Non che smaniassi per vederlo, ma Poe ci teneva molto. La proposta dello streaming ha fatto vincere (grazie a Dio) la versione in inglese, così almeno ci siamo evitati il doppiaggio da soap opera tipico per prodotti tutto cuori e fazzoletti come questo.
Film 1194: "Me Before You" (2016) di Thea Sharrock
Visto: dal computer di casa
Lingua: inglese
Compagnia: Poe
Pensieri: Nel tentativo di ricavalcare l'onda ormai un po' passata di "Colpa delle stelle", questo "Me Before You" regala al pubblico una storia strappalacrime tra disabilità ed eutanasia, il tutto condido con l'amore vero che sboccia all'improvviso, ovviamente. L'originalità del film non è esattamente fulminante, anche se un certo fascino dei protagonisti e la cura delle immagini (molto patinate) addolciscono i sentimenti verso un prodotto così specificamente mirato ad una particolare tipologia di pubblico, nel quale francamente fatico a riconoscermi.
Al di là della ricerca della lacrima facile, questo tipo di commedia romantica da "ultimo stadio" è un po' troppo costruita sull'eccezionalità della cosa, oltre che sul dramma preannunciato, il che a mio avviso conferisce al tutto un'anima artificiosa e livella il racconto alla semplice straordinarietà dei fatti o dei suoi protagonisti evitando di approfondire l'elemento umano, che è poi la base di ogni relazione. La disabilità del protagonista Will (Sam Claflin), pur trattata ampiamente, interessa alla sceneggiatura più che altro come elemento funzionale e dunque rimane in secondo piano rispetto a un romanticismo tanto scontato e sdolcinato che è, tuttavia, il vero motore di tutta l'operazione. Per quanto nobile possa essere il portare all'attenzione del grande pubblico la questione, non ci si smuove dal fatto che è la scintilla amorosa ad essere il vero cardine di tutta l'operazione. Sì, è vero che poi si tratta di una storia decisamente meno convenzionale del solito, considerato che - spoiler! - alla fine Will muore, ma in ogni caso si possono cambiare le carte in tavola quanto si vuole: il risultato - rispetto a titoli simili - non cambia.
Dunque niente di nuovo e, soprattutto, niente di particolarmente esaltante. Il contagioso ottimismo di Lou (Emilia Clarke), che passa solo attraverso l'inesausto movimento di sopracciglia della ragazza, è più irritante che consolante e l'amore in sedia a rotelle è dolce e ispira buoni sentimenti, ma dal momento che "Me Before You" si ferma solo a questi, il risultato finale non può essere sufficiente. Non è una buona storia solo perché si racconta una bella storia. E' un prodotto ben confezionato, ma niente di più.
Ps. Tratto dal romanzo omonimo di Jojo Moyes del quale esiste un seguito, dal titolo "After you".
Cast: Emilia Clarke, Sam Claflin, Janet McTeer, Charles Dance, Brendan Coyle, Matthew Lewis, Samantha Spiro, Joanna Lumley, Vanessa Kirby, Ben Lloyd-Hughes.
Box Office: $194.3 milioni
Consigli: Penso che si tratti di un film adatto solo a chi sia veramente motivato a vederlo. C'è la malattia, c'è il rifiuto, il dolore, la morte e tutta una serie di elementi che lo rendono una storia pesante, nonostante ampio spazio sia dedicato all'amore tra i protagonisti. Dunque meglio documentarsi prima e capire se si è disposti a seguire la storia.
Parola chiave: Lavoro.
Se ti interessa/ti è piaciuto
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#HollywoodCiak
Bengi
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mercoledì 17 agosto 2016
Film 1194 - Me Before You
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giovedì 6 giugno 2013
Film 558 - Miele
Ancora cinema italiano, questa volta attirato dalle numerose buonissime recensioni. E dall'esordio alla regia di una come Valeria Golino.
