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martedì 21 maggio 2024

Film 2275 - Immaculate

Intro: E quando c'è un nuovo horror che fai, non lo vai a vedere?

Film 2275: "Immaculate" (2024) di Michael Mohan
Visto: al cinema
Lingua: inglese
Compagnia: Niamh
In sintesi: per una buona parte della storia il film riesce a mantenere l'atmosfera giusta, giocandosi classici momenti dell'horror - tra spaventi e palpitazioni - in combinazione a qualche elemento misterioso e quasi thriller nel presentare un'immacolata concezione 2.0.
Mi ha person un po' nel finale perché, tra fanatismo religioso ed esperimenti scientifici, era veramente difficile non sfociare nel camp. Sydney Sweeney, però, non molla mai la presa e regala una performance ispirata che trascina tutto il film.
Forse l'elemento che più conferisce ad "Immaculate" un tono di originalità è la mancanza del classico rimaneggiare hollywoodiano: la fotografia è bella ma non patinata, i costumi sfarzosi in forte conotrasto al convento decadente, vi è quasi una mancanza totale di quel glam cui anche gli horror ormai ci hanno abituato. L'atmosfera è quasi rustica, si parla moltissimo italiano e, tutto sommato, pare quasi ci sia un elemento (visivo) di realisticità.
Non perfetto, ma con qualche passaggio che lo contraddistingue da altri prodotti similari.
Cast: Sydney Sweeney, Álvaro Morte, Benedetta Porcaroli, Dora Romano, Giorgio Colangeli, Giuseppe Lo Piccolo, Simona Tabasco.
Box Office: $23.6 milioni
Vale o non vale: Per certi versi intrigante e risucito, si perde un po' nel finale cercando troppo evidentemente di rientrare in quel diktat narrativo dell'horror soprannaturale che ultimamente Hollywood produce. Non c'è niente di male, per carità, semplicemente stona un po' con la prima parte della storia che, invece, costruisce bene un mondo misterioso fatto di ombre e stranezze a cui inizialmente si fatica a dare senso. A un certo punto ci si arriva da soli a capire cosa stia succedendo, il che toglie un po' quall'allure di mistero fino a quel momento ben costruita. Brava Sydney Sweeney che dimostra, ancora una volta, di saper portare da sola tutto un film sulle proprie spalle. In un ruolo piccolino c'è anche Simona Tabasco, vista (e nominata a un Emmy) di recente in "The White Lotus".
Premi: /
Parola chiave: DNA.
Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

martedì 26 aprile 2016

Film 1121 - Risorto

Doppio appuntamento pomeridiano al cinema dopo l'estenuante esame di Comunicazione politica.
Film 1121: "Risorto" (2016) di Kevin Reynolds
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: nessuno
Pensieri: Tutto un grandissimo mah.
Premesso che pensavo si trattasse della storia di Lazzaro (alzati e cammina), in ogni caso questa pellicola non mi ha per nulla soddisfatto. Noiosa, mal recitata (da Fiennes) e troppo improntata alla religiosità per i miei gusti, questo "Risen" è stato una vera e propria delusione.
Pur tentando di proporre allo spettatore un prodotto di media qualità - il budget di 20 milioni di dollari non è poi altissimo - il risultato finale è evidentemente mediocre, più che altro per una fotografia non eccelasa e l'evitare il più possibile l'utilizzo di effetti speciali impegnativi (la Sacra Sindone è leggermente imbarazzante).
Il risultato finale, dunque, non è particolarmente riuscito e, credo, finirà per appassionare solo coloro che siano già interessati all'argomento per fede o identificazione di valori. Per quanto mi riguarda, al di là della mia iniziale delusione per non aver minimamente centrato il tema portante della trama (e per dover assistere all'ennesima trasposizione della crocifissione di Gesù e successiva resurrezione), ho trovato il tutto poco innovativo e ancorato a una visione della fede più mistica che consapevole e, naturalmente, qui più legata all'intrattenimento.
Cast: Joseph Fiennes, Tom Felton, Peter Firth, Cliff Curtis, María Botto, Luis Callejo, Antonio Gil, Stewart Scudamore, Mark Killeen, Jan Cornet.
Box Office: $44.6 milioni
Consigli: Di tutti i titoli legati all'universo della cristianità questo non è certamente dei più riusciti, pur elevandosi leggermente rispetto alle mie basse aspettative. Rimane il fatto che si tratti di una pellicola a budget ridotto che, quindi, deve convivere con una serie di mancanze che ne intaccano il risultato finale. La trovata di chiamare Gesù Yeshua e il fatto che la storia sia presentata dal punto di vista dei romani fa si che questa operazione ne tragga una connotazione personale inusuale per questo tipo di pellicole, anche se questo non basta a rendere il tutto sufficientemente riuscito. Insomma, "Risorto" è più un prodotto per chi è davvero interessato che per il pubblico occasionale.
Parola chiave: Corpo.

