro di questa storia e dei suoi protagonisti? Cosa ci vuole raccontare la trama e su cosa ci vuole far riflettere?
Non so, il dramma per il dramma non mi è mai piaciuto e, per quanto certi temi affrontati qui possano far riflette o scaturire discussioni a posteriori, rimane il fatto che, magnifiche interpretazioni a parte, mi è rimasto un po' il dubbio di cosa farmene di un film come questo. Come per tante altre pellicole che lo hanno preceduto, mi è parso che "The Whale" fosse più un mezzo per un fine (premi, festival, Oscar) che un'opera genuinamente capace di emoziare e suscitare un dibattito. Probabilmente, per quanto mi riguarda, questo è anche un momento personale in cui fatico a digerire il genere drammatico puro o gli esercizi di stile un po' fine a se stessi, per cui ho davvero faticato a farmi coinvolgere. Non lo rivedrei.
Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Hong Chau, Ty Simpkins, Samantha Morton.
Box Office: $36.6 milioni
Vale o non vale: Le interpretazioni la fanno da padrone (al di là di quelle nominate all'Oscar di Freaser e Chau, ho davvero apprezzato quella di Samantha Morton che qui e in "She Said" ha dimostrato ancora una volta di essere una grande attrice) in un film che, di fatto, funziona grazie all'ottimo cast. Un prodotto non facile da digerire e sicuramente non per tutti. Dopo anni di oblio, qui Brendan Fraser ritorna - giustamente - al centro del discorso "cinema" e, questa volta, per un ruolo diametralmente opposto a quelli cui ci aveva abituato.
Premi: Candidato a 3 premi Oscar, ha vinto per il Miglior attore protagonista (Fraser) e il trucco. 4 nomination ai BAFTA per Miglior attore, attrice non protagonista (Chau), sceneggiatura non originale e trucco. Nominato al Golden Globe per il Miglior attore drammatico.
Parola chiave: Essay.
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#HollywoodCiak
Bengi

giovedì 22 luglio 2021

Film 2034 - The Tomorrow War

Intro: Amazon lo ha talmente tanto pubblicizzato ovunque che, anche non avessi voluto vederlo, il brainwash ha in parte funzionato. E poi, lo ammetto, ho un debole per Chris Pratt.

Film 2034: "The Tomorrow War" (2021) di Chris McKay
Visto: dall'iMac
Lingua: inglese
Compagnia: Keith
In sintesi: due cose non mi hanno per niente convinto di questo film: il costante tono drammatico che appesantisce la storia (e lo spettatore) e una buona dose di mancanza di senso nello spiegare come funzioni sta cosa della guerra dal futuro.
Per quanto riguarda il primo aspetto, nonostante l'ovvia caratterizzazione drammatica della storia, la mancanza di una netta distinzione tra momenti in cui è effettivamente richiesto un cambio di passo, un "appesantimento" dei toni per così dire, finisce per decretare un appiattimento generale rispetto a come il film viene percepito. Se ogni momento, ogni scena, ogni avvenimento presenta un'accompagnamento musicale da imminente fine del mondo e non si intermezza il dramma a qualche episodio che allievi la tensione, le occasioni in cui sarebbe effettivamente richiesto di mostrare un aggravamento in tensione e drammaticità finiscono per perdere di rilevanza e e il risultato finale è piatto e manca di epicità. Non importa quanti milioni di dollari tu investa negli effetti speciali (che sono molto buoni, ad essere onesti).
Rispetto alla seconda questione, mi sfugge un po' il senso di reclutare a forza dei privati cittadini per catapultarli nel futuro, senza alcun tipo di training preventivo, per far loro combattere una guerra di cui non sanno niente, nemmeno che aspetto abbia il loro nemico. Cioè, esattamente qual è lo scopo di mandare al massacro milioni di persone non addestrate per combattere una guerra - che si sta già perdendo - senza fornire alcuna informazione pratica o tattica? Se il punto era mettere delle armi in mano a della gente a caso tanto per far numero mi sfugge il senso di prendersi la briga di costruire un marchingegno che ti faccia viaggiare nel tempo con lo scopo di arruolare nuove reclute tra i tuoi ranghi.
Senza contare che, se l'umanità del futuro non è in grado di sconfiggere il nemico alieno, perché dovrebbe essere in grado di farlo l'umanità del passato (con tecnologia e conoscenze più antiquate)?
Onestamente questa pellicola mi è sembrata solo una scusa buttarci lì qualche alieno computerizzato fatto bene e una marea di sparatorie ed esplosione che avrebbero fatto un figurone al cinema. Più di questo "The Tomorrow War" non offre, se non qualche sbadiglio.
Cast: Chris Pratt, Yvonne Strahovski, J. K. Simmons, Betty Gilpin, Sam Richardson, Edwin Hodge, Alexis Louder.
Box Office: /
Vale o non vale: Visivamente il film non ha niente da rimproverarsi, ma la trama è innecessariamente drammatica e contorta e il tono costantemente, incessantemente drammatico. Persino all'inizio, quando il protagonista Dan (Pratt) non ottiene il lavoro che voleva e tiene il broncio alla figlioletta durante le feste natalizie. Ma il senso?
Per carità, è un prodotto che si lascia vedere, ma non aspettatevi troppo.
Premi: /
Parola chiave: Toxin.

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#HollywoodCiak
Bengi

mercoledì 31 marzo 2021

Film 1977 - Calm with Horses

Intro: Secondo appuntamento cinematografico del corso di Screenwriting, continuiamo con pellicole irlandesi.
Film 1977: "Calm with Horses" (2019) di Nick Rowland
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: "Calm with Horses" non è sicuramente un titolo che da solo avrei scelto di vedere, anche se ammetto che tutto sommato la visione non è stata malvagia. Non è decisamente il mio genere di film, ma in generale il lavoro fatto qui è buono e sufficientemente interessante da coinvolgere lo spettatore nella vicenda.
Barry Keoghan è sicuramente un attore da tenere d'occhio e qui un grande protagonista, capace di rubare la scena a chiunque condivida lo schermo con lui; trovo la sua nomination ai BAFTA assolutamente meritata. Rimango un po' sorpreso dalla stessa considerazione della British Academy nei confronti di Niamh Algar che fa un buon lavoro qui, ma non ho trovato la sua performance necessariamente degna di particolare riconoscimento. Brava, ma non indimenticabile.
Di seguito, come la volta precedente, qualche considerazione che ho buttato giù in vista del confronto a lezione su questa pellicola:

Douglas (Cosmo Jarvis) is the protagonist of the story. He wants to be a good father for his child, though he is torn between the loyalty for his real family and the Devers family.
The only way Douglas knows to be a good father - or at least try to be a good one - is by providing for stolen goods or steal money for his son special school. But the criminal family and their goals should come first, as he works for them and he swore his loyalty to them. 
(Spoiler) This changes we he disobeys the order to kill Fannigan and he decides to steal the money for his kid and Ursula (Algar). 