Film 558: "Miele" (2013) di Valeria Golino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Valeria Golino è uno di quei personaggi che ti piace o non ti piace, senza troppe vie di mezzo. Personalmente ciò che apprezzo di lei è che fa esattamente quello che vuole fare, scegliendo ogni volta un nuovo modo di mettersi in gioco.
Questa volta la prova è più ardua, dato che per "Miele" ha scelto non di recitare, ma di scrivere la sceneggiatura - liberamente tratta dal romanzo "A nome tuo" di Angela Del Fabbro - e di curarne la regia decretando, di fatto, il suo esordio nel campo del lungometraggio. Un esordio che non passa inosservato.
La Golino ha un occhio molto attento per i particolari fisici, su cui spesso decide di soffermare l'inquadratura per determinare in maniera efficace ed inequivocabile i sentimenti dei suoi personaggi. Così facendo, tra l'altro, riesce nell'intento di creare un contatto con lo spettatore, un'intimità profonda che lo legherà a Irene/Miele per tutta la durata del film. In queste scelte molto 'fisiche' Jasmine Trinca è sempre perfetta: sguardo intenso ed emotivamente molto carico, un corpo al servizio del racconto che non si risparmia niente e, anzi, gioca di squadra con la telecamera, finendo per raccontare tutto ciò che le parole non possono dire. Sicuramente da questo punto di vista "Miele" riesce bene.
Ho trovato, invece, che a volte si scivoli sui dialoghi. Un'impostazione troppo rigida e antiquata delle parole a volte finisce per rendere i discorsi tra i personaggi irreali o talmente impostati da risultarlo. Succede, così, che in alcuni passaggi il lavoro di fiction si palesi, guastando la naturalità interpretativa che regna per quasi tutta la pellicola. La Trinca in quest'ottica funziona quasi sempre, ma anche lei finisce per commettere qualche passo falso che, comunque, non intacca di fatto l'idea generale della sua buona performance.
Tra i comprimari Carlo Cecchi è certamente quello che rimane più impresso, bravissimo nell'interpretazione dell'ingegnere che diventa per breve tempo amico di Irene. I due, che prima si scontrano, finisco per scoprirsi anime affini (quasi una relazione platonica) e per il breve momento in cui condivideranno il loro tempo, riusciranno ad abbattere i reciproci muri eretti giocoforza ognuno per tutelare i propri segreti (la depressione per l'ingegnere, il lavoro per Irene). Inutile dire che l'amicizia cambierà necessariamente le loro prospettive, dove per la ragazza porterà ad una decisione drastica legata al suo silenzioso 'impiego' e per l'uomo un cambiamento di approccio al suicidio - che, se vogliamo, diventa una specie di atto di coraggio rispetto a ciò che prima l'ingegnere non si sentiva di fare, ovvero preferendo mettere fine alla sua vita di nascosto e in solitudine, fuggendo gli sguardi indiscreti altrui, approccio che pare evidente l'uomo abbia tenuto anche negli ultimi anni della sua vita -.
Pure qui l'unico neo all'interpretazione di Cecchi è una piccola cosa: a volte si mangia le parole e non sempre si capisce chiaramente tutto ciò che viene detto (a volte anche a causa dell'audio, bisogna dire, non sempre perfettamente distinguibile).
Nel complesso, insomma "Miele" mi ha lasciato un'impressione positiva. Tratta tematiche molto complesse (eutanasia, suicidio, malattia, dignità, etica) fornendo un punto di vista che, condivisibile o meno, non può non essere almeno preso in considerazione. Quello di Miele più che un lavoro è una missione in cui lei stessa crede fermamente fino a quando un 'elemento di disturbo' non le imporrà, se non una scelta morale, la necessità di schierarsi dalla parte delle sue convinzioni.