Trailer
#HollywoodCiak
Bengi

lunedì 26 agosto 2013

Film 573 - Ben-Hur

Non avendolo MAI visto dovevo assolutamente recuperare!


Film 573: "Ben-Hur" (1959) di William Wyler
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Marco
Pensieri: Probabilmente è il titolo cinematografico più famoso di tutti i tempi da oltre 50anni (poi però è arrivato "Titanic"...), con alcune delle scene cult della storia cinematografica moderna (le bighe dicono niente?).
"Ben-Hur", diciamocelo, è fuori dagli standard contemporanei per un'infinità di motivi - numero musicale di apertura, tempi di narrazione giurassici (212min di pellicola), storia di Gesù incastonata alla trama modello favoletta-rassicurante, ecc - e va necessariamente preso per quello che è o, meglio, per ciò che è stato. L'occhio dello spettatore moderno, quindi, dovrà avere la capacità di abituarsi serenamente ad un mix di fattori come quelli già elencati che, ai giorni nostri, sarebbe letale per una pellicola messa in produzione coi fini di accaparrarsi un buon botteghino. Ciò detto, il film di William Wyler è certamente un capolavoro del suo genere - di quelli, per dire, che mia nonna ha sempre amato, perfetto specchio dei suoi tempi - e affronta tutte le tematiche giuste per essere un faro di etica morale edificante.
La silenziosa ascesa di Giuda Ben-Hur dopo la messa in schiavitù (vicinissima a quella di Jean Valjean vista nell'ultimo "Les Misérables"), il messaggio cristiano, il riscatto e l'amore fedele, sono tutti baluardi, fari in una nebbia umana da dissipare con lo stesso coraggio e la stessa fermezza dimostrati dal protagonista del film. Da questo punto di vista "Ben-Hur" dev'essere stato un prodotto molto apprezzato dai moral(issim)i organi di censura dell'epoca. Ai giorni nostri diciamo che, però, il tutto risulta un po' trito.
In particolare mi sento di dire che la storia personale di Gesù che si intreccia alle vicende del protagonista interpretato da Charlton Heston mi ha infastidito in quanto inaspettata. Nonostante il numero musicale d'apertura sembri inizialmente fuori contesto (è sui famosi indici della Creazione di Adamo di Michelangelo), non appena la trama prende un attimo corpo palesa l'iconica scelta. Gesù, per tutta la durata della pellicola si incontrerà in non più di tre-quattro passaggi, mai inquadrato in volto; la sua presenza, comunque, 'santifica' il prodotto finale e fa contenti tutti (i cattolici). Io ne avrei fatto volentieri a meno.
A parte questo, comunque, non ci si può esimere dal visionare almeno una volta nella vita questo film, senza la necessità di amarlo in quanto acclamato, ma per capire come e perché possa aver influenzato la storia del cinema e in maniera collaterale la cultura popolare più o meno recente.
Personalmente ho trovato davvero emozionante la scena delle quadrighe (tra l'altro Sergio Leone, anche se non accreditato, fu uno dei responsabili della troupe della seconda unità che ne curò la realizzazione), con un montaggio serratissimo e delle inquadrature davvero d'avanguardia, al pari di scene d'azione che potremmo vedere tranquillamente ai giorni nostri.
Insomma, questo film merita di essere visto almeno una volta nella vita: che si apprezzino i peplum di sfondo religioso, che si voglia ammirare la cura delle scenografie e dei costumi, che ci si voglia chiedere come diavolo sia stato possibile realizzare un kolossal di tale portata o fare il gioco delle differenze tra la recitazione di oggi e quella di un tempo; l'importante è farsi una personalissima idea riguardo a questo prodotto commerciale capace di insinuarsi nell'immaginario cinematografico di intere generazioni di spettatori.
Io l'ho trovato grandioso e maledettamente lungo, spettacolare e kitsch, autocelebrativo e dalla morale facile, ma comunque passaggio imprescindibile della storia cinematografica americana e certamente titolo rappresentativo di un genere che per anni ha spopolato (io, al momento, su questa linea ho visto solo "Cleopatra"; ci sarebbero da recuperare "Quo Vadis", "Sansone e Dalila", "I dieci comandamenti", ...) che sono pezzi di storia del cinema mondiale.
Ps. Prima pellicola a vincere 11 premi Oscar, manterrà il suo record imbattuto fino all'arrivo di "Titanic" e, qualche anno dopo "Il signore degli anelli - Il ritorno del re".
Consigli: L'unica cosa che posso dire è che bisogna assolutamente vederlo!
Parola chiave: Peste.

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Bengi

giovedì 10 dicembre 2009

Film 31 - Tutta colpa di Giuda

Dopo "Star Wars" c'era ancora tempo per dedicarsi ad un'altra pellicola. Non sapendo quale scegliere ci siamo affidati al caso dello streaming, che ci ha consigliato un film che al cinema volevamo vedere, ma avevamo perso!