Cast: Cosmo Jarvis, Barry Keoghan, Niamh Algar, Ned Dennehy, Kiljan Moroney, David Wilmot.
Box Office: $104,946
Vale o non vale: Titolo drammatico che mixa gangster, elementi thriller e scene d'azione ben architettate, "Calm with Horses" è un buon esordio da parte del regista Nick Rowland che combina bene elementi locali dell'Irlanda rurale e un certo appeal commerciale che funziona anche per lo spettatore qualunque. Il risultato finale è coeso e i personaggi sono ben costruiti, ma non è sicuramente un titolo per una serata rilassante davanti al pc.
Premi: Candidato a 4 BAFTA per Miglior film britannico, attrice e attore non protagonisti (Algar e Keoghan) e casting.
Parola chiave: Fannigan.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 22 marzo 2021

Film 1972 - Pieces of a Woman

Intro: Molto interessato a recuperre questa pellicola, ne ho approfittato non appena ho potuto e, soprattutto, non appena sono stato nel mood giusto. Perché diciamocelo... questo non è certo un film per tutte le occasioni.
Film 1972: "Pieces of a Woman" (2020) di Kornél Mundruczó
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: ho una particolare fascinazione per Vanessa Kirby, ancora non so esattamente per quale motivo. Sarà che la sua interpretazione in "The Crown" mi aveva colpito, sarà che qualcosa di lei mi intriga, di fatto sono rimasto molto colpito dalla sua vittoria a Venezia come Miglior attrice, il che mi ha definitivamente spinto a vedere il film di Mundruczó. E devo dire che non ho sbaglio.
In "Pieces of a Woman" - da non confondere con "Promising Young Woman" - Kirby è una protagonista straordinaria e la sua intensa interpretazione è semplicemente magnifica e anche se il tono fortemente drammatico del film "appesantisce" un po' l'idea d'insieme di tutto il progetto, non si può negare che Kirby ne esca indiscussa vincitrice. Insieme a lei uno Shia LaBeouf che sembra un po' replicare il se stesso degli ultimi tempi e una Ellen Burstyn in grandissima forma, qui negli intensi panni di una donna forte e prevaricatrice, per non dire spesso manipolatrice.
In generale, comunque, questo film si può suddividere in due grandi momenti: il pre e post parto. (Spoiler!) Martha (Kirby) dà alla luce, con non poche complicazioni, la sua bambina in casa insieme al compagno (LaBeouf) e un'ostetrica (Parker) e non appena le difficoltà sembrano essersi risolte, la neonata muore. Da questo momento in poi la storia analizzerà la lenta agonia della coppia - in cui spesso si intrometterà la madre di Martha (Burstyn) - che faticherà a rimettere insieme i pezzi di un'unione che pare non avere più senso. Nel mezzo ci sono il processo contro l'ostetrica, tradimenti, pressioni sociali e la necessità di trovare il proprio modo per scendere a patti con la trategia.
In questo, in particolare, la pellicola di Mundruczó riesce con intelligenza a rappresentare la difficoltà, il disorientamento e il senso di vuoto che accompagna i vari personaggi e, in particolare, Martha. Ognuno dei protagonisti ha il suo modo di affrontare la tragedia e tutti dovranno trovare il compromesso tra ciò che vorrebbero/di cui hanno bisogno e quello che gli altri si aspettano da loro. Da questo punto di vista, in particolare, la sceneggiatura di Kata Wéber è molto interessante e a mio avviso ben sviluppata. E, mi sento di aggiungere, a livello visivo la prima parte della storia è raccontata con una potenza narrativa pazzesca che ipnotizza lo spettatore. La tensione è palpabile e non si può distogliere lo sguardo.
Insomma, personalmente ho gradito "Pieces of a Woman", un dramma ben costruito che, anche se non si avventura in percorsi narrativamente innovativi, riesce comunque a consegnare una storia ben descritta e dettagliata e a fare un uso egregio del suo cast, con particolare riferimento alla bravissima Kirby. Che, in un mondo perfetto, meriterebbe un Oscar (insieme a Carey Mulligan), ma nella realtà si dovrà accontentare della sua nomination.
Cast: Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Molly Parker, Sarah Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie, Jimmie Fails, Ellen Burstyn.
Box Office: /
Vale o non vale: Dramma ben fatto e recitato alla perfezione, "Pieces of a Woman" è un titolo che piacerà a chi apprezza le pellicole drammatiche non urlate, quelle che si prendono il tempo necessario per affrontare a dovere la componente emotiva della storia. In questo caso, poi, la scena di apertura è semplicemente un tour de force emotivo. Vedere per credere.
Il cast è perfetto e, devo dire, lo scontro famigliare/generazionale tra Vanessa Kirby e Ellen Burstyn in questa storia aggiunge quel qualcosa in più al risultato finale che rende il tutto ancora più interessante da seguire. Poi, sia chiaro, non è un film per tutti.
Premi: Vanessa Kirby, candidata a Oscar, Golden Globe e BAFTA come Miglior attrice protagonista, ha vinto la Coppa Volpi come Miglior attrice a Venezia 77.
Parola chiave: Apple.