Nonostante i temi, il film non è né duro né buonista e, anzi, analizza e propone il tutto in maniera molto naturale. Lo spettatore, uscito dalla sala (io per un po' di tempo sono dovuto rimanere in silenzio a riflettere), deciderà cosa pensare dell'argomento senza poter però mettere in dubbio che il lavoro della Golino stimoli quantomeno una riflessione. Della serie: può piacere come non piacere, ma inevitabilmente si finirà per soffermarsi a pensare su quanto si è appena visto. E questo è certamente un valore aggiunto non comune a tutti i film dei giorni nostri.
Ps. Presente a Cannes 2013 nella sezine Un Certain Regard, si è portato a casa una menzione speciale da parte della Giuria Ecumenica (che lo ha segnalato assieme al giapponese "Soshite chichi ni naru").
Consigli: Il finale è prevedibile a causa di un particolare che viene svelato durante la narrazione. Sarebbe meglio non ragionarci troppo per evitare che ci si rovini proprio l'ultima scena del film, ma effettivamente è difficile non immaginarsi cosa accadrà (in chiave un po' troppo romantico-nostalgica per i miei gusti).
Il respiro internazionale della pellicola fa un certo effetto considerando che è l'esordio alla regia di un'attrice che porta al cinema tematiche tanto controverse, ma certamente la sorpresa aggiunge appeal al progetto, evitandogli quel tono provinciale solitamente comune alle pellicole italiane.
Nel complesso, quindi, vale la pena dare una chance a questa pellicola, anche solo per confrontare sé stessi con le situazioni riportate dalla sceneggiatura e regalarsi un punto di vista in più sulla questione. La Trinca poi è brava e l'intensa interpretazione - un po' lesbo dark - colpirà sicuramente lo spettatore.
Parola chiave: Lamputal.
Trailer
Bengi

Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Valeria Golino è uno di quei personaggi che ti piace o non ti piace, senza troppe vie di mezzo. Personalmente ciò che apprezzo di lei è che fa esattamente quello che vuole fare, scegliendo ogni volta un nuovo modo di mettersi in gioco.
Questa volta la prova è più ardua, dato che per "Miele" ha scelto non di recitare, ma di scrivere la sceneggiatura - liberamente tratta dal romanzo "A nome tuo" di Angela Del Fabbro - e di curarne la regia decretando, di fatto, il suo esordio nel campo del lungometraggio. Un esordio che non passa inosservato.
La Golino ha un occhio molto attento per i particolari fisici, su cui spesso decide di soffermare l'inquadratura per determinare in maniera efficace ed inequivocabile i sentimenti dei suoi personaggi. Così facendo, tra l'altro, riesce nell'intento di creare un contatto con lo spettatore, un'intimità profonda che lo legherà a Irene/Miele per tutta la durata del film. In queste scelte molto 'fisiche' Jasmine Trinca è sempre perfetta: sguardo intenso ed emotivamente molto carico, un corpo al servizio del racconto che non si risparmia niente e, anzi, gioca di squadra con la telecamera, finendo per raccontare tutto ciò che le parole non possono dire. Sicuramente da questo punto di vista "Miele" riesce bene.
Ho trovato, invece, che a volte si scivoli sui dialoghi. Un'impostazione troppo rigida e antiquata delle parole a volte finisce per rendere i discorsi tra i personaggi irreali o talmente impostati da risultarlo. Succede, così, che in alcuni passaggi il lavoro di fiction si palesi, guastando la naturalità interpretativa che regna per quasi tutta la pellicola. La Trinca in quest'ottica funziona quasi sempre, ma anche lei finisce per commettere qualche passo falso che, comunque, non intacca di fatto l'idea generale della sua buona performance.