Film 31: "Tutta colpa di Giuda" (2009) di Davide Ferrario
Visto: dal computer di casa
Lingua: italiano
Compagnia: Ale
Pensieri: Più che un film un esperimento. La realtà nel cinema, il cinema nella realtà che si contaminano vicendevolmente senza mai un definito schema che faccia capire allo spettatore dove finisce una e comincia l'altro. E' tutta una contaminazione, quasi un labirinto di situazioni tipicamente da cinema e altre tipicamente reali. E, oltre a tutto questo, la musica, il ballo e il carcere. Un bel po' di elementi per un solo film a bassissimo costo e italiano, per di più.
L'elemento che più mi attirava al film era la partecipazione di Luciana Littizzetto, abituato al suo solito carisma. In realtà il suo ruolo qui è molto piccolo e per niente simpatico. Cioè, conoscendo lei e sapendo chi è e come è fatta apprezzi di più Suor Bonaria di quanto non meriterebbe il personaggio che di buono non ha proprio niente.
In realtà la grande sorpresa è stata Kasia Smutniak che conoscevo solo per gli spot della Tim e per essere la madre della figlia di Taricone. Diciamo che effettivamente qualche pregiudizio ce lo avevo. Invece è brava, spigliata, recita pure bene. In un carcere, con veri detenuti che recitano, non dev'essere stata un'esperienza subito facile. E' giovane e volenterosa, si vede, ogni tanto da qualche enfasi di troppo al suo personaggio senza un motivo apparente, però nel complesso l'ho estremamente rivalutata.
Inoltre è da tenere presente, in questa pellicola, la sottile - ma forse neanche troppo - critica al mondo delle carceri italiane che viene descritto come fine a sé stesso, senza alcuna capacità di riabilitare alla vita quelle persone che invece ne avrebbero davvero bisogno. Il carcere è un limbo, un mondo diverso da tutti gli altri - che poi dipenderà anche da carcere a carcere, qui ci si misura con una realtà quasi all'acqua di rose - che ha una sua struttura, sue regole, sua burocrazia. Scontrarsi con un muro del genere può far paura, ma il film aiuta forse a sconfiggere alcuni pregiudizi sul mondo della prigione. Innanzitutto sembra possibile combinare qualcosa di buono, sia nella storia del film che nella realtà. Mi riferisco e allo spettacolo pasquale per cui è stata richiesta la presenza della Smutniak/Irena e alla capacità di Ferrario di costruire un film sul carcere coinvolgendo veri detenuti. E poi l'idea che ne rimane è che non per forza uno che ha sbagliato di brutto nella vita è per forza un poco di buono. Non credo si voglia semplificare, ma solo passare un messaggio positivo per coloro che questa realtà la guardano con diffidenza.
Ho trovato bella (e suggestiva) anche l'idea dell'ultima cena in carcere da paragonare a quella di Gesù. Se è vero che lo spettacolo non si realizzerà mai (l'indulto fa uscire praticamente tutti di prigione) è altrettanto vero che lo spettatore assiste allo spettacolo grazie alle prove. L'idea dell'ultimo numero musicale alla cena prima del giorno della liberazione è direttamente collegabile alla storia cristiana e quindi acquisisce un significato altro, non religioso, ma sicuramente solenne.
Un grande limite di questo film, però, è il poco richiamo. Manca forse appeal per una pellicola di valore, ma carente dal punto di vista commerciale. A) Chi è la Smutniak? B) Perchè la Littizzetto non è stata 'usata' di più per far pubblicità al film? Ecco, forse io me la sarei giocata un po' meglio. E, soprattutto, avrei bandito dal set quell'uomo orribile che all'inizio della storia è il fidanzato di Irena e nella vita vera dovrebbe essere uno dei Marlene Kuntz. E' assolutamente insopportabile!
Alcune considerazioni per finire. In questo film piove sempre o è sempre nuvoloso, anche quando prendono il sole.
La prima parte del film è un po' hippie, Irena è fidanzata con questo regista tutto concettuale, artistoide alternativo, freddo come un ghiacciolo e più simile ad un manico di scopa. Ma insieme che ci stanno a dire?!
Tutta la storia è un po' semplificata. Probabilmente era un'esigenza particolare, ma sa un po' di fittizio in alcuni punti, cioè si capisce che nella realtà ci sarebbe stato un altro step che nella storia invece manca. Come nella decisione dei ruoli, in cui tutti, senza averne mai parlato prima, sanno chi vogliono interpretare e non ce ne sono 2 che vogliano fare lo stesso personaggio.
Consigli: Meglio dedicare attenzione al film, non è decisamente uno di quelli da svago.
Parola chiave: Libero: "Che cosa c'è di più triste di un carcere vuoto?" Irena: "Uno pieno?"



#HollywoodCiak
Bengi