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#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 15 febbraio 2021

Film 1954 - Written on the Wind

Intro: Consigliato dal canale YouTube Be Kind Rewind nella sua lista di film di Natale, ho deciso di recuperare questo film della Golden Age hollywoodiana di cui non avevo mai sentito parlare.
Film 1954: "Written on the Wind" (1956) di Douglas Sirk
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: in generale un bel film, anche se ammetto che per una parte del primo tempo ho faticato a mantenere l'attenzione, riconquistata dalla trama grazie ad un secondo tempo pieno di accadimenti e una buona dose di suspense.
Chiaramente si tratta di una storia d'altri tempi, con un'evidente tendenza a una recitazione molto teatrale e un modo di affrontare alcune tematiche (alcolismo, promiscuità e sterilità) che oggi verrebbero trattate in maniera differente; in ogni caso "Written on the Wind" funziona abbastanza bene anche per lo spettatore moderno, particolarmente per chi apprezza quell'allure vecchia Hollywood che mette in campo stelle del cinema USA del calibro di Rock Hudson e Lauren Bacall che, devo ammettere, è un piacere vedere in azione.
Insomma, tutto sommato una buona alternativa alla mancanza di novità imposta da questo momento storico particolare.
Cast: Rock Hudson, Lauren Bacall, Robert Stack, Dorothy Malone, Robert Keith.
Box Office: $4.3 milioni (noleggi solo negli USA e Canada)
Vale o non vale: Drammatico e teatrale, con un buon cast e un richiamo forte quanto basta alla nostalgia della Hollywood che fu, "Written on the Wind" mantiene le promesse e consegna al suo pubblico un prodotto di qualità che non sarà un capolavoro indelebile, ma è sicuramente un titolo perfetto per chi avesse nostalgia del cinema mainstream di quei tempi.
Premi: Candidato a 3 Oscar per Miglior canzone originale, attore non protagonista (Robert Stack) e attrice non protagonista (Dorothy Malone), ha vinto per quest'ultima; Malone è stata candidata anche al Golden Globe.
Parola chiave: Pistola.

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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 14 giugno 2020

Film 1724 - Beautiful Boy

Intro: Volevo vedere questo film sia perché Timothée Chalamet è tra i protagonisti, sia perché era stato candidato a qualcuno dei premi che contano. E si sa che io gli award show li adoro...
Film 1724: "Beautiful Boy" (2018) di Felix van Groeningen
Visto: dalla tv dell'aereo
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: personalmente ho trovato questo film noiosissimo, ma non tanto in termini di realizzazione, quanto rispetto all'idea di base che presenta.
Il processo autodistruttivo e autolesionista di un tossicodipendente è stato ripreso, riadattato e riproposto ormai in tutte le salse, per cui mi rendo anche conto che non sia facile produrre qualcosa di nuovo sull'argomento, eppure ho trovato "Beautiful Boy" non solo banale nella sua idea centrale, ma anche maledettamente arrogante.
C'è una strafottenza nel personaggio di Nic (Chalamet) che fa venire voglia di prenderlo a schiaffi e un'impotenza frustrante in quello di David (Carell) che si riversa completamente sullo spettatore, tanto che ci si chiede più volte durante la visione perché questa famiglia non faccia qualcosa di concreto per riprendere in mano le redini della propria vita. Sì, ci sono i litigi, i confronti, le riabilitazioni, le buone intenzioni, eppure sembra che tutti si siano arresi all'idea che questa sia la loro vita, che non ci sia una via d'uscita e che l'unico modo di affrontare tutto questo dolore sia riconoscerlo e trovare un modo per accomodarcisi dentro.
Ho voluto finire di vedere "Beautiful Boy" perché trovo Timothée Chalamet un bravissimo attore e, onestamente, mi sono dovuto sforzare per trovare la forza di non mollare la visione per ben più di una volta. Detesto quei titoli che ti mettono di fronte ad una situazione difficilissima con il solo scopo di renderti testimone di un disagio. E' troppo facile ritrarre il dolore in questo modo, troppo banale e passivo. E' come se questo film, al pari della famiglia di cui parla, si sia arreso in partenza e trovi piacere nel solo fatto di mettere in scena una dramma che abbia l'unico scopo di fare pietà (e quindi sollecitare le simpatie emotive del pubblico o della critica). Non ci siamo. Ps. Tratto dalla storia vera - e relative opere letterarie - di David Sheff ("Beautiful Boy: A Father's Journey Through His Son's Addiction") e Nic Sheff ("Tweak: Growing Up on Methamphetamines").
Cast: Steve Carell, Timothée Chalamet, Maura Tierney, Amy Ryan, Kaitlyn Dever, LisaGay Hamilton, Timothy Hutton.
Box Office: $16.6 milioni
Vale o non vale: In inglese con il termine crowd-pleaser ci si riferisce a qualcosa o qualcuno che piace alla gente, che esercita un fascino positivo sulle persone. Estendendo il termine a questa pellicola, credo che uno degli intenti di fondo (voluto o no) fosse quello di proporre al pubblico un drammone che conquistasse le simpatie dello spettatore e, per estensione, di quella critica che ha forte potere persuasivo rispetto alle premiazioni che contano. Qualche risultato concreto c'è stato, ma il box-office è stato disastroso - il film è costato tra i 19.3 e i 25 milioni di dollari - e tutto sommato in pochi si ricordano dell'esistenza di "Beautiful Boy". Ed è un peccato, per il cast è assolutamente perfetto e ci sarebbero molti spunti sui quali poter lavorare con serietà, però la sceneggiatura sceglie di intraprendere una strada banale e passiva, tanto gratuitamente complicata quanto frustrante.
Ci sono film sulla droga o la dipendenza sicuramente più interessanti e riusciti, uno su tutti "Trainspotting".
Premi: Candidato al Golden Globe e BAFTA per il Miglior attore non protagonista (Chalamet).
Parola chiave: Riabilitazione.