Tra i comprimari Carlo Cecchi è certamente quello che rimane più impresso, bravissimo nell'interpretazione dell'ingegnere che diventa per breve tempo amico di Irene. I due, che prima si scontrano, finisco per scoprirsi anime affini (quasi una relazione platonica) e per il breve momento in cui condivideranno il loro tempo, riusciranno ad abbattere i reciproci muri eretti giocoforza ognuno per tutelare i propri segreti (la depressione per l'ingegnere, il lavoro per Irene). Inutile dire che l'amicizia cambierà necessariamente le loro prospettive, dove per la ragazza porterà ad una decisione drastica legata al suo silenzioso 'impiego' e per l'uomo un cambiamento di approccio al suicidio - che, se vogliamo, diventa una specie di atto di coraggio rispetto a ciò che prima l'ingegnere non si sentiva di fare, ovvero preferendo mettere fine alla sua vita di nascosto e in solitudine, fuggendo gli sguardi indiscreti altrui, approccio che pare evidente l'uomo abbia tenuto anche negli ultimi anni della sua vita -.
Pure qui l'unico neo all'interpretazione di Cecchi è una piccola cosa: a volte si mangia le parole e non sempre si capisce chiaramente tutto ciò che viene detto (a volte anche a causa dell'audio, bisogna dire, non sempre perfettamente distinguibile).
Nel complesso, insomma "Miele" mi ha lasciato un'impressione positiva. Tratta tematiche molto complesse (eutanasia, suicidio, malattia, dignità, etica) fornendo un punto di vista che, condivisibile o meno, non può non essere almeno preso in considerazione. Quello di Miele più che un lavoro è una missione in cui lei stessa crede fermamente fino a quando un 'elemento di disturbo' non le imporrà, se non una scelta morale, la necessità di schierarsi dalla parte delle sue convinzioni.
Nonostante i temi, il film non è né duro né buonista e, anzi, analizza e propone il tutto in maniera molto naturale. Lo spettatore, uscito dalla sala (io per un po' di tempo sono dovuto rimanere in silenzio a riflettere), deciderà cosa pensare dell'argomento senza poter però mettere in dubbio che il lavoro della Golino stimoli quantomeno una riflessione. Della serie: può piacere come non piacere, ma inevitabilmente si finirà per soffermarsi a pensare su quanto si è appena visto. E questo è certamente un valore aggiunto non comune a tutti i film dei giorni nostri.
Ps. Presente a Cannes 2013 nella sezine Un Certain Regard, si è portato a casa una menzione speciale da parte della Giuria Ecumenica (che lo ha segnalato assieme al giapponese "Soshite chichi ni naru").
Consigli: Il finale è prevedibile a causa di un particolare che viene svelato durante la narrazione. Sarebbe meglio non ragionarci troppo per evitare che ci si rovini proprio l'ultima scena del film, ma effettivamente è difficile non immaginarsi cosa accadrà (in chiave un po' troppo romantico-nostalgica per i miei gusti).
Il respiro internazionale della pellicola fa un certo effetto considerando che è l'esordio alla regia di un'attrice che porta al cinema tematiche tanto controverse, ma certamente la sorpresa aggiunge appeal al progetto, evitandogli quel tono provinciale solitamente comune alle pellicole italiane.
Nel complesso, quindi, vale la pena dare una chance a questa pellicola, anche solo per confrontare sé stessi con le situazioni riportate dalla sceneggiatura e regalarsi un punto di vista in più sulla questione. La Trinca poi è brava e l'intensa interpretazione - un po' lesbo dark - colpirà sicuramente lo spettatore.
Parola chiave: Lamputal.
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giovedì 1 marzo 2012
Film 389 - Paradiso amaro
Ultimo film visionato prima della serata degli Oscar per completare, quanto più possibile, il quadro dei nominati in gara.
Film 389: "Paradiso amaro" (2011) di Alexander Payne
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Erika
Pensieri: Va innanzitutto specificato che non ci aspettavamo di vedere il film in inglese e che, solo per una svista del sito da cui abbiamo controllato gli orari, siamo finiti alla visione in lingua originale di "The Descendants". E, per quanto mi riguarda, la cosa non può che aver aggiunto valore alla visione di una pellicola a cui non davo molte speranze.