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Bengi

lunedì 27 maggio 2019

Film 1599 - Closer

Intro: Avevo visto questa pellicola una sola volta al cinema quando era uscita e ultimamente mi era tornata la voglia di rivederla, così alla prima occasione buona ne ho approfittato.
Film 1599: "Closer" (2004) di Mike Nichols
Visto: dal computer portatile
Lingua: inglese
Compagnia: nessuno
In sintesi: amare e farsi del male. Praticamente questa la trama di "Closer", pellicola palesemente tratta da un'opera teatrale, eppure inaspettatamente immune alla logica da interno cara al teatro;
credo che "Closer" sia un film interessante e ben realizzato, anche se troppo spesso devoto all'eccessiva drammatizzazione, il che alla lunga può stancare. Capisco che si voglia descrivere un tipo di amore che tende a mettere in pratica la scelta sbagliata, ma con questo si rischia molto spesso di mettere in scena una serie di comportamenti antipatici e poco realistici. Poi, si sa, è un'opera di finzione e va bene esplorare attraverso l'esagerazione territori altrimenti nella vita meno comuni, però mi chiedo quante volte si possa tornare sui propri passi in nome di una relazione. Della serie: prendete una decisione e conviveteci. Detto questo, ho comunque apprezzato l'opera nel suo insieme grazie all'ottima regia di Nichols e la performance corale dei quattro protagonisti. E poi vogliamo parlare di quanto sia bella la locandina?
Cast: Julia Roberts, Jude Law, Natalie Portman, Clive Owen.
Box Office: $115 milioni
Vale o non vale: Un drammone romantico che analizza il rapporto a 4 tra due coppie che scoppiano, per riassortirsi e rimescolarsi con il procedere della trama. Non per ogni occasione, ma comunque un buon film.
Premi: Candidato a 2 premi Oscar per le performance degli attori protagonisti (Portman e Owen) che, per la stessa categoria, hanno vinto entrambi il Golden Globe (su 5 nomination tra cui Miglior regia e film); Owen ha vinto anche il BAFTA come Miglior attore non protagonista sulle 3 nomination ricevute nel complesso dal film (anche sceneggiatura e attrice non protagonista).
Parola chiave: Tradimento.

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#HollywoodCiak
Bengi

domenica 19 febbraio 2017

Film 1309 - Il nome del figlio

Poe era curioso di vederlo e io, francamente, ero rimasto incuriosito dal trailer. Quindi abbiamo deciso di dare a questa pellicola italiana una chance.

Film 1309: "Il nome del figlio" (2015) di Francesca Archibugi
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Poe
Pensieri: Mi aspettavo una commedia e, invece, mi sono trovato di fronte ad un quasi dramma estremamente teatrale che del dialogo e degli equivoci (voluti) fa il suo centro. "Il nome del figlio", insomma, non è stato per niente quello che mi immaginavo e, anzi, mi ha ricordato due diverse pellicole. La prima è "Amami se hai coraggio", film francese con Marion Cotillard e Guillaume Canet in cui i protagonisti innamorati perdono il loro tempo a sifdarsi in maniera insensata alla ricerca di una vittoria sull'altro priva di valore, ma per loro più importante che dichiararsi addirittura i propri sentimenti. In questo titolo mi pare ci sia una sorta di sadismo simile, un gioco al massacro ricercato che è brutto perché voluto e istigato. E nei film, come nella vita, questo tipo di volontaria flagellazione non mi piace; la seconda è "Perfetti sconosciuti" dato che, come nel film di Genovese, il raduno attorno alla tavola è un momento di scompiglio e sconforto in grado di destabilizzare gli equilibri preesistenti e di andare a fare leva su quegli elementi che spingeranno la storia in una determinata direzione. In "Perfetti sconosciuti" come qui ci sono molte somiglianze tra le storie, il che francamente mi ha un po' infastidito.
Va detto, comunque, che i quattro attori protagonisti sono formidabili. In particolare mi riferisco a Gassmann, Lo Cascio, Golino e Papaleo che riescono a rendere credibile la storia dall'inizio alla fine nonostante tutto. La Ramozzotti, che pure è brava, ha però il brutto vizio di ricadere sempre nello stesso ruolo di scemetta disagiata dal mistico accento marcato e il perenne broncio da una vita di sfighe. E dire che qui è quella messa meglio. Il suo personaggio - la scema ignorante che non finge di essere quello che non è - è però proprio il più debole, il più facile e scontato e certamente quello che a livello di evoluzione non compie alcun percorso inaspettato, ma va esattamente a parare dove ti aspetti. Per quanto riguarda i personaggi dei bambini, invece, sono semplicemente inutili nonché elemento di disturbo che spezzano il ritmo del racconto e di cui francamente non si sentiva il bisogno.
In ogni caso - nonostante la storia non mi abbia soddisfatto e il film abbia tradito le aspettative che, anche grazie al trailer, mi ero fatto - devo riconoscere che a prescindere dallo stampo teatrale ed iper-dialogico, non si soffre di claustrofobia e non ci si annoia. Sì, ci sono davvero tanti dialoghi e una marea di inutili litigi, ma la scemata del romanzo becero e best seller è una perfetta metafora dei giorni nostri, vedere la Golino recitare è un piacere e anche se Lo Cascio che twitta è credibile come Bristney Spears con un Oscar, la sua bravura e solidità come attore lo fanno uscire a testa alta anche da un ruolo infelice come quello che ha qui.
Dunque non un titolo soddisfacente, ma con elementi di cui essere soddisfatti (leggi cast).
Ps. Le scene finali del parto sono vere.
Pps. Il film è stato candidato a 4 David di Donatello, di cui 3 per le categorie attoriali (Gassman, Lo Cascio e Ramazzotti).
Cast: Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio, Valeria Golino, Micaela Ramazzotti, Rocco Papaleo.
Box Office: € 2.765.000
Consigli: Storia volutamente assurda su un gruppo di amici-misto-familiari che nel corso di una cena decide di perpetrare uno scherzo continuo che non tarderà a diventare gioco al massacro. Nonostante le premesse comedy, il film preferisce prendere ben presto le strade ben battute del dramma all'italiana che, oggi, mischia volentieri i classici temi del tradimento, pregressi infantili, esclusione, ecc con nuovi esperimenti trendy che coinvolgono le nuove tecnologie e la fama becera. Non sarebbe un mix malvagio, ma manca un filino di originalità, anche perché nella struttura questo film rimane molto legato ad un'impostazione rigidamente classica (e teatrale). Insomma, "Il nome del figlio" strizza l'occhio a tante cose che, però, si dimentica di portare in tavola, rimanendo così più volentieri ancorato a quella safe zone cui in Italia ci piace tanto soggiornare. Va bene eh, basta saperlo nel momento in cui si scegli di vedere l'ennesimo dramedy che non aggiunge né toglie alcunché all'economia della nostra cultura cinematografica.
Parola chiave: Benito.

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Bengi

martedì 4 giugno 2013

Film 557 - La scoperta dell'alba

Un po' malaticcio, ieri sera ero alla ricerca di qualcosa da guardare per la mia serata casalinga che non fosse il solito film-disimpegno. E ho scelto, insolitamente, una pellicola italiana...

Film 557: "La scoperta dell'alba" (2012) di Susanna Nicchiarelli
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia:
Pensieri: Dal libro omonimo scritto da Walter Veltroni, la regista-sceneggiatrice-attrice del precedente "Cosmonauta" trae questa pellicola che svolazza tra tematiche fantasy, dramma e denuncia. Terreni insolitamente mischiati per il cinema italiano. E forse in generale.
Trattando di Brigate Rosse, genitori scomparsi, persone giustiziate a colpi di pistola e viaggi nel tempo,"La scoperta dell'alba" si incammina per sentieri sinceramente inaspettati e, per quanto riguarda questo aspetto, è stata una piacevole sorpresa. Peccato, però, che il tutto sia guastato dalla solita tendenza del nostro cinema a rendere il tutto negli unici toni autodefiniti di qualità, ovvero quelli drammatici ed esasperati.
In quest'ottica Margherita Buy non ha rivali, essendo l'unica attrice italiana a recitare in maniera drammatica anche quando sorride, essendosi specializzata in ruoli da isterica single altoborghese con una tendenza al sussurrato o allo sguardo contrito. E non importa che debba ordinare un caffé al bar o staccare la spina ad un malato terminale, la sua recitazione sarà ugualmente sofferta.
Anche in questo caso, quindi, il respiro affannato e lo sguardo carico di speranze infrante finisce per farla da padrone, guastando un'atmosfera che, talvolta, avrebbe potuto regalare momenti meno pesanti. La colpa, per carità, non è solo dell'elemento Buy - per quanto in alcune scene sia evidentemente sottotono -, ma anche di una sceneggiatura che, pur di dare risposte alle non poche domande sollevate durante la visione, finisce per sottovalutare alcuni passaggi, finendo per trattarli in maniera sbrigativa o superficiale. Come si può, per esempio, pensare che due bambine negli anni '70 rispondano senza fare una piega ad una telefonata di loro stesse dal futuro? E com'è possibile che intervenendo sul passato, il personaggio della Buy non influenzi anche il suo presente? Già solo queste due domande, a mio avviso, rendono l'idea dell'incompletezza che intacca alcuni passaggi di questa pellicola.
In ogni caso, non posso dire che l'approccio della Nicchiarelli mi sia piaciuto, e per quanto riguarda la sceneggiatura e per la resa dei personaggi di contorno, macchiette veloci e fugaci, incapaci di donare alla cornice un benché minimo spessore narrativo. Giusto Sergio Rubini riesce nell'intento di risultare un po' incisivo. La colpa non è tanto degli attori, quanto proprio della mancanza di appeal nella sceneggiatura.
Divido, quindi, il mio parere su "La scoperta dell'alba" in due: lo spunto della storia ha decisamente il suo fascino (ma questo è merito del libro di Veltroni), ma, per come viene reso il tutto, si finisce per rovinare il risultato finale uniformandosi al solito prodotto del cinema italiano uguale a sé stesso quando si trattano argomenti drammatici: è incapace di elevarsi a qualcosa di nuovo o originale.
Ps. Bruttissimi costumi.
Pps. Lina Sastri un po' sacrificata in un ruolo a passeggio che sarebbe stato più interessante vederre approfondito.

Consigli: Non un esperimento malvagio, ma purtroppo sempre influenzato dalla nostra tradizionale idea di pellicola drammatica, dove i bisbigli si sprecano, la protagonista è una nevrotica intelligentona un po' solitaria e il tutto finisce per essere sempre troppo simile ad una qualsiasi fiction destinata al grande pubblico televisivo. Per chi ama la Buy è il film perfetto. Per gli altri, nel caso di necessità di svago, sicuramente è meglio direzionarsi su altri lidi.
Parola chiave: Telefono.

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Bengi

venerdì 5 aprile 2013

Film 524 - Upside Down

Secondo appuntamento casalingo con Leoo.


Film 524: "Upside Down" (2012) di Juan Solanas
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Leoo
Pensieri: "Upside Down" non mi ha particolarmente convinto, mi è anzi sembrato pretenzioso, ma senza le carte in regola per sfondare veramente. C'è sempre la sensazione che manchi qualcosa, che ci sia quel momento in cui rimani veramente rapito dal film. La storia è sì affascinante, ma non coinvolgente. Le location sono d'effetto, ma fredde e molto 'digitali'. L'amore dei due protagonisti è grande - di quelli che rischio tutto ciò che ho per te -, ma non mi ha mai smosso nulla che non fosse la sensazione di già visto.
Nonostante la cornice affascinante dei due mondi sovrapposti e contrari, niente di originale è davvero collocato nell'intreccio narrativo. Si brucia d'amore come ci si brucia a stare nel mondo opposto a cui non si appartiene, eppure guardando non c'è un solo momento in cui il film coinvolga davvero in maniera genuina. Più che un'operazione a grosso budget mi è sembrato il tentativo un po' ingenuo di intraprendere la via del kolossal fantasy senza saperlo davvero gestire, componendo i pezzi di una storia ritagliando qua e là da ciò che già è stato scritto, narrato e fatto vedere: cambia solo la prospettiva. E allora bisognava giocarsi meglio questi due personaggi (Eden/Kirsten Dunst e Adam/Jim Sturgess, lascio a voi i commenti sull'imbarazzante scelta di questi nomi), parlare di una storia d'amore meno scontata, meno banale. Lei ha perso la memoria e lui fa di tutto per fargliela tornare; anche se non potrebbe perchè appartengono a mondi diversi da cui, in teoria, sono esclusi reciprocamente se non per quelle poche ore che precedono il loro andare a fuoco. Se non è chiaro, ecco i principi fisici che regolano il doppio mondo di "Upside Down": 