Il mio background del regista Alexander Payne si concentra essenzialmente su una manciata di titoli: "Sideways - In viaggio con Jack", "Election" (sceneggiatura e regia) e "Jurassic Park III" (qui solo la sceneggiatura). Non si può dire, quindi, che sia un suo grande fan. Anche e soprattutto perchè "Sideways" è un film che trovai piuttosto noioso e sopravvalutato. L'approccio a "Paradiso amaro", dunque, era significamente influenzato dall'impressione negativa legata al precedente film del regista (grazie al quale aveva vinto l'Oscar per la sceneggiatura non originale nel 2005). Mai valutazione fu più affrettata.
In una cornice a dir poco mozzafiato, "Paradiso amaro" segue le vicende della famiglia King dal momento in cui la moglie e mamma Elizabeth finisce in coma a seguito di un incidente in mare. L'evento scatenante porterà alla luce retroscena inaspettati per il padre Matt/George Clooney e le figlie Alexandra/Shailene Woodley e Scottie/Amara Miller, che costringerà ognuno di loro a rapportarsi con problemi e discorsi fino ad allora lasciati stagnare nella frenesia della quotidianità. E, così, si scopre che madre e figlia non si parlavano più dopo che quest'ultima aveva scoperto il tradimento del genitore con un altro uomo; finirà per parlarne con il padre. La piccolina di casa dovrà affrontare un lutto imminente che, però, tutti faticano a comunicarle. Matt, invece, dovrà confrontarsi con due ragazzine che non conosce e che non sa minimamente come gestire, assieme all'appena rivelato tradimento della moglie in coma: vorrà scoprire chi è l'amante.
Tutti questi temi complessi vengono affrontati con la necessaria serietà, ma una disinvoltura che mai mi sarei aspettato di trovare. Essendo praticamente all'oscuro di tutta la trama, scoprire quanto fosse ben scritta ed articolata man mano che si procedeva con la visione, mi ha sinceramente sorpreso. E, nonostante la tematica sia a tratti straziante, ho veramente apprezzato.
Clooney è stranamente non monoespressivo e gioca al meglio le sue carte. Insolito nella parte del genitore, risulta perfettamente credibile. Per la maggior parte del film sembra che abbia gettato la spugna il suo personaggio, che non riesca a riaffiorare da una serie di circostanze che lo annientano nel dolore e il disorientamento. La missione punitiva, però, lo manterrà concentrato su un obiettivo e, soprattutto, darà tregua allo spettatore che, altrimenti, si ritrova circondato solamente da eventi talmente negativi da indurre la depressione.
Non sarà facile per la famiglia King rialzarsi dall'esperienza devastante che ha appena passato - così come per lo spettatore - ma il lungo viaggio che ha affrontato crea la speranza di un nuovo inizio.
Bello, ma difficile, con un cast giusto e, come dicevo prima, un Clooney in gran forma.
Ps. Partenza in sordina per questa pellicola: debutta con $1,190,096 in fondo alla classifica ma - forte dell'esposizione mediatica, i 2 Goldeng Globes (Miglior film e attore protagonista nella sottocategoria musical o commedia) e le 5 nomination all'Oscar (Miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e montaggio) di cui quello per la sceneggiatura concretizzato in vittoria - riesce nell'impresa di un box-office da blockbuster: $156,127,000 incassati in tutto il mondo.
Consigli: Il film è bello, ma certamente il tema non è facile. Bisogna essere consapevoli che il viaggio che si affronta è quello attraverso il lutto e la sua elaborazione, la ribellione adolescenziale e il tradimento. Ma c'è il lieto fine, guardando bene. Lo rivedrei.
Parola chiave: Brian Speer.
Trailer
Ric
Film 389: "Paradiso amaro" (2011) di Alexander Payne
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Erika
Pensieri: Va innanzitutto specificato che non ci aspettavamo di vedere il film in inglese e che, solo per una svista del sito da cui abbiamo controllato gli orari, siamo finiti alla visione in lingua originale di "The Descendants". E, per quanto mi riguarda, la cosa non può che aver aggiunto valore alla visione di una pellicola a cui non davo molte speranze.