1) Tutta la materia è attratta dal centro di gravità del pianeta da cui proviene, non l'altro. 
2) In virtù della prima regola, il peso di un oggetto può essere controbilanciato con la materia del mondo opposto ("materia inversa"). 
3) Dopo un variabile, ma solitamente breve, lasso di tempo, la materia a contatto con quella inversa dà origine alla combustione.
Dunque la cornice è anche interessante, ma poi il fulcro della vicenda è trito e privo di idee veramente originali.
In generale non è comunque una pellicola inguardabile - io, però, in qualche punto breve mi sono appisolato - e immagino che abbia un suo pubblico (qui si parla di fantasy, altri mondi possibili, romance, drama e anche etica sotto certi aspetti, nonché qualche slancio di critica sociale all'acqua di rose - nel mondo di sotto sono tutti poveri e lavorano per quelli benestanti, belli e puliti del mondo di sopra -), ma non posso sinceramente dire che il film mi abbia soddisfatto. Lo sguardo magnetico da post-stupefacenti della Dunst ha sempre qualcosa che mi attrae e in effetti rende molto bene accompagnato ai tramonti sempre luminosi e patinati sullo sfondo, ma questo non può valere un'intero prodotto cinematografico. Peccato, le premesse - e un po' di pretese - c'erano.
Ps. Box office disastroso: 50 milioni di dollari per produrlo, $8,001,380 di incasso. Mondiale.
Consigli: Ci sono pellicole della Dunst più interessanti e riuscite ("Melancholia", per esempio), anche se l'attrice ultimamente non sta azzeccando grandi successi ("The Wedding Party", orrendo). Questa ha un incipit interessante, ma per il resto non è nulla che non si sia già visto in altre 100 storie.
Parola chiave: Crema cosmetica.

Trailer

Bengi

sabato 6 ottobre 2012

Film 458 - 50 e 50

Tema complesso, ma promesse quasi da commedia. Ero curioso...


Film 458: "50 e 50" (2011) di Jonathan Levine
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Scoprire di avere un cancro praticamente rarissimo all'età di 27. E, soprattutto, di avere il 50% di possibilità di sconfiggerlo.
So che la premessa potrebbe sembrare non essere delle più divertenti, ma il punto forte di "50 e 50" è la naturalezza con cui viene presentato il problema. Se fosse uno di quei drammoni sulla malattia, non credo mi sarei avvicinato troppo volentieri, ma qui il prodotto è diverso e affronta l'argomento senza commiserazione o visioni patetiche. Dolore e accettazione, paura e smarrimento, frustrazione e incertezza per un futuro che non si sa più se sarà così prossimo: Joseph Gordon-Levitt da anima e corpo al suo personaggio Adam con una sensibilità e dignità da plauso. Subisce il mondo che lo circonda solo in apparenza e lo dimostrerà alla fine, capace di affrontare un'operazione complessa che comporterà, nella storia, il passaggio che cita il titolo: vita o morte?
Nonostante, appunto, il tema non sia dei più allegri, il film non risulta pesante o soffocante, ma racconta con delicatezza e senza 'urlare' la storia di un 'amicizia che, già solida, lo divverrà ancora di più proprio a causa della malattia - il rapporto 'cazzone' tra Adam e l'amico Kyle (Seth Rogen) - e delle storie d'amore che il protagonista ha e avrà durante i 100 minuti di pellicola (Bryce Dallas Howard prima, Anna Kendrick poi).
E' un prodotto piacevole e ben realizzato, curato nella presentazione di personaggi per niente piatti che, come tutti, si ritrova ad affrontare situazioni impreviste della vita reagendo ognuno a suo modo (condivisibile o meno che sia). Quest'aria di autenticità, prima di una certa stucchevolezza familiare a tematiche affini a quella che si ha qui - finisce per dare valore a "50/50", esaltando la capacità degli attori e il risultato finale in generale.
Dispiace solo che, ultimamente, a Bryce Dallas Howard affidino spesso parti piuttosto negative. E' brava, ma la vorrei vedere in ruoli meno da stronza. Nel cast anche il premio Oscar Anjelica Huston e Philip Baker Hall ("Dogville", "Magnolia", "The Truman Show").
Ps. Due nomination ai Golden Globes di quest'anno (Miglior film commedia o musical e Miglior attore protagonista commedia o musical per Joseph Gordon-Levitt) e $39,187,783 a fronte di una spesa di 8 milioni.
Consigli: Una volta che si è consapevoli di cosa tratti la trama credo che sia un film bello e piacevole, capace di far riflettere senza angosciare lo spettatore.
Parola chiave: Schwannoma neurofibrosarcoma.

Trailer

BB

mercoledì 9 marzo 2011

Film 229 - Il cigno nero

Dovendo sfruttare un ingresso gratis al cinema, siamo stati felici di tornare a vedere uno dei più bei film usciti finora dall'inizio dell'anno.


Film 229: "Il cigno nero" (2010) di Darren Aronofsky
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Marco
Pensieri: Questa seconda visione ha confermato "Il cigno nero" quale uno dei migliori film dell'ultimo periodo. Vederlo di nuovo mi ha aiutato a concentrarmi su particolari nuovi, su suoni che avevo perso, su colori che da casa non avevano reso così bene.
Tutto quanto avevo già detto precedentemente nell'altro commento al film [link] lo ribadisco fermamente e, anzi, ora sono anche più convinto, oltre che della bellezza di quest'opera, anche della bravura della sua protagonista. Finalmente impugnato il suo meritatissimo Oscar, Natalie Portman è la regina incontrastata non solo del palcoscenico, ma della scena mondiale attuale. Ad appena un giorno dalla premiazione, infatti, esprime il suo sdegno per i commenti da antisemita di John Galliano, lei che con Dior ha appena stipulato un contratto. Sdegno, impegno e ribellione sono i punti di forza della grandissima Portman che, nella vita come nel film, si batte e lavora sodo per ciò in cui crede.
Grandissimo Darren Aronofsky alla regia, capace davvero di emozionare portando sullo schermo una storia così intensa, a tratti da pelle d'oca. Al cinema, man mano che l'intreccio si sviluppava, eravamo tutti noi spettatori sempre più ammutoliti tanto era il coinvolgimento per questa pellicola.
Come dicevo, per quanto riguarda la mia esperienza, ha contato tantissimo questa riscoperta dei suoi, della musica e di certi passaggi (o dettagli) che mi ero perso. Tra l'altro la scena in discoteca è la migliore scena girata in un club che io ricordi. Singolare, per un film come questo...
Bello, bello, bello! Ne vale davvero la pena.
Consigli: Un piccolo capolavoro sospeso tra danza e violenza, fisicità e sacrificio, dramma e dark. Niente male per un film solo.
Parola chiave: Specchio.


Ric

domenica 6 marzo 2011

Film 225 - Rabbit Hole

Altro film, altra preparazione agli Oscar. Questa volta, dopo la cena, un dramma non da poco.


Film 225: "Rabbit Hole" (2010) di John Cameron Mitchell
Visto: dalla tv del Puffo
Lingua: italiano
Compagnia: Gianpaolo, Marco, Diego, Andrea Puffo
Pensieri: Cos'è che c'entra questa tana del coniglio con il film in questione?
Diciamo che, nella trama, si riferisce ad un fumetto. Ma che ci sia anche un significato altro?
Nicole Kidman qui è Becca, madre che sta affrontando il dolore per la perdita del figlio di 4 anni assieme al marito (Aaron Eckhart) e, non sapendo bene come uscirne, cerca di intraprendere varie strade. Tornare al lavoro non funziona (ormai è fuori dal giro), la notizia della sorella incinta di un maschietto non aiuta, le sedute di terapia di gruppo non fanno per lei, ma, pare, trovi conforto nel dialogare con il ragazzino che ha effettivamente (per errore o negligenza non è il punto) investito suo figlio.
Se il tema del dolore è giustamente personale, rimane comunque una scelta strana - per non dire volutamente provocatoria - quella di affidare il ruolo di riconciliatore allo stesso individuo che ha causato il dramma. Di fatto il giudizio sulla scelta rimane sospeso, equilibrato dallo sdegno del marito che, giustamente, di frequentare il ragazzino non ci pensa proprio. Ma non aggiungo altro per non rovinare la trama. Emozioni forti in agguato, comunque.
Per concentrarci sull'interpretazione della Kidman, invece, direi che siamo tornati a uno standard piuttosto elevato, ma non sono sicuro al 100% che le valesse una terza nomination all'Oscar. Ad analizzare maliziosamente gli eventi, questo ritorno alla qualità - dopo anni di produzioni sfortunate - per Nicole è stata una benedizione non da poco, considerando poi i ruoli sempre più marginali ritagliati per lei nei film ("Nine") o le parti da dimenticare ("La bussola d'oro", "Invasion", "Vita da Strega" o il pessimo "La donna perfetta"). Decisamente determinata a tornare in vetta, grazie a questo film c'è stato un oggettivo miglioramento, nonché un ritorno alla qualità solita cui Nicole ci aveva abituato con grandissimi film ("Moulin Rouge!", "The Others", "Ritorno a Cold Mountain"). Insomma, cinema impegnato, apparizioni dosate, un pubblico addio al botox e un ritorno al naturale rosso di capelli che tanto l'aveva resa celebre. E' l'inizio per un ritorno con le scintille. Ma, sia chiaro, l'Oscar non aveva alcuna chance di vincerlo.
Buono il resto del cast, con Eckhart un po' faccione di plastica, ma intenso. Sarebbe da valorizzare un attimo di più come attore, fatica a farsi prendere sul serio e, invece, non è da sottovalutare. Fedele al suo personaggio (televisivo) rimane Sandra Oh che non aggiunge nulla di nuovo (se non quanto già visto in tv) alla sua Gaby. Sempre bravissima Dianne Wiest, un'espressività ed intensità davvero notevoli. Sguardi che dicono tutto, senza bisogno di parole. Una vera attrice.
La pellicola in sé non aggiunge niente di nuovo al panorama del dramma familiare ed ha una certa anima patinata da rivista delle case da sogno che un po' intralcia lo scopo e un po' infastidisce. Non è un film totalmente riuscito (non a caso solo la performance della Kidman è stata notata), ma nonostante questo non si può dire che sia pessimo. Forse non scava troppo a fondo nel personaggio della madre (che risulta a suo modo piuttosto freddina, quantomeno all'inizio) e il tutto rimane un po' una vana esibizione delle capacità attoriali (sicuramente riconosciute) della diva hollywoodiana. Tutto sommato, direi benino. Meno.
Consigli: Pellicola da fazzoletto facile. Ma analizzato dal dopo-dramma in poi e con uno strano approccio alla vicenda. Guardare e decidere se, dopotutto, la Kidman è tornata finalmente al grande cinema.

Parola chiave: Dolore.



Ric

domenica 22 agosto 2010

Film 129 - Brotherhood

Dopo mesi estivi di silenzio, torno davanti alla tastiera finalmente per scrivere qualcosa. L'estate non è ancora finita e, anche se pensavo avrei lasciato la voglia di scrivere al rinnovato fresco, mi ritrovo con una marea di film di cui parlare ed effettivamente una certa voglia di ritornare sul blog.
Bene, dunque, nonostante mi sia dedicato anima e corpo a non far nulla, qualche filmetto (e una serie tv - "Studio 60 on the Sunset Strip" - che consiglio caldamente. Una sola stagione, ma davvero interessante per capire la tv americana) c'è scappato. Poco cinema e molto dvd o streaming.
Ovviamente si riprende da dove avevo lasciato - parliamo di fine giugno/inizio luglio - per rispettare rigorosamente l'elenco del 'visto' che necessita decisamente di essere aggiornato! Tra l'altro questa è la prima recensione dalla nuova postazione casalinga, finalmente resa accettabile dopo lavori e rogne, quindi motivo in più per rimboccarsi le maniche e riprendere di buona lena!
Si riapre con qualcosa di forte, che sicuramente ha scosso chi ha deciso di vedere la pellicola in questione...


Film 129: "Brotherhood" (2009) di Nicolo Donato
Visto: al cinema [anteprima]
Lingua: italiano
Compagnia: Federica, Stefano, Dario, Enrico
Pensieri: No, non è esattamente come "I segreti di Brokeback Mountain" questo film. Non è così patinato, non è così sexy. Gli attori sono sconosciuti al pubblico italiano, hanno facce nordiche, alcune un po' inquietanti. Non a caso siamo in una gang neonazista danese, non proprio un ambiente pacifico e di intenti no profit.
Al dilà dell'inquietante quadro della gang, della violenza sull'altro e della presunzione del gruppo, comunque, rimane impresso nello spettatore sia l'insensata stupidaggine di chi inneggia a supremazie e violenze, sia la contrapposta delicatezza della storia d'amore che sboccia tra i due pupilli della gang.
Ovviamente non si può dire ad alta voce, il gruppo farebbe pagare cara la pelle ai due innamorati, ma è già un passo avanti la presa di coscienza del duo, contrapposta ad un silenzio assenso che in Brokeback è leggermente più fastidioso.
La trama di per sé è semplice, quanto detto finora riassume, seppure in breve, ciò che accade durante i 90 minuti di pellicola. Ovviamente c'è da mettere in conto insulti, malavita, sputi, un'ideologia spaventosa e quanto di più difficile si possa raccontare in una sola storia. Per questo lascia ben sperare che anche all'interno di un'estremità così radicale possa presentarsi l'eventualità di un amore tra due uomini. Non ci sarebbe niente di male, e lo sappiamo tutti, solo che ancora un po' sorprende il tema 'gay' e, per sdoganarlo, siamo nella fase in cui si punta a raccontare l'estremo o l'inimmaginabile. L'attenzione di chi guarda (intelligentemente) dovrebbe concentrarsi sull'approfondimento di una realtà sicuramente contemporanea e di difficile comprensione e non tanto sulla rarità sbalorditiva che potrebbe essere la storia omo tra due neonazisti.
Consigli: Interessante e giustamente premiato, è decisamente un titolo da tenere presente.
Parola chiave: Casa isolata.


Ric

mercoledì 27 gennaio 2010

Film 66 - Gli abbracci spezzati

Avevo iniziato a vedere questo film con Ale qualche tempo fa, ma non eravamo andati oltre i primi 10 minuti. Così, domenica, ho deciso di continuare la visione in solitaria e recuperare un film (che avevo perso e) che si annuncia essere uno tra i più nominati e premiati delle cerimonie cinematografiche di stagione!


Film 66: "Gli abbracci spezzati" (2009) di Pedro Almodóvar
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Pedro, Pedro Pedro, con "Volver" mi avevi decisamente conquistato! Questo "Gli abbracci spezzati" è un po' meno potente, però. Ovvio, è sempre e solo il mio punto di vista, ma non posso dire - visto le aspettative elevate - che mi sia piaciuto.
La storia si divide in due frammenti storici: il 2008 e il 1994. Penelope Cruz appartiene alla parte di racconto che si svolge negli anni '90. Parliamo un attimo di Penelope: è veramente divina! Non solo è bella (e non convenzionale), ma è anche bravissima. Finalmente Hollywood le ha riconosciuto il successo che meritava ben oltre i filmetti blockbuster ("Sahara") o le commediole senza senso ("Bandidas"). E di questo sono molto felice! La collaborazione con Almodóvar, poi, sembra davvero benefica e la tiene ben salda alle sue origini spagnole evitandole (o concedendole il lusso, a seconda del punto di vista) di (non) dover affermare con smania la propria presenza sul mercato americano. Così ha la possibilità di scegliere un attimo meglio le pellicole cui partecipare.
Qui Penelope è Lena, ragazza di estrazione sociale umile che si riscatta accoppiandosi con un uomo decisamente ricco. Il guaio è che quest'uomo ne è ossessivamente innamorato, tanto da farla spiare una volta che la donna prende parte alla realizzazione di un film. Ovviamente - poteva non essere? - le capiterà di innamorarsi del regista Mateo Blanco (interpretato da Lluís Homar) che, a sua volta si innamorerà di lei. Dramma su dramma, la storia finisce male e procede fino a ricongiungersi al tempo odierno, con Mateo cieco che si fa chiamare con lo pseudonimo Harry Caine. Altro non lo posso dire...
Di spezzato, in questo film, oltre al titolo abbiamo anche altre cose. Innanzitutto la cosa più evidente: la storia. Perchè? Grazie al montaggio, che alterna l'oggi al passato e ci trasporta tra un nodo e l'altro della matassa fino a districarne completamente i fili. Poi c'è l'amore, che vorrebbe essere libero, ma non può perchè nato in una situazione difficile. Ancora, la vita spezzata dei protagonisti che, in un modo o nell'altro, vedono le loro esistenze sconvolte dalla passione e da chi vuole impedire loro di vivere sereni il loro sentimento. E, infine, c'è ancora un rimando, ma qui mi limito a citare (al solito Wikipedia): 'Ad ispirare il titolo del film è "Viaggio in Italia" di Roberto Rossellini; per l'esattezza si riferisce alla sequenza del ritrovamento negli scavi archeologici di Pompei dei due cadaveri abbracciati colti dalla lava, vista da Lena e Mateo (Penélope Cruz e Lluís Homar) in un momento d'intimità'.
Di veramente apprezzabile, oltre alla bravura di Penelope, in questo film c'è sicuramente l'ottimo cast, la mano capace e sicura di Almodóvar (sia alla sceneggiatura che alla regia), una bellissima fotografia e i set (vedi quelli della vacanza della coppia) veramente straordinari!
Il tutto crea un bel film, nell'insieme, ma non quello che mi aspettavo. Come al solito, l'aspettativa genera attesa e l'attesa brucia il piacere della visione. Forse volevo un nuovo "Volver" (a proposito: solo io noto una certa somiglianza tra le locandine dei due film?! Penelope in primo piano, sfondo rosso, scritte bianche, labbra posticce con il colore rifatto al pc... Casualità?!) e, nel cercarlo, non ho trovato quello che volevo.
Consigli: Ai più sensibili un bel fazzoletto potrebbe far comodo...
Parola chiave: 'Ragazze e valigie'.




Un ps. dell'ultima ora: "Avatar" batte ufficialmente "Titanic" e diventa il film che ha incassato di più nella storia del cinema!!! (http://www.imdb.com/boxoffice/alltimegross?region=world-wide)
Con, ad oggi, $1,842,981,691 contro i $1,835,300,000 del precedente film di Cameron, che è stato primo in classifica per 12 anni, il film su Pandora ha scalzato il rivale a poco più di un mese dall'uscita nelle sale cinematografiche mondiali. Quando si fermerà avrà raggiunto almeno i 2 miliardi di dollari? Io credo proprio di sì!


Ric