Il mio background del regista Alexander Payne si concentra essenzialmente su una manciata di titoli: "Sideways - In viaggio con Jack", "Election" (sceneggiatura e regia) e "Jurassic Park III" (qui solo la sceneggiatura). Non si può dire, quindi, che sia un suo grande fan. Anche e soprattutto perchè "Sideways" è un film che trovai piuttosto noioso e sopravvalutato. L'approccio a "Paradiso amaro", dunque, era significamente influenzato dall'impressione negativa legata al precedente film del regista (grazie al quale aveva vinto l'Oscar per la sceneggiatura non originale nel 2005). Mai valutazione fu più affrettata.
In una cornice a dir poco mozzafiato, "Paradiso amaro" segue le vicende della famiglia King dal momento in cui la moglie e mamma Elizabeth finisce in coma a seguito di un incidente in mare. L'evento scatenante porterà alla luce retroscena inaspettati per il padre Matt/George Clooney e le figlie Alexandra/Shailene Woodley e Scottie/Amara Miller, che costringerà ognuno di loro a rapportarsi con problemi e discorsi fino ad allora lasciati stagnare nella frenesia della quotidianità. E, così, si scopre che madre e figlia non si parlavano più dopo che quest'ultima aveva scoperto il tradimento del genitore con un altro uomo; finirà per parlarne con il padre. La piccolina di casa dovrà affrontare un lutto imminente che, però, tutti faticano a comunicarle. Matt, invece, dovrà confrontarsi con due ragazzine che non conosce e che non sa minimamente come gestire, assieme all'appena rivelato tradimento della moglie in coma: vorrà scoprire chi è l'amante.
Tutti questi temi complessi vengono affrontati con la necessaria serietà, ma una disinvoltura che mai mi sarei aspettato di trovare. Essendo praticamente all'oscuro di tutta la trama, scoprire quanto fosse ben scritta ed articolata man mano che si procedeva con la visione, mi ha sinceramente sorpreso. E, nonostante la tematica sia a tratti straziante, ho veramente apprezzato.
Clooney è stranamente non monoespressivo e gioca al meglio le sue carte. Insolito nella parte del genitore, risulta perfettamente credibile. Per la maggior parte del film sembra che abbia gettato la spugna il suo personaggio, che non riesca a riaffiorare da una serie di circostanze che lo annientano nel dolore e il disorientamento. La missione punitiva, però, lo manterrà concentrato su un obiettivo e, soprattutto, darà tregua allo spettatore che, altrimenti, si ritrova circondato solamente da eventi talmente negativi da indurre la depressione.
Non sarà facile per la famiglia King rialzarsi dall'esperienza devastante che ha appena passato - così come per lo spettatore - ma il lungo viaggio che ha affrontato crea la speranza di un nuovo inizio.
Bello, ma difficile, con un cast giusto e, come dicevo prima, un Clooney in gran forma.
Ps. Partenza in sordina per questa pellicola: debutta con $1,190,096 in fondo alla classifica ma - forte dell'esposizione mediatica, i 2 Goldeng Globes (Miglior film e attore protagonista nella sottocategoria musical o commedia) e le 5 nomination all'Oscar (Miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e montaggio) di cui quello per la sceneggiatura concretizzato in vittoria - riesce nell'impresa di un box-office da blockbuster: $156,127,000 incassati in tutto il mondo.
Consigli: Il film è bello, ma certamente il tema non è facile. Bisogna essere consapevoli che il viaggio che si affronta è quello attraverso il lutto e la sua elaborazione, la ribellione adolescenziale e il tradimento. Ma c'è il lieto fine, guardando bene. Lo rivedrei.
Parola chiave: Brian Speer.
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domenica 30 gennaio 2011
Film 210 - Kill Me Please
Cinema a scatola chiusa. Nessuna idea sulla trama, neanche un vago spunto o indizio. A parte un titolo decisamente esplicito...

Film 210: "Kill Me Please" (2010) di Olias Barco
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Fabrizio
Pensieri: Questo film mi ha un po' spiazzato. All'inizio, non sapendo nulla della trama, mi sono fatto guidare dalle immagini. Poi, immaginato un percorso che avrebbe potuto seguire e sviluppare, ho atteso di capire dove in effetti si sarebbe andati a parare. Infine, amara sorpresa, la deviazione comico-grottesca con humor nero che mi ha lasciato abbastanza senza parole.
Da includere in questo mio pensiero, per dovere di cronaca, un ritorno in ufficio dopo quasi due settimane di assenza (e una vacanza alle Canarie nel mezzo), l'ambiente già di per sé non sempre allegro, l'argomento a sorpresa del film dopo una giornata stancante.
Le condizioni di visione, in effetti, non erano tra le più favorevoli. Il risultato, comunque, è stata una visione negativa. Sarà che non ero preparato ad un umorismo così nero o che, forse, speravo in un taglio più documentaristico - visto l'interessante argomento dell'eutanasia, la morte assistita in cliniche private, la possibilità e la necessità, a volte, di scegliere per sé stessi anche come andarsene - piuttosto che la virata da dark comedy, di fatto questa pellicola non mi ha soddisfatto.
Forse, ora, presa coscienza della natura di questo "Kill Me Please", rivedendolo ne avrei una visione differente, meno negativa. Il film è scritto bene, analizza lucidamente un argomento non facile e crea un vortice paradossale che, al di fuori del contesto, ha della genialità. Mi ha ricordato a tratti il "Ladykillers" dei Coen e "Idioti" di Lars von Trier. Spiazzante.
Ps. Il film ha vinto il Marc'Aurelio d'Oro della Giuria per il miglior film al Festival Internazionale del Film di Roma del 2010.
Consigli: Meglio essere preparati quantomeno sull'argomento del film. La conclusione, seppure pervasa da humor, non sarà facile da digerire.
Parola chiave: La Marsigliese.
Ric

Film 210: "Kill Me Please" (2010) di Olias Barco
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Fabrizio
Pensieri: Questo film mi ha un po' spiazzato. All'inizio, non sapendo nulla della trama, mi sono fatto guidare dalle immagini. Poi, immaginato un percorso che avrebbe potuto seguire e sviluppare, ho atteso di capire dove in effetti si sarebbe andati a parare. Infine, amara sorpresa, la deviazione comico-grottesca con humor nero che mi ha lasciato abbastanza senza parole.
Da includere in questo mio pensiero, per dovere di cronaca, un ritorno in ufficio dopo quasi due settimane di assenza (e una vacanza alle Canarie nel mezzo), l'ambiente già di per sé non sempre allegro, l'argomento a sorpresa del film dopo una giornata stancante.
Le condizioni di visione, in effetti, non erano tra le più favorevoli. Il risultato, comunque, è stata una visione negativa. Sarà che non ero preparato ad un umorismo così nero o che, forse, speravo in un taglio più documentaristico - visto l'interessante argomento dell'eutanasia, la morte assistita in cliniche private, la possibilità e la necessità, a volte, di scegliere per sé stessi anche come andarsene - piuttosto che la virata da dark comedy, di fatto questa pellicola non mi ha soddisfatto.
Forse, ora, presa coscienza della natura di questo "Kill Me Please", rivedendolo ne avrei una visione differente, meno negativa. Il film è scritto bene, analizza lucidamente un argomento non facile e crea un vortice paradossale che, al di fuori del contesto, ha della genialità. Mi ha ricordato a tratti il "Ladykillers" dei Coen e "Idioti" di Lars von Trier. Spiazzante.
Ps. Il film ha vinto il Marc'Aurelio d'Oro della Giuria per il miglior film al Festival Internazionale del Film di Roma del 2010.
Consigli: Meglio essere preparati quantomeno sull'argomento del film. La conclusione, seppure pervasa da humor, non sarà facile da digerire.
Parola chiave: La Marsigliese.
Ric